Non aspetterò che te
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Clarissa, costretta a partecipare alla festa in maschera organizzata dal suo capo, non vede l’ora di tornarsene a casa, quando a un certo punto la serata prende una piega inaspettata: un uomo misterioso celato dietro la maschera del Fantasma dell’Opera la seduce come nessuno ha mai osato fare. Sconvolta e sorpresa, Clarissa si chiede chi sia l’affascinante e audace sconosciuto, senza riuscire a darsi una risposta. Almeno fino a quando non scopre che Lorenzo, un suo vecchio compagno di classe del liceo, lavora nella sua stessa azienda. Proprio quando il mistero sembrerebbe risolto, al lavoro iniziano a verificarsi alcuni inspiegabili incidenti… Cosa nasconde Lorenzo? Quella nuova e improvvisa attrazione, riaccesa a distanza di anni, basterà per salvarli entrambi? O il tempo è destinato ad avere la meglio sul sentimento?
Alessandra Paoloni
vive e lavora in un piccolo paese alle porte di Roma. Le infinite probabilità dell’amore, precedentemente pubblicato con il titolo Ti regalo l'amore, è il suo esordio nella narrativa.
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Anteprima del libro
Non aspetterò che te - Alessandra Paoloni
Sotto la maschera
La lunga gonna di lino restò incastrata nello sportello della macchina e, se Clarissa non se ne fosse accorta in tempo, con molta probabilità si sarebbe strappata, lasciandola in mutande in mezzo alla strada. Imprecò sottovoce, riaprì lo sportello e liberò la gonna. Si sentiva ridicola vestita in quel modo ma l’abito da dama medievale, tra i tanti, era stato il più economico da affittare. Non avrebbe speso un centesimo di più per quella festa che aveva pensato molto spesso di boicottare. Solo che il suo titolare era stato perentorio quando aveva annunciato: «Siete tutti invitati alla mia festa di compleanno, nonché festa in maschera. E quando dico tutti… intendo tutti. Nessuno è esonerato». Quelle parole suonavano come un rifiutatevi di venire e quest’anno in ferie ci andrete a novembre
.
Che Giuseppe De Vincis fosse un tipo stravagante lo si capiva da come raggiungeva quotidianamente gli uffici della sua fabbrica verso mezzogiorno, armato di un chihuahua che teneva sotto il braccio, nemmeno fosse stato un fucile carico, e circondato da sciarpe multicolori che gli cingevano il collo esile. I mocassini che indossava ai piedi variavano di colore a seconda del suo umore o delle previsioni meteorologiche.
«Clarissa, ce l’hai fatta ad arrivare».
Eugenia le andò incontro, camminando sui tacchi vertiginosi. Indossava degli stivali scuri che le si arrampicavano sulle gambe fino a scavalcare il ginocchio, un top rosso e dei calzoncini celesti a vita alta.
«Fammi indovinare…», osò Clarissa, squadrandola. In testa aveva una parrucca di ricci rossi che la facevano somigliare a un clown dall’aria folle. «Spogliarellista di lap dance».
Eugenia sghignazzò.
«No. Sono Julia Roberts in Pretty Woman».
Clarissa ritenne che non fosse opportuno far notare alla sua amica e collega che, vestita in quel modo, sembrava una donna da marciapiede e basta, e non una famosa attrice di Hollywood nei panni della ragazza facile.
«Tu sembri una monaca invece», commentò Eugenia.
«Sono una dama medievale e quelle erano donne caste e maritate al miglior partito».
Clarissa rise delle sue sciocche parole e si aggiustò i capelli scuri, acconciati in morbidi boccoli. Le maniche svasate dell’abito scarlatto si aprivano a ventaglio ogni qualvolta muoveva le braccia.
«Sono curiosa di vedere come si è mascherato Filippo», riprese Eugenia mentre si avviavano al terzo piano di una delle palazzine in viale Trastevere.
«Avrà scelto un abito costosissimo, tanto per sembrare il solito pallone gonfiato».
«Spero che di gonfio abbia almeno il cavallo dei pantaloni».
Clarissa si voltò a guardare la sua amica che sghignazzava, per niente imbarazzata di quello che aveva appena detto. Eugenia aveva un debole per Filippo fin da quando lui aveva cominciato a lavorare come magazziniere nel team della De Vinci’s Company, un sacchettificio romano che sembrava non conoscere la crisi economica. A Clarissa, invece, quel tipo non era mai piaciuto. Come avrebbe potuto interessarsi a un ragazzo che si preoccupava delle sue sopracciglia molto più di quanto non lo facesse lei con le proprie?
«Io piuttosto sono curiosa di vedere come si è conciato il capo. Picchiami, se gli scoppio a ridere in faccia».
Giuseppe De Vincis vestiva in maniera stravagante anche nei giorni feriali e Clarissa non osava immaginare come si fosse combinato quella sera. Eugenia non rispose. Si fermò davanti al portone spalancato di una palazzina e vi s’infilò dentro. Clarissa la seguì, anche se gli schiamazzi che le giunsero alle orecchie, nonostante dovessero ancora risalire le scale, le avevano fatto venire già voglia di tornarsene a casa. Non le piacevano le feste in maschera: adulti truccati come fosse carnevale, che giocavano a essere qualcun altro, scimmiottando famosi personaggi dell’immaginario comune ai quali non somigliavano neanche lontanamente. Ma ci teneva al suo posto di lavoro e ad andare in ferie quando più gradiva, pertanto sarebbe stata al gioco. A un certo punto della serata poteva comunque filarsela, adducendo come scusa un tremendo mal di testa, come una moderna Cenerentola annoiata.
Ancor prima di raggiungere il terzo piano, oltre agli schiamazzi, le arrivò alle orecchie la musica strumentale di una canzone che Clarissa non conosceva e, quando lei ed Eugenia si piazzarono sulla soglia dell’appartamento del loro capo, un uomo travestito da Batman diede loro il benvenuto. Clarissa si morse un labbro per non scoppiare a ridere e accennò un inchino per ricambiare il saluto. Era o non era una dama medievale? Senza rendersene conto si era appena calata nella parte. Eugenia si aggrappò al braccio dell’amica e insieme si mischiarono a una folla variopinta di maschere di tutti i tipi: c’era Arlecchino, qualche personaggio dei Manga, diversi zombie e alcuni vampiri. Un’accozzaglia di gente sconosciuta, celata dietro ai propri mascheramenti. Clarissa non riconobbe nessuno dei suoi colleghi di lavoro e, a giudicare dalla quantità dei presenti, Giuseppe De Vincis doveva aver esteso l’invito anche ad amici e familiari. Cercò con gli occhi il suo capo per rivolgergli un frettoloso augurio di buon compleanno, ma le fu impossibile trovarlo. L’appartamento non era molto grande ed era troppo gremito per i suoi gusti. Trascinò Eugenia verso un angolo della sala, per respirare almeno dell’aria fresca e pulita.
«Vedi qualcuno dei nostri?», le domandò cercando di scorgere almeno Anna o Fabrizio, due degli addetti al servizio marketing dell’azienda.
Eugenia scosse la testa. Sembrava che lei invece fosse propensa a divertirsi, quella sera.
«Andiamo a ballare?», domandò.
Clarissa lanciò attorno delle occhiate distratte e annoiate.
«No. Io esco… ho bisogno di aria», annunciò puntando la porta dalla quale era entrata ma che adesso le sembrava lontana anni luce. Tutta colpa del caos che la separava dalla sua unica via di fuga.
Eugenia non la seguì e mise in pratica le sue intenzioni, gettandosi nella mischia e unendosi agli ospiti che si dimenavano al centro della stanza come fossero già ubriachi. Clarissa la vide piazzarsi accanto a due tizi travestiti da vampiri, con i quali si perse subito nelle danze. Alzò gli occhi al cielo, fece un profondo respiro e s’incamminò facendosi largo tra le maschere, sperando di riconoscere qualcuno. Era quasi arrivata alla porta lasciata spalancata e ancora presidiata da Batman, quando si sentì afferrare per un gomito. Si arrestò e sussultò.
«Andate già via, mia signora?».
Una voce calda e profonda le mozzò il respiro, come se fosse stato già facile respirare in mezzo a tutta quella calca. Voltò e sollevò il capo quel tanto che bastava per ritrovarsi di fronte il viso di un ragazzo ricoperto per metà da una maschera bianca. Ma, sebbene si sforzasse di capire chi vi fosse nascosto sotto, non ci riuscì.
«Volevo solo prendere una boccata d’aria», si ritrovò a rispondere.
Lo sconosciuto non aveva ancora mollato la presa sul suo braccio.
«Questa allora è la direzione sbagliata».
Clarissa si ritrovò a essere trascinata verso una terrazza della quale non sospettava nemmeno l’esistenza. Ebbe un primo moto di diffidenza, ma poi si lasciò andare. Erano a una festa in maschera e forse il tipo che l’aveva adescata poteva essere uno dei suoi colleghi, che si stava semplicemente burlando di lei. Magari era Patrizio, il capo corriere. Dall’altezza e dalla stazza sembrava proprio lui. Quando raggiunsero la terrazza, Clarissa fece un altro profondo respiro. L’aria pulita della sera le rinfrescò anche i pensieri. L’uomo dalla maschera bianca non le lasciò il gomito nemmeno ora che si erano allontanati dalla calca. Tornò a osservarlo, accorgendosi di essere in errore. Patrizio non aveva gli occhi verdi.
«Siete molto bella questa sera, mia signora».
Clarissa a quelle parole scoppiò a ridere.
«Dài, piantala. Chi diamine sei? Non ti ho mica riconosciuto, sai?»
«Sono il Fantasma dell’Opera. Per servirvi».
Lo sconosciuto la lasciò andare ma solo per fare un inchino, a causa del quale il suo mantello scuro svolazzò. Clarissa alzò un sopracciglio. Sapeva che in azienda erano da poco entrati altri due magazzinieri che lavoravano part time e che aveva visto di rado. Magari quel tizio poteva essere uno di loro. Oppure il Fantasma non era altri che un amico eccentrico del suo eccentrico capo. Clarissa decise di stare al gioco.
«Servirmi, eh? E quali servizi vorresti offrirmi, questa notte?».
Si accorse troppo tardi che avrebbe potuto essere fraintesa. Il Fantasma dell’Opera sghignazzò e le si avvicinò. Clarissa sentì il proprio cuore accelerare i battiti, senza una ragione. Su quella terrazza non erano soli, c’erano altre persone mascherate che chiacchieravano o flirtavano, quindi non aveva motivo di avere paura. Eppure le ginocchia iniziarono a tremarle. Non riuscì a frenare la mano mentre si sollevava per strappare via la maschera e scoprire chi vi si celasse sotto. Ma le sue dita non arrivarono mai a destinazione perché lui le bloccò, imprigionandole tra le proprie. Clarissa si ritrovò a fissare prima quegli occhi verdi e profondi, nei quali perdersi, poi il volto coperto per metà e irriconoscibile.
«Ma chi sei? Ti conosco?».
Un campanello d’allarme prese a suonarle nella testa. Per tutta risposta il Fantasma dell’Opera, o chiunque si nascondesse sotto quel travestimento, chinò il capo verso di lei e Clarissa temette che volesse baciarla. Invece lo sconosciuto indirizzò le proprie labbra sul suo collo, dove prese a lambire la pelle che trovò rovente nonostante la frescura della notte. Clarissa sussultò e sbarrò gli occhi, ma non si mosse. Lasciò che lo sconosciuto le accarezzasse la pelle del collo con le proprie labbra e arrivasse alla clavicola, che la scollatura del vestito lasciava scoperta. Il suo profumo sapeva di acqua marina. Nonostante i baci fossero audaci, era generoso e paziente. Clarissa trattenne il respiro quando lo sconosciuto le cinse la vita con le braccia e accostò il bacino al suo. Allora sentì la sua erezione svettare verso di lei, gonfia e desiderosa.