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Cartellino rosso
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E-book610 pagine7 ore

Cartellino rosso

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Info su questo ebook

Come la FIFA ha sepolto il più grande scandalo della storia del calcio

Il racconto inedito dello scandalo che ha sconvolto la FIFA: uno dei casi più eclatanti degli ultimi anni, che ha coinvolto decine di paesi e non ha risparmiato nessun evento recente di uno degli sport più popolari al mondo, il calcio. Il “caso FIFA” è emerso in modo quasi inaspettato: indagando sulle dichiarazioni dei redditi di alcuni dirigenti sportivi, gli agenti si sono ritrovati davanti un enorme caso di corruzione internazionale. Nella sua inchiesta, Ken Bensinger racconta lo scandalo e le personalità che ne sono state travolte. Da Chuck Blazer, a Jack Warner, fino all’uomo più potente di tutto il mondo dello sport, il presidente della FIFA Sepp Blatter, la corruzione era un sistema attivo da anni, un meccanismo oliato di tangenti, frodi e riciclaggio di denaro sporco che non ha risparmiato nemmeno i Mondiali. Questo libro porta alla luce la storia reale, oltre i titoli di giornale, raccontando non solo il più grande scandalo della storia dello sport, ma anche uno dei più grandi casi di corruzione internazionale mai registrati.

L’inchiesta che fa luce sullo scandalo sportivo più grande del mondo.
E non è ancora finita.

«Cartellino rosso è accurato e affascinante, una ricostruzione perfetta del caso di corruzione che ha scosso il mondo. Con una scrittura appassionante, Ken Bensinger spiega perché niente sarà più come prima.»
Charles Duhigg, vincitore del Premio Pulitzer

«Un magnifico lavoro di ricerca, che scava in profondità nelle indagini e racconta un intero mondo criminale.»
Kirkus Reviews

«Il libro perfetto per chiunque voglia capire meglio che cosa è successo in questi anni nel mondo del calcio.»
Booklist
Ken Bensinger
È un giornalista con oltre vent’anni di carriera. È cresciuto a Seattle e vive a Los Angeles. Ha lavorato per il «Wall Street Journal», il «Los Angeles Times» e, dal 2014, per «BuzzFeed», come membro del team investigativo. Ha vinto il Premio ASME National Magazine e il Gerald Loeb Award per la categoria Finance & Business Reporting ed è stato anche finalista per il Premio Pulitzer. Cartellino rosso è il suo libro di inchiesta sullo scandalo che ha sconvolto il mondo del calcio.
LinguaItaliano
Data di uscita1 ott 2018
ISBN9788822726322
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    Anteprima del libro

    Cartellino rosso - Ken Bensinger

    569

    In questa ricostruzione si fa riferimento a varie inchieste giudiziarie, alcune delle quali sono ancora in corso. Il volume ricostruisce vicende di cronaca nel massimo rispetto dei principi di verità, continenza e pertinenza. Tutte le persone coinvolte o citate a vario titolo, anche se condannate nei primi gradi di giudizio, sono da ritenersi penalmente innocenti fino a sentenza definitiva.

    Titolo originale: Red Card

    Copyright © 2018 by Ken Bensinger

    All rights reserved, including the right to reproduce this book or

    portions thereof in any form whatsoever.

    Traduzione dall’inglese di Cristina Popple

    Prima edizione ebook: ottobre 2018

    © 2018 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-2632-2

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Ken Bensinger

    Cartellino rosso

    Come la

    FIFA

    ha sepolto il più grande scandalo della storia del calcio

    Indice

    Personaggi principali

    1. Berryman

    2. Stuzzicare le cimici

    3. «Ha mai preso una tangente?»

    4. Un tizio del Queens

    5. Il voto

    6. Jack vs. Chuck

    7. Port of Spain

    8. Un uomo d’onore

    9. Rico

    10. I soldi di Blazer

    11. Il voltagabbana

    12. Il fiore all’occhiello

    13. Regina per un giorno

    14. Il re è morto, lunga vita al re

    15. Più veloce, più forte, più in alto

    16. A modo mio

    17. Il patto

    18. I fratelli Warner

    19. «Una storia triste»

    20. «Non ci coinvolgere»

    21. Non sono tuo amico

    22. Uno è d’argento, l’altro d’oro

    23. Fiducia e tradimento

    24. «Andiamo tutti in galera»

    25. Rivincita

    26. Tutto va a rotoli

    27. La retata

    28. «Un gran giorno per il calcio»

    29. Uno zelante difensore

    30. Plus ça change…

    31. Il processo

    Ringraziamenti

    Una nota sulle fonti

    Note

    Bibliografia

    Tavole fuori testo

    Per mia moglie Patricia e i miei figli Mateo e Sofia

    «Poiché tra il mio popolo vi sono malvagi che spiano come cacciatori in agguato, pongono trappole per prendere uomini. Come una gabbia piena di uccelli, così le loro case sono piene di inganni; perciò diventano grandi e ricchi. Sono grassi e pingui, oltrepassano i limiti del male; non difendono la giustizia, non si curano della causa dell’orfano, non fanno giustizia ai poveri. Non dovrei forse punire queste colpe? Oracolo del Signore. Di un popolo come questo non dovrei vendicarmi?».

    Geremia 5, 26-29

    76323.jpg

    Personaggi principali

    Fédération Internationale de

    Football Association (

    FIFA

    ), Zurigo

    Jean-Marie Faustin Godefroid João Havelange,

    presidente (1974-1998)

    Joseph Sepp Blatter, presidente (1998-2015);segretario generale (1981-1998)

    Jérôme Valke, segretario generale (2007-2015)

    Confederation of North, Central America

    and Caribbean Association Football

    (

    CONCACAF

    ), New York & Miami

    Austin Jack Warner, presidente (1990-2011);vicepresidente ed ExCo

    FIFA

    (1983-2011)

    Charles Gordon Chuck Blazer, segretario generale (1990-2011); ExCo

    FIFA

    (1997-2013)

    Jeffrey Webb, presidente (2012-2015); vicepresidente ed ExCo FIFA

    (2012-2015)

    Enrique Sanz, segretario generale (2012-2015)

    Alfredo Hawit, presidente (2015); vicepresidente ed ExCo

    FIFA

    (2015)

    Confederación Sudamericana de Futbol

    (

    CONMEBOL

    ), Asunción, Paraguay

    Nicolás Leoz, presidente (1986-2013); ExCo

    FIFA

    (1998-2013)

    Eugenio Figueredo, presidente (2013-2014), vicepresidente (1993-2013); vicepresidente

    FIFA

    and ExCo

    FIFA

    (2014-2015)

    Juan Ángel Napout, presidente (2014-15); vicepresidente ed ExCo FIFA

    (2015)

    Asian Football Confederation

    (

    AFC

    ), Kuala Lumpur

    Mohamed bin Hammam, presidente (2002-2011); ExCo FIFA

    (1996-2011)

    Federazioni calcistiche nazionali

    Julio Humberto Grondona, presidente Asociación del Fútbol Argentino (1979-2014); vicepresidente ed ExCo

    FIFA

    (1998-2014)

    Ricardo Terra Teixeira, presidente Confederação Brasileira de Futebol (1989-2012); ExCo

    FIFA

    (1994-2012)

    José Maria Marin, presidente Confederação Brasileira de Futebol (2012-2015)

    Marco Polo Del Nero, presidente Confederação Brasileira de Futebol (2015-); ExCo

    FIFA

    (2012-2015)

    Sunil Gulati, presidente United States Soccer Federation (2006-2018); ExCo

    FIFA

    (2013-)

    Eduardo Li, presidente Federación Costarricense de Futbol (2007-2015); ExCo

    FIFA

    (2015)

    Vitaly Mutko, presidente Federazione calcistica della Russia (2005-2009; 2015-2017); ExCo

    FIFA

    (2009-2017)

    Rafael Esquivel, presidente Federación Venezolana de Futbol (1988-2015)

    Manuel Burga, presidente Federación Peruana de Futbol (2002-2014)

    Grupo Traffic, São Paulo e Miami

    José Hawilla, proprietario e fondatore

    Aaron Davidson, presidente Traffic Sports

    USA

    Torneos y Competencias, Buenos Aires

    Alejandro Burzaco, amministratore delegato

    Full Play Group, Buenos Aires

    Hugo Jinkis, cofondatore e comproprietario

    Mariano Jinkis, cofondatore e comproprietario

    International Soccer Marketing, Jersey City

    Zorana Danis, proprietaria

    Federal Bureau of Investigation, ufficio distaccato di New York

    Mike Gaeta, agente speciale supervisore

    Jared Randall, agente speciale

    John Penza, agente speciale supervisore

    Internal Revenue Service Criminal Investigation

    Division, ufficio distaccato di Los Angeles

    Steven Berryman, agente speciale

    J.J. Kacic, agente speciale

    Ufficio del procuratore degli Stati Uniti per

    il distretto orientale di New York, Brooklyn

    Loretta Lynch, procuratrice degli Stati Uniti (2010-2015); procuratrice generale degli Stati Uniti (2015-2017)

    Evan M. Norris, assistente procuratore degli Stati Uniti

    Amanda Hector, assistente procuratore degli Stati Uniti

    Darren LaVerne, assistente procuratore degli Stati Uniti

    Samuel P. Nitze, assistente procuratore degli Stati Uniti

    Keith Edelman, assistente procuratore degli Stati Uniti

    M. Kristin Mace, assistente procuratore degli Stati Uniti

    1

    Berryman

    Poco dopo le dieci del mattino del 16 agosto 2011, Steve Berryman, agente speciale quarantasettenne dell’Internal Revenue Service, l’agenzia delle entrate degli Stati Uniti, si trovava nel suo cubicolo al terzo piano di un enorme palazzo di uffici federali¹ noto come lo Ziggurat a Laguna Niguel, California, quando il suo cellulare vibrò. C’era un avviso di Google Alert nella sua posta in arrivo.

    Berryman, alto un metro e ottanta e allampanato, con occhi castani così scuri che sembravano quasi neri, sopracciglia folte, incarnato pallido e baffi curati, a complemento dei capelli impomatati pettinati all’indietro, aveva configurato diversi avvisi simili. La sua scelta delle parole chiave tradiva una sensibilità che, dopo venticinque anni con l’

    IRS

    , Internal Revenue Service, era divenuta estremamente raffinata quando si trattava di crimini finanziari. Berryman aveva avvisi, tra gli altri, per riciclaggio di denaro e corruzione, oltre che per le due leggi federali che normavano questi reati, ossia il Bank Secrecy Act e il Foreign Corrupt Practices Act. I messaggi arrivavano a più riprese nel corso della giornata e contenevano decine di articoli provenienti da tutto il mondo a proposito di vari casi di comportamenti finanziari scorretti. Berryman li scorreva rapidamente prima di dedicarsi nuovamente al caso di cui si stava occupando al momento.

    Ma questa particolare notifica lo lasciò di stucco. L’avviso corrispondeva al termine di ricerca corruzione e conteneva il link a un articolo dell’agenzia di stampa Reuters². Il titolo era: L’

    FBI

    esamina gli archivi finanziari di un boss del calcio americano.

    Il pezzo descriveva una serie di documenti che, secondo quanto riportato, erano all’esame dell’

    FBI

    ed evidenziavano più di 500.000 dollari in pagamenti sospetti ricevuti durante un periodo di quindici anni da un funzionario del calcio americano chiamato Chuck Blazer.

    Blazer era un dirigente di alto livello della

    FIFA

    , l’organo che governa il calcio mondiale. A Berryman parve di aver già sentito il nome da qualche parte, ma non riconobbe la foto dell’uomo imbronciato e scarmigliato con le sopracciglia folte e la barba grigia disordinata. Un’ondata inebriante di eccitazione lo pervase mentre rileggeva l’articolo più e più volte, prendendo nota soprattutto del fatto che Blazer aveva diversi conti bancari esteri, incluso uno alle Isole Cayman.

    Inoltrò l’articolo al suo supervisore, Aimee Schabilion, e poi si fiondò nel suo ufficio per assicurarsi che lo avesse letto.

    «Potrebbe essere una cosa gigantesca», disse.

    Berryman amava il calcio fin da bambino.

    Suo padre era nell’aviazione, perciò era cresciuto in Inghilterra e aveva trascorso buona parte dei suoi primi undici anni vivendo nei pressi delle basi militari e passando i pomeriggi a giocare a calcio. Quando la sua famiglia era tornata negli Stati Uniti e si era stabilita nell’Inland Empire, una calda e polverosa area metropolitana nel Sud della California, non riuscì a trovare nessuno con cui giocare, così trasferì le sue abilità calcistiche al football, diventando un kicker eccelso.

    Il suo potente piede sinistro gli permise di ottenere una borsa di studio per l’università dell’Eastern Illinois. Berryman riusciva a calciare la palla dalle sessantacinque iarde tra i pali della porta, ma non era abbastanza bravo da diventare professionista e detestava i rigidi inverni del Midwest. Appena si rese conto che il suo futuro non era nella

    NFL

    abbandonò la borsa di studio, si trasferì alla Cal State a San Bernardino, terminò i suoi studi da contabile e fece domanda per diventare un agente dell’

    IRS

    .

    Il suo primo caso riguardò il proprietario di un salone di acconciature di lusso che non aveva dichiarato tutti i suoi guadagni. Berryman trascorse i primi anni nell’

    IRS

    investigando su evasori di poco conto e contabili disonesti, ma era attratto dai crimini finanziari più grandi e complessi. Presto cominciò a occuparsi di casi di droga, collaborando con altre agenzie nell’ambito di lunghe investigazioni internazionali.

    La grande rivelazione che colpì Berryman mentre si occupava di questi casi fu che i narcotici, le pistole e la violenza rappresentavano solo una parte della storia. Il quadro completo dei crimini emergeva solo una volta che erano stati rintracciati i soldi. Mentre gli agenti della

    DEA

    escogitavano scenografiche operazioni sotto copertura volte a portare alla luce bottini di droga, lui si dedicava a una meticolosa caccia ai soldi degli spacciatori in giro per il mondo, aggiungendo capi d’accusa, e spesso anche imputati, ai procedimenti che seguiva. Si rese conto che le persone erano imperfette. Giocavano, si dimenticavano dei fatti, soccombevano alle tentazioni, esageravano e si contraddicevano. I documenti non mentivano mai.

    Dopo avere avuto figli, Berryman e la moglie acquistarono una casa vicino all’oceano. Barryman si trasferì all’ufficio di Laguna Niguel, nel cuore della contea di Orange, dove cominciò a dedicarsi a casi di corruzione nel settore pubblico, inclusa una importante investigazione che fece finire in prigione il famoso sceriffo della contea³, Mike Carona. Girò per altri distaccamenti, illustrando il Foreign Corrupt Practices Act agli agenti, guidò un progetto sui funzionari pubblici ed esteri corrotti nell’ufficio principale dell’

    IRS

    a Los Angeles e si offrì volontario per i procuratori federali che avevano bisogno di portare al banco dei testimoni un esperto di riciclaggio.

    «Sono un contabile con la pistola», diceva Berryman. «Cosa potrebbe esserci di più divertente?».

    Non era motivato, come molti poliziotti, da un senso d’indignazione morale. Infatti, spesso scopriva di ammirare gli uomini e le donne che perseguiva e si chiedeva se in altre circostanze avrebbero potuto essere amici. Piuttosto, a stimolarlo era il brivido della caccia.

    Non era un avvocato, ma si fece una reputazione come agente dei procuratori, un uomo la cui implacabile dedizione alle dinamiche dei casi era eguagliata solo dalla sua fervente attenzione ai dettagli. Alcuni dei pezzi grossi dell’agenzia in cuor loro consideravano Berryman uno dei migliori agenti dell’

    IRS

    del Paese: ambizioso e disposto a viaggiare e a lavorare per tutto il tempo necessario a risolvere il caso.

    Tuttavia, quando non lavorava era probabile che stesse pensando al calcio, che lui chiamava football, la parola che nella maggior parte del mondo si usa per questo gioco.

    Berryman si svegliava presto nei fine settimana, a volte prima delle cinque del mattino, per guardare la sua squadra del cuore, il Liverpool, nelle partite della Premier League inglese sulla

    TV

    via cavo. Nel 2006 andò in Germania con due amici per seguire le tre partite degli Stati Uniti nei Mondiali e la gara tra Brasile e Ghana. Giocava in un torneo di calcio per adulti, allenava le squadre dei figli e spesso seguiva le partite della

    MLS

    . E come molti tifosi, era sempre più sconvolto dai persistenti pettegolezzi che vociferavano di corruzione e cattiva gestione ai massimi livelli di questo sport.

    Per anni Berryman aveva sentito parlare di avidi dirigenti che rubavano al gioco, privando le squadre, i giocatori e soprattutto i tifosi dei soldi che potevano servire a migliorare e sviluppare il calcio. Ma il problema gli era sempre parso lontano. Le voci erano certamente preoccupanti per qualcuno a cui importasse del pallone, ma queste cose succedevano in luoghi distanti come la Svizzera, l’Italia o l’Africa, di sicuro non negli Stati Uniti, dove era ancora uno sport di second’ordine, troppo piccolo per la corruzione di vasta scala. Il calcio poteva essere sporco, ma Berryman non aveva mai pensato che i problemi di questo sport potessero essere di natura criminale.

    L’articolo della Reuters cambiò tutto. Blazer era americano, abitava a New York. Questo offriva a Berryman l’opportunità di esercitare giurisdizione e di applicare una delle sue grandi passioni, indagare sui crimini finanziari, all’altra: lo sport più popolare del mondo.

    Se questo dirigente locale era coinvolto in qualcosa di criminale, allora Berryman credeva di essere nato per scoprire di cosa si trattasse.

    Le tasse sono un elemento fondamentale nella vita di un americano e sono quasi considerate sacre: documenti noiosi e pieni di numeri che fungono da Stele di Rosetta per le vite finanziarie segrete di ogni individuo. Gli Stati Uniti sono uno dei due Paesi del mondo – l’altro è piccolissimo e devastato dalla guerra, l’Eritrea – che impongono ai suoi cittadini di fare la dichiarazione dei redditi anche quando vivono all’estero, e ogni anno l’Internal Revenue Service processa più di 150 milioni di dichiarazioni dei redditi individuali.

    Esiste, infatti, una sezione speciale della legge federale dedicata alla custodia della privacy delle dichiarazioni dei redditi che proibisce a quasi tutti, a fronte di severe punizioni, di visionare o divulgare le dichiarazioni dei redditi dei cittadini. Questa restrizione include le forze dell’ordine, compresa la stessa

    FBI

    , i cui agenti devono superare svariati balzelli legali prima di poter anche solo sbirciare una dichiarazione.

    C’è un gruppo a cui il governo ha affidato il controllo delle dichiarazioni dei redditi, e i singolari poteri di questa casta suscitano la paura e il disgusto del resto della società: si tratta dei dipendenti dell’

    IRS

    . In qualità di agente di quest’organizzazione, Steve Berryman aveva il potere esclusivo di ispezionare le tasse di chiunque, purché avesse un motivo valido per pensare che fosse stato commesso un crimine. Grazie all’articolo della Reuters, poteva procedere.

    Quel martedì d’agosto, nell’ufficio della sua direttrice, chiese il permesso di esaminare la dichiarazione dei redditi di Chuck Blazer. Entro pochi minuti posò per la prima volta gli occhi su quelle informazioni cruciali.

    Berryman si aspettava di trovarvi omissioni palesi o i segni rivelatori di redditi nascosti. Il risultato fu assai migliore di quanto avesse sperato. «Nessuna dichiarazione trovata».

    Spalancò gli occhi. Il sistema gli stava dicendo che Chuck Blazer non aveva dichiarato redditi negli ultimi diciassette anni, come minimo.

    Sbagliare a compilare la dichiarazione può essere considerato un reato minore. Ma se Blazer aveva percepito redditi di qualunque tipo e li aveva nascosti intenzionalmente, questo poteva far passare l’omissione nel penale. Se aveva conti esteri e non li aveva segnalati al governo, anche questo era un reato penale.

    Chuck Blazer, l’unico statunitense nel Comitato Esecutivo della

    FIFA

    , la Fédération Internationale de Football Association, l’organo supremo che regolamenta il calcio globale, aveva tutta l’aria di essere un criminale fiscale.

    Con il cuore che gli martellava nel petto, Berryman tornò di volata nell’ufficio di Schabilion. Spiegò chi era Blazer, cosa faceva la

    FIFA

    e come questo caso eclatante di evasione che aveva scovato poteva condurre a qualcosa di molto più grosso.

    «Posso occuparmene?», supplicò.

    Berryman non era il tipo da opporsi all’autorità, ma di solito i suoi superiori si fidavano del suo fiuto nello scegliere i casi che valeva la pena seguire e non gli mettevano i bastoni fra le ruote. Schabilion non aveva niente in contrario se voleva interessarsi alla questione, ma cosa avrebbe detto l’

    FBI

    ? L’articolo suggeriva che ci fosse già un caso aperto. Se lo voleva perseguire, doveva prima farsi dare il via libera dal Bureau.

    Berryman non aveva modo di accedere ai computer dell’

    FBI

    per controllare se effettivamente ci fosse un caso aperto che riguardava Blazer. Così chiamò un’agente dell’

    FBI

    con cui aveva lavorato a Santa Ana e le chiese di verificarlo per lui.

    Lei lo richiamò poco dopo.

    «Sì», disse. «Se ne occupa un collega di New York».

    Negli Stati Uniti ci sono decine di agenzie di forze dell’ordine federali, ognuna con le proprie responsabilità e i propri poteri, fino agli agenti muniti di pistola della polizia dei parchi nazionali zoologici e l’ispettore generale dell’Amministrazione delle piccole imprese.

    Tra queste, il Federal Bureau of Investigation è la più grande, la più potente e quella che riceve fondi maggiori. Ha decine di migliaia di agenti, risorse vastissime e uffici in tutto il mondo. È la star dello spettacolo legale degli Stati Uniti e si gode le attenzioni profuse da giornalisti, Hollywood e soprattutto membri del Congresso con autorità sul budget. Anche se è piuttosto comune che le forze dell’ordine collaborino su singoli casi, gli investigatori provenienti da altre agenzie imparano molto presto a usare grande cautela quando hanno a che fare con l’

    FBI

    . Hanno la sconcertante abitudine di emergere sugli altri.

    Berryman chiese alla sua amica al Bureau se poteva contattare l’agente di New York e chiedergli se fosse disposto a discutere con lui del caso. «Ci puoi scommettere», rispose lei. Gli avrebbe fatto sapere qualcosa appena avesse avuto notizie.

    Mentre attendeva con ansia, Berryman studiò tutto quello che riuscì a trovare su Blazer, la

    FIFA

    e il calcio internazionale. Stava sveglio fino a tardi facendo ricerche su Jack Warner, un funzionario calcistico di Trinidad e Tobago che aveva intestato assegni a Blazer per 512.750 dollari, adesso oggetto di verifica, e sulla Confederazione calcistica del Nord, Centro America e Caraibi, che i due avevano diretto insieme per più di vent’anni. Lesse anche del ricchissimo qatariota di nome Mohamed bin Hammam che aveva aiutato la minuscola nazione mediorientale a guadagnarsi il diritto di ospitare i Mondiali di calcio nel 2022.

    Subito cominciò a immaginare il possibile caso, i modi in cui si poteva procedere con l’indagine e l’accusa, e quali potessero essere le sue ramificazioni. L’entusiasmo di Berryman crebbe di giorno in giorno, finché questa pista non divenne più emozionante di qualunque altra avesse seguito nella sua carriera. Voleva disperatamente farne parte.

    Non aveva idea della strada intrapresa dall’indagine dell’

    FBI

    , ma era certo che non potessero guardare le dichiarazioni dei redditi di Blazer senza un’ingiunzione. Berryman quasi si augurava che fossero a un punto morto, che avessero bisogno di un agente dell’

    IRS

    nella squadra. Poteva essere il modo per inserirsi nel caso, pensava, e Blazer rischiava di essere solo l’inizio.

    Dopo quasi una settimana, l’agente dell’

    FBI

    di Santa Ana lo richiamò.

    «Il collega che si occupa del caso si chiama Jared Randall», disse fornendogli i dati per contattarlo. «È disposto a parlarne».

    Berryman ci aveva visto lungo.

    Indagare sulle grane fiscali di Chuck Blazer era come fermare qualcuno per un fanalino di coda malfunzionante e scoprire che aveva il bagagliaio pieno di cadaveri.

    Nel corso dei quattro anni seguenti Berryman lavorò in segreto con l’

    FBI

    e i procuratori federali a Brooklyn per costruire una delle indagini più ambiziose e più estese nel campo della corruzione internazionale e del riciclaggio di denaro sporco nella storia degli Stati Uniti d’America.

    Dopo quasi un anno le indagini dell’

    FBI

    erano davvero a un punto morto, impantanate nella sfida di affrontare un’organizzazione vasta, complessa e potente come la

    FIFA

    . Ma grazie soprattutto a Berryman, il minuscolo caso stava per scoppiare e il governo degli Stati Uniti avrebbe sfidato i traffici alla base del gioco più popolare del mondo. Decine di persone provenienti da più di quindici Paesi furono accusate di aver violato le rigide leggi degli Stati Uniti in materia di crimine organizzato, riciclaggio, frode ed evasione fiscale, ed esposte per il ruolo giocato in quella che i procuratori definivano un’associazione a delinquere altamente organizzata, che operava da decenni, intesa a piegare questo sport così amato ai propri disegni egoistici.

    Molti di coloro che rimasero coinvolti nell’indagine si gettarono ai piedi del ministero della Giustizia, rinunciando a centinaia di milioni di dollari e accettando mestamente di collaborare. Questo permise ai procuratori di tessere in segreto una rete sempre più vasta, mentre i funzionari dello sport tradivano amici e colleghi. Finalmente il caso divenne pubblico con l’arresto teatrale di sette funzionari del mondo del calcio in una retata di prima mattina in Svizzera, nel maggio del 2015, che scosse questo sport alle fondamenta. Presto quasi tutti i funzionari di un certo livello della

    FIFA

    furono deposti, incluso il suo geniale ma spietato presidente, lo svizzero Sepp Blatter. Procuratori provenienti da diversi Paesi furono spinti ad avviare le proprie indagini separate, contribuendo a svelare ulteriormente le losche dinamiche interne dello sport noto come «o jogo bonito».

    Dopo decenni d’impunità assoluta, a dispetto degli scandali, il cartello globale del calcio fu infine messo in ginocchio da uno dei pochi Paesi del mondo a cui questo sport non sembrava interessare granché. L’ironia fu colta dalle centinaia di milioni di tifosi in tutto il mondo che si trovarono nella posizione inusuale di tifare per gli Stati Uniti che ficcavano il naso negli affari degli altri Paesi: lo zio Sam era diventato, un po’ a sorpresa, la più grande superstar del calcio.

    Quando il caso sotterraneo finalmente divenne di dominio pubblico, i suoi detrattori accusarono i procuratori⁴, guidati da un intellettuale laureato in legge presso l’università di Harvard di nome Evan Norris, di arroganza e di essersi spinti troppo oltre, sostenendo che gli Stati Uniti non avrebbero dovuto cercare di controllare l’intero pianeta o imporre le proprie leggi su Paesi esteri. Altri sostennero che il caso rappresentasse una cospirazione a sé⁵, un complotto a opera della nazione più ricca e più potente del mondo per distruggere uno sport straniero, odiato e temuto. Forse la teoria più popolare fu quella che definì il tutto come una vendetta delle alte sfere, perché gli Stati Uniti erano stati scartati per ospitare i Mondiali di calcio del 2022.

    Anticipando tali considerazioni, i procuratori ebbero grande cura di muovere accuse solo per crimini che si erano presumibilmente verificati, almeno in parte, in territorio statunitense o utilizzando il sistema finanziario degli

    USA

    . Consapevoli del potere emotivo e politico del calcio nel resto del mondo, i federali si premurarono di proteggere la sensibilità delle altre nazioni e di sottolineare che non stavano perseguendo lo sport in sé, ma solo gli uomini che ne avevano lordato la reputazione. Inoltre sostennero che il calcio stesso era vittima dei crimini imputati e aveva il diritto di recuperare i soldi che gli erano stati sottratti.

    Per quanto riguarda l’idea che un secondo fine insidioso, vendicativo o apertamente xenofobo, fosse il motore del caso, la verità è che l’osservazione della

    FIFA

    era cominciata molti mesi prima che i membri votanti del potente Comitato Esecutivo della

    FIFA

    scegliessero il Qatar al posto degli Stati Uniti per ospitare il più importante torneo calcistico del mondo.

    L’indagine degli Stati Uniti sulla corruzione nel calcio non è venuta dall’alto, da un qualche ordine superiore. È stato il prodotto dell’attento e paziente lavoro di investigatori scrupolosi; un’operazione che è cominciata in piccolo ed è divenuta immensamente più vasta di quanto si sarebbero immaginati i suoi attori. E che è ancora in corso.

    La saga della corruzione all’interno della

    FIFA

    e del calcio mondiale nel suo insieme è indicibilmente complicata e decisamente troppo estesa per immortalarla o spiegarla in modo esaustivo in queste pagine. Abbraccia decenni di inganni, mazzette, conflitti d’interessi e impunità, che si verificavano mentre il calcio cresceva esponenzialmente per diventare il titano sportivo del pianeta, un passatempo dal valore di molti miliardi di dollari alimentato dall’ardente passione dei suoi devoti tifosi.

    Questo volume traccia schematicamente i contorni di un singolo caso criminale, degno di nota per la sua stupefacente complessità e portata, in grado di spostare i confini di quello che chiunque, specie i fan disillusi del gioco più popolare del mondo, avrebbe ritenuto possibile. È anche la storia di alcune delle persone, brillanti e corruttibili, zelanti e superficiali, umili e arroganti, leali e traditrici, che lo hanno reso il più grande scandalo sportivo del pianeta.

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    Stuzzicare le cimici

    A una distanza inimmaginabile rispetto alle umili radici nel

    XIX

    secolo, quando era un passatempo per le classi lavoratrici durante la rivoluzione industriale, il calcio si è trasformato, in molti Paesi, in un’istituzione sociale e culturale potente quanto il governo o la Chiesa. Alimentato dalla passione di centinaia di milioni di tifosi devoti in tutto il pianeta, è diventato un roboante motore economico, capace di generare vaste somme di denaro che riempiono le tasche delle élite che lo gestiscono, trasmettono le partite e affiggono i loghi delle loro aziende in giro per gli stadi e sui petti dei giovani e prestanti atleti che rincorrono la palla.

    Essendo praticato in quasi tutti i Paesi del mondo, le infinite combinazioni di partite, tornei e campionati, sia amatoriali sia professionistici, si rincorrono quasi ininterrottamente per tutto l’anno. Ma il singolo evento intorno al quale ruota tutto il calcio del pianeta, l’àncora per il calendario di questo sport e il suo pulsante cuore emotivo, sono i Mondiali. Creato da una

    FIFA

    più modesta in tempi più modesti, il torneo quadriennale negli ultimi decenni ha cominciato a rappresentare l’apogeo del potere e dell’influenza di questo sport: uno spettacolo pubblico di massa singolarmente moderno e transnazionale, perfetto per l’era televisiva, in grado di combinare il consumismo rampante, gli interessi aziendali, l’ambizione politica e un opportunismo finanziario senza freni.

    La manifestazione, che dura un mese e vede fronteggiarsi le più importanti nazionali, in un’orgia di fervore patriottico, è il più grande evento sportivo che il genere umano abbia mai concepito.

    Il 9 giugno 2010, tre giorni prima del calcio d’inizio dei Mondiali in Sudafrica, emissari della Russia e dell’Inghilterra si trovavano fuori da una sala riunioni nel centro convegni Sandton a Johannesburg, aspettando nervosamente di perorare la propria causa per ospitare i Mondiali del 2018.

    Il loro pubblico: i rappresentanti eletti della Confederation of North, Central America and Caribbean Association Football (la Confederazione calcistica del Nord, Centro America e Caraibi), o

    CONCACAF

    . Le duecentosette federazioni che facevano parte della

    FIFA

    , ognuna delle quali governava il mondo del calcio nel proprio Paese, erano divise in sei confederazioni che supervisionavano lo sport regionalmente. La

    CONCACAF

    , con trentacinque federazioni associate sotto la propria egida, era una di queste, e a sua volta faceva rapporto alla

    FIFA

    . Il suo territorio si estendeva dal Panama al Canada, includendo gli Stati Uniti, i Caraibi e i poco popolosi Paesi sudamericani di Suriname e Guyana.

    Fatta eccezione forse per il Messico, i membri di questa confederazione non erano considerati particolarmente formidabili dal punto di vista del gioco, ma nel mondo spietato della politica calcistica internazionale la

    CONCACAF

    era una potenza.

    La sua influenza era dovuta soprattutto a Jack Warner, il suo presidente trinidadiano. Atletico, con occhiali che nascondevano un volto solcato da rughe profonde, ci teneva a sottolineare agli altri che avevano di fronte un uomo nero emerso da una situazione di assoluta povertà. Era anche un politico nato, capace di unire tutti i membri della sua confederazione in un fronte affidabile e compatto quando si trattava di votare al congresso annuale della

    FIFA

    . Questa disciplina senza pari conferiva alla

    CONCACAF

    un’importanza smisurata in confronto alle confederazioni calcistiche più grandi, costrette a fare sempre i conti con conflitti interni e interessi di parte che dividevano i loro voti, spesso in molte fazioni.

    Inoltre rendeva Warner, che a quell’epoca aveva sessantasette anni, uno degli uomini più potenti e temuti del mondo del calcio.

    Nel corso del precedente trentennio aveva impiegato astuzia, perseveranza e disciplina spietata per rimettere in riga i Caraibi, e con essi l’intera confederazione. La sua posizione fu sfidata di rado, forse mai veramente. In cambio delle generose somme di denaro che fluivano attraverso di lui dalle più alte sfere dello sport, si aspettava che le federazioni associate votassero esattamente secondo le sue istruzioni.

    Nato nella povertà più opprimente nelle campagne di Trinidad, lo snello e combattivo Warner era riuscito a diventare il terzo vicepresidente della

    FIFA

    e il membro più longevo del suo Comitato Esecutivo, o ExCo, un organismo di ventiquattro membri con il compito di prendere le decisioni più importanti, inclusa la scelta del luogo in cui si terranno i Mondiali. Warner aveva potere anche in altri ambienti: poco meno di due settimane prima di volare in Sudafrica per il torneo aveva prestato giuramento in qualità di ministro del Lavoro e dei Trasporti di Trinidad e Tobago.

    Il potere di Warner all’interno della

    FIFA

    era accresciuto dal suo alleato più prossimo, Chuck Blazer, un ebreo newyorkese assurdamente obeso con una buona testa per gli affari e una barba bianca scarmigliata che lo rendeva l’immagine sputata di Babbo Natale. Blazer, uno scommettitore compulsivo governato da appetiti apparentemente insaziabili e da un opportunismo inestinguibile, era stato il cervello dietro le fortune politiche di Warner e, in buona parte, della spettacolare crescita del calcio nel Nord America. Era stato segretario generale della

    CONCACAF

    , ovvero il secondo in comando con potere decisionale sulle operazioni quotidiane, dal 1990 e membro dell’ExCo insieme a Warner dal 1997. Anche un terzo funzionario della

    CONCACAF

    , il guatemalteco Rafael Salguero, faceva parte del comitato dirigente composto da ventiquattro membri della

    FIFA

    e si presumeva che avrebbe votato a ranghi serrati con i suoi colleghi.

    Chiunque presentasse un’offerta per il torneo sapeva che corteggiare Warner e Blazer era fondamentale e che entrambi gli uomini erano disposti a dare un prezzo a qualunque cosa, incluso il premio più ambito del calcio. Il voto dell’ExCo su dove si sarebbero tenuti i Mondiali del 2018 e del 2022 sarebbe stato espresso a Zurigo il 2 dicembre, e dato che mancavano meno di sei mesi all’appuntamento, la riunione della

    CONCACAF

    a Johannesburg veniva considerata un’opportunità di vendita di importanza cruciale.

    L’Inghilterra non ospitava il torneo dal 1966. Il suo popolo di maniaci del calcio desiderava disperatamente che succedesse di nuovo. Londra avrebbe ospitato le Olimpiadi del 2012 e il governo britannico stimava che un campionato mondiale avrebbe portato un profitto di 5 miliardi di dollari. Avrebbe inoltre assunto un valore sociale e psicologico inestimabile per il Paese che, come osservarono prontamente i suoi sostenitori, aveva inventato questo sport.

    L’Inghilterra aveva diversi competitor. Belgio e Olanda avevano presentato una candidatura congiunta, e lo stesso avevano fatto Spagna e Portogallo. Una serie di altri Paesi era in lizza per il diritto di ospitare i Mondiali del 2022, tra cui Stati Uniti, Australia e Qatar. Ma l’avversario più formidabile dell’Inghilterra per il 2018 era senza dubbio la Russia.

    Solo diciotto mesi prima, alla Russia erano state assegnate le Olimpiadi invernali del 2014, e il Paese si fregiava di quasi un decennio di crescita economica spettacolare, soprattutto grazie ai prezzi da record di petrolio e altre risorse naturali.

    Il Paese, in particolare per volontà del suo leader Vladimir Putin, aveva prontamente approfittato del boom per rivendicare il ruolo da lungo tempo abbandonato di potenza mondiale. Aggiudicarsi il diritto di ospitare i Mondiali di calcio, con centinaia di milioni di spettatori in tutto il mondo, sarebbe stato indubbiamente un sistema efficace per radicare quest’idea, proiettando un’idea di forza e stabilità. E, cosa ancora più importante, avrebbe rilanciato l’immagine di Putin presso il popolo russo. Per Putin, perdere questo voto era impensabile.

    Per riguardo all’equità e, forse, alla brevità della curva d’attenzione di molti dei suoi delegati, la

    CONCACAF

    aveva assegnato dodici minuti a ogni comitato per esporre le proprie argomentazioni.

    La delegazione russa, condotta da Alexey Sorokin, il segretario generale della Federazione calcistica della Russia, fu la prima a presentarsi. Non andò bene.

    Prima di tutto la nazionale di Mosca non si era qualificata ai Mondiali del 2010, a causa dell’umiliante sconfitta patita nel novembre precedente contro la modesta Slovenia, un Paese con una popolazione poco più grande della città siberiana di Novosibirsk. E Blazer, considerato un voto probabile a favore dell’Inghilterra, non era neanche nella stanza. Essendo un diabetico con fastidiosi disturbi respiratori, aveva deciso di evitare Johannesburg perché l’altitudine della città metteva in pericolo la sua salute.

    Intanto la presentazione della Russia fu inficiata in modo imbarazzante da un PowerPoint difettoso che s’inceppò tre volte mentre Sorokin parlava. Sorokin, raffinato e di bell’aspetto, con un sorriso a trentadue denti e un eccellente accento americano quando parlava inglese, trasudava sicurezza di sé. Ma il suo discorso, che descriveva città lontane e scialbe come Yekaterinburg, mancava di brillantezza e di charme. Il suo pubblico, composto soprattutto da funzionari dei Caraibi e dell’America Centrale, sembrava impassibile se non addirittura annoiato.

    In confronto, la performance del gruppo proponente inglese fu sfavillante. David Dein, affabile e ben vestito ex vicepresidente della squadra londinese dell’Arsenal, aveva l’aspetto e la voce dell’adorabile zio ricco che tutti vorrebbero avere, con una fisionomia regale e l’accento più fine che ci si potesse immaginare. Scaldò la stanza con una battuta – «L’ultima volta che l’ho fatto in dodici minuti⁶ avevo diciott’anni» – che provocò una risata scrosciante. Poi mostrò un video con il famoso centrocampista David Beckham come protagonista, in cui si sottolineava come l’Inghilterra possedesse già un numero sufficiente di stadi all’avanguardia, per non parlare di aeroporti, alberghi e autostrade, per ospitare quasi nell’immediato il campionato mondiale di calcio senza bisogno di costruire niente.

    La stampa inglese, in un impulso di ottimismo atipico, accolse la presentazione come un segno delle ottime possibilità dell’Inghilterra e del fatto che abilità tecnica, infrastrutture preesistenti, competenza generale e merito avrebbero trionfato.

    I russi, tuttavia, giocavano a un gioco diverso.

    Il Sudafrica non è un Paese ricco. Più di metà della popolazione del Paese, circa trenta milioni di persone, vive al di sotto della soglia di povertà e la disoccupazione si aggira sempre intorno al 25 percento. Il calcio è il suo sport più popolare e viene seguito avidamente dai cittadini neri che compongono la stragrande maggioranza della popolazione.

    Per prepararsi ai Mondiali del 2010, che aveva disperatamente voluto ospitare per anni, il Sudafrica aveva speso più di 3 miliardi di dollari⁷ di denaro pubblico, prevalentemente per la costruzione di stadi e infrastrutture per il trasporto. Le stime iniziali ammontavano a meno di un decimo di questa somma, ma i requisiti molto rigidi imposti dalla

    FIFA

    , motivati quasi del tutto dal desiderio di massimizzare gli incassi durante la breve durata del torneo, fecero lievitare drasticamente i conti.

    Piuttosto che migliorare o ingrandire molti siti sportivi esistenti, la

    FIFA

    impose al Sudafrica di costruire la metà degli stadi per i Mondiali da zero, principalmente in quartieri ricchi, bianchi e turistici, dove il calcio è assai meno popolare del rugby o del cricket. In questo modo, molti dei club professionistici più importanti del Paese continuarono a giocare in stadi fatiscenti, mentre alcuni dei siti costruiti per i Mondiali non vennero più utilizzati su base regolare dopo la fine del torneo. Un nuovo sistema ferroviario ad alta velocità, inaugurato a pochi giorni dai Mondiali, finì per essere usato soprattutto come navetta tra le zone più ricche e gli stadi, con nessun servizio che si avvicinasse anche lontanamente alle vaste baraccopoli dove vivono i poveri della nazione. Il messaggio: i poveri a quanto pareva non erano i benvenuti.

    La profonda influenza della

    FIFA

    sullo Stato sovrano non si limitò allo spreco di tempo e di denaro nelle infrastrutture. Per ospitare il torneo, il Sudafrica doveva promettere di attenersi a decine di requisiti rigidissimi imposti dall’associazione svizzera senza scopo di lucro, inclusi la sospensione o l’emendamento di molte delle sue leggi in materia di fisco e immigrazione, spesso causando ingenti spese al Paese. Il Sudafrica fu inoltre costretto a utilizzare le sue forze di polizia e il suo sistema giudiziario per far rispettare rigorosamente i marchi e il copyright della

    FIFA,

    e proteggere i profitti derivanti dal merchandising che il Paese aveva, ironicamente, promesso di non tassare.

    In cambio di tutta questa generosità, la

    FIFA

    aveva promesso di riversare molti fondi nello sviluppo dello sport in Sudafrica. Ma alla fine ha pagato giusto una manciata di campi da calcio in erba artificiale⁸ e un certo numero di autobus e furgoni donati alla federazione calcistica del Sudafrica per il trasporto dei giocatori alle partite. Secondo alcune stime, la

    FIFA

    donò meno del 10 percento dei proventi che aveva tratto dal torneo.

    Dunque la

    FIFA

    dominava quasi ovunque. Mentre la dirigenza del calcio registrava profitti sempre crescenti, quelli che seguivano lo sport con più passione videro pochi benefici o ne furono esclusi del tutto.

    Il Sudafrica non è mai stato una potenza calcistica; la sua nazionale non è mai andata oltre la fase a gironi dei Mondiali. Ma anche in Paesi come il Brasile e l’Argentina, Mecche spirituali del calcio e patria di talenti leggendari come Pelé, Diego Maradona e Lionel Messi, abbondavano esempi eclatanti delle iniquità presenti in questo sport. I club professionistici in queste nazioni giocavano in stadi malsani e datati, spesso privi persino delle più rudimentali strutture igieniche per i tifosi. Molti bambini sudamericani apprendevano i rudimenti del calcio senza poter usufruire di campi adeguati, allenatori, palloni e persino scarpe. Alle ragazze venivano date scarse, se non nulle, opportunità di giocare.

    Nel frattempo, gli uomini che controllavano il calcio in ogni Paese si godevano una vita di rari privilegi, utilizzando jet privati per recarsi da un torneo all’altro dove venivano ricoperti di lussi raffinati, elogi e riverenze, venerati come signori dello sport del popolo. Questi funzionari delle singole federazioni nazionali, delle sei confederazioni nazionali della

    FIFA

    e

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