La luna di mezzanotte (eLit): eLit
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Da quando il figlio le è stato sottratto, Jenny Cooper Hurani ha giurato che lo avrebbe riportato a casa, anche a costo di patire le pene dell'inferno per farlo. Sa che c'è solo un uomo che potrebbe aiutarla, una sorta di lupo solitario, che dorme con il pericolo e lo abbraccia come un amante.
Il soldato di ventura Mike Brennan sa che è meglio non rimanere coinvolti emotivamente con un cliente, ma Jenny gli è entrata nel cuore, con la sua passione e grinta, e lui non riesce a fare a meno di desiderarla, nonostante il pericolo che li circonda, nonostante la missione che devono portare a termine...
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Anteprima del libro
La luna di mezzanotte (eLit) - Barbara Faith
successivo.
1
Mike Brennan era un vero macho e camminava come tale. Più che camminare, incedeva tra la folla, con aria sicura ed energica. Gli anni avevano scolpito il suo volto con rughe d'espressione, come a sottolineare i suoi primi quarant'anni. Era alto, più di un metro e ottanta, e muscoloso.
Quando passava tra i giocatori seduti ai tavoli del Las Vegas Casino Hotel, ogni donna, dai diciotto agli ottanta, si girava ad ammirarlo, con quello sguardo significativo che si lancia a un uomo che piace e che dovrebbe realizzare meraviglie a letto.
Mike si sentiva irrequieto, insoddisfatto, condizione che durava ormai da sei mesi, costretto com'era a lavorare a tavolino e a inviare i suoi uomini in posti dove invece avrebbe desiderato andare lui.
D'istinto, si portò una mano alla coscia. Camminava ancora un po' rigido, lievemente claudicante. Ma per due mesi era stato ben peggio. La pallottola gli aveva perforato il muscolo e il tendine e inciso l'arteria. Avevano temuto per la sua vita. Figuriamoci per la gamba!
Mike era praticamente svenuto, ma ricordava ancora di aver urlato minacce ingiuriose al dottore, se si fosse azzardato ad amputargli l'arto.
Era successo in Mozambico.
La tempra forte di Mike aveva avuto il sopravvento e, appena era stato in grado di muoversi, lo avevano imbarcato su un aereo per Las Vegas. Lì aveva trascorso un mese in ospedale e ne era stato dimesso solo dopo aver solennemente giurato al dottor Bill Cole che sarebbe rimasto tranquillo per almeno sei mesi. Niente colpi di testa, nessuna avventura!
Ma Mike detestava l'inattività. Aveva bisogno di movimento, di varietà, di azione. L'unico possibile diversivo era il tavolo di blackjack dove pareva che la fortuna ricominciasse a sorridergli.
Aveva appena fatto ventuno quando il segnalatore acustico entrò in funzione.
«Dannazione!» imprecò Mike sottovoce.
Doveva essere Ella! Come al solito, lo interrompeva proprio quando lui cominciava a vincere.
Ma gli affari erano affari. Così, raccolti i gettoni dal tavolo, si diresse al telefono più vicino.
L'unica volta in cui Geneva Cooper Hurani aveva visitato un casinò era stato durante l'ultimo anno di università a Santa Cruz. Geneva e le sue due compagne di stanza, Josie McCall e Rosa Hernandez, erano andate a Reno. Lì, Geneva aveva vinto sessantacinque dollari alle slot machine e con quelli aveva offerto la cena. Quanto si erano divertite!
Ma, qualche settimana più tardi, Geneva aveva conosciuto Aiden e quell'incontro aveva segnato la fine delle gite con le amiche.
Al ricordo, Geneva provò un crampo allo stomaco e un senso di leggera nausea, accompagnata da vertigine. Sentiva le gambe molli e si appoggiò a una slot machine.
«Quella macchina è mia!» protestò una signora dai capelli grigi, in pantaloni rossi e maglietta su cui era stampato: Amo Las Vegas. «Anzi, queste quattro sono tutte mie!» strepitò ancora. «Non le tocchi! Porta sfortuna!»
Geneva la guardava e intanto scuoteva piano la testa, a indicare che non le interessava il gioco. E finalmente trovò la forza di allontanarsi.
Si rivolse all'impiegato al banco di registrazione dell'albergo, chiedendo dove avrebbe potuto trovare l'ufficio della Command, Inc.
Quello la squadrò dall'alto in basso, prima di rispondere.
«Attraversi il casinò e prenda l'ascensore. Ultimo piano.»
Geneva si girò verso la fila di ascensori che stavano alla destra del bancone.
«No, non quelli» disse l'uomo, scuotendo negativamente il capo. «Deve attraversare il casinò» ripeté, «e prendere l'ascensore privato.»
Geneva aveva letto della Command, Inc. in un articolo apparso sul San Diego Union-Tribune. Si raccontava la storia di una donna i cui due figli erano stati rapiti dal marito, uno straniero che non abitava più negli Stati Uniti. La signora in questione aveva tentato tutte le strade legali possibili, si era rivolta alla polizia, al FBI, al Dipartimento di Stato, ma nessuno era stato in grado di aiutarla. Finalmente, qualcuno le aveva parlato della Command, Inc., un' organizzazione i cui membri cercavano di recuperare i bambini portati all'estero da padri non statunitensi, per restituirli alle loro madri.
Geneva aveva telefonato al reporter che aveva scritto il servizio e lui aveva subito accettato di incontrarla.
«Il gruppo è diretto da un certo Mike Brennan» le aveva spiegato. «Gli uomini che lavorano con lui hanno fatto parte dei Berretti Verdi o della Delta Force, hanno combattuto nel Vietnam o nella Tempesta del Deserto e, probabilmente, anche in America Centrale e in molti altri luoghi caldi, sotto copertura. Non pubblicizzano la loro attività e la signora su cui ho scritto ha appreso della loro organizzazione da un investigatore privato di Chicago. Le ci è voluto comunque un mese per rintracciarli.»
«E i bambini, sono stati riportati a casa?» aveva domandato Geneva, agitata.
Il giornalista aveva annuito.
«Sì, ma l'uomo che era andato a riprenderli, è stato arrestato, sbattuto in prigione e torturato. Un altro membro dell'organizzazione è andato a salvarlo e sono tornati insieme ai bambini.» Il giornalista aveva scosso il capo. «È un'operazione rischiosa, signora Hurani. E costosa, anche. Forse esiste un altro modo per riavere suo figlio.»
«Li ho provati tutti» aveva risposto Geneva.
Possedeva poco più di sedicimila dollari, ottenuti in parte vendendo l'auto e in parte chiedendoli in prestito ai genitori. Non era sicura che bastassero, ma erano tutto ciò di cui disponeva.
«Se ce ne vorranno altri, ipotecherò il ranch» le aveva promesso suo padre. «Faremo l'impossibile per riavere Timmie.»
Ora Geneva si trovava a due passi dalla meta.
Chiese ulteriori indicazioni a una cameriera del casinò e si avviò.
Passò accanto alle ruote della fortuna, ai tavoli dei dadi e di blackjack, ad altre slot machine e finalmente vide l'ascensore giusto.
Dentro, c'era un unico pulsante con la scritta: Su. Lo premette e attese, con impazienza.
Uscita di lì, imboccò un corridoio con quattro porte, tre non recavano alcuna indicazione, solo l'ultima aveva una targa: Command, Inc.
Geneva la aprì.
Si trovò in una saletta di ricevimento. Contro una parete erano allineati mobili per archivio e scaffalature piene di libri. C'era anche una macchina distributrice di caffè. Su una scrivania, due computer, un fax e, dietro, una donna: capelli castani, occhi scuri, completo marrone. Doveva essere sulla cinquantina.
La segretaria alzò il capo e abbassò sul naso gli occhiali dalla montatura metallica.
«Sì?» domandò.
«Io...» cominciò Geneva. «Cerco un uomo. Un...»
«Non lo cerchiamo tutte, forse?» commentò l'altra, sospirando. Le indicò una sedia su cui accomodarsi. «Si sieda.»
Geneva obbedì e subito prese in mano un ritaglio di giornale che aveva nella borsetta.
«Cerco il signor Brennan» continuò.
«Perché?»
«Perché?» ripeté Geneva, perplessa. «Ho letto della sua organizzazione sul quotidiano di San Diego e un giornalista mi ha detto che il signor Brennan avrebbe potuto aiutarmi.»
«Come?»
Geneva era sempre più frastornata e sconcertata dal tono sbrigativo e dall'espressione della segretaria.
«Il mio ex marito ha rapito nostro figlio. Ho tentato tutte le vie possibili per riaverlo, ma non hanno funzionato. Nessuno ha saputo aiutarmi. Sul San Diego Union-Tribune ho letto la storia di una donna nella mia stessa situazione. Nel servizio era nominata la Command, Inc.»
«Non avrebbero dovuto parlarne.» La segretaria scosse la testa. «Comunque, adesso non c'è nessuno disponibile, sono tutti all'estero. Forse, tra un mese o due...»
«No!» Geneva balzò in piedi, ma provò un senso di vertigine e dovette appoggiarsi alla scrivania. «Oh, Dio» gemette, ricadendo sulla sedia. «Oh, Dio.»
«Si calmi» la esortò l'altra, alzandosi di scatto. Corse a prendere una tazza di tè. «Beva» ordinò.
Geneva ne prese un sorso.
«Mi scusi» mormorò. «Mi scusi.»
«Non si preoccupi. Piuttosto, come si chiama?»
«Geneva, ma quasi tutti mi chiamano Jenny. Jenny Cooper Hurani.»
«E io, Ella Hirchberg. Hurani è il suo ex? Quello che ha rapito vostro figlio?»
Gli occhi di Jenny si riempirono di lacrime. Annuì.
«Quando è successo?»
«Circa sei mesi fa.»
«Non ha ricevuto notizie dal suo ex?»
«No, niente.»
«Cosa ha fatto, finora, Jenny? A chi si è rivolta?»
«Alla polizia, per prima.»
Ella Hirchberg sbuffò.
«A chi altri?»
«Al mio legale, quello che si è occupato del divorzio. Poi al Dipartimento di Stato, al mio rappresentante al Congresso. Mi sono persino recata all'ambasciata giordana a Washington. Mi hanno mandato via.»
«C'era da immaginarselo!»
«Non so che cos'altro fare» disse Jenny. «Ho tentato di andare in Giordania, ma non mi hanno voluto concedere il visto di ingresso.»
«Meglio così. Non si sa mai se e quando si esce da quei paesi.»
«Sono disposta a correre il rischio. Devo riprendermi mio figlio.» Jenny guardò Ella con quei suoi occhi grigi da colomba. «Siete la mia ultima speranza. Se nemmeno voi sarete in grado di aiutarmi, entrerò in Giordania, in un modo o nell'altro, sola.»
«Finisca il suo tè» le consigliò la segretaria e sollevò la cornetta del telefono. Compose un numero e, quando qualcuno rispose all'altro capo del filo, gli abbaiò un ordine perentorio. «Chiama Brennan e digli di correre qui. Alla svelta.» Agganciò e guardò Jenny. «Vedremo» concluse.
Chi diamine credeva di essere?
Se non fosse stata la segretaria migliore di tutta Las Vegas, se non avesse preparato i margarita più buoni dell'intero Nevada, Mike avrebbe licenziato Ella tanto tempo addietro.
Accidenti, stava cominciando a vincere e quella lo importunava!
Perché?, si domandò. E lo colse il timore di una brutta notizia. Era accaduto qualcosa a uno dei suoi uomini?
Mike cercò di ricordare con precisione dove fossero. Juan Manuel si trovava nell'America Centrale, Rafe a Shanghai, Tony in Bosnia e Paco a Cuba.
Non avrebbe dovuto mandare Paco, Cuba era pericolosa, ma il Dipartimento di Stato aveva richiesto l'aiuto di Brennan e Paco si era offerto volontario, anzi, aveva insistito per andare, visto che suo padre era stato ucciso alla Baia dei Porci.
Mike si affrettò a tornare in ufficio.
«Che cosa c'è?» ruggì, di pessimo umore. «Quale...» Ma, a quel punto, si bloccò.
Una giovane donna sedeva di fronte a Ella. Mike la valutò in pochi secondi: grandi occhi grigi in un volto pallido, naso dritto, labbra tremanti. Indossava un prendisole, sandali bianchi, calze setificate e aveva gambe magnifiche. Era minuscola, graziosa e vulnerabile. Accidenti, quanto lo infastidiva tutto ciò che destava in lui sentimenti protettivi!
Mike si rivolse a Ella, sgarbato.
«Allora?»
«Ti presento Geneva» rispose Ella. «Geneva Cooper Hurani. Gli amici, però, la chiamano Jenny. Jenny, lui è Mike Brennan.»
Jenny tese la mano e Mike la strinse.
«Voleva vedermi?» domandò.
Jenny annuì.
«È per mio figlio.»
«Suo marito l'ha rapito?»
«Sì.»
«Dove l'ha portato? In quale paese?»
«Giordania.»
Brennan imprecò e lanciò un'occhiata severa a Ella, come se fosse lei la responsabile di quanto accaduto.
«D'accordo, venga nel mio ufficio.»
C'era una confusione indescrivibile sulla scrivania di Brennan: notes, libri, fogli sparsi, biro, clip e cartine di stagnola appallottolate.
La poltrona era imponente, grande abbastanza per un tipo robusto e alto come Mike.
Dopo avere indicato a Jenny di accomodarsi, di fronte a lui, Mike estrasse da un cassetto un pacchetto di sigarette.
«Fuma?» chiese.
Jenny scosse il capo.
Mike prese una sigaretta e la tenne tra le dita.
«Nemmeno io.»
Perplessa, Jenny inarcò un sopracciglio.
«Ho smesso due mesi fa» le spiegò.
«E allora, come mai...?»
Mike scrollò le spalle.
«Mi piace ancora.» Accartocciò la sigaretta e la buttò nel cestino della carta straccia. «Mi parli di suo figlio. Suo marito, quando l'ha portato via?»
«Ex marito» precisò Jenny.
«Va bene, ex. Quanto tempo fa è accaduto?»
«Saranno sei mesi.»
Mike aveva preso nel frattempo un notes giallo.
«Il nome del bambino.»
«Tamar Hurani. Timmie. Ha quasi cinque anni.» Dalla borsetta, Jenny tirò fuori una fotografia e la porse a Brennan.
Con una certa riluttanza, Mike la osservò. Era la tipica foto scattata da un professionista. Il bimbo ritratto aveva la carnagione del colore della sabbia dorata e i capelli erano una massa di riccioli biondi. Gli occhi, gli stessi della madre. Stringeva al petto una giraffa arancione e sorrideva.
Brennan restituì la foto.
«Il nome del suo ex?» chiese.
«Aiden, Aiden Hurani. L'ho conosciuto al college di Santa Cruz. Ci siamo sposati una settimana dopo la laurea.»
Brennan osservava Jenny. Poteva avere ventotto, ventinove anni, snella, alta meno di un metro e sessanta, sui cinquanta chili. Capelli biondi, di seta, espressione innocente. Doveva essere stata ancora più ingenua all'epoca in cui aveva conosciuto Hurani, verginale, priva di esperienza, troppo giovane
Brennan aveva sentito almeno una decina di casi come quello di Jenny. E le possibilità di restituire i bambini alla madre erano esigue.
«Lei, di dov'è?» domandò.
«Ramona, California. È vicino a San Diego. I miei genitori possiedono un