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Un Impeto D’ira
Un Impeto D’ira
Un Impeto D’ira
E-book255 pagine3 ore

Un Impeto D’ira

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Info su questo ebook

Nessuno versa una lacrima quando il malfattore locale Scott Stevenson viene ritrovato morto con una zanna d'avorio incastrata nel petto.


Il compito di assicurare l'assassino alla giustizia viene affidato al Detective Alex Warren. Il caso si rivela più complicato del previsto quando il numero di persone coinvolte con Stevenson svela agli agenti una rete di crimini motivati dal sesso e dall'avidità: quello che sembrava soltanto un delitto fantasioso si trasforma in un mistero senza fine da risolvere al più presto. La conta delle vittime sale, le piste scarseggiano e le prove sono dei vicoli ciechi. Riusciranno Alex Warren e la sua squadra a risolvere il caso prima che l'assassino colpisca ancora?


Un impeto d'ira è un romanzo giallo intrigante e complesso ambientato nelle strade piovose della città di Glasgow.

LinguaItaliano
Data di uscita10 gen 2022
ISBN4824111757
Un Impeto D’ira

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    Anteprima del libro

    Un Impeto D’ira - Zach Abrams

    1

    Dopo una mattina piuttosto ordinaria, la giornata di Alex Warren aveva preso una svolta decisamente negativa. Non si sentiva affatto contento.

    Lo spettacolo stomachevole del cadavere che si presentava ai suoi occhi era un pasticcio di sangue e viscere. Una macchia rosso brillante si espandeva dalla ferita, costellata di brandelli di carne un tempo morbida e grumi di sangue scuro ormai rappresi. Gli occhi spalancati e colmi di orrore della vittima inasprivano la profonda bruttezza della scena. L’odore del sangue si insinuò nelle narici di Warren. Immaginò di sentire quel sapore metallico sulla lingua e venne assalito dalla nausea. Lanciò un’ultima occhiata al cadavere con estrema riluttanza prima di espirare rumorosamente. Anche quando distolse lo sguardo gli sembrò che tutta la stanza fosse dipinta di rosso sangue. Era confuso. Non c’erano dubbi sul modo in cui Stevenson era stato assassinato e Warren sospettava persino di conoscere il movente che aveva animato il suo aggressore. Non era sorpreso che qualcuno lo avesse ucciso, piuttosto che non lo avesse fatto prima. A lasciare Warren più perplesso era la lunga lista di possibili colpevoli.

    La postura solitamente imponente dell’ispettore capo Alex Warren era cedevole, le spalle ricurve. I capelli neri sembravano indomabili e le guance rasate di fresco, generalmente ossute e spigolose, erano flosce; il suo tipico colorito salutare aveva lasciato il posto a una tinta molto simile a quella della tuta protettiva bianca che indossava. Di solito dimostrava poco più di trent’anni, ma quel giorno tutte le sue quarantuno primavere sembravano pesargli sulle spalle. Soltanto i suoi vivaci occhi verdi mantenevano la loro brillantezza usuale. Era demoralizzato per essere stato scelto come responsabile delle indagini e aver ricevuto l’ingrato compito di rintracciare l’assassino di Stevenson. Era inusuale per lui non avere voglia di risolvere un crimine. La motivazione principale di quell’inerzia risaliva al fatto che era contento di vedere Scott Stevenson finalmente morto: la persona che gli aveva tolto la vita, per lui, era più un eroe che un criminale, eppure gli spettava il compito di scoprire la sua identità e assicurarlo alla giustizia. Ma si trattava davvero di giustizia?

    Alex Warren conosceva fin troppo bene Scott Stevenson. Aveva ricevuto innumerevoli denunce che lo dipingevano come un ladro e un imbroglione che sottraeva con l’inganno alle sue vittime, specialmente anziani indifesi, i risparmi di una vita, oggetti di valore e qualsiasi eredità che avessero messo da parte per i loro parenti prossimi. Almeno tre dei poveri vecchietti imbrogliati, stando ai fascicoli di Warren, si erano ammalati gravemente fino a morire per il dolore causato da Stevenson.

    Sebbene non potesse esprimere la sua opinione a voce alta, Warren riteneva che Stevenson meritasse di morire e credeva che l’antica scultura d’avorio lunga quasi mezzo metro che gli avevano piantato nel petto fosse un’arma del delitto appropriata. La scultura aveva una forma di luna crescente ed era probabilmente appuntita. Sembrava essere stata intagliata a partire dal corno di un elefante e Warren non poté evitare di sorridere di fronte all’ironia della situazione. Si dice infatti che gli elefanti abbiano una memoria infallibile e chiaramente non erano gli unici a non aver dimenticato le malefatte di Stevenson. Inoltre, la vittima si era fatta un nome nel giro di affari loschi che coinvolgevano oggetti di antiquariato. Utilizzare un antico corno di elefante intagliato per ucciderlo era stata senza dubbio una mossa molto azzeccata.

    Scott Stevenson non aveva qualità positive. Era alto un metro e sessanta e largo poco meno. La ciliegina sulla torta che era quel suo corpo obeso aveva una testa sferica, pelata, ornata da un paio di occhiali dalla montatura spessa e nera che non facevano altro che enfatizzare i suoi occhietti da suino, un naso altrettanto animalesco e due grosse orecchie a punta che avrebbero reso fiero un Vulcaniano. A una simile avvenenza corrispondeva un carattere vanesio che l’aveva portato a vantarsi di quando, una notte, una donna di cui aveva comprato tempo e servizi lo aveva adulato dicendogli che aveva il corpo di un dio, incapace com’era di cogliere il suo evidente sarcasmo e un’allusione a Buddha. Ma il suo aspetto fisico non era niente se paragonato al suo carattere deprecabile. Negli anni aveva sviluppato una strategia spregevole: entrava nelle grazie degli anziani più soli e desiderosi di compagnia, specialmente se si trattava di docili vecchiette, per ottenere l’opportunità di accedere alle loro abitazioni. Una volta entrato, anche se le sue vittime si mostravano restie a fornire troppe informazioni, impiegava ben poco a identificare eventuali oggetti di valore. In passato aveva preso di mira i loro risparmi, sfruttando la fiducia che gli anziani riponevano in lui per convincerli a investire in affari poco raccomandabili, assicurando delle facili opportunità di guadagno con cui avrebbero potuto migliorare le loro condizioni di vita e quelle dei loro cari. Aveva sottoscritto delle assicurazioni sulla vita prima che venissero regolate dalle leggi attuali, poi aveva proposto investimenti loschi ma a suo dire enormemente redditizi in settori che andavano dei mercati immobiliari esteri fino all’allevamento delle ostriche. Negli ultimi anni si era concentrato invece sugli oggetti di antiquariato e le suppellettili di pregio: convinceva le sue vittime che stava facendo loro un favore a liberarli di quegli oggetti polverosi, che pagava una frazione infinitesimale del loro valore e poi rivendeva per cifre esorbitanti. Sfortunatamente era difficile, anzi, quasi impossibile dimostrare il crimine commesso, perché Stevenson era sempre stato molto meticoloso nel compilare e conservare i documenti che giustificavano e confermavano le sue transazioni.

    Solo negli ultimi anni erano state sporte innumerevoli denunce nei suoi confronti: ogni vittima e tutti i loro familiari ricadevano nella lista dei potenziali sospettati per l’omicidio, senza contare la moltitudine di persone troppo imbarazzate per rivolgersi alle autorità e, di conseguenza, rimaste nell’ombra.

    Warren rabbrividì al pensiero di ciò che lo aspettava. Investigare la sua morte avrebbe significato interrogare le vittime delle malefatte di Stevenson e soprattutto costringerle a rivivere il trauma che avevano dovuto subire. Non avevano già sofferto abbastanza?

    Quando era stato assegnato al caso, Warren aveva considerato le sue opzioni. Avrebbe voluto rifiutare, ma in assenza di una motivazione legittima la sua decisione avrebbe potuto mettere a rischio la promozione che aspettava. Il motivo più convincente era la sua relazione personale con la vittima. Diciotto mesi addietro, non molto prima della fine del suo matrimonio e in piccola parte motivo della rottura definitiva, un’anziana zia di sua moglie Helen era caduta nel tranello di Stevenson. Spronato dall’insistenza della moglie, Warren aveva dovuto ricorrere a tutte le sue doti persuasive, a delle tirate di orecchie non completamente metaforiche e alle tattiche definite inaccettabili nei manuali di polizia per riavere gli oggetti che erano stati sottratti alla vecchina. Per quell’indagine non aveva voluto né potuto redigere verbali, motivo per cui addurre il suo rapporto personale con la vittima come motivazione per scampare al caso gli si sarebbe ritorto contro. Avrebbe potuto fingere di essere malato e prendersi qualche giorno di malattia, il tempo necessario perché qualcun altro venisse messo a capo delle indagini, ma così facendo avrebbe ingannato la giustizia e per lui quella bugia, sebbene non fosse una trasgressione paragonabile a quelle di Stevenson, lo avrebbe posto allo stesso livello del criminale. Non poteva comportarsi in maniera così ipocrita, era un’opzione semplicemente inaccettabile. Aveva quindi deciso di stringere i denti e sopportare, nella speranza che le capacità della sua squadra si rivelassero sufficienti a risolvere il caso in fretta e prima di fare altri danni.

    Warren si aggirò nel negozio di Stevenson e ispezionò la scena del crimine. Era un emporio di dimensioni modeste, circa centoquaranta metri quadrati, in cui aveva organizzato un ufficio, un cucinino, un bagno e una vasta area open space in cui facevano bella mostra di sé dei mobili, delle porcellane e un miscuglio eclettico di oggetti da collezione disposti in ordine artistico. Dietro l’olezzo di morte si percepiva l’odore di oli per il legno e lucidi che aveva utilizzato per esaltare la bellezza del mobilio scuro. Contro una parete aveva sistemato una fila di espositori in vetro chiusi a chiave che contenevano costosi gioielli di seconda mano e una varietà di oggettini d’oro e d’argento. L’assassino non aveva toccato nulla, incluse la cassaforte nell’ufficio e la cassa: era chiaro che la sua morte non era il risultato di una rapina finita male.

    Warren lanciò una seconda occhiata al cadavere. Il corpo di Stevenson era accasciato su una poltroncina, tra il seduto e lo sdraiato, con una gamba stesa e un’altra piegata con il piede poggiato sul pavimento. Aveva la bocca e gli occhi spalancati, ma ad attirare l’attenzione dell’investigatore furono ovviamente il corno d’avorio conficcato nell’addome di Stevenson e la macchia scura che aveva sporcato la camicia bianca e il cardigan blu che indossava. Warren si avvicinò e notò che il sangue era colato anche sul tessuto di broccato della poltrona e, a giudicare dalla puzza che pervadeva quella parte della stanza, Stevenson aveva evacuato l’intestino al momento della morte. Warren dubitava fortemente che la poltroncina avrebbe attirato futuri acquirenti pronti a sborsare i 3500 euro richiesti dal cartellino.

    «Sarà meglio lasciar fare a noi, capo» disse Connor, per poi aggiungere con un sorrisetto: «Non mi sembra difficile stabilire la causa della morte. Magari noi riusciamo a trovare qualcosa di utile.»

    Warren si fece subito da parte. La scientifica aveva bisogno di tempo e spazio per fare il suo lavoro e inoltre nutriva un enorme rispetto per Connor. Si era dimostrato cruciale per la risoluzione di numerosi casi e in molti altri aveva estrapolato degli indizi che erano stati fondamentali per incastrare i colpevoli. Fece un passo indietro e approfittò del vantaggio del suo metro e novanta per osservare i tecnici che si muovevano freneticamente davanti ai suoi occhi, un flusso continuo ma accorto di attività in cui identificavano, fotografavano, raccoglievano ed etichettavano tutto ciò che ritenevano sospetto o fuori posto. Nessuno di loro raggiungeva il metro e settanta e, così infagottati nelle tute e negli stivali protettivi, Warren non riusciva a identificarli se non dalle voci. Gli ricordavano gli Umpa Lumpa del film Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato.

    «Va bene, certo, è il vostro campo. Allora per adesso lo lascio a voi tecnici.»

    «Un gran bel lavoretto, non è vero? Guardi che precisione che hanno usato.»

    «Ti riferisci al corno o al buco nel petto?»

    «Intendevo il corno, ma adesso che mi ci fa riflettere anche l’altro non è male. Sa, sono un appassionato di suppellettili e un corno d’avorio così antico può fruttare un gruzzoletto niente male. Oggi conta molto anche sapere se l’animale è stato cacciato illegalmente, ma questo sembra un pezzo di altri tempi. Se lo è davvero, e ha una provenienza interessante per gli intenditori, potrebbe generare una lunga fila di ammiratori. Potrebbe valere la pena indagare sulla scelta di quest’arma per commettere il delitto.»

    «Mi sembra una pista valida. Di quanto tempo pensi che avrete bisogno? Vorrei tornare per controllare le telecamere di videosorveglianza e i suoi registri: magari ci puntano verso l’ultima persona che ha fatto arrabbiare.»

    «Giusto un paio d’ore, tre al massimo, e poi sarà di nuovo tutto suo. Sa bene però che dovremo attendere l’arrivo del medico legale prima di poter portare il cadavere in obitorio. Non so cos’abbia ultimamente il vecchio Duffie. Di solito è molto più in forma. In ogni caso dovrei avere il rapporto preliminare pronto per lei in mattinata.»

    «Grazie, lo aspetto.» replicò Warren incamminandosi verso la porta. Si liberò della tuta protettiva mentre attraversava il corridoio e tirò un sospiro di sollievo quando si scontrò con l’aria aperta, pulita e ghiacciata, che prese il posto dell’olezzo di morte e lucido per mobilio che opprimeva i suoi polmoni.

    Il negozio si trovava su una vietta laterale a pochi metri dalla Great Western Road, nel quartiere di Kelvinbridge, una distinta zona di Glasgow. Il cielo incombeva grigio, tipico di un pomeriggio di novembre, affollato di nuvoloni minacciosi dai quali faceva a tratti capolino qualche raggio di sole sbiadito. L’ampio marciapiede era ancora umido e scivoloso dopo l’acquazzone che si era rovesciato sulla giornata alle prime ore del giorno. Alex barcollò nel tentativo di rimuovere i copri scarpe protettivi senza inciampare.

    «Attento, capo» lo ammonì il sergente Sandra McKinnon. Lo aveva seguito e gli tese una mano per aiutarlo. Warren, che torreggiava sulla sua figura minuta, cercò di mantenere l’equilibrio senza pesarle addosso: sebbene fosse esperta di arti marziali e in grado di camminare su una fune, dubitava che il suo corpicino piccolo e carino potesse sostenere i suoi ottantanove chili. Tentò qualche strano passo di danza che non aveva mai visto abbozzare neanche durante il programma Strictly, riuscendo fortunatamente a ritrovare l’equilibrio senza capitolare a terra o su di lei. Stiracchiò un sorriso imbarazzato e la guidò verso la Mondeo di lei per fare il punto sulla situazione, lasciandosi alle spalle due agenti in uniforme che ridacchiavano delle sue doti da funambolo.

    Decise che il modo migliore per ridarsi un tono era criticare qualcun altro e, nello specifico, lei. «Questa macchina è un porcile. Quand’è stata l’ultima volta che l’hai portata a lavare?» esclamò, facendosi largo tra carte di caramelle e lattine vuote per riuscire a sedersi.

    «Ha ragione, capo. È che da quando ho smesso di fumare ho cominciato a mangiare per compensare lo stimolo. La ripulirò durante il fine settimana.»

    «Non ci credo finché non lo vedo. Comunque, non perdiamo altro tempo: tu sei arrivata prima di me, dimmi tutto quello che hai scoperto.»

    «Bene. Come sa già, ad allertare le autorità è stato Stuart Findlay, il ragazzo che lavora nel negozio. È uscito per la sua pausa pranzo all’una e un quarto ed è tornato poco dopo le due. La porta era chiusa, ma ha usato la sua chiave per entrare ed è in quel momento che ha trovato Stevenson morto sul divano. Ha giurato di non aver toccato niente. Stando alle sue parole è corso in ufficio, ha chiamato i soccorsi ed è rimasto ad aspettare all’esterno del negozio. I primi ad arrivare sono stati Jarvis e Campbell: lo hanno trovato per strada che tremava. Non sanno se per il freddo o per il trauma. Hanno analizzato il negozio e non hanno trovato niente di strano, a parte, ovviamente, il corpo della vittima. Hanno preso una prima dichiarazione dal ragazzo e poi hanno chiamato noi. Quando sono arrivata, insieme a McAvoy, erano ancora tutti e tre insieme. Adesso si sono spostati a Dumbarton Road. Lo trova lì, se vuole interrogarlo a mente ancora fresca.»

    «Sì, lo farò. Nel frattempo, ragioniamo. Se Findlay ha detto la verità, abbiamo una finestra temporale piuttosto ristretta per l’omicidio, sicuramente molto più di quella che ci fornirà la scientifica. A giudicare dal corpo e dall’arma utilizzata, non mi sembra un delitto premeditato, quanto più un impulso improvviso o un gesto dettato dalla rabbia. Questo ci rende le indagini molto più difficili. La vittima ha perso molto sangue che deve essere schizzato ovunque, macchiando anche l’assassino. Dobbiamo cominciare a indagare il prima possibile. Puoi richiedere le copie dei video delle telecamere di sicurezza dei dintorni? Impiegheremo una vita a trovare qualcosa, soprattutto perché non sappiamo esattamente cosa cercare, ma da qualche parte bisogna pur iniziare. Se siamo fortunati saranno le videocamere nel negozio a darci qualche risposta, o magari i rilevamenti della scientifica. Altrimenti saremo in grossi guai. Dobbiamo cominciare subito a interrogare i vicini, capire se qualcuno ha visto o sentito qualcosa di sospetto, tra cui una persona ricoperta di sangue. Non nutro grandi speranze: questa zona è abitata soprattutto da studenti e a quest’ora del giorno pochi di loro si trovano a casa. Sta arrivando un furgoncino della polizia: lo useremo come base. Parla tu con la stampa, di’ che si è verificato un incidente ma non fornire altre informazioni prima di aver contattato i suoi familiari. Ti lascio alla guida delle operazioni qui. Fai tutto quello che serve. Io vado in centrale a interrogare Findlay, magari riesco a cavargli qualcos’altro dalla bocca.»

    Alex si sporse verso Sandra e la salutò stringendole affettuosamente il braccio prima di uscire dalla macchina. La chimica tra di loro non si era mai affievolita, sebbene nessuno dei due le avesse dato occasione di crescere. Da quando Sandra era entrata a far parte dell’unità di Alex, due anni addietro, avevano avuto un rapporto molto amichevole e a volte anche piuttosto audace. L’anno precedente, nel periodo in cui Alex stava finalizzando il divorzio dalla moglie e stava abbandonando il tetto coniugale, avevano quasi avuto un momento di debolezza. Erano usciti con i loro colleghi della squadra e avevano bevuto entrambi un bicchierino di troppo, o forse qualcuno in più. Si erano scambiati un bacio e qualche palpata appassionata appena fuori dal retro del pub, prima che Alex si ritraesse, sicuro che la sua vita fosse già abbastanza problematica anche senza le preoccupazioni derivanti da un rapporto intimo tra colleghi.

    Sandra era ancora attratta da Alex, ma non si era dimostrata ferita dal suo rifiuto. Era una donna intelligente che era entrata a far parte delle forze dell’ordine tramite un programma di assunzione tra giovani neolaureati. Aveva un corpo minuto, ma allo stesso tempo forte e atletico e soprattutto attraente. Aveva dei capelli neri che le incorniciavano il volto con un taglio da paggetto, un viso pulito, la pelle leggermente scura e dei tratti molto delicati. Sebbene avesse ormai ventinove anni e guadagnasse uno stipendio discreto, viveva ancora coi suoi genitori a Bishopbriggs. La sua intelligenza, bellezza e condizione agiata le attiravano addosso gli sguardi di numerosi ammiratori.

    Alex considerò la squadra di cui disponeva per le indagini. Sandra era una dei due sergenti disponibili per il caso, il suo braccio destro. Era sveglia e ambiziosa e Alex sapeva che se le avesse lasciato gestire le indagini si sarebbe dimostrata intelligente e precisa tanto quanto lui. Il suo secondo sergente era Sanjay Guptar; nonostante Alex non dubitasse del suo zelo, temeva che mancasse di una certa intuitività e dell’esperienza necessaria per essere un detective di successo. In ogni caso, non dubitava che gli sarebbe stato di enorme supporto nelle indagini. La sua prima scelta tra gli agenti sarebbe stata Philip Morrison, che al momento, però, era ancora in vacanza e non sarebbe tornato prima del lunedì successivo. Nel frattempo avrebbe potuto contare su Donald McAvoy, un poliziotto con venticinque anni di servizio alle spalle e una vasta esperienza in criminologia. Si trovava al tramonto della sua carriera e si stava lentamente preparando alla pensione. Rappresentava tutto il meglio e il peggio delle forze dell’ordine del passato: era coraggioso, onesto e determinato, ma tendeva a usare i muscoli piuttosto che il cervello. Non si era mai rassegnato ai comportamenti politicamente corretti e, sebbene non fosse né razzista né tantomeno misogino, faticava a sopportare l’idea di dover fare capo a una donna e un asiatico. Alex non era un grande sostenitore delle virtù di Donny, ma lo reputava comunque un ottimo poliziotto, fintantoché fosse tenuto sotto controllo. Inoltre, Alex sapeva bene che, nel caso ne avesse avuto bisogno, tramite Donny avrebbe potuto avere accesso a un vasto numero di agenti diversi, dell’unità anticrimine e non.

    2

    Alex si incamminò verso la sua macchina, una Hyundai Santa Fe di quattro anni che si ossessionava a mantenere in perfette condizioni e a lucidare con olio di gomito, rischiando quasi di rovinare la vernice. Chiamò l’agente Donald McAvoy perché farsi accompagnare. Il poliziotto si avvicinò all’auto e, per non rischiare di incappare nelle ire funeste del suo capo, si ripulì con attenzione le scarpe da qualsiasi traccia o residuo di fango accumulati sulle suole prima di

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