Una piacevole complicazione (eLit): eLit
Di Annie West
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Annie West
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Anteprima del libro
Una piacevole complicazione (eLit) - Annie West
Immagine di copertina:
Depositphotos / SarkisSeysian
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Damaso Claims His Heir
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2014 Annie West
Traduzione di Paola Mion
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
© 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3052-440-8
1
Quando la vide, gli si mozzò il fiato.
Proprio a lui, che aveva donne ai suoi piedi fin da prima di guadagnare il suo primo milione. Ma quanto tempo era passato da quando una donna gli aveva fatto battere forte il cuore? Aveva conosciuto dive e duchesse, modelle e madonne. Nei primi tempi c’erano state decine di turiste, e una memorabile ballerina di tango che lo aveva fatto bruciare di desiderio giovanile con la sua esuberante sensualità. Ma nessuna gli aveva fatto quell’effetto immediato e stordente come questa donna.
Per la prima volta la vide da sola, senza il codazzo dei suoi spasimanti: era chinata a fotografare i fiori della foresta pluviale. Era così intenta che non si accorse di lui, il che era un’esperienza nuova per Damaso. Lo infastidì il fatto che lui l’avesse notata, e lei no. E lo irritò che i suoi occhi non riuscissero a lasciarla, mentre lei gli aveva lanciato a malapena un’occhiata distratta.
Si avvicinò, intrigato. Era davvero inconsapevole della sua presenza? Le bionde affascinanti erano materiale comune per lui, ma fin dalla prima volta in cui l’aveva scorta, come una venere emergente dai flutti, aveva provato qualcosa di nuovo, una sorta di misterioso legame.
Si trattava della sua energia vibrante, della malizia nei suoi occhi mentre piegava il capo? O forse il tono sexy della sua risata che lo colpiva nelle viscere? O magari era il genuino coraggio di una donna che non indietreggiava davanti a nessuna sfida lungo il suo itinerario, il cui fine era risvegliare il debole interesse del mondo impigrito dalla troppa opulenza?
«Marisa. Eccoti qui, ti ho cercata dappertutto!» Il giovane Saltram apparve all’improvviso da dietro una cortina di piante. Era uno scompigliato geek – un appassionato di computer – che doveva avere poco più di diciotto anni, ma che valeva un guadagno annuale a sei zeri. Damaso contrasse le mascelle mentre Saltram si mangiava la donna con gli occhi, e lui stesso indugiò a guardare la sua schiena deliziosa, che il top lasciava scoperta mentre stava accovacciata con la macchina fotografica.
Si fermò mentre lei girava il capo verso il ragazzo. Da dove si trovava, poté vedere il suo sospiro un po’ esasperato, come se la sua pazienza fosse messa a dura prova dal giovane.
«Bradley! Non ti vedevo da ore...» Gli rivolse un sorriso che parve stordirlo, ma che non gli impedì di chinarsi per aiutarla a raddrizzarsi, anche se lei non sembrava averne bisogno.
Saltram le toccò un gomito, e lei gli sorrise riconoscente. Sorprendentemente, Damaso sentì qualcosa colpirlo nelle viscere. Dovette trattenersi dall’impulso di farsi avanti e scaraventare lontano il giovane. Lei si mise a ridere, flirtando, per nulla turbata. Indossava pantaloncini e stivali da esploratrice e le sue gambe abbronzate attirarono lo sguardo di Damaso. Deglutì, assaporando la propria rabbia, e un aroma che sapeva di mela verde. Capì che era il profumo di lei e si meravigliò: era troppo lontana perché lo avvertisse.
La donna si girò e lasciò che Saltram la guidasse lungo il percorso, la coda di cavallo che ondeggiava sulla schiena nuda. Per una settimana Damaso aveva desiderato accarezzare quella scia dorata per scoprire se era morbida come sembrava. Tuttavia aveva mantenuto le distanze, stanco di avere a che fare con donne che pretendevano più di quanto lui fosse disposto a dare. Ma lei non avrebbe preteso nulla, gli suggerì una voce. Tranne che a letto.
La principessa Marisa di Bengaria aveva una certa reputazione. Estremamente viziata, viveva tra uno stuolo di ereditieri, ed era assidua a feste e ricevimenti. I tabloid la seguivano con ostinazione, con roboanti proclami circa la sua sconsideratezza. Damaso era stanco di donne viziate, tuttavia dopo una settimana di frequentazione aveva assunto una nuova prospettiva. Forse lei era incosciente, ma non era disperata.
Aveva flirtato con tutti gli uomini che aveva incontrato durante quel tour, tranne che con lui. Il calore gli si sprigionava nel ventre quando pensava al significato di ciò. Lei era esattamente quello di cui lui aveva bisogno. Non gli interessavano le vergini; una piccola ribelle avrebbe aggiunto un po’ di pepe a una breve storia amorosa.
Sorrise mentre si metteva sulle sue tracce.
Marisa protese il viso verso la frescura della cascata, grata per quel sollievo nella giornata calda. Il sangue le pompava caldo nei lombi mentre stringeva i muscoli arrampicandosi lungo la parete rocciosa. Sì, era proprio quello che voleva, perdersi nella sfida del momento, mettendo da parte tutto il...
«Marisa! Quassù!»
Girò il capo. Bradley Saltram la guardava da un contrafforte di fronte alla cascata, l’aria trionfante.
«Ehi, ce l’hai fatta! Ottimo.» Bradley aveva sconfitto la sua paura dell’altezza. Anche se il cucuzzolo non era tanto scosceso, era comunque un successo. Nessuna meraviglia che fosse così soddisfatto, accanto a Juan, la loro guida per quella escursione. «Sapevo che potevi farlo.»
Un peso le gravò sul cuore, e si tenne forte al precario appiglio. Vedendo il giovane sorridere in quel modo trionfante, si ricordò di un altro sorriso, così radioso che sembrava di vedervi dentro il riflesso del sole, e di occhi chiari e brillanti come un cielo estivo. Una felicità così contagiosa che l’aveva scaldata dentro. Stefan era sempre stato capace di farle dimenticare la sua tristezza con un sorriso e uno scherzo, spronandola a lanciarsi nell’avventura, prendendosi gioco di quel mondo che li intrappolava entrambi.
Sbatté gli occhi, distogliendo lo sguardo dal giovane americano, inconsapevole di quello che aveva evocato. D’improvviso l’immagine del freddo e grigio palazzo reale di Bengaria le attanagliò il petto come una morsa, togliendole quasi il fiato.
No, no! Non adesso. Non qui.
Tornò a guardare Bradley, disegnandosi un sorriso sulle labbra. «Ci vediamo di sotto. Voglio vedere la cascata da sopra.»
Bradley rispose qualcosa, ma lei non lo udì. Si stava già muovendo agilmente sulla roccia, trovando gli appigli con facilità. Era ciò di cui aveva bisogno, concentrarsi nella sfida della scalata, spazzare via tutto con l’impegno fisico. Era in alto adesso, più di quanto avesse inteso. Ma l’arrampicata era una sorta di droga che la spingeva a continuare, a dispetto degli avvertimenti di Juan.
Gli spruzzi dell’acqua arrivavano più forti ora, e la roccia era bagnata e scivolosa. Marisa si voltò verso il ruggito della cascata, quasi come se il ritmo pulsante potesse placare le sue emozioni. Un po’ più a sinistra e sarebbe stata sul picco dove si diceva che un ragazzo coraggioso avesse fatto un tuffo impossibile nella pozza ribollente al di sotto. Si fermò, tentata. Non per guadagnarsi anche lei un posto nella leggenda, bensì perché il rischio aveva quel fascino taumaturgico che faceva dimenticare tutto il resto. Non che desiderasse morire, ma sfidare il pericolo era diventata una sorta di consuetudine, un modo per credere che per lei fosse ancora possibile provare la gioia di vivere. Il mondo era diventato piattamente grigio, a parte in quei momenti in cui l’agonia del dolore e della solitudine assumeva toni particolarmente vividi. Era allora che Marisa si trovava di fronte l’enormità della sua perdita. La gente diceva che il tempo guariva i dolori, ma lei non ci credeva affatto. Era come se una parte di lei fosse morta, lasciando un vuoto che niente poteva riempire.
Il pulsare della cascata, come quello di un animale gigantesco, si mescolò con il rapido battito del suo cuore. La spronò, nello stesso modo in cui Stefan faceva un tempo. Le sembrò quasi di sentire la sua voce. Andiamo, Rissa. Non dirmi che hai paura.
No, non aveva paura di nulla, a parte dell’infinita solitudine, adesso che Stefan se n’era andato. Senza pensarci si apprestò a superare l’ultimo tratto di roccia bagnata. Era quasi giunta alla vetta quando un suono la fermò. Si girò e là, proprio alla sua destra, c’era Damaso Pires, l’imponente brasiliano che aveva cercato di evitare fin dal primo momento che le loro strade si erano incrociate. Qualcosa nel modo in cui la guardava, con quegli occhi scuri, la metteva a disagio, come se lui la vedesse attraverso la sua corazza. In quel momento, c’era qualcosa d’altro nei suoi occhi. Qualcosa di severo e impellente che le ricordò suo zio, esperto di giudizi e condanne. Poi, con sorpresa, lo vide sorridere, il primo vero, genuino sorriso che le avesse mai rivolto.
Marisa si aggrappò alla roccia con forza. Sembrava un uomo diverso con quel sorriso. Scuro e imponente, era il tipo che attirava l’attenzione. Era noto come le donne gli si offrissero. Ma quando sorrideva... era irresistibile, e il calore le invase il corpo come un lampo. I capelli scuri, un po’ umidi, gli incorniciavano il viso enfatizzando la struttura ossea raffinata, e piccole gocce d’acqua gli scendevano lungo la mascella fino al collo. Solo allora si rese conto che non indossava l’elmetto protettivo. Era una cosa che anche Stefan faceva nei momenti di esaltazione. Bastava a spiegare l’improvvisa emozione che l’attraversò?
Il brasiliano scrollò il capo allontanandolo dagli spruzzi, sollevando le sopracciglia interrogative, e seguendo il suo gesto Marisa ricordò che Juan aveva parlato di un passaggio dietro la cascata che portava a un sentiero che scendeva in una valle fiorita. Incontrò di nuovo quegli occhi impenetrabili e questa volta il loro bagliore non la disturbò. Era come se lo riconoscesse, e il suo corpo parve guizzare di piacere. Con un cenno di assenso salì l’ultima parte della roccia, e lui fece lo stesso accanto a lei, con gesti precisi ed esperti, tanto che lei dovette fare uno sforzo per non guardarlo. Doveva concentrarsi sulla salita, sembrava che il guizzo di energia esaltante di prima si fosse esaurito. Era quasi in cima, anche se la sua visione era ancora limitata, quando una mano le apparve davanti al viso. Era grande, ben curata ma callosa, e recava la traccia di una cicatrice. Era solida e sicura.
Alzando il viso, incontrò quei liquidi occhi scuri. Fu come se una scossa di consapevolezza la attraversasse, insieme alla vampata di calore. Esitò, chiedendosi che cosa diavolo ci fosse in quell’uomo. Era così diverso da tutti gli altri. Così... vero.
«Prenda la mia mano.»
Avrebbe dovuto essere abituata a quell’accento, ormai. Si trovava in Brasile da una settimana. Ma così, avvolto nella bassa voce vellutata di Damaso, aveva una nota seducente che le fece contrarre le viscere. Fu percorsa da un brivido, lo ignorò e si sporse per afferrare la mano tesa, sentendola chiudersi forte intorno alle sue dita. La sua forza la pervase e guardandolo lo vide sorridere di soddisfazione.
La consapevolezza parve pulsare nelle mani unite e lei provò una sorta di ansia vedendo che lui si irrigidiva. Per un attimo sembrò possessivo, ma poi la sollevò di colpo, senza aspettare che lei trovasse un altro appiglio. Quella dimostrazione di forza maschile non avrebbe dovuto farle battere il cuore. Durante gli allenamenti aveva conosciuto un sacco di uomini forti e muscolosi. Ma nessuno di loro l’aveva fatta sentire tanto femminile e desiderabile come lui adesso.
I loro occhi si incontrarono di nuovo mentre lui le toglieva il casco protettivo. I capelli le schiaffeggiarono il viso, mossi dal vento. Sapeva di apparire in disordine, ma non se ne curò. Invece continuò a fissarlo, apprezzando gli zigomi alti nel viso color bronzo, il naso imponente e aquilino, la bocca ferma,