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Peccati di innocenza (eLit): eLit
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E-book325 pagine4 ore

Peccati di innocenza (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Hell's Height 2

Texas, 1858
Cosa succede quando una donna chiede a un uomo di insegnarle le arti del sesso? Che lui si innamora perdutamente.

Sam, rude e affascinante, non sa se l'incontro con Isabella sia il frutto di un capriccio del fato oppure il preciso disegno del destino, in ogni caso è subito stregato dall'innocenza che aleggia intorno alla fanciulla, e capisce che deve salvarla dall'uomo che la vuole in moglie. Nonostante la giovane età e l'aspetto fragile, Isabella nasconde terribili segreti e una volontà di ferro, e adesso si trova in gravissimo pericolo a causa del rifiuto ad accettare un matrimonio imposto. Nel loro viaggio verso la libertà, Sam e Isabella scoprono un'attrazione irresistibile, che li porta a provocarsi in continuazione, prima con le parole, poi con i fatti. Solo un fuoco indomabile può sprigionarsi dall'unione di un incallito seduttore e di una ragazza innocente, che sta sperimentando i primi palpiti di passione. Ma il pericolo è in agguato e i segreti non sono ancora stati svelati.
LinguaItaliano
Data di uscita1 apr 2019
ISBN9788858999820
Peccati di innocenza (eLit): eLit
Autore

Sarah Mccarty

Esperta conoscitrice del selvaggio Texas al tempo dei pionieri.

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    Anteprima del libro

    Peccati di innocenza (eLit) - Sarah Mccarty

    1

    1858, Territori del Texas

    Sam non ne poteva più.

    Era circondato dalla morte. Dovunque guardasse, la morte incombeva su di lui. Basta!, pensò. Era veramente stanco. Tirò le briglie per fermare Breeze, il suo cavallo, che scosse la testa e si agitò per protesta.

    Sam aspirò una profonda boccata di fumo dalla sigaretta e si soffermò a osservare la scena che si apriva davanti ai suoi occhi.

    Purtroppo, il fatto che fosse stanco di vedere morti non aveva importanza, il destino non teneva in alcun conto la sua opinione e continuava a scaricargli addosso una valanga di cadaveri, giorno dopo giorno.

    Emise dalle narici un sottile filo di fumo mentre contemplava quello sfacelo, un esempio perfetto dell’ostinazione umana. Quando gli uomini si mettevano in testa di distruggersi a vicenda ci riuscivano benissimo.

    Due carri bruciacchiati erano rovesciati su una fiancata, vicini a formare una specie di V. I loro telai anneriti erano come scheletri carbonizzati, che rendevano ancora più cupo quel paesaggio desolato.

    Dal suo punto d’osservazione, vedeva due corpi gonfi, esposti allo scempio causato dal calore di quel mattino di giugno. I loro poncho colorati erano un pugno in un occhio, contro l’ocra della terra riarsa sullo sfondo. Il rosso e il giallo erano così vividi da ferire la vista. Lo stato di conservazione dei cadaveri lasciava intendere che probabilmente l’aggressione si era consumata il giorno prima, visto che le notti di giugno erano ancora piuttosto fresche.

    Per fortuna non era controvento. La brezza mattutina che si levava alle sue spalle allontanava da lui l’acre olezzo dei cadaveri in decomposizione, che purtroppo conosceva bene. Il ricordo di quell’odore inconfondibile si era impresso nella sua memoria durante l’episodio che aveva dato una svolta alla sua vita.

    Breeze scalpitava. Neanche a lui piacevano molto i corpi in putrefazione.

    Sam teneva saldamente in mano le redini. Di solito in carri come quelli che aveva davanti agli occhi viaggiavano donne e bambini, e lui non aveva particolarmente voglia di seppellirli, soprattutto in una bella mattinata di sole, la prima dopo giorni e giorni di piogge torrenziali. L’aria era finalmente diventata più asciutta, priva dell’umidità soffocante che aveva caratterizzato l’afa implacabile degli ultimi giorni. Il cielo si estendeva a perdita d’occhio sopra di lui, un manto di un azzurro limpido e abbagliante. Era una giornata perfetta per fare un picnic in riva al lago in compagnia di una bella ragazza e passeggiare tenendola per mano, non per seppellire dei morti.

    In un giorno così, un uomo come lui era messo davanti alla consapevolezza di tutto quello che aveva perduto.

    Piantò i talloni nei fianchi di Breeze per spronarlo, ma il cavallo scosse la criniera e arretrò scalpitando. Accanto a lui, anche Kell era riluttante ad avanzare e guaiva lamentoso, indietreggiando.

    Come biasimare gli animali? Il tanfo e le mosche non erano certo un incentivo ad avvicinarsi. Però, se non si fosse fatto forza e non avesse perlustrato la zona, la sua coscienza l’avrebbe tormentato per sempre. Doveva dare a quei poveri corpi martoriati una degna sepoltura. Non poteva lasciare donne e bambini agli animali che spolpavano le carogne.

    «Kell, stai fermo lì.»

    Il cane emise un basso guaito di protesta ma obbedì. Sam guidò il cavallo verso il pendio mentre slacciava la fondina in cui teneva il revolver. Lo scalpitio degli zoccoli riecheggiava nel silenzio lugubre e minaccioso della valle.

    Inquieto, Sam sentì un familiare formicolio alla nuca, come un segnale d’avvertimento per un pericolo imminente.

    Più si avvicinava ai carri e più diventava intenso il puzzo di fumo e di morte e distruzione. Con la coda dell’occhio colse un brandello di tessuto tipico degli abiti femminili sotto il carro rovesciato, la prova che effettivamente tra le vittime c’erano anche delle donne. Digrignando i denti, scosse la cenere dalla sigaretta, che poi si ficcò in un angolo della bocca.

    Mentre guidava Breeze verso destra, ai bordi del teatro di quella carneficina, vide altri due cadaveri. Fino a quel momento aveva contato quattro corpi, tre uomini e un ragazzo che probabilmente non aveva mai preso in mano un rasoio per farsi la barba, anche se era evidente che avesse cercato di difendersi prima di terminare prematuramente la sua breve vita.

    Scosse la testa, smontò, posò le briglie sul pomolo della sella, poi diede a Breeze dei buffetti affettuosi sul collo. «Aspetta qui» ordinò dolcemente.

    Il latrato di Kell gli giunse alle spalle. Sam gli puntò contro il dito per indurlo a restare fermo, poi perlustrò il terreno in cerca d’impronte, prima di tornare a dedicare la propria attenzione all’accampamento.

    All’interno di uno dei carri c’erano dei bauli aperti e il contenuto era sparso in giro. Sul verde dell’erba si stagliava un guanto bianco. Camminando, calpestò i resti bruciacchiati di una gonna rossa, una macchia di colore quasi oscena nella sua allegria, in quel paesaggio di morte.

    Gli aggressori dovevano essere dei bianchi. Gli indiani non avrebbero mai sprecato un simile bottino. Le loro donne non avrebbero mai indossato gli abiti delle bianche, ma avrebbero sfruttato abilmente le belle stoffe. Gli indiani erano bravi a utilizzare tutto ciò su cui potevano mettere le mani.

    Sam si chinò e prese tra due dita l’orlo della gonna, tastando assorto il tessuto mentre si chiedeva che fine avesse fatto la proprietaria e quali tormenti avesse subito.

    Un leggero rumore infranse il silenzio.

    Sam tese l’orecchio; sembrava che qualcuno stesse grattando una superficie solida. Kell ringhiò e avanzò quatto quatto, mentre Sam poggiava la mano sul calcio del revolver, sentendo il calore familiare del legno nella sua presa.

    «Chiunque tu sia, esci fuori. Ora» intimò in tono fermo.

    Il suo ordine fu seguito dal silenzio assoluto. Sam pensò che il rumore non doveva essere necessariamente prodotto da un uomo. L’odore della morte attirava corvi e avvoltoi, ma l’istinto gli suggeriva che c’era qualcuno nascosto tra i resti dei carri.

    Immobile, tirò fuori lentamente la pistola dalla fondina. C’erano dei sopravvissuti al massacro?, si chiese. Oppure i ladri avevano lasciato qualcuno che si era nascosto per tendere un’imboscata a chi si fosse avvicinato? Era una tattica risaputa per aumentare il bottino di una razzia, quella di lasciare il luogo nella più completa devastazione, per poi acquattarsi nei pressi e aggredire i curiosi.

    Però c’erano pochi posti in cui nascondersi, rifletté. Il più ovvio era il fondo del carro rovesciato, tra la panca del guidatore e le assi del pianale.

    Armato il cane della rivoltella, diede un calcio poderoso al bordo superiore del carro, facendolo rovesciare. Tra lo schianto delle assi che si spezzavano, il tintinnio del metallo e il ringhio di Kell che era sul punto di lanciarsi contro il misterioso nemico, si udì un grido di sorpresa e dolore, distintamente femminile. Quando il carro sbatté a terra, il grido s’interruppe di colpo e sulla scena del massacro scese di nuovo il silenzio.

    Inquieto, Sam ghermì Kell per la collottola e lo tirò indietro, vedendo che l’animale era già pronto a scagliarsi addosso alla persona nascosta, da vero lupo mezzosangue qual era.

    «Sta’ giù!» gli ordinò, perentorio.

    Kell continuò a ringhiare, mostrando i denti, ma almeno rimase fermo. Sam pensò con soddisfazione che stava imparando a obbedire agli ordini, anche se era pronto a balzare alla gola dei nemici alla minima provocazione. Quando fosse tornato a Hell’s Eight, avrebbe dovuto farsi dare qualche consiglio da Tucker, il migliore addestratore di animali che conoscesse.

    Pronto a sparare se necessario, fece un giro intorno al carro e vide subito un piede che sporgeva da sotto il pianale rovesciato. Piccolo, con uno stivaletto nero, era chiaramente di una donna.

    Il piede si mosse quando lo toccò con la punta dello stivale, segno che la donna non era morta. E non era neanche priva di sensi, a giudicare dall’imprecazione soffocata che proveniva dall’interno.

    Sam udì un tonfo, poi un’altra imprecazione e dei colpi. Ovviamente il carro era troppo pesante, difficile da ribaltare per una donna. «Signora?»

    Il piede si agitò poi rimase immobile. «Sì?» mormorò una voce circospetta tra le assi del pianale.

    Sam spostò la pistola, poi si chinò e afferrò il bordo delle assi di legno. «Non abbiate paura. Mi chiamo Sam MacGregor e sono un Texas Ranger. Ora solleverò il bordo del carro, signora. Appena l’avrò alzato, uscite piano e fate attenzione. Mi capite?»

    «Sì, capisco.»

    Lui notò che aveva un lieve accento spagnolo, cantilenante e molto musicale. «Bene.» Allineato il corpo, si preparò allo sforzo incordando i muscoli delle gambe. «Togliete le mani dai bordi» le raccomandò.

    «Sì.»

    «Brava. Uno, due...»

    Kell si avvicinò annusando il terreno.

    «Togliti di mezzo» gli ordinò Sam.

    «Come?» chiese la donna, perplessa.

    «Non dicevo a voi. Parlavo al cane.»

    «È buono?» s’informò, preoccupata.

    Sam agitò una mano per scacciare Kell, che digrignò i denti. «Quando gli va.»

    «Allora aspetterò finché l’avrete legato.»

    Sam sollevò un sopracciglio fissando il piede, l’unica parte della donna che potesse vedere. Il commento sembrava proprio un ordine, pensò. «Non gli piace essere legato» obiettò. «Siete pronta?»

    Dopo una pausa di esitazione, la risposta: «Prima legate il cane».

    Ignorando la richiesta, Sam sollevò il bordo del carro e lo sorresse. «Ora potete uscire.»

    Lei non si mosse subito.

    «Non posso reggere tutto questo peso ancora per molto» l’avvertì.

    «Il cane è sotto controllo?»

    Sam sbuffò e si voltò a cercare con lo sguardo Kell, che aveva trovato il guanto e ne stava mordicchiando le dita. «Non preoccupatevi. È distratto.»

    «Sicuro?»

    «Sicurissimo. E ora venite fuori prima che molli la presa.»

    Da sotto il carro emerse un secondo piede, poi la donna cominciò a liberarsi dimenandosi bocconi e facendo inevitabilmente sollevare l’orlo della gonna nera. Lui non poté fare a meno di notare i polpacci snelli, esposti sopra il bordo degli stivaletti alla caviglia. Più la donna si agitava e più la gonna si alzava, rivelando la pelle sottile e morbida.

    Sam si asciugò la fronte imperlata di sudore. Cosa gli prendeva? Non era da lui eccitarsi solo per aver visto due polpacci nudi. Continuando a contorcersi, la donna faceva involontariamente salire la gonna, scoprendo zone sempre più proibite del suo corpo.

    Lui afferrò un lembo della stoffa e lo strattonò, abbassandole la gonna sul retro delle cosce coperte da leggeri mutandoni candidi che le arrivavano al ginocchio.

    Lei strillò: «Cosa fate?».

    Sam vide la mano con cui lei tentava di coprirsi e notò che era piccola e delicata come i piedi. «Preservo il vostro pudore» le spiegò.

    Lei tastò la gonna dietro di sé, per assicurarsi di essere abbastanza coperta. «Gracias» disse infine.

    «Prego. E ora, se non vi dispiace, sbrigatevi a uscire.»

    «Scusatemi.» Sgusciò all’aperto, a faccia in giù, rivelando dei fianchi voluttuosi sopra le gambe snelle e le natiche tonde e sode, che fecero immediatamente venire voglia a Sam di afferrarle a piene mani. C’erano occasioni in cui provava la tentazione di rinunciare alle buone maniere, come in quel momento.

    Vide anche una lunga treccia nera che si stagliava contro il bianco della camicia. Non vedeva l’ora di poter guardare il viso. La sua ansia lo sconcertava, perché era da tanto, troppo tempo che non provava emozioni, ancor meno sensazioni piacevoli.

    Lei si girò e Sam vide che aveva in mano una rivoltella. Solo il suo fulmineo istinto di sopravvivenza gli impedì di essere colpito mentre lei ruotava il braccio, facendo fuoco inavvertitamente. La donna gridò, guardando l’arma che aveva in mano.

    «Cosa diavolo fate? Attenta!» le intimò, adirato. Dopo essere scampato agli agguati dei tanti fuorilegge che volevano fargli la pelle, sarebbe stata proprio una beffa del fato morire per un proiettile vagante, esploso per caso.

    Le strappò di mano la pistola e la buttò da un lato. Avrebbe dovuto essere più attento e rendersi subito conto che lei era armata, si rimproverò. Non era da lui commettere simili errori.

    Lei si precipitò a raccogliere la rivoltella e Sam, mollato il carro, l’agguantò per la camicia per fermarla.

    «Ridatemi la pistola!»

    Sam la tenne fra le braccia, raddrizzando le spalle. «Perché, volete spararmi?»

    Lei riprese rapidamente l’equilibrio e sollevò il mento con un’espressione di sfida, guardandolo con le mani sui fianchi, provocante. «Se fosse necessario...» replicò.

    Sam la fissò. Gli ricordava un gattino arruffato e bellicoso, con il musetto triangolare, il mento a punta e gli occhioni scuri che emettevano lampi di sfida. Era una bella gattina sexy e vivace, con un temperamento forte e volitivo. «Prima di minacciarmi dovreste imparare a sparare... e magari crescere di qualche centimetro.»

    Lei tentò di schiaffeggiarlo ma lui la sollevò repentinamente, afferrandola alla vita, e facendole mancare il bersaglio. «Lasciatemi!» gli intimò, dibattendosi. «Mettetemi giù o vi uccido.»

    Sam sorrise ironico. Era proprio divertente vederla così infuriata. «Non mi sembra che siate in grado di farmi fuori, date le circostanze.»

    Lei smise di lottare e lo guardò negli occhi con piglio deciso. «Non devo per forza uccidervi ora, posso aspettare che vi addormentiate.»

    Sicuramente non avrebbe esitato a farlo, si disse Sam. Quell’atteggiamento coraggioso e combattivo stuzzicò ancora di più il suo interesse. Ben poche persone al mondo, sia uomini sia donne, erano in grado di tenergli testa, ma doveva dare atto alla ragazza che almeno era intenzionata a provarci. «Considerato che sono venuto a soccorrervi, non capisco perché vogliate uccidermi» osservò.

    «Perché voi per primo avete tentato di uccidere me!»

    Sam non mollò la presa.

    «E come, di grazia?»

    «Mi avete fatto cadere il carro addosso.»

    «Veramente l’ho buttato addosso a chiunque fosse la persona che vi si nascondeva» precisò lui.

    Lei batté le palpebre, sconcertata, e Sam notò che aveva delle ciglia lunghe e folte, molto seducenti.

    «Però c’ero io» protestò, più debolmente.

    «Non mi sembra che vi abbia fatto male.»

    Lei socchiuse gli occhi leggermente, come se volesse incenerirlo con lo sguardo.

    «Avete altre armi?»

    «Sì» dichiarò, spavalda.

    Lui non riuscì a trattenere un sorriso. Come bugiarda non valeva una cicca. «Immagino» mormorò, mollando la presa.

    Finalmente libera, lei si aggiustò la gonna. Kell cominciò ad abbaiare, vedendo che non era più in balia del suo padrone.

    La ragazza si voltò di scatto verso l’animale. «Silencio!» gli intimò in un tono che non ammetteva repliche.

    Kell non era un cane obbediente. Continuò a ringhiare, scoprendo i denti aguzzi, ma la ragazza lo fulminò con lo sguardo, ostinata quanto lui.

    Con grande sorpresa di Sam, fu Kell a cedere, indietreggiando in silenzio. «Come avete fatto?» si stupì.

    Lei agitò una mano con noncuranza. «Can che abbaia non morde» sentenziò. «Cosa fate qui, signor MacGregor?» gli chiese in tono educato, lisciandosi i capelli.

    Sam era sempre più divertito. Una ragazza dagli abiti sgualciti, in un accampamento devastato e pieno di cadaveri, che gli rivolgeva la parola con il tono di una duchessa che fa conversazione a un ballo.

    «Sto cercando una persona» rispose lui. Guardandosi intorno, indicò il teatro del massacro, e aggiunse: «Sarebbe più indicato chiedere a voi cosa fate qui. Come mai siete viva quando tutti gli altri con cui viaggiavate sono morti?».

    Appena ebbe pronunciato quelle parole, se ne pentì immediatamente. La donna doveva essere terrorizzata. Era bloccata in mezzo al nulla, circondata da cadaveri, costretta ad affrontare un estraneo minaccioso e armato, con un cane feroce, e la sua unica alleata era la sfrontatezza con cui tentava di mantenere i nervi saldi. Lui non poteva minare il suo equilibrio con un atteggiamento insensibile.

    «Non mi ero ancora unita al convoglio» spiegò.

    Sam la fissò perplesso «Quindi gli indumenti sparsi non sono i vostri?»

    «No, era roba che avrebbero dovuto vendere.»

    «E voi stavate per mettervi in viaggio con loro?»

    «Sì.»

    «Perché non vi siete unita alla carovana in paese ma qui, in un posto abbandonato?»

    «Perché il mio arrivo sarebbe dovuto rimanere segreto.»

    «Non ditemi che intendevate fare una fuga d’amore con uno di questi poveracci?»

    «Vi sembra plausibile?» domandò, quasi speranzosa.

    Sam rimise il revolver nella fondina. «No» rispose con sincerità.

    «Lo immaginavo.» Sospirò.

    «State forse tentando d’infinocchiarmi con qualche storiella inventata, bellezza?»

    «Mi chiamo Isabella» puntualizzò lei con sussiego.

    «Prego?»

    «Detesto essere apostrofata con dei vezzeggiativi sciocchi, come piccola, bellezza o tesoro. Se volete rivolgervi a me, chiamatemi per nome» precisò, altera.

    Isabella..., ripeté mentalmente Sam. Era un bel nome e le si addiceva. Era proprio una ragazza molto graziosa, e decisamente seducente. Forse non si rendeva neanche conto di essere così provocante, pensò. Per esempio, in quel momento si stava passando la lingua sul labbro inferiore in un gesto che tradiva il suo nervosismo, e Sam non poté fare a meno di pensare a quella lingua che gli dava piacere, percorrendo lentamente tutta la lunghezza del suo... No, non poteva abbandonarsi a pensieri lascivi in quelle circostanze, si redarguì scuotendo la testa. Oltretutto la ragazza era chiaramente molto più preoccupata di quanto volesse lasciargli intendere.

    «Sono lieto di fare la vostra conoscenza, Isabella» le disse scimmiottando il suo tono compito. «E ora, di grazia, volete dirmi la verità? Che facevate qui?»

    «Avrei dovuto unirmi al gruppo» insistette lei.

    Lui sbuffò. Erano a quattro miglia buone dal paese. Andò a raccogliere la pistola della ragazza e la controllò. C’erano due pallottole nel tamburo. «Perché la seconda volta che sento questa versione dei fatti non mi sembra più credibile della prima?»

    «Forse perché siete un uomo sospettoso?»

    Quello era vero, pensò Sam. «E questa è la vostra arma?»

    «No, l’ho presa quando ho sentito che qualcuno si avvicinava.»

    «Avreste dovuto controllare che ci fossero abbastanza pallottole per difendervi da eventuali aggressori» commentò.

    «Me ne ricorderò la prossima volta.»

    «Pensate che possa esserci una prossima volta, dunque?»

    «Devo recarmi a San Antonio. Il viaggio è lungo e pieno di pericoli per una donna sola.»

    Sam annuì. La ragazza non sbagliava. Infilatosi la rivoltella nella cintura, si avvicinò ai corpi. «Avete dei parenti in città?»

    «No.»

    «E allora cosa ci andate a fare?»

    «Ho sentito dire che San Antonio è una bella città.»

    «Quindi eravate diretta a San Antonio con questi tizi solo perché vi piace la località... Pensate davvero che la beva?» sbottò lui, indispettito.

    Lei scrollò le spalle. «È la verità.»

    Forse sì, ma era sicuro che ci fosse dell’altro. «Una donna perbene dev’essere proprio disperata per viaggiare con gente di quella risma» osservò.

    «Cosa vi fa credere che io sia una persona perbene?»

    Sam non era uno sciocco. Oltre a riconoscere una bugia quando gli veniva detta, era anche un bravo giudice di caratteri e sapeva distinguere una ragazza innocente ed educata da una donna di malaffare. «Dite la verità» la pungolò. «Non pensavate davvero di viaggiare da sola con costoro?»

    «Invece sì.»

    «Perché?»

    «Non avevo scelta.»

    Questo aveva più senso, pensò lui. Tuttavia restava da comprendere il motivo.

    «Ora avete un’alternativa.»

    Lei lo fissò interdetta, poi scosse la testa. «Non ho intenzione di viaggiare con voi.»

    Sam indicò i cadaveri con un cenno del capo. «Però eravate pronta ad andare con loro.»

    «Non erano pericolosi.»

    Invece io sì? «Credo proprio che, se fossero rimasti in vita, ben presto avreste cambiato idea.»

    Tempo un’ora e, se non fossero stati aggrediti e uccisi, quegli uomini le avrebbero strappato i vestiti di dosso e l’avrebbero posseduta in tutti i modi possibili e immaginabili.

    «Non potete esserne certo» obiettò lei.

    «L’unica cosa di cui non posso essere certo è l’ordine in cui si sarebbero messi in fila per violentarvi» replicò, sarcastico.

    «Non ci credo.»

    «Non avete occhio per giudicare le persone.»

    Mentre parlava con Isabella, Sam passava in rassegna i cadaveri, che erano stati depredati e privati di tutti gli effetti personali che potessero avere un minimo valore. L’unico oggetto che recuperò fu un cappello a tesa larga che stava rotolando sul terriccio polveroso. Avrebbe fatto comodo alla ragazza, pensò. La sua carnagione lattea avrebbe potuto arrossarsi sotto il sole.

    «Il frate li aveva fatti promettere di vegliare sulla mia incolumità.»

    Sam scosse la testa mentre rivoltava un cadavere sulla schiena, girandolo con un piede. «Ed è bastata questa garanzia per indurvi a credere che vi avrebbero rispettata?» obiettò, scettico.

    «Nessuno verrebbe meno al giuramento fatto a un frate» protestò. «Ne andrebbe della salvezza della sua anima.»

    «Secondo me questi uomini l’anima l’hanno persa da parecchio tempo.»

    «Non mancate loro di rispetto» lo rimproverò Isabella. «Hanno perso la vita per causa mia.»

    «Ma se sono morti prima del vostro arrivo!»

    «È stata comunque colpa mia» insistette lei guardandolo con angoscia. «Se mi costringerete a seguirvi, rischierete la vita anche voi.»

    «Pensate dunque che sia così facile uccidermi?»

    «Che sia facile o difficile poco importa. Quando lui vi troverà, sarete un uomo morto. La differenza è solo il tempo che impiegherà a uccidervi.»

    «Lui?» ripeté Sam. «A chi vi riferite?»

    Isabella si rese conto di essersi lasciata sfuggire qualche parola di troppo e serrò le labbra con un’espressione ostinata, rifiutandosi di aggiungere altro.

    «Visto che ormai mi avete coinvolto nelle vostre questioni, che vi piaccia o no, tanto vale che mi diciate tutto» insistette lui.

    «È meglio di no. Non sono affari che vi riguardano.»

    Sam abbozzò un sorriso. Anche se tentava di fare la dura, le parole che uscivano dalle sue labbra avevano un accento esotico, melodioso, cantilenante, che avrebbe reso piacevole all’udito anche la minaccia più aspra. «Visto che dovremo proseguire il viaggio insieme, è mio diritto sapere chi avrò alle calcagna» obiettò.

    «Non crediate di fare a modo vostro. Non verrò con voi.»

    «Non potete fare altrimenti.»

    «E invece sì.»

    Sam incurvò nuovamente le labbra in un accenno di sorriso. La ragazza credeva proprio di potersi liberare di lui? Che ingenua! Era un’illusa se lo sottovalutava in quel modo. E poi lui aveva già capito a chi si riferisse. In quella zona c’era solo un uomo tanto potente da incutere timore anche senza bisogno di nominarlo. Bastava dire lui per capire a chi Isabella si riferisse, considerato oltretutto che San Antonio era la prima grande città in cui rifugiarsi per scampare alla lunga mano del temibile Tejala, la prima fuori del territorio su cui si estendeva la sua influenza. Dunque, date quelle premesse, non era difficile indovinare da chi Isabella stesse fuggendo impaurita, per mettersi in salvo.

    La prese per un braccio ma lei si divincolò e fece un passo indietro.

    «Non posso permettere che mettiate a repentaglio la vostra vita per me» protestò lei.

    «Vi assicuro che non sono così indifeso come avete immaginato» la rassicurò. «Piuttosto, avete dei bagagli con voi?»

    «Sì.»

    «Dov’è la vostra roba?»

    Isabella indicò il carro rovesciato.

    Sam sbuffò; c’era da immaginarselo che avrebbe dovuto faticare ancora.

    «Se devo darvi disturbo, sarà meglio che andiate senza di me» obiettò lei, vedendolo infastidito.

    Lui tese i muscoli delle spalle, gonfiando i bicipiti in previsione dello sforzo. «Quando mi rimetterò in viaggio, voi verrete con me» replicò, categorico.

    «Solo se siete diretto a San Antonio.»

    Kell si mise a ringhiare, come se stesse rispondendo al commento manifestando il proprio disappunto.

    «E dovrete tenere a bada quel cagnaccio» aggiunse Isabella.

    «Se ci riuscite voi, vi prometto che vi porterò sana e salva a San Antonio» ribatté Sam incrociando le braccia.

    Isabella si accigliò. «È il vostro cane, pensateci voi a farvi ubbidire.»

    «Non è esattamente mio.»

    «No? Allora è un randagio?»

    «Non proprio. Diciamo che stiamo contrattando il fatto

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