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Vento sul lago (eLit): eLit
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E-book286 pagine21 ore

Vento sul lago (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Robert Cannon è un magnate di successo e non si fa troppi scrupoli, se necessario, a manipolare le persone, come un burattinaio. Nell'indagine che sta conducendo su un caso di spionaggio industriale, ritiene che la bella Evangeline Shaw sia coinvolta, non esita quindi a contattarla e a corteggiarla. A un certo punto, però, la situazione tra loro diventa compromettente e Robert inizia a dubitare delle sue ricerche: o Evie è in grado di recitare alla perfezione un ruolo assai difficile oppure è uno strumento innocente nelle mani di qualche losco individuo. Proprio mentre cerca di venire a capo di questi dubbi, mettendo in serio pericolo l'intera indagine, Evie viene a conoscenza dei suoi sospetti...
LinguaItaliano
Data di uscita1 lug 2019
ISBN9788830502963
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    Anteprima del libro

    Vento sul lago (eLit) - Linda Howard

    1

    Davis Priesen non riteneva di essere un vigliacco, ma avrebbe preferito subire un'operazione a cuore aperto senza anestesia invece di dover affrontare Robert Cannon e fornirgli quell'informazione.

    Ovviamente Cannon non lo avrebbe ritenuto responsabile per la brutta notizia. Azionista di maggioranza, amministratore e presidente del Cannon Group, era abituato a destreggiarsi nel mondo dell'industria e dell'alta finanza, perciò non avrebbe mai commesso l'errore di prendersela con il messaggero. Ma Davis sapeva per esperienza che i suoi gelidi occhi verdi avrebbero assunto un'espressione ancora più fredda e scostante, tanto da provocargli un brivido di paura.

    La reputazione di un uomo giusto e imparziale si accompagnava a quella di spietato, se qualcuno cercava di fregarlo.

    Non c'era persona al mondo che Davis stimasse e rispettasse di più, ma l'ammirazione non diminuiva il timore.

    Altri uomini, nella sua posizione e con il suo potere, si sarebbero circondati di uno stuolo di assistenti per isolarsi dal mondo dei comuni mortali. Invece a lui bastava la segretaria personale che, come un mastino, faceva la guardia al sancta sanctorum del suo ufficio. Il fatto che gli bastasse una sola persona di fiducia per tenere a bada tutti i seccatori era un segno del grande controllo che esercitava e del suo assoluto distacco.

    D'altronde non avrebbe potuto scegliere segretaria migliore per quel ruolo di filtro. Felicia Koury gestiva l'ufficio con la precisione di un orologio svizzero da otto anni. Era alta e snella, di età indefinibile. I capelli grigi contrastavano con la carnagione liscia, da ragazzina; era compassata anche nei momenti di emergenza, spaventosamente efficiente, e non mostrava mai il minimo segno di nervosismo in presenza del capo.

    Davis aveva chiamato per avvertire del suo arrivo e assicurarsi che Cannon potesse riceverlo, perciò lei non si mostrò sorpresa quando lo vide entrare.

    «Buongiorno, signor Priesen» lo salutò Felicia, prima di prendere il microfono e premere un pulsante. «C'è il signor Priesen per lei, signore.» Riagganciò e si alzò dalla scrivania. «Prego, si accomodi» disse a Davis.

    Con gesti fluidi e la consueta efficienza che intimidivano, arrivò alla porta dell'ufficio di Cannon, l'aprì e la richiuse alle spalle dell'ospite. Il suo atteggiamento non dimostrava servilismo, ma autorità, come se non le sfuggisse niente.

    L'ufficio di Robert Cannon era grande come una piazza d'armi e arredato con gusto ed eleganza. Tanta esibizione di lusso e raffinatezza non dava un'impressione eccessiva; anzi, aveva un effetto rilassante, nonostante i quadri alle pareti fossero autentici capolavori e il tappeto persiano al centro della stanza fosse di antiquariato. A destra c'era una zona relax, con un divano, due poltrone e una parete attrezzata con televisore a schermo piatto, stereo, DVD e vari gadget elettronici, anche se Davis dubitava che Cannon li usasse per divertirsi e non esclusivamente per lavoro.

    In un'altra parete c'erano sei finestre, da cui si godeva uno splendido panorama di New York. I vetri molati riflettevano la luce e incorniciavano la vista incomparabile come altrettanti quadri.

    Anche la massiccia scrivania era antica, un capolavoro di legno scuro intagliato che si diceva fosse appartenuta a uno zar.

    Cannon si intonava perfettamente a quella autorevolezza. Era alto e snello, con l'eleganza e l'energia fluida di una pantera, che ricordava anche per i capelli neri lisci e gli occhi color di giada. Il suo portamento aveva una grazia quasi indolente, ben lontana dalla realtà. Chi lo sottovalutava per il suo atteggiamento dinoccolato commetteva un errore molto pericoloso.

    Quando vide Davis, Robert si alzò in piedi e gli strinse la mano con la presa di acciaio delle lunghe dita sensibili. A volte, lo invitava a sedersi con lui sul divano e prendere un caffè. Tuttavia, quella non era una visita di cortesia. Cannon era giunto dov'era anche per la capacità di intuire i pensieri delle persone dal minimo indizio del loro atteggiamento e infatti notò immediatamente i lineamenti tesi del suo ospite.

    «Vorrei dire che mi fa piacere vederla, ma temo che lei non sia venuto a portarmi buone notizie.»

    Il tono era neutro e disinvolto, ma Davis sentì la tensione aumentare. «Esatto, signore.»

    «È colpa sua?»

    «Assolutamente no, signor Cannon.» Poi, onesto fino all'estremo, ammise: «Però avrei dovuto accorgermene prima».

    «Se non ha fatto niente di male, non ha nulla da temere, perciò si rilassi e si sieda» lo invitò, tornando ad accomodarsi dietro la scrivania. «E ora mi dica qual è il problema.»

    Davis si sedette, anche se rilassarsi era fuori discussione. «Qualcuno a Huntsville sta vendendo il nostro software per la stazione spaziale» gli rivelò d'un fiato.

    Robert Cannon non era un tipo dall'atteggiamento irrequieto, ma, a quell'annuncio, si irrigidì e i suoi occhi verdi assunsero lo sguardo letale tanto temuto. «Ne ha le prove?»

    «Sissignore.»

    «Sa chi è?»

    «Ne sono abbastanza sicuro.»

    «Mi aggiorni.» Con quella richiesta brusca, Robert si appoggiò allo schienale della poltrona e fissò Davis con le sue iridi inquietanti e penetranti come due raggi laser.

    Davis ubbidì, balbettando di tanto in tanto, impacciato, mentre cercava di spiegare da dove fossero sorti i sospetti e come avesse deciso di fare personalmente qualche indagine prima di muovere accuse precise contro qualcuno.

    Cannon lo ascoltò in silenzio, asciugandosi di tanto in tanto una gocciolina di sudore dalla fronte o dal labbro superiore.

    La PowerNet, di Huntsville, nell'Alabama, era un'azienda che faceva parte del gruppo industriale di Cannon ed era attualmente impegnata a sviluppare dei sofisticati software specializzati, espressamente per la NASA. I lavori di ricerca erano coperti dal più stretto riserbo, ma Davis aveva scoperto che il software era finito improvvisamente nelle mani di una società dipendente da un altro paese. Non si trattava dunque di semplice spionaggio industriale, che di per sé sarebbe stato già abbastanza grave. Era un vero e proprio atto di tradimento.

    I sospetti di Davis si erano concentrati su Landon Mercer, il direttore dell'azienda. Mercer aveva divorziato l'anno prima e il suo stile di vita era notevolmente migliorato. Il suo stipendio era buono, ma non tanto da permettergli di mantenere la famiglia e sostenere un tenore di vita così elevato. Davis si era rivolto con discrezione a un'agenzia di investigazioni e aveva scoperto che nel conto in banca di Mercer erano stati fatti dei versamenti consistenti. Dopo averlo pedinato per qualche settimana, l'investigatore aveva riferito che Mercer si recava con regolarità presso un porticciolo a Guntersville, una cittadina non lontana, situata su un laghetto creato arginando il fiume Tennessee.

    L'approdo turistico era di proprietà di una donna, una certa Evie Shaw, che lo gestiva. L'investigatore non aveva ancora tratto delle informazioni rilevanti dalle indagini sul conto in banca della donna e sul suo tenore di vita, ma questo poteva semplicemente significare che era più furba di Mercer.

    Tuttavia, per almeno due volte, Mercer aveva affittato un piccolo motoscafo al porticciolo e, poco dopo che lui aveva lasciato il molo, Evie Shaw aveva chiuso il chiosco, preso la sua imbarcazione personale e lo aveva seguito. Erano tornati separatamente, a un intervallo di circa un quarto d'ora. Sembrava che si fossero incontrati da qualche parte sul lago, che era abbastanza grande da permettere loro di nascondere con facilità le rispettive imbarcazioni, celare alla vista quello che stavano facendo e sentire e vedere chiaramente se si stava avvicinando qualcuno.

    Incontrarsi di nascosto in qualche anfratto, al riparo della vegetazione lacustre, era molto più tranquillo che cercare di condurre affari loschi e clandestini nel porticciolo sempre piuttosto affollato.

    Anzi, il fatto che fosse un approdo trafficato rendeva ancora più sospetto che la proprietaria chiudesse l'attività di colpo in pieno giorno, senza preavviso e senza alcun motivo apparente.

    Davis tacque e guardò Robert, fremendo per l'ansia e tormentandosi nervosamente le mani.

    «Grazie» disse lui in tono calmissimo. «Avvertirò l'FBI e mi occuperò io della faccenda d'ora in poi. Può tornare al lavoro.»

    «Mi dispiace molto di non essermene accorto prima.»

    «Non è lei che cura le questioni relative alla sicurezza» puntualizzò Robert, indulgente. «C'è qualcuno che non è stato abbastanza efficiente in quel reparto. Provvederò anche a individuare le eventuali responsabilità dirette. È una fortuna per l'azienda che lei sia tanto perspicace e zelante.»

    Davis arrossì, confuso e compiaciuto per il complimento, soprattutto visto che veniva da una persona che andava sempre dritto al sodo ed era di poche parole.

    Robert prese mentalmente un appunto, ripromettendosi di aumentare lo stipendio di Davis Priesen, che era già generoso, e assegnargli maggiori poteri e responsabilità. Un elemento del genere era prezioso per l'azienda, il suo acume e lo spirito di iniziativa andavano premiati.

    «Quelli dell'FBI vorranno sicuramente parlare con lei, perciò resti nei paraggi e si renda disponibile per oggi» gli raccomandò.

    «Sissignore.» Davis si alzò, lo salutò e se ne andò.

    Appena ebbe chiuso la porta, Robert chiamò l'FBI dalla sua linea privata.

    Aveva dei contatti diretti perché aveva avuto modo di collaborare con l'agenzia in precedenza, perciò riuscì a farsi passare subito l'ispettore capo, a cui chiese di mandare il più presto possibile nel suo ufficio due dei suoi agenti migliori. Anche se dal tono non trapelava minimamente l'ira, la sua influenza era tale che non gli fu fatta alcuna domanda, ma gli fu assicurato un pronto intervento.

    Mentre aspettava, Robert rifletté sulle opportunità che aveva e le soluzioni. Pur essendo furibondo, controllò la rabbia affinché non offuscasse la sua capacità di giudizio. Le emozioni incontrollate, a suo parere, erano inutili quanto stupide, e lui non si concedeva mai il lusso d'indulgere nella stupidità.

    Comunque la notizia che qualcuno, in una delle aziende del suo gruppo, aveva venduto programmi segreti gli era parso un affronto personale. Era una macchia sulla reputazione. Nutriva il più profondo disprezzo per chi era capace di tradire il proprio paese. Non si sarebbe fermato davanti a nulla per bloccare la fuga di materiale riservato e far finire i colpevoli dietro le sbarre.

    Gli agenti si presentarono nel suo ufficio venti minuti dopo, quando Robert aveva già formulato un piano di azione.

    Si alzò per accoglierli e, nel frattempo, li esaminò con il suo sguardo freddo e penetrante.

    Il più giovane era sulla trentina; si riconosceva lontano un miglio come un agente di livello intermedio, ma aveva una sicurezza nel portamento che gli piacque immediatamente. L'altro era un cinquantenne dai capelli brizzolati, non molto alto e robusto. Aveva gli occhi stanchi dietro gli occhiali dalla montatura sottile di metallo, tuttavia lo sguardo penetrante emanava intelligenza e autorità. Si capiva che aveva una certa esperienza ed era quello che comandava, tra i due.

    Fu lui a prendere la parola per primo. «Signor Cannon, sono William Brent, agente anziano dell'FBI. Il mio collega è Lee Murray, agente speciale assegnato al controspionaggio.»

    «Controspionaggio...» mormorò Robert. La sua presenza significava che l'FBI aveva già compiuto delle indagini sulla PowerNet. «Prego, sedetevi. Avete indovinato.»

    «Non è stata un'intuizione geniale» rispose l'agente Brent ironicamente, mentre si accomodavano. «Purtroppo un'azienda come la sua, a cui il governo affida diversi contratti importanti, è un bersaglio allettante di attività di spionaggio. Stando alle informazioni in mio possesso, anche lei ha una certa esperienza in questo campo.»

    Robert annuì. L'agente gli piaceva; ispirava fiducia e al tempo stesso era un tipo scaltro. Era chiaro che voleva accertarsi se lui sapeva qualcosa e quindi comportarsi di conseguenza.

    Robert decise che non si sarebbe lasciato manipolare. «Sembra che abbiate avuto delle informazioni poco rassicuranti. Mi piacerebbe sapere per quale motivo non mi avete contattato immediatamente.»

    Brent accennò a una smorfia di disappunto. Aveva sentito dire che Cannon era uno a cui non sfuggiva niente, però non credeva che fosse tanto perspicace. Aveva condotto qualche ricerca sul suo conto: proveniva da una famiglia altolocata a cui non mancavano né denaro né cultura, ma era diventato immensamente ricco grazie alla sua astuzia e al suo fiuto negli affari. Alla reputazione irreprensibile si aggiungevano molti amici nelle alte sfere del governo. Godeva della stima e del rispetto di parecchie personalità influenti.

    Quando erano incominciate a trapelare le prime voci strane sui traffici illeciti di informazioni riservate provenienti dalla PowerNet, un pezzo grosso del governo aveva chiesto personalmente all'FBI di informare Robert Cannon prima di prendere qualunque iniziativa. Brent aveva protestato che, così facendo, avrebbero rischiato di compromettere le indagini, nel caso in cui Cannon stesso fosse stato coinvolto nella fuga di notizie, ma aveva capito che era considerato al di sopra di ogni sospetto, anche grazie ai servigi resi al paese in parecchie questioni delicate.

    Brent aveva acconsentito, seppure con una certa riluttanza, a metterlo al corrente della situazione prima di attuare qualsiasi piano.

    Cannon li aveva spiazzati contattando per primo l'FBI, ma Brent aveva deciso di fargli fare la prima mossa per scoprire fino a che punto sapesse, senza dare alcuna informazione prima di aver capito perché li avesse chiamati. La strategia non aveva funzionato, perché Cannon aveva intuito il loro gioco.

    Brent era abituato a capire al volo la personalità del suo interlocutore, ma il viso di Robert Cannon era impenetrabile. La prima impressione che dava era quella di un uomo ricco, colto e sofisticato, in realtà era solo una patina superficiale. Il suo carattere era molto più complesso e nascondeva sfaccettature che si potevano solo intuire e che erano ben nascoste allo sguardo dei più.

    Prendendo una decisione improvvisa e istintiva, William Brent si piegò leggermente in avanti. «Signor Cannon, le dirò più di quanto avevo in mente di fare. Abbiamo scoperto che ci sono dei problemi in una delle sue aziende, una ditta produttrice di software dell'Alabama.»

    «Sono stato informato a grandi linee della questione. Facciamo così.» Robert non sembrava per nulla sorpreso. «Vi informerò di quello che so e lei potrà aggiungere qualche cosa, se lo riterrà opportuno.»

    Brent fece un cenno di assenso e Robert gli riferì le notizie avute da Priesen. I due agenti si scambiarono un'occhiata perplessa e stupita, e questo significava che ne sapevano di meno.

    Brent fece dei colpettini imbarazzati di tosse, poi sorrise. «Congratulazioni. Ci ha dato informazioni preziose per le nostre indagini. Ci saranno davvero molto utili.»

    «Domattina mi recherò sul posto» annunciò Robert, serafico.

    Brent gli lanciò un'occhiata carica di disapprovazione. «Signor Cannon, apprezziamo l'interessamento e il desiderio di aiutarci, ma sarà meglio che di queste cose se ne occupi direttamente il Bureau.»

    «Guardi che ha capito male. Il mio intento non è di darvi una mano, bensì di risolvere la cosa personalmente. Si tratta di una mia azienda, per cui è un mio problema e me ne occuperò io. Vi sto informando della situazione e delle mie intenzioni. Non devo neanche escogitare un modo per procurarmi una copertura e giustificare il mio interesse per i movimenti del personale, visto che la società è di mia proprietà e posso visitarla quando e come voglio. Vi terrò informati di ogni possibile sviluppo.»

    «No, no, è fuori discussione.»

    «Chi meglio di me può cercare di scoprire qualcosa? Una talpa dell'FBI impiegherebbe mesi soltanto a costruirsi una copertura convincente e a guadagnarsi la fiducia dei colleghi. Oppure volete indagare apertamente, con il rischio di spaventare il colpevole? Io ho accesso a tutte le informazioni relative alle attività dell'azienda e la mia presenza non sarebbe allarmante. Non sono un dilettante» dichiarò in tono gentile ma fermo.

    «Me ne rendo conto, signor Cannon» ammise l'agente.

    «Allora le suggerisco di discuterne con i suoi superiori. Nel frattempo comincerò a occuparmi della cosa.» Si alzò, dopo aver lanciato un'occhiata eloquente all'orologio.

    Non aveva dubbi che, quando Brent avesse riferito il loro colloquio, sarebbe rimasto sbalordito dalla velocità con cui sarebbe stata accettata quella decisione. Gli avrebbero sicuramente detto di farsi da parte e lasciare che Cannon risolvesse il problema a modo suo.

    Ovviamente l'FBI avrebbe dato tutta l'assistenza necessaria e mandato qualche agente di supporto se fosse stato richiesto, però sarebbe stato Cannon in persona a tenere in mano le redini dell'operazione e a gestirla.

    Dopo aver salutato i due agenti, Robert passò il resto della giornata a organizzarsi in modo da annullare gli impegni nei giorni successivi. Prima di andare via dall'ufficio, controllò l'orologio e telefonò a sua sorella, anche se non era sicuro di trovarla a casa. A New York erano le otto, ma nel Montana le sei e d'estate si lavorava fino a tardi nei ranch.

    Fu contento quando lei sollevò il microfono al terzo squillo.

    «Qui è il manicomio Duncan. Sono Madelyn, la tuttofare. Desidera?» rispose scherzosamente.

    Robert fece una risatina, sentendo in sottofondo i suoi nipotini che stavano facendo un baccano infernale. «Hai avuto una giornata impegnativa, tesoro?»

    «Ciao, Robert!» esclamò, felice di sentirlo. «Impegnativa è un blando eufemismo. Per caso, ti andrebbe di ospitare i tuoi dolci nipotini per una breve vacanza, diciamo, una ventina d'anni?»

    «Solo quando li avrai addomesticati.» Rise. «Sto partendo. Ti ho chiamato per salutarti.»

    «Dove vai di bello, questa volta? Londra? Parigi? Le Hawaii? Fammi sognare...»

    «Huntsville, Alabama.»

    «Farà un caldo infernale.»

    «Lo so.»

    «Potresti addirittura sudare. Immagina quanto ne saresti turbato.»

    «È un rischio che devo correre per forza» replicò, adottando lo stesso tono burlesco.

    «Allora deve trattarsi di una questione importante» dedusse Madelyn. «Hai dei problemi?»

    «Qualche fastidio.»

    «Stai attento.»

    «Come sempre. Ti richiamo per avvertirti quanto tempo dovrò trattenermi.»

    «Va bene. Buon viaggio. Mi raccomando, eh? Occhi aperti.»

    «Non dubitare. E tu non farti divorare viva da quei mostri dei tuoi figli.»

    La sorella sospirò. «Ci provo. Stavo pensando di comprare un'armatura medievale e un lanciafiamme per tenerli a bada.»

    Robert rise. Interruppe la comunicazione con un sorriso pieno di affetto che gli aleggiava sulle labbra. Era tipico di sua sorella non fare domande dirette, ma intuire immediatamente la gravità del problema che lo attendeva. Aveva rispettato la sua riservatezza e nello stesso tempo gli aveva trasmesso affetto e sostegno. Sapeva di poter sempre contare su di lei. Nonostante in realtà fosse soltanto la sua sorellastra, era molto legata a lui.

    Subito dopo, telefonò alla donna con cui usciva in quel periodo, Valentina Lawrence. Il loro rapporto non era impegnativo a tal punto che Robert potesse aspettarsi che lei attendesse il suo ritorno, perciò la cosa più semplice era liberarsi da qualsiasi obbligo e farle capire chiaramente che avrebbe potuto uscire con chi voleva.

    Era davvero un peccato rinunciare a lei. Valentina era sempre circondata da uno stuolo di corteggiatori e non sarebbe rimasta sola a lungo, mentre Robert sospettava di doversi trattenere in Alabama almeno per qualche settimana.

    Era il tipo di donna da cui lui era sempre stato attratto: sofisticata, alta, snella e flessuosa, con seno piccolo e lunghe gambe da gazzella. Sempre truccata in maniera impeccabile ma poco vistosa, vestiva con eleganza e innegabile gusto. Era simpatica, di piacevole compagnia, appassionata di teatro e d'opera quanto lui. Per Robert era la compagna ideale.

    Non gli piaceva restare solo, per cui aveva accolto con piacere l'arrivo di Valentina nella sua vita. Era contento della propria libertà, tuttavia preferiva avere una donna al fianco e preferiva un rapporto stabile, anche se non necessariamente duraturo. Non apprezzava le avventure di una notte ed evitava il più possibile di sedurre una donna finché il rapporto non era diventato più profondo.

    Valentina accolse con garbo la notizia della sua imminente partenza e della sua assenza protratta. Anche lei sapeva perfettamente che nessuno dei due poteva avanzare alcuna pretesa sull'altro. Robert notò il suo tono dispiaciuto, però, dopo aver chiuso la comunicazione, si accorse che lei lo aveva salutato senza chiedergli di richiamarla appena fosse tornato.

    Ora era libero di partire. Era irritato per quello che aveva perso; il problema in Alabama gli stava già costando parecchi sacrifici, ancora prima di aver messo piede a Huntsville.

    Quando sentì bussare alla porta, si riscosse e fissò l'uscio con aria infastidita, accigliato.

    «Avanti!»

    Felicia si affacciò. «Scusi il disturbo...»

    «Perché non sei andata via? Mi dispiace averti trattenuto fino a tardi» la rimproverò bonariamente. «Che c'è?»

    «È arrivata questa busta per lei. L'ha portata un corriere.» Si avvicinò e gliela porse, ignorando il suo commento. Anche se era tardi, capitava raramente che andasse a casa prima che il capo fosse uscito dall'ufficio.

    «Grazie, ma ora vai. Non voglio sentirmi in colpa per te. Ho già tanti grattacapi.»

    «Posso fare qualcosa per lei, prima? Gradisce un caffè?»

    «No, fra poco andrò via anch'io.»

    «Allora arrivederci. Faccia buon viaggio.»

    Robert rifletté, cupo. Dubitava che quel viaggio potesse essere buono, e ancor meno tranquillo. Era assetato di vendetta e non si sarebbe fermato davanti a niente finché non avesse fatto scorrere il sangue del traditore.

    Aprì la busta non intestata e tirò fuori la fotocopia piuttosto sfocata di una foto, un breve riassunto della situazione e un messaggio dell'agente Brent, che lo informava dell'identità della donna ritratta nella fotografia e ribadiva che il Bureau era disposto a collaborare con lui in ogni modo.

    Esaminò l'immagine, notando la scarsa qualità della foto. Ritraeva una donna ferma sul molo, con dei motoscafi sullo sfondo.

    Quindi ecco com'era Evie

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