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Il sapore del peccato (eLit): eLit
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E-book363 pagine5 ore

Il sapore del peccato (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Hell's Eight 5

Lei era innocenza e passione, lui era l’ombra della morte che mieteva vittime al suo passaggio.

Gli Hell's Eight hanno trovato Ari, ma la missione non è conclusa. Uno di loro, Shadow, è sparito dopo aver compiuto la sua vendetta e sta per essere impiccato. Chi lo salverà? L'aiuto arriva da una fanciulla dagli occhi a mandorla, che racchiude in sé tante sorprese: fascino esotico, sensualità innata e innocente, inaspettata disinvoltura nel maneggiare esplosivi e un tesoro segreto. Fei Yen deve salvarsi da un futuro che non ha scelto, fuggire dalle tradizioni del suo popolo che la condannano a una vita tra luce e ombra a causa del suo sangue misto. L'oro che ha trovato le darebbe la possibilità di voltare pagina, ma ha bisogno di qualcuno che la protegga. E, quando incontra sul suo cammino Shadow Ochoa, uomo dai lunghi capelli corvini e dalla carnagione ambrata, pieno di rabbia e ardore, capisce che lui può aiutarla. Il rapporto tra loro non è facile. Fei vorrebbe lasciarsi andare, ora che ha scoperto la dimensione del piacere, ma è restia a darsi perché Shadow ha giurato di non affezionarsi mai più, perché amare significa soffrire.
LinguaItaliano
Data di uscita1 lug 2019
ISBN9788830502826
Il sapore del peccato (eLit): eLit
Autore

Sarah Mccarty

Esperta conoscitrice del selvaggio Texas al tempo dei pionieri.

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    Anteprima del libro

    Il sapore del peccato (eLit) - Sarah Mccarty

    1

    Luglio 1859, Kansas occidentale

    Doveva farlo. Non poteva essere altrimenti.

    Fei Yen Tseng era ferma sulla soglia e fissava suo padre che era seduto al tavolo a testa bassa davanti a una scodella di farinata ancora intatta, la schiena curva per colpa dei tanti anni di lavoro. Il lungo codino sottile gli scendeva su una spalla della giacca tradizionale di seta, che indossava di giorno e di notte ed era macchiata e logora. A vederlo ora, si stentava a credere che fosse stato un capofamiglia severo e autoritario, sempre ben vestito, con il portamento altero e le mani in pasta in mille affari, al comando di un vero e proprio impero occulto che aveva costruito dal nulla, insegnando tanto a sua figlia, nel bene e nel male.

    Jian Tseng alzò lo sguardo e, per un istante, Fei vide l'uomo che era un tempo, prima che il suo sguardo diventasse vacuo e un cipiglio cupo gli facesse apparire un profondo solco tra gli occhi, quello stesso cipiglio che avrebbe fatto tremare chiunque fino a due anni prima.

    «Tu!» esclamò, irritato. «Cosa fai lì sulla porta?» l'apostrofò in cinese.

    Il suo tono veemente non riusciva a mascherare la paura che trapelava dalla sua domanda. La situazione si era ribaltata, pensò Fei. Ora era lui a essere impaurito.

    «Niente» rispose. «Sto andando via» aggiunse prima di chiudere il pesante uscio e sbarrarlo con il chiavistello.

    Aveva così tante cose da fare! Così tanti torti da raddrizzare... Purtroppo, essendo donna, non aveva il diritto e il potere di prendere decisioni o iniziative. In Cina non avrebbe mai potuto, ma ora non era più in Cina e non aveva una famiglia numerosa a cui chiedere aiuto e che la spalleggiasse, che risolvesse i problemi causati dalla malattia del padre.

    Ora era sola, a combattere contro il drago che cercava di minare la sua fortuna. Sentiva il suo respiro di fuoco sul collo, il peso dei suoi artigli sulle spalle. Voleva che fallisse, che cedesse. Era sicuro che non ce l'avrebbe fatta. Fei non era un maschio, ma solo una femmina, per giunta di sangue misto. Non valeva niente.

    Udì suo padre che, dietro l'uscio chiuso, stava cominciando il rituale serale di preghiere e invocazioni. Fei sapeva che ben presto sarebbero state sostituite da vaneggiamenti, minacce e imprecazioni. La sera era il momento peggiore. Le grida erano attutite dalle spesse mura dello scantinato e dalle solide assi della porta di legno, ma la rabbia riusciva a filtrare dagli interstizi e ad avvolgersi intorno a lei come un mantello di ingiustizia, pesante sulle sue spalle come gli artigli del drago.

    Un tempo era lei la prigioniera. Ora era la guardia carceraria. La vita è una ruota, pensò con amarezza. I debiti contratti da suo padre ora erano una sua responsabilità. Spettava a lei seguire la sua strada, mettere i piedi sulle sue orme.

    Voltò le spalle alla porta del rifugio e salì la scala a pioli che portava alla stalla, abbassò la botola da cui si accedeva al nascondiglio e vi sparse sopra la paglia e il terriccio per mimetizzare l'apertura. Nessuno avrebbe dovuto scoprire il suo segreto, altrimenti sarebbe stata la fine.

    Il loro vecchio cavallo la salutò con un nitrito e scosse la testa. Fei aveva le tasche vuote, non aveva una carota da dargli, perciò gli accarezzò il muso. «Dopo» gli promise. «Fai il bravo.»

    Sospirò. Non faceva altro che dire dopo, promettere e farsi in quattro per cercare di prestare fede alla parola data. Sentiva il fiato ardente del drago bruciarle la nuca, aveva accettato la sua sfida ma non era più vicina al traguardo ora di quanto non fosse stata otto mesi prima, quando aveva intrapreso quel cammino. Otto lunghi mesi di fatica, di preghiere ai suoi avi che però restavano miseramente inascoltate.

    Tuttavia Fei era più forte di quanto tutti credessero, anche più di quanto lei pensasse di essere. Forse avrebbe fatto meglio a dirigere le sue invocazioni agli antenati americani, che erano audaci, impavidi, e non avevano alle spalle secoli di tradizioni da onorare e una cultura millenaria che legava loro le mani. Forse per questo motivo stavolta l'avrebbero aiutata, le avrebbero dato la forza che le serviva.

    Socchiuse gli occhi per ripararsi dalla luce; nonostante fosse tardo pomeriggio, i raggi del sole erano abbaglianti dopo essere stata nella penombra dello scantinato. Infilò le mani nelle ampie maniche della tunica di seta svolazzante e attraversò il cortile a passo svelto, diretta verso casa. Doveva cambiarsi. Per certe occasioni gli abiti occidentali erano meglio, benché fossero pesanti e la impacciassero.

    Sposarsi era una di quelle occasioni.

    Per un attimo, Fei Yen pensò di essere arrivata troppo tardi.

    Delle grida così forti di solito indicavano che l'impiccagione si era già conclusa, non che doveva ancora avere luogo.

    Ma quando si aprirono due ali di folla, Fei vide quale fosse la causa di tanto tumulto. Il ladro stava opponendo resistenza, e anche in maniera forte, nonostante avesse le mani legate dietro la schiena. Sembrava addirittura che stesse avendo la meglio. Mentre gli astanti lo osservavano con l'entusiasmo di spettatori a un combattimento di galli, il ladro ruotò su se stesso con la velocità di un fulmine e colpì con il piede lo sceriffo alla mascella, facendo volare schizzi di sangue e di saliva. Il corpulento sceriffo barcollò, ma i suoi compari lo sostennero e lo gettarono di nuovo nella mischia, tuttavia il ladro non si lasciò cogliere impreparato; lo aspettava, ben saldo sui piedi, mentre i suoi occhi scuri seguivano con attenzione ogni sua mossa.

    Fei si morse il labbro inferiore. Non sembrava aver bisogno del suo aiuto.

    Gli uomini che facevano capannello intorno a lui ridevano sguaiatamente, chiaramente ubriachi. Non c'era da sorprendersi. Le risse erano all'ordine del giorno tra i residenti di quell'accampamento ferroviario. Quando tutti alzavano il gomito, a volte ci scappava anche il morto.

    Il ladro si ergeva fiero, sfidandoli a raccogliere la sua provocazione. Era imponente, con spalle ampie fasciate dalla camicia nera, cosce muscolose che tendevano la stoffa dei calzoni, fianchi snelli e lineamenti forti, che sembravano intagliati nella pietra.

    Come quelli di un drago.

    Per qualche istante, la sicurezza di Fei sembrò abbandonarla. Aveva abbastanza draghi sulle spalle, non gliene serviva un altro. Però un drago le sarebbe stato utile come protettore. Lei, suo padre e sua cugina Lin avevano bisogno di qualcuno che li difendesse e, contrariamente a una guardia del corpo assoldata, sempre ammesso che riuscisse a trovare qualcuno di affidabile e serio, il ladro sarebbe stato in debito con lei.

    Perché Fei intendeva salvargli la vita.

    Non era cosa da poco, anche perché, se lei non fosse stata soddisfatta, lui sarebbe stato impiccato immediatamente. Lo diceva la legge.

    Il ladro buttò la testa all'indietro con uno scatto deciso e colpì al volto l'uomo che era alle sue spalle e gli aveva appena afferrato le braccia. Mentre barcollavano, avvinghiati, appoggiò la schiena al suo busto e sfruttò la sua stretta come leva per sollevare le gambe con un potente scatto di reni e serrarle intorno alla gola dell'uomo che reggeva in mano il cappio. Fei era sicura che gli avrebbe spezzato il collo con la stessa facilità con cui aveva dato un calcio in faccia allo sceriffo se uno degli operai, Damon, non lo avesse colpito a una tempia con il calcio della pistola. Il ladro si abbatté a terra di schianto, privo di sensi, con i lunghi capelli corvini che gli ricadevano sul volto.

    Forse non era poi un drago così potente, pensò Fei. Era giunto il momento di intervenire.

    «Ehi, Damon, se lo hai ucciso giustizierò te» disse lo sceriffo sputando una presa di tabacco dopo averla masticata. «È un mese che non si vede una bella impiccagione da queste parti.»

    Fei ebbe un brivido di orrore. Come si poteva definire bella un'esecuzione? Togliere la vita a un uomo facendolo penzolare da una corda stretta intorno al collo era terrificante!

    «Quel bastardo ha la testa troppo dura perché si possa rompere con il calcio di una pistola» replicò Damon. «Qualcuno lo faccia tornare in sé con una bella secchiata d'acqua in faccia!»

    Fei era rimasta in disparte a osservare la scena a mani giunte, in un atteggiamento composto, sforzandosi di resistere all'impulso di intervenire. Quel branco di americani frustrati e beoni non avrebbe visto una mezzosangue come una fanciulla perbene. Chi avrebbe rispettato una che era mezza americana e mezza cinese?

    Rimanendo immobile, cercando di mimetizzarsi con lo sfondo e non farsi notare, si chiese per l'ennesima volta se la sua decisione fosse saggia. Stava forse commettendo un'imperdonabile imprudenza?

    La legge non veniva rispettata necessariamente, ma ben pochi uomini avrebbero osato andare contro lo sceriffo. Se si fosse sparsa la voce sul suo ritrovamento, gli avventurieri si sarebbero precipitati come api intorno al miele. Quei territori brulicavano di individui senza scrupoli che cercavo di impossessarsi illegalmente di una miniera per fare fortuna. Fei aveva le mani legate per colpa della legge secondo cui i cinesi non potevano possedere una concessione mineraria. Per lei, la posta in gioco era troppo importante: non voleva perdere il suo oro, ma neanche la vita. Non era sciocca né avventata. Comprendeva i rischi che correva, ma era anche consapevole delle proprie responsabilità.

    Nel paese di suo padre non sarebbe stata tenuta a prendere decisioni riguardo al proprio futuro e al proprio destino, ma lì in America era una donna che non apparteneva né all'una né all'altra cultura, a cavallo tra le due razze. Il suo sangue misto poteva essere una benedizione così come una maledizione, per lei.

    Sua madre aveva predetto che la sua appartenenza a due razze sarebbe stata la sua forza, non la sua debolezza, e Fei voleva disperatamente credere alle parole che le aveva sussurrato prima di morire. Aveva solo otto anni quando sua madre era rimasta vittima di un'epidemia di febbre violenta che aveva decimato la piccola comunità, ma il tempo non aveva fatto sbiadire il ricordo che era impresso nella sua memoria come se fosse successo il giorno prima.

    Fei aveva vegliato il corpo di sua madre per tutta la notte dopo che era spirata, con lo sguardo fisso sul torace nella speranza di vederlo sollevarsi e abbassarsi, l'orecchio teso per avvertire il sussulto che avrebbe indicato il suo ritorno alla vita. Aveva pregato fino all'alba, quando aveva dovuto rassegnarsi e accettare la realtà. Aveva acceso le candele e, quando suo padre era entrato nella tenda, aveva guardato con le lacrime agli occhi il corpo di sua moglie che Fei aveva appena lavato e preparato, poi si era voltato verso di lei e le aveva lanciato un'occhiata carica di disapprovazione.

    Era stato in quel momento di disperazione che Fei aveva sentito il primo tocco del drago che l'avrebbe perseguitata da allora in poi.

    Forse suo padre era deluso perché, al contrario di sua cugina, lei aveva lineamenti più occidentali che cinesi, la carnagione troppo rosata, il naso dritto e il viso di un ovale allungato, gli occhi non esattamente a mandorla. Oppure era deluso perché non era riuscita a tenere in vita sua madre... Fei non sapeva cos'avesse fatto per perdere l'affetto del padre, ma aveva fatto del suo meglio per essere una figlia ubbidiente e coscienziosa, come aveva promesso a sua madre.

    Rimasto vedovo, il padre l'aveva riportata in Cina, dove Fei si era occupata della casa e degli affari paterni, oltre che della cugina Lin. Si era impegnata a fondo per fare il suo dovere, senza risparmiarsi, ma non era riuscita a impedire il tracollo. Qualche anno più tardi, suo padre era tornato in America e aveva cercato di tenere a galla la sua attività ormai poco redditizia. Lin era rimasta a San Francisco dai genitori. Quando era venuta a trovarli, Fei non la vedeva da tre anni.

    La settimana precedente, era tornata a casa e aveva scoperto che la cugina era sparita, presa in pegno da un individuo senza scrupoli per un debito del padre. Fei si era vista costretta a prendere in mano la situazione.

    Qualcuno buttò una secchiata d'acqua in faccia all'uomo privo di sensi, e Fei si riscosse dai propri pensieri, tornando al presente.

    «Ha aperto gli occhi» disse Damon.

    Il ladro sputò in terra e si alzò a sedere. Era visibilmente furibondo. Incrociò lo sguardo di Fei e arricciò le labbra in una smorfia. Lei rabbrividì e si strinse la vita con le braccia, come se quel gesto potesse proteggerla dal disgusto dell'uomo. Lui si alzò e scosse la testa, agitando le lunghe ciocche corvine. Aveva l'acqua che gli gocciolava sul viso e lo sguardo rapace di un predatore pronto a balzare sulla preda. Gli uomini che lo sorvegliavano fecero istintivamente un passo indietro.

    Fei poteva comprendere la loro insicurezza. Il ladro aveva un fisico imponente, ma anche una personalità che incuteva timore. Non era un tipo che si poteva tenere a bada con facilità, mentre lei aveva bisogno di farsi rispettare. Sperava che la gratitudine e l'avidità fossero sufficienti a indurlo a obbedirle. Se gli avesse salvato la vita, quell'uomo sarebbe stato più incline a farle un favore. Inoltre, lei gli avrebbe dato una ricompensa, questo era sicuro.

    Raddrizzò le spalle e si lisciò la gonna, facendosi coraggio, poi si fece largo tra la folla mentre Damon gli stava infilando in testa la corda.

    «Quali sono le tue ultime parole, pellerossa?»

    Con un sorriso gelido, lui rispose: «Sei un uomo morto».

    Damon non parve intimorito. «Non sono io ad avere il cappio al collo.»

    Il ladro continuò a sorridere glaciale. «Non ancora» precisò.

    La sua espressione provocò un brivido a Fei, che notò che anche le guardie armate erano a disagio.

    «Issatelo sul cavallo» ordinò lo sceriffo.

    Fei fece un respiro profondo. Ora o mai più, si disse. «Aspettate!»

    Tutti gli uomini si voltarono a guardarla. «Che diavolo fai qui, Fei Yen?» l'apostrofò lo sceriffo.

    Non le aveva dato del voi, né aveva anteposto un miss al suo nome, come avrebbe meritato una fanciulla perbene. Non era un buon segno.

    Tenendo lo sguardo basso in segno di modestia, mormorò: «Mio padre ha insistito affinché mi appellassi alla legge e prendessi quest'uomo come marito».

    «Te l'ho detto l'ultima volta, non puoi portare via il condannato senza legalizzare la vostra unione.»

    Fei aveva finito per non sposare l'ultimo uomo che aveva tentato di salvare dall'impiccagione. Lui non aveva avuto abbastanza presenza di spirito da accettare la sua proposta e lei lo aveva lasciato morire per i suoi crimini.

    «Me ne rendo conto.»

    «Diamine, sceriffo, non potete darle retta!» protestò Damon. «Questo pellerossa merita di essere impiccato. È stato colto in flagrante mentre rubava un cavallo!»

    «Sta' zitto» lo redarguì lo sceriffo.

    «Ma così ci togliete tutto il divertimento...» si lagnò l'altro.

    «Ha ragione» intervenne il suo amico Barney, dandogli man forte. «Una bella impiccagione ci rallegrerebbe la serata.»

    La situazione le stava sfuggendo di mano. Fei alzò la voce per far capire agli uomini che faceva sul serio. «Capisco che c'è un prezzo da pagare...» esordì.

    «Un cavallo costa caro» ghignò lo sceriffo, tentando di intimidirla e dissuaderla.

    «Ma mi sembra che il ladro non sia riuscito nel suo intento» puntualizzò Fei.

    «Non significa che non ci abbia provato.»

    Fei si erse in tutta la sua statura e porse il mento in fuori in un'espressione ostinata e decisa. «Nessun furto, nessun indennizzo» precisò.

    «È vero, però ti consiglio di aspettare un bianco o un cinese ubriaco se proprio ti serve un uomo» intervenne Barney. «Questo delinquente stuprerebbe e ucciderebbe te e Lin senza battere ciglio. I pellerossa sono privi di senso morale e...»

    Barney non finì la frase, ma il sottinteso era chiaro. E la vita di un cinese non ha alcun valore.

    Fei era consapevole di quello che pensavano i bianchi, specialmente Barney. La settimana prima aveva cercato di aggredirla mentre tornava a casa dalla concessione mineraria. Se il fetore che emanava dal suo corpo non le fosse giunto alle narici sottovento, avvisandola della presenza di un uomo in agguato, sarebbe stato lui a violentarla, non il pellerossa.

    Fei guardò verso l'orizzonte, dove il sole stava tramontando in fretta. Ben presto sarebbe scesa la notte. Doveva portare via quell'uomo... subito.

    Abbassò lo sguardo e intrecciò le dita, tornando ad assumere una postura rispettosa e pudica. «Non posso oppormi al volere di mio padre» obiettò in tono pacato.

    «Voi cinesi siete sempre così obbedienti...» commentò Damon con disprezzo.

    Fei sentiva su di sé lo sguardo del ladro di cavalli. Era abituata a essere fissata senza ritegno dagli uomini, e la cosa non le faceva né caldo né freddo, ma gli occhi scuri e profondi del pellerossa la turbavano perché sembravano penetrarle fino in fondo all'anima, a carpire i segreti che cercava di nascondere. Era un uomo sagace, e lei avrebbe dovuto fare attenzione a come si comportava con lui.

    «Desiderate che torni da mio padre a dirgli che il matrimonio non è stato possibile?» obiettò.

    «Ti ha mandato Jian?» le chiese Damon.

    «Sì.»

    «Dannazione!» imprecò Barney.

    «La cosa non è di vostro gradimento?» replicò Fei, compita.

    «Se fosse per me, gli direi di ficcarsi la sua richiesta dove non batte il sole, ma è troppo bravo con gli esplosivi. Abbiamo bisogno di lui, non possiamo scontentarlo» brontolò Barney.

    Jian Tseng aveva un vero talento con gli esplosivi, e la ferrovia doveva passare per un tunnel. La sua abilità nel far saltare in aria anche la roccia più dura gli aveva procurato favori, stima e anche un alloggio migliore. Fei sperava di riuscire ad averla vinta anche in questo.

    Barney si avvicinò a lei e le sfiorò una guancia con un dito. «Ma attenta, perché appena avremo scavato il tunnel nella montagna le cose cambieranno, ragazzina.»

    Lei fu scossa da un brivido di disgusto, però non si mosse. Non voleva dargli la soddisfazione di farsi intimidire dalle sue minacce. «Riferirò a mio padre.»

    Fei lasciò intendere che Jian non sarebbe stato contento di quella risposta. Aveva la reputazione di essere un tipo irascibile e tutti sapevano che quando era in collera si rifiutava di lavorare. Oppure la sua bravura nel maneggiare gli esplosivi avrebbe potuto provocare un incidente a chiunque osasse opporsi a lui, e Barney lo sapeva.

    «Tu non gli riferirai un bel niente!» sbottò.

    Era vero, Fei non ne avrebbe fatto parola con suo padre, perché sarebbe stato inutile. Jian Tseng non era più l'uomo di un tempo, da quando era afflitto dalla pazzia che lo aveva privato della ragione. Il ladro la stava ancora scrutando con i suoi occhi da drago, capaci di sondare le profondità oscure del suo cuore. Fei si chiese di nuovo se non stesse commettendo un grave errore. Però sapeva di non avere scelta. La situazione in cui si trovava era troppo delicata e pericolosa. L'inganno in cui si era imbarcata era complesso e le serviva un alleato o, almeno, una guardia del corpo.

    Barney imprecò sottovoce mentre il ladro continuava a restare a bocca chiusa, come se quella faccenda non lo riguardasse.

    «Qualcuno vada a chiamare il reverendo» capitolò infine lo sceriffo.

    L'uomo di Dio che si occupava dei bisogni spirituali e celebrava i riti in quella comunità non era certamente un esempio di rettitudine. Beveva troppo e spesso emanava uno sgradevole olezzo di vomito e urina, a volte parlava a vanvera e arringava la folla con sermoni sconclusionati. Però tutti continuavano a chiamarlo Padre.

    C'erano tante cose che Fei non comprendeva di quella terra. Jian Tseng l'aveva educata secondo gli usi e i costumi del suo popolo, inculcandole l'obbedienza e il senso del dovere, ma aveva deciso di lasciare la Cina dove non aveva prospettive, essendo solo il terzogenito, e tornare in America con lei e Lin per fare fortuna lavorando alla costruzione della ferrovia. Fei non si era mai sentita a suo agio nel ruolo della figlia obbediente e giudiziosa, ma per il momento non vedeva alternative. Desiderava fuggire e cambiare vita, anche se non aveva deciso dove le sarebbe piaciuto andare. Sua cugina Lin voleva tornare in Cina, invece Fei non aveva preferenze. Desiderava solo stabilirsi in un posto tranquillo, dove nessuno la considerasse inferiore.

    Il sacerdote arrivò barcollando e fissò Fei con aria stralunata. «Hai deciso di sposarti, Fei?» le chiese tossendo.

    Anche lui la trattava con familiarità, chiamandola con l'abbreviazione del suo nome, Fei Yen, e dandole del tu. Per lei era un affronto, come la sua scarsa igiene e la sua evidente ebbrezza, ma cercò di non far trapelare il suo disgusto. Chinò il capo mentre il reverendo guardava il ladro.

    «Sei sicura? Sembra più pronto a ucciderti che ad aiutarti» bofonchiò.

    Ma perché tutti continuavano a ripeterglielo?, pensò Fei, irritata. «Mio padre ha deciso così» rispose, laconica.

    «Jian ha le sue stranezze, ma tu sei una brava figlia a obbedirgli.»

    Fei fece un inchino. «È mio dovere.» In realtà, non era vero, tuttavia lei si sforzava di essere obbediente.

    A volte.

    Il ladro di cavalli continuava a fissarla. Il suo sguardo incandescente le scottava la pelle. Non aveva l'aria subdola e viscida di un delinquente, ma il portamento fiero e l'espressione arrogante e sicura di sé che non ci si sarebbe aspettati di vedere in un criminale.

    «Siete sicuro che sia colpevole?» chiese allo sceriffo, dubbiosa.

    «Sicurissimo» rispose l'uomo.

    Fei continuava a essere scettica. Mentre scrutava il ladro, questi sollevò un sopracciglio e sporse in avanti il mento in un'espressione di sfida. Aveva qualcosa che la induceva a credere che non fosse quello che sembrava. D'altronde, neanche lei lo era...

    «E tu sei certa che tuo padre voglia proprio lui?» replicò il sacerdote.

    Lei abbassò il capo e annuì. Era umiliante essere esposta agli sguardi di tutti quegli uomini che sapevano che stava comprando un marito. E neanche un brav'uomo della sua razza, ma il primo disponibile. Per giunta credevano che Fei stesse facendo il volere di suo padre, da brava figlia. Niente era più lontano dalla verità.

    Quello era il suo vergognoso segreto.

    Il condannato la fissava imperturbabile, come se la stesse soppesando per decidere se accettare la sua offerta oppure no. Per essere un ladro sul punto di morire era proprio spocchioso, pensò Fei.

    «Sicura di non voler aspettare, Fei?» insistette il prete. «Prima o poi condanneranno un bianco, ne sono certo. Qui le risse e gli omicidi sono all'ordine del giorno.»

    Ma un bianco si sarebbe sentito superiore a lei per il colore della sua pelle, e perché lei era una mezzosangue.

    «Non posso oppormi al volere di mio padre» ripeté lei.

    «Non è giusto che ti comandi a bacchetta, il vecchio» protestò Herbert.

    Herbert era una brava persona, un minatore maturo, con la schiena curva per le troppe ore trascorse a cercare l'oro, chino sul setaccio. Fei si era spesso chiesta cosa facesse un uomo serio come lui tra quei lestofanti.

    «Non cercare di dissuadere una figlia dal fare il suo dovere» lo rimproverò il sacerdote.

    Fei sapeva che non era preoccupato per il suo futuro, ma temeva che, se Jian si fosse risentito e non avesse più lavorato, sarebbe stato un danno per la comunità da cui dipendeva. Senza le offerte delle sue pecorelle, come avrebbe comprato il liquore?

    «Non capisco perché Jian non possa semplicemente assumere qualcuno come fanno tutti» brontolò Herbert.

    «È cinese» commentò Barney. «I musi gialli sono strani.»

    Fei non lo corresse. Per lei era meglio che credessero a quella spiegazione.

    «Allora, donna, va bene o no? Non abbiamo tempo da perdere» sbuffò lo sceriffo. «Se non devo occuparmi dell'impiccagione di questo farabutto, allora me ne torno al saloon.»

    Fei avvertì una stretta allo stomaco per l'ansia. Doveva decidersi. Era giunto il momento cruciale. Anni di disciplina le permisero di mantenere un certo contegno mentre trovava il coraggio per rispondere. «Volete chiederglielo, per favore?»

    «Non ne vedo il motivo» brontolò lo sceriffo. «Un uomo che si trova ad affrontare la morte non fa tanto il difficile se sposarsi gli permette di salvare la pelle.»

    «Mi sentirei più tranquilla» insistette Fei.

    «Puoi scegliere, pellerossa» disse lo sceriffo al ladro, indicando Fei. «Preferisci morire ora o sposare questa ragazza e avere salva la vita?»

    «Perché non me lo chiede lei?» replicò il ladro con una voce calda e profonda che turbò Fei quanto il suo sguardo.

    «Perché le è proibito, ignorante» ribatté lo sceriffo.

    Per una volta, Fei fu grata al tutore della legge per i suoi modi rudi che le avevano appena risparmiato di dover dare delle spiegazioni.

    «Allora cosa dici?» lo incalzò lo sceriffo.

    Il cavallo scalpitava e la corda si strinse un po' di più intorno al collo del ladro che non poté parlare. Barney lo fece arretrare, ma quando il ladro ritrovò la voce la sua arroganza non pareva diminuita dopo l'assaggio del morso del cappio.

    «Voglio che me lo chieda lei» insistette.

    Lo sceriffo gli conficcò il calcio del fucile nello stomaco. L'uomo emise un mugugno ed ebbe uno scossone per il contraccolpo che fece agitare il cavallo. Sogghignando, Barney lasciò la presa sulle redini.

    Con orrore, Fei vide che l'uomo cercava di restare in sella tenendosi forte ai fianchi dell'animale mentre la corda gli stringeva sempre di più il collo. Per qualche istante rimase dritto, sospeso tra l'albero e il cavallo. Il viso brunito divenne cianotico. Il ladro scalciò mentre l'animale si allontanava.

    Gli uomini risero. «A quanto pare, ha scelto» commentò uno.

    «Allora alla fine avremo la nostra impiccagione, bene» approvò l'altro.

    «No!» protestò Fei. Non potevano farlo morire così. «Tagliate la corda.»

    Nessuno le prestò attenzione. Gli uomini osservavano affascinati quel macabro spettacolo. Fei Yen si precipitò verso il ladro, lo afferrò per i polpacci e spinse verso l'alto ma senza alcun risultato. Era troppo pesante. I suoi vani sforzi furono accompagnati da risa e motteggi.

    «Non sprecare le tue energie, ragazza. Il

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