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La ragazza di Corfù: Harmony History
La ragazza di Corfù: Harmony History
La ragazza di Corfù: Harmony History
E-book230 pagine4 ore

La ragazza di Corfù: Harmony History

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Info su questo ebook

Corfù, 1817
Aggredito da un paio di briganti non appena sbarcato a Corfù, il giovane Lord Blakeney viene fortunosamente salvato dalla bella e intrepida Alessa. L'attrazione che Chance prova fin dal primo istante per lei non è dovuta tanto agli inebrianti colori e ai profumi del Mediterraneo, quanto all'alone di mistero che circonda l'affascinante erborista. Alessa parla infatti un inglese troppo ricercato per essere greca e i suoi modi sono quelli di una gentildonna, nonostante sia costretta a mantenere se stessa e i figli facendo la lavandaia e preparando pomate e balsami curativi. Che cosa nasconde il suo passato? E chi sono veramente i due bambini che vivono con lei? A Chance non resta che indagare.
LinguaItaliano
Data di uscita12 ago 2019
ISBN9788830502642
La ragazza di Corfù: Harmony History
Autore

Louise Allen

Tra le autrici più lette e amate dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    La ragazza di Corfù - Louise Allen

    Immagine di copertina:

    Graziella Reggio Sarno

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    A Most Unconventional Courtship

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2007 Melanie Hilton

    Traduzione di Silvia Zucca

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2008 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3050-264-2

    1

    Corfù, 1817

    Qualcuno stava tentando di commettere un omicidio e lo stava facendo proprio di fronte a casa sua!

    I rumori erano inconfondibili: lo scalpiccio di passi sull’acciottolato, i colpi di bastone, il tinnire del metallo, gli ansiti disperati.

    Alessa sospirò stancamente, sollevò la cesta sul fianco e tornò sui propri passi fino a raggiungere una zona in cui il buio era più profondo e avrebbe potuto celarla.

    Alle undici di sera i vicoli di Corfù erano tranquilli e all’apparenza deserti, ma lei non era tanto sprovveduta da credere che non vi fossero predoni in agguato, pronti a sopraffare incauti viandanti.

    Uno di loro si trovava di certo nella piazzetta formata dal retro della chiesa di Agios Stephanos.

    Alessa si chinò per estrarre il pugnale dal fodero del suo stivaletto e scivolò nelle tenebre. Non appena ebbe svoltato l’angolo, attraversando lo stretto passaggio che dava sullo spiazzo, controllò che alle sue spalle non vi fossero luci a tradire la sua presenza. Mentre emergeva dall’oscurità, la scena che si trovò dinanzi era ben illuminata dalla lanterna sulla porta di Spiro, dalla fioca luce delle vetrate della chiesa e dalla lampada a olio di Kate, che abitava accanto ad Alessa.

    La vista e il passaggio le erano preclusi dalla sagoma possente di un uomo che, appoggiato al muro, si stava stuzzicando i denti. Un pesante odore di pesce, aglio e sudore le raggiunse le narici, così familiare da farle appena arricciare il naso. Di certo era Georgi, il pescatore di calamari, sempre nei paraggi quando poteva approfittare di qualcosa.

    Alessa scivolò lentamente dietro di lui e gli premette il pugnale contro il fianco. Subito quell’uomo disgustoso si irrigidì, poi rimase immobile.

    «Buonasera, Georgi» mormorò in greco Alessa, sforzandosi di stargli abbastanza vicina da potergli sussurrare all’orecchio.

    «Non credo proprio che dovreste essere qui adesso.»

    Alessa trasalì nell’udire quella risposta e gli premette più forte il pugnale contro le grasse membra.

    «Volete che gli uomini dell’Alto Commissario sappiano che cosa fate realmente sul vostro caicco nelle notti senza luna, Georgi?»

    Dopo aver borbottato un’altra imprecazione, l’uomo se ne andò passandole davanti e scomparve nell’oscurità. Alessa attese finché il rumore di passi fu del tutto scomparso, poi prese il suo posto.

    C’erano due uomini che lottavano nel piccolo spiazzo: uno lo conosceva, era Petro il grosso, un delinquente che non fingeva nemmeno di avere un’altra occupazione; brandiva un randello in una mano e un lungo pugnale nell’altra. Lo sfidante, che cercava di schivare gli affondi, era uno straniero.

    Per un attimo, Alessa pensò che avesse uno spadino, ma presto si rese conto che la sua unica arma era un bastone da passeggio, che lo sconosciuto usava per difendersi.

    Sapeva certo tirare di scherma, pensò osservando i suoi passi veloci e il suo modo di muovere il bastone. Si domandò che cosa poteva fare per quell’elegante gentiluomo, che si opponeva risoluto al nemico. Se solo non avesse avuto Petro di fronte sarebbe riuscito a scappare. Ma quello era un assassino e non avrebbe avuto pietà per uno sciocco inglese.

    Alessa si avvicinò alle mura di casa, sempre più arrabbiata per quella violenza proprio vicino alla finestra dei suoi bambini. Lo straniero sembrava avere la meglio ora, o forse era solo una tattica dell’astuto corfiota. Infatti, nascosta ai piedi della fontana centrale, si apriva la fognatura, una vera e propria trappola. Alessa si trattenne dall’avvertirlo con un grido, perché così di sicuro lo avrebbe fatto cadere.

    L’inglese stava riuscendo a evitare la buca, ma ecco, un piede in fallo e si trovò a terra. Tentava ancora di difendersi con il bastone, ma Petro glielo mandò in pezzi con un colpo di randello e con un altro fendente lo colpì alla testa. Lo straniero cadde privo di sensi, mentre Petro avanzava trionfante.

    Era troppo. Non poteva tollerare che si commettesse un omicidio davanti a casa sua, anche se di un incosciente turista inglese. Alessa girò il coltello e colpì Petro con il manico. L’uomo cadde a terra con un gemito, proprio ai piedi dello straniero; ciò significava che ora gli uomini privi di conoscenza nel suo cortile erano due. Petro non sarebbe stato certo di buonumore al suo risveglio, visto il colpo violento che lo aveva tramortito. Lo straniero avrebbe invece cominciato a invocare a gran voce l’Alto Commissario, l’esercito, il suo valletto, oppure sarebbe stato ucciso da qualche malvivente prima ancora di rinvenire. In tutta coscienza, non se la sentiva proprio di lasciarlo lì.

    Con un profondo sospiro, Alessa salì i gradini e aprì la porta. «Geià, Kate! Kate, ci sei?»

    Si sentì un rumore di passi al piano di sopra, poi una donna dai capelli rossi arruffati e dal petto prorompente si sporse dalla balaustra. «Sono qui, tesoro. Hai bisogno di una mano con la cesta?»

    «No, ho bisogno di una mano con un uomo» replicò Alessa guardando in su. «Fred è con te?»

    «Sì, sta cenando. Qualcuno ti sta dando fastidio? Mi sembra di aver sentito una rissa. Fred!»

    «Sì, amore?» Un uomo con i capelli corti e neri comparve accanto a Kate. «Buonasera, Alessa.»

    Scesero le scale e la raggiunsero sul pianerottolo. «Allora, cosa è successo?» Il sergente Fred Court si avvicinò con cautela e distacco professionale ai due corpi esanimi.

    Kate, amica e vicina di Alessa, si grattava la testa, scompigliando ancora di più la capigliatura ribelle. «Chi sono, Alessa? Sono morti?»

    «Uno è un gentiluomo inglese, uno stupido villeggiante che vagava da queste parti e si è imbattuto in Petro e nel suo amico Georgi. Dio solo sa se è morto. Petro invece si risveglierà con il collo rigido e un gran mal di testa.»

    «Sarà meglio riportare l’inglese dal Lord Alto Commissario.» Il sergente Court si grattava il mento ruvido. «Metto la giubba e vado.»

    «Forse...» replicò Alessa. «Ma ci vorrà almeno mezz’ora e muoverlo potrebbe essere peggio. Portiamolo da me.»

    «Vuoi che porti comunque un messaggio alla residenza dell’Alto Commissario?» Fred spostò il corpo di Petro con un calcio e si chinò per sollevare la vittima.

    «No, non ti preoccupare, manderò Demetri domattina. Vado a prendere la cesta della biancheria.»

    Fred stava già salendo le scale portando l’uomo di peso sulle spalle, quando lei tornò con la cesta. Kate gliela prese dalle mani e subito si lamentò. «Credevo fosse roba fine! Quanto pesano questi merletti? Va’ a sorreggergli la testa, Alessa, Fred non è per niente attento.»

    Alessa si avvicinò al sergente che arrancava con l’uomo sulle spalle, proteggendogli la testa ciondolante e brontolando tra sé per le macchie di sangue che stavano sporcando i gradini puliti.

    Che diavolo ci faceva lì quello scapestrato, mettendosi nei pasticci e dando fastidio alla povera gente, accidenti a lui?

    «I bambini stanno dormendo, Kate?»

    «Come sassi, Dio li benedica. Sono venuta a dare un’occhiata dieci minuti fa per controllare il fuoco.»

    Alessa rovistò in una cassapanca dipinta, trovò un cuscino e una coperta e lanciò un’occhiata allo straniero coricato. La ferita alla testa aveva smesso di sanguinare, ma lui non riprendeva conoscenza.

    «Controlliamo che sia tutto a posto, si è preso una bastonata e una brutta storta alla caviglia. Petro ha pensato bene di fargli la festa prima d’infilzarlo con il pugnale.»

    «Cominciamo, allora.» Kate si rimboccò le maniche, mostrando gli avambracci abbronzati. «Che cosa stai guardando, Fred?»

    Il sergente si allontanò dalla finestra. «Petro si è appena alzato, barcollando e massaggiandosi la testa. Non credo che si ricorderà di quel che è successo, domani mattina. Avete bisogno di una mano? Io devo andare al forte.»

    «Ce la caveremo, grazie, amore.» Kate si allontanò un attimo con lui per salutarlo, lasciando Alessa con il suo ospite. Che cosa lo rendeva così tipicamente inglese? Prima di tutto, la sua pelle: era abbronzato, forse dopo settimane di viaggio in mare, ma il tono era il dorato tipico della pelle chiara, non l’olivastro del tipo mediterraneo. I capelli erano castani, il che significava che non era né scozzese, il cui colore caratteristico era il rosso, né gallese, di solito più scuro. Erano stati schiariti dal sole e avevano riflessi color del miele e delle foglie d’autunno. Anche le ciglia erano dorate.

    «Buona stoffa inglese» osservò Kate, che dopo essere tornata nella stanza aveva preso in mano il mantello blu notte dello straniero. «È giovane e carino.»

    «Non così giovane.» Doveva avere circa trent’anni. Non era più un ragazzino. E anche carino non era la parola giusta. Era troppo virile, a dispetto dei lineamenti regolari e della figura elegante così in contrasto con quella di Fred.

    «È mio, non dimenticare che sono la più vecchia. Vuoi bendargli la testa subito o prima gli togliamo i vestiti? Ho portato una camicia di Fred, può fargli da veste da notte» disse Kate.

    «Grazie. Vediamo le ferite.» Le due donne incominciarono a spogliarlo lasciandolo in camicia e braghe. Alessa gettò da una parte il fazzoletto da collo e le calze, poi appese la casacca a una sedia. «Deve essere stato dall’Alto Commissario.» Fece un cenno verso l’abbigliamento da sera e le eleganti scarpe in pelle. «Giusto quello che devi avere indosso per passeggiare in questi vicoli.»

    Kate stava osservando le lunghe gambe distese sulla vecchia coperta. «Non mi piace quella caviglia, e quello sul fianco è sangue?»

    «Sì, è proprio sangue» replicò Alessa seria. «È caduto sul piede della fontana; spero solo che non si sia rotto niente. È meglio togliere il resto dei vestiti e controllare.»

    Gli tolsero le braghe con attenzione. Alessa gli levò la camicia e trattenne il fiato vedendo la brutta contusione sul fianco. C’erano un grosso livido violaceo e un taglio sanguinante al centro.

    «Accidenti.» Alessa si inginocchiò ai piedi del letto e cominciò a tastargli la gamba. La distorsione alla caviglia era evidente, si stava già illividendo e gonfiando, ma le ossa sembravano a posto. Polpacci e cosce non avevano subito danni. Alessa cominciò a muovergli la gamba, per vedere se c’era qualcosa di rotto.

    «Molto carino.» Sembrava che Kate stesse contemplando un pasto succulento. «Non vedo niente di simile da...»

    «Kate! Per carità! Sei quasi una donna sposata, io sto crescendo un ragazzo, nessuna di noi due dovrebbe guardare con tanta insistenza un uomo svestito...» Alessa smise di concentrarsi sulle ferite e seguì l’occhiata ammirata di Kate. Certo, un adulto nudo era molto diverso da un bambino di otto anni. Ed era anche molto diverso dalle statue in marmo che abbellivano la residenza del Lord Alto Commissario. Quello non era un ragazzino imberbe. E non era nemmeno di freddo marmo bianco e coperto da una provvidenziale foglia di fico. Quello era un uomo adulto, muscoloso, longilineo...

    «È decisamente ben...»

    «Non osare dirlo, Kate Street! Dovresti vergognarti. Sei una donna rispettabile adesso e io... io lo sto solo visitando.» Alessa prese il fazzoletto e lo gettò strategicamente sull’oggetto dell’ammirazione di Kate. Arrossendo, terminò il suo esame. «Non c’è niente di rotto, anche se probabilmente domani non potrà camminare. Gli applicherò un cataplasma.»

    Kate, che per fortuna aveva terminato la sua ispezione, raccolse la biancheria dell’uomo per metterla in uno dei catini pieni d’acqua vicino alla parete. «Metto tutto in ammollo?»

    «Sì, per favore.» Alessa guardò la delicata biancheria delle signore della residenza, altra sua fonte di guadagno.

    Prese balsami, bende e della vecchia stoffa dalla credenza e li posò sul pavimento. La ferita non era profonda, ma il difficile era bendare per bene i fianchi sottili e Alessa era certa che alla fine sarebbe stata stremata e imbarazzata da quell’operazione.

    Controllati, ragazza mia!, borbottò tra sé, stringendo la caviglia del gentiluomo. La ferita alla testa non sembrava aver bisogno di bende, così fu pronta non appena Kate ebbe terminato di mettere a bagno le stoffe e i merletti.

    Vestire un uomo incosciente era ancora più difficile che spogliarlo e alla fine le due donne ansimavano per lo sforzo, ma l’inglese era finalmente coperto fino al mento.

    «Te la senti di stare sola con lui?» le domandò Kate. «Posso restare con te, se preferisci.»

    «Ti ringrazio, ma non ce n’è bisogno. Non può darmi alcun fastidio, non con quella caviglia.» Alessa osservò con risentimento l’uomo addormentato. «È solo una noia passeggera.»

    «Sir Thomas lo farà venire a prendere domani prima che venga sera» previde Kate sicura. «Chiunque sia, il Lord Alto Commissario non vorrà che un nobile inglese stia a lungo nei quartieri bassi. Buonanotte!»

    Alessa chiuse bene la porta e cominciò a riordinare il piccolo appartamento.

    Si rese conto che stava combinando poco, troppo stanca per dormire, troppo inquieta per provarci. Un profondo sospiro del ferito la fece sobbalzare, ma era ancora del tutto privo di conoscenza. Alessa esitò, osservandolo. Perché le dava tanto fastidio? Era solo una noia passeggera, appunto, ma riuniva in sé le tre caratteristiche che più la disturbavano al mondo: era inglese, aristocratico e uomo.

    Cercando di essere più gentile, si sedette e si mise a studiarlo. Forse non era inglese, forse non era un aristocratico e forse non tutti gli uomini erano malvagi. Solo la maggior parte di loro. Era molto meglio trattarlo con la massima diffidenza e liberarsi di lui il prima possibile.

    Se solo non avesse provato quella voglia irresistibile di toccarlo, di lisciargli i capelli, di accarezzare la sua pelle, di sfiorargli le labbra con le proprie, di... Si strinse le mani in grembo e fissò stupita lo straniero. Incantesimo. Non che ci credesse, anche se la vecchia Agatha gliene aveva parlato tante volte. No, quella stregoneria era solo l’effetto di un misterioso e aitante straniero su una donna stanca e di malumore che da tempo non pensava che ci potesse essere un uomo adatto a lei.

    «E anche se ci fosse, di certo non sei tu» lo informò con durezza.

    Si fermò un attimo nella camera da letto con la schiena contro la porta. Lì almeno la situazione era normale, una pace temporanea, e c’erano le sole ragioni della sua felicità. Da una parte Demetri, le lenzuola spiegazzate intorno come solo un bambino di otto anni che sogna di combattere i pirati può fare. Dall’altra parte, sul grande letto Dora era avvolta nelle coperte, da cui spuntavano, adagiati sul cuscino, i suoi riccioli neri.

    Alessa accarezzò i bambini e cominciò a togliersi i vestiti. Toeletta, poi a letto. Il paradiso. Scivolò tra le lenzuola, facendo attenzione a non svegliare Dora, e si sdraiò, lasciando che il respiro dei bimbi facesse da sfondo al suo sonno senza sogni.

    Qualche ora dopo fu svegliata dai rumori di una lotta tra gatti sul tetto del fornaio. Alessa aprì gli occhi, ascoltò se per caso i bambini fossero già svegli, poi si destò completamente. Era avvinghiata al cuscino, lo stringeva forte come se fosse un amante. Lo spinse subito via, dandogli un bel pugno, e lo rimise alla testa del letto. Chissà cosa diamine stava sognando! Prima si fosse liberata di quell’uomo, meglio sarebbe stato per lei.

    2

    Il letto non si stava muovendo, il che era un fatto positivo. Si trovava dove doveva essere, e cioè sulla terraferma. Il problema era che non ricordava di essere andato a dormire... o che qualcuno ce l’avesse portato. Chance rimase immobile. Il portentoso mal di testa poteva spiegare perché i ricordi della notte precedente fossero così sfuggenti. Troppo liquore? Ecco un’altra cosa di cui decisamente non ricordava nulla. C’era qualcun altro nella stanza, ma non aveva assunto alcun servitore... e di certo si sarebbe ricordato della compagnia di una signora... L’unica possibilità che gli rimaneva era che si trattasse di un ladro. Ma doveva essere un ladro molto rumoroso. Scalpiccio di piedi, rumore di stoviglie... E poi il profumo. Legna, erbe aromatiche, sapone, cibo. Era una cucina?

    Chance aprì gli occhi per trovarsi faccia a faccia con una bambina. Questa fece un salto indietro e lui ebbe modo di vedere

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