Il sapore della vittoria: Harmony Collezione
Di Kate Walker
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Info su questo ebook
Cinque anni, cinque dolorosissimi anni di solitudine, ma adesso per Jenna Kenyon è finalmente arrivato il momento di riprendersi quello che le era stato rubato. C'è da rischiare un po', ma lei è disposta a farlo.
Deve "soltanto" fingere di...
Kate Walker
Autrice inglese originaria della regione di Nottingham, ha anche diretto una libreria per bambini.
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Il sapore della vittoria - Kate Walker
successivo.
1
L'ascensore si arrestò dolcemente e le porte si spalancarono senza far rumore. Jenna Kenyon uscì nell'elegante hall dell'esclusivo George Hotel con un sorriso soddisfatto disegnato sulle labbra. Un istante dopo, però, il sorriso era già svanito, spazzato via da quello che il suo sguardo attonito era costretto a registrare.
Sul pallore improvviso del suo ovale perfetto, i capelli bruni apparivano ancora più scuri e lo sgomento aveva riempito d'ombre i suoi grandi occhi verdi.
Oh, mio Dio, no!, pregò. Fa' che non sia vero.
Doveva trattarsi di un'illusione, cercò di rassicurarsi, di uno scherzo della luce. Del resto, il destino non poteva essere tanto crudele da rimettere sul suo cammino l'unico uomo al mondo che mai più avrebbe voluto rivedere.
Non proprio quando la sua vita aveva ripreso a scorrere su binari apparentemente sicuri e la felicità sembrava a portata di mano!
Sbatté forte le palpebre, poi fissò di nuovo lo sguardo sull'uomo alto e bruno fermo dinanzi alla reception, lottando contro il desiderio di rivolgerlo altrove. Dio, ti prego!, supplicò ancora. Non poteva essere tanto sfortunata!
Ma nessuno raccolse la sua preghiera. Non vi era alcun dubbio, infatti, che quello a cui l'addetta alla reception stava consegnando le chiavi fosse Connor Harding, l'uomo che cinque anni prima le aveva distrutto la vita, abbandonandola senza degnarla di un solo sguardo. Lasciandola sola a raccogliere i miseri cocci della sua esistenza definitivamente a pezzi.
«Ci sono messaggi per me?»
Anche l'ultimo esile dubbio al quale si era aggrappata si dissolse al suono roco e sexy di quella voce. Fosse vissuta mille anni, non avrebbe mai potuto dimenticarla. Né cancellare dalla mente le false promesse che aveva sussurrato.
«Mi spiace, signor Harding. Nessun messaggio.»
Jenna volse gli occhi al cielo in un moto di insofferenza alla nota di pura adorazione che colse nella voce della donna. Non c'era alcun dubbio che la poverina fosse un'altra delle vittime del sorriso devastante di Connor. Un sorriso al quale, apparentemente, nessuna sembrava resistere.
Nemmeno tu, si rammentò cupamente.
Anche lei, al pari di tutte le altre, si era comportata come una ragazzina ingenua. Anzi, peggio di una ingenua: gli aveva permesso di insediarsi nel suo cuore, nella sua mente, nel suo letto... Gli aveva permesso di orchestrare ogni cosa che li riguardava a suo piacimento, per poi metterla da parte come una bambola vecchia e ormai inutilizzabile.
Basta!, si rassicurò facendo un respiro profondo e raddrizzando le spalle. Risoluta, decise di andarsene prima che la sua presenza potesse essere notata da qualcuno.
Una decisione maturata troppo tardi però, poiché Connor stava già seguendo il portiere che spingeva l'elegante carrello dell'hotel su cui erano state allineate le sue valigie. All'improvviso fu assalita dal panico e il cuore le prese a battere in modo irregolare, troncandole il respiro.
In fretta, chinò il viso sulle carte che stringeva tra le mani e dove erano annotate le mille cose di cui aveva dovuto occuparsi quella mattina.
Anche da dietro quel paravento di fortuna non le sfuggì il preciso istante in cui Connor le passò accanto. Ne avvertì la presenza nella scia del suo profumo, la ritrovò nella breve risata pacata con cui apprezzò una battuta del portiere, la colse di sottecchi nell'incedere del suo passo elegante e sicuro.
Un'emozione sconvolgente, in cui si mescolavano odio e desiderio l'avviluppò senza preavviso, paralizzandola dov'era sino a quando non avvertì il sibilo attutito delle porte dell'ascensore che si richiudevano.
Solo allora, ormai sicura di essere sfuggita a un incontro imbarazzante, permise alle sue spalle di rilassarsi dalla tensione che le aveva imprigionate e si incamminò verso l'uscita. Non vedeva l'ora di andarsene! E se il giorno dopo sua madre avesse avuto qualche altro dettaglio da rivedere, sarebbe potuta venire lì da sola. Oppure...
«Signorina Kenyon!» chiamò una voce argentina alle sue spalle, costringendola a fermarsi. «Ha per caso un istante?»
Jenna si voltò ritrovandosi dinanzi il volto sorridente di Paula Barfoot, l'assistente del direttore, una cinquantenne alta ed elegante e dai modi impeccabili che sembrava aver fatto dei desideri della famiglia Kenyon una sua personale crociata.
«Mi dica. Ha trovato tutto di suo gradimento?» indagò cortesemente.
«È tutto perfetto» la rassicurò Jenna con un sorriso. «E il menù che ha suggerito è delizioso.»
«Quindi è pronta per sabato?»
«Direi di sì. Oh, ora che ricordo... mia madre ha di nuovo cambiato l'ordine dei posti a tavola. Crede che potremmo rivederlo?»
«Certamente. Che ne dice di farlo davanti a una tazza di caffè? Sarah...» ordinò rivolgendosi alla giovane donna bruna della reception, «faccia porta re due caffè nella sala di conversazione, per corte sia. Da questa parte, signorina Kenyon» aggiunse poi con un cenno della mano.
Jenna stava per seguirla verso la sontuosa sala in stile vittoriano che si affacciava sull'immenso giardino dell'hotel quando ebbe come la sensazione di un pericolo imminente e un brivido le percorse la schiena. Lentamente, girò la testa verso l'ascensore davanti al quale poco prima era sostato Connor scoprendo, inorridita, che non si era affatto mosso da là.
Smettila!, si ammonì quando la sensazione di panico rischiò nuovamente di sopraffarla. Era probabile che si stesse preoccupando per un nonnulla. Anzi, era persino possibile che Connor non avesse sentito Paula fare il suo nome. Ma anche mentre cercava di convincersene, si rese conto di quanto sciocca e puerile fosse in realtà quella considerazione. Connor non aveva certo bisogno di sentire il suo nome per riconoscerla!
«Signorina Kenyon...»
Da qualche parte, le arrivò la voce stupita di Paula, ma era come se una forza invisibile le impedisse di distogliere gli occhi dall'uomo accanto all'ascensore. Se ne stava completamente immobile, un'espressione indecifrabile disegnata sul viso e lo sguardo fisso su di lei. Una posa che a Jenna ricordò quella di un freddo predatore che calcola come sferrare l'attacco alla preda designata.
Il modo glaciale con cui stava passando in rassegna ogni dettaglio della sua figura senza lasciarsi sfuggire nulla, dai lunghi capelli scuri che le ricadevano sulle spalle alla gonna color sabbia che le fasciava i fianchi evidenziando le gambe lunghe e snelle, alla camicetta bianca che esaltava il colore dorato della sua pelle, possedeva un che di pericoloso che le raggelò il sangue nelle vene.
Non si era mai sentita sottoposta a un esame così apertamente ostile come in quel frangente, e d'istinto provò il desiderio di alzare le mani dinanzi a lei, come a difendersi da un attacco.
«Signorina Kenyon?» le arrivò di nuovo la voce di Paula. Fu la chiara nota di costernazione che conteneva a farle capire che il modo in cui se ne rimaneva lì, raggelata in silenzio, stava avendo l'effetto opposto a quello che aveva desiderato, attirando su di lei proprio l'attenzione che avrebbe voluto evitare.
Dopo tanti anni Jenna Kenyon e Connor Harding erano di nuovo faccia a faccia. Le sembrava quasi di poter sentire il tam tam dell'efficiente rete sotterranea di pettegolezzi della piccola cittadina che, entro sera, avrebbe sicuramente imbastito un nuovo e piccante argomento di conversazione.
«Signorina Kenyon?»
«Mi scusi» si riprese infine costringendosi a guardare la costernata direttrice e rivolgendole un sorriso tirato. Fortuna che Paula era arrivata da poco in città e non sapeva nulla della faida che da generazioni divideva gli Harding e i Kenyon! O della sua storia personale con Connor che, peraltro, era a conoscenza di pochi. «Trovo che un caffè sia un'ottima idea» fu d'accordo seguendola verso la sala, conscia a ogni suo passo dello sguardo di Connor che la seguiva.
Cinque anni non erano bastati ad attenuare lo straordinario potere che aveva avuto su di lei, considerò amaramente. Anzi, ricordando l'umiliante desiderio che aveva provato solo poco prima, sembravano addirittura averlo intensificato. Persino l'odio che si era convinta di provare nei suoi confronti non aveva potuto nulla contro la risposta involontaria del suo corpo.
«Vedo che anche lei non è immune al fascino del nostro celebre cliente» osservò con un sorriso di complicità Paula mentre prendevano posto in due eleganti poltroncine. «E non la biasimo. Se avessi vent'anni di meno, credo che mi prenderei anch'io una bella cotta per Connor Harding.»
«Che cosa ci fa a Greenford?» chiese Jenna tentando di conferire alla sua voce un tono noncurante. In realtà moriva dalla curiosità di sapere cosa poteva mai averlo spinto a tornare in quella piccola cittadina dove entrambi erano cresciuti e dalla quale non era parso che se ne fosse potuto andare abbastanza in fretta.
«Non ha saputo? Oh, che sciocca, dimenticavo che lei non vive in città. Uno dei suoi negozi viene aperto nel nuovo centro commerciale e dato che il signor Harding è nato qui, gli è stato chiesto di presenziare all'inaugurazione. Tutti noi qui al Ge orge siamo orgogliosi della sua presenza. Dopotutto, non capita tutti i giorni di ospitare uno dei tennisti più famosi del paese.»
«Non gioca a tennis da anni» le fece notare Jenna seccamente. Non da quando un incidente lo aveva costretto a ritirarsi prematuramente dalla scena sportiva.
«Già, un vero peccato» sospirò Paula ammiccando verso di lui con manifesto apprezzamento. «Io non credo