Fuori dagli schemi: Harmony Destiny
Di Joss Wood
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Fuori dagli schemi - Joss Wood
successivo.
1
Quinn Rayne attraversò di corsa il parcheggio sul lungomare di Coal Harbour, nella zona portuale della città di Vancouver, zigzagando a ritmo sostenuto tra i turisti che passeggiavano lungo la riva.
Gli auricolari nelle orecchie e gli occhiali scuri erano un'ottima scusa per ignorare le dita puntate e le grida di coloro che lo avevano riconosciuto.
Nonostante fosse da dieci anni sotto i riflettori, non si era ancora abituato a essere l'oggetto della curiosità altrui, delle attenzioni di coloro che subivano il suo fascino, ma anche di chi criticava il suo stile di vita, con i suoi eccessi e intemperanze.
Era mai possibile che la gente di Vancouver non trovasse un altro ragazzaccio a cui interessarsi?
Mentre si avvicinava alla banchina, rallentò l'andatura, passando dalla corsetta a un passo svelto, poi alla passeggiata lenta. Orologio sott'occhio, misurò il ritmo delle pulsazioni cardiache, premendo due dita lungo il collo. Dopo un paio di minuti annuì, soddisfatto. Anche se era ormai un ex giocatore di hockey sul ghiaccio, era pur sempre in gran forma. Sperava solo che lo fossero anche i Vancouver Mavericks quando sarebbero scesi in pista la settimana successiva per gli allenamenti.
Quinn si avvicinò al molo, digitò il codice di accesso e il cancello si aprì. Con una spigliata corsetta raggiunse il punto preciso dell'imbarcadero, dove era ormeggiato il suo yacht. Grazie alla posizione d'attracco privilegiata, poteva godere di una vista spettacolare sul fiordo di Burrard Inlet, con lo Stanley Park a sinistra e il Grouse Mountain di fronte.
Vivere sull'acqua era molto più avventuroso che vivere sulla terraferma, e Dio solo sapeva quanto lui amasse l'avventura.
Quinn salì a bordo della Adorabile Rossa e raggiunse il ponte principale da dove si introdusse nell'area giorno. Posò sul tavolo auricolari, occhiali da sole e cappellino e valutò se avesse tempo per una doccia, prima che arrivassero Mac e Kade a relazionargli sull'incontro con Bayliss, il loro quarto socio e finanziatore.
Bayliss era parte importante nel processo di acquisto della squadra dei Mavericks dall'attuale proprietario, Myra Hasselback, vedova del compianto Vernon, che stava valutando la proposta di un magnate russo che già possedeva una serie di squadrette di second'ordine. Quinn era ben consapevole che se lui, socio a pieno titolo come gli altri, era stato escluso dall'incontro voluto da Warren Bayliss, c'era poco da stare tranquilli.
Entrando nell'enorme sala, notò immediatamente la figura raggomitolata sul divano che sorseggiava del caffè, lo sguardo rivolto verso la vetrata. Gli tornò alla mente un'immagine di lei nella stessa posizione, a gambe incrociate sulla spiaggia di Sandy Cove, il giorno in cui si erano conosciuti. Una bambina di sei anni che sorrideva, mostrando i denti davanti mancanti, una vera forza della natura. Era la sua vicina di casa, la sua compagna di giochi, la sua confidente.
Avvertendo la sua presenza, lei ruotò la testa di scatto, facendo dondolare i riccioli rossi. Oh, quanto gli era mancato quel bel viso acqua e sapone cosparso di efelidi.
Si batté le mani sui fianchi, chiedendosi se fosse veramente lì, seduta sul divano, o se non fosse solo frutto della sua immaginazione, e gli si bloccò il respiro.
«Ehi, Rossa! Che diavolo ci fai qui?»
Al sorriso che gli sfoderò, Quinn rimase tramortito. Il cuore prese a battergli forte mentre l'amica scattava in piedi, e si ritrovò a sorridere di cuore per la prima volta in quella giornata.
Si lanciò verso di lei, la prese in braccio e la fece roteare. Un profumo di fiori si sparse nell'aria. Era intriso nei capelli che gli teneva premuti contro il viso, nella pelle morbida che lui sentiva attraverso il tessuto della camicia. La sua risata piena gli sollevò il morale.
Cal Adams era tornata e tutto sembrava riacquistare senso nella sua vita.
Sospesa ancora fra le sue braccia, Cal gli appoggiò le mani sulle spalle e si sporse all'indietro, incontrando il suo sguardo. «Ciao.»
«Ciao.»
«Hai sempre avuto gli occhi più belli del mondo, sai?» dichiarò, sfiorandogli uno zigomo con la punta delle dita. «Verde ghiaccio con sfumature smeraldo.» Gli diede un buffetto sulla guancia e gli sfregò una mano sulla barba troppo lunga e folta. «Non so se questa mi piace, però. Nasconde il tuo bel viso.»
Quinn serrò le braccia, avvertendo la parte inferiore del corpo reagire all'istante quando Cal gli avvinghiò le gambe attorno alla vita.
Un'immagine di lei bagnata e nuda, esattamente nella stessa posizione, gli apparve nella mente, ma la scacciò immediatamente.
Quella era Cal, la sua compagna di giochi fin dall'infanzia, la sua migliore amica. Non poteva, non doveva nutrire pensieri lascivi su di lei.
Le batté una pacca sul fondoschiena sodo e proclamò: «Mi fa piacere che tu abbia messo su qualche chiletto dall'ultima volta che ci siamo visti». Era stato un paio di anni prima, in ospedale, dove lei era stata ricoverata per un virus intestinale contratto a Panama. Cal era ridotta a uno scheletro, allora. Adesso era pur sempre magrolina ma, quantomeno non più ossuta.
Lei sorrise di nuovo e gli posò un bacio veloce sulle labbra, un bacio che gli smosse qualcosa dentro, inducendolo a desiderare di più, a voler assaggiare quelle labbra dall'aspetto così morbido per capire se la sua bocca, che pareva fatta per il peccato, davvero lo fosse.
Che razza di problemi aveva? Era mai possibile che fosse diventata per lui un'abitudine che ogni incontro con una donna si concludesse in camera da letto?
Cal si svincolò, i suoi piedi toccarono il pavimento di legno e Quinn la lasciò andare. Lei indietreggiò, sistemandosi una ciocca dietro l'orecchio.
«Adorabile Rossa... strano nome per una barca. Non è che per caso glielo hai dato pensando a me?»
Lui sorrise. «Oh, no. Pura coincidenza.»
«È bellissima, sai?» osservò Cal, guardandosi intorno. Quinn seguì il suo sguardo. Le linee pulite del panfilo di sessantacinque metri erano riprese dall'arredo minimalista nei colori del bianco, grigio e beige. Un po' troppo austero, forse.
«Se posso fare un appunto, un tocco di colore non guasterebbe, però. Un quadro, qualche cuscino variopinto» la sentì dire, facendo eco ai suoi pensieri. Nonostante non si vedessero da tanto tempo, erano sempre sulla stessa lunghezza d'onda.
«È più grande e bello del tuo ultimo yacht. Quanti posti letto ci sono?»
«Dieci sul ponte inferiore. La cabina principale è a poppa ed è provvista di spogliatoio e vasca idromassaggio. Ci sono poi un'altra cabina superaccessoriata a prua e due più piccole al centro. E un'altra sala di dimensioni più modeste ma molto graziosa sottocoperta, dove di solito guardo la TV. E altri due ponti, uno dove si trova la camera da letto padronale e un altro con una Jacuzzi.»
«Wow. Uno yacht da favola. Non vedo l'ora di visitarlo. Quando l'hai comprato?»
«Un anno fa.»
Quinn le accarezzò i capelli e i riccioli gli si attorcigliarono attorno alle nocche. Un profumo di shampoo lo inebriò e lui si chiese da quando i capelli della sua amica fossero diventati così soffici e setosi.
Cal infilò le mani nelle tasche posteriori dei jeans attillati e inarcò la schiena. La maglietta bianca le tirò sul petto e lo sguardo di Quinn fu attirato dai seni piccoli e sodi.
Roteò le spalle, a disagio.
Adesso basta, Rayne, falla finita.
Quinn si strofinò dietro la nuca e attraversò il soggiorno, diretto in cucina. Aprì il frigorifero e vi sbirciò dentro, sperando che l'aria ghiacciata gli sbollisse gli ardenti spiriti.
«Acqua?» le chiese con voce sommessa.
«No, grazie.»
Chiuse il frigorifero, aprì la bottiglia che aveva preso per sé e la portò alle labbra.
«Come sta tuo padre?» le chiese, ricordando il motivo per il quale era tornata a casa.
«Bene. L'intervento per il triplo bypass è perfettamente riuscito. Dall'aeroporto sono andata dritta in ospedale per stare un po' con lui. Era sveglio e parlava di progetti futuri, il che mi è parso un buon segno.»
«Sono contento che si sia ripreso.»
«Non vede l'ora di tornare operativo. Scalpita.» Quinn intravide la preoccupazione nel suo sguardo. «I medici dicono che non potrà riprendere il lavoro prima di un paio di mesi e questo lo ha gettato in uno stato di prostrazione.»
«Ha subito un intervento appena qualche giorno fa. Forse, dovrebbe rilassarsi un po'. La Fondazione non si ferma solo perché lui non è presente.»
La Fondazione Adam era l'organizzazione benefica più ricca del Canada, sovvenzionata da generazioni di membri della famiglia Adam. Il denaro della Fondazione finanziava un gruppo di volontari, tra cui Cal, nei loro viaggi per il mondo per assistere i più bisognosi.
Cal si mordicchiò l'interno delle labbra e lo scrutò pensosa.
«Ci sarà bisogno di qualcuno che diriga la Fondazione in sua assenza.»
«E saresti tu?» le chiese Quinn, infastidito dall'entusiasmo che inaspettatamente lo assalì.
«Sì» ammise lei per nulla entusiasta, invece. «Ne parliamo dopo, vuoi?»
Quinn era incuriosito dall'atteggiamento ambivalente che sembrava manifestare Cal nei confronti della città nella quale erano cresciuti.
Vancouver era un bel posto, interessante ed eclettico, lei, però, tornava a casa solo lo stretto necessario. Forse dipendeva dal fatto che suo marito fosse rimasto ucciso quando il velivolo leggero che pilotava si era schiantato contro una montagna a nord della città circa quattro... No, erano ormai cinque anni fa.
Si era sposata la stessa settimana che aveva compiuto vent'anni e, per colpa dell'acceso litigio che avevano avuto proprio per via di quella sua decisione, decisione che lui non approvava assolutamente, Quinn si era poi dimenticato, quell'anno, sia del suo compleanno che delle nozze.
«I giornalisti sanno che sei qui?» le chiese, cambiando discorso. Come lui, Cal aveva un rapporto conflittuale con la stampa.
«Lo sanno tutti, ormai. Non immagini quanti ce n'erano assiepati in aeroporto e in ospedale.»
«Ricordami un po' da dove sei venuta.» Erano due mesi, all'incirca, che non si sentivano e, anche se si erano tenuti in contatto via mail, non ricordava dove fosse stata con il suo ultimo progetto, anche perché Cal era sempre in movimento, rimbalzando da un posto all'altro come una pallina impazzita, per assicurarsi che il lavoro della Fondazione procedesse per il meglio. Poteva capitare, quindi, che fosse una settimana in America Latina e quella dopo nel lontano Oriente. Non si sapeva quanti chilometri macinasse in un anno.
«Africa. Lesotho, per la precisione. Stavo lavorando a un progetto per contrastare l'erosione del suolo.» Cal indicò con il capo il cellulare sul ripiano di marmo dell'isola posta al centro della cucina. «Ti è squillato il cellulare, prima, e poi il telefono fisso. Mac ti ha lasciato un messaggio sulla segreteria telefonica in cui dice che lui, Wren e Kade stanno venendo qui da te per parlare del disastro di oggi.» Piegò la testa da un lato e lo scrutò con gli occhi socchiusi. «Che cosa hai combinato? Ti sei cacciato in qualche altro guaio?»
In quell'istante, Quinn sentì i passi pesanti di Mac e Kade