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Il segreto dello Stagno Incantato
Il segreto dello Stagno Incantato
Il segreto dello Stagno Incantato
E-book408 pagine5 ore

Il segreto dello Stagno Incantato

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Info su questo ebook

Nel Regno, prospero e pacifico grazie alla sua sovrana, Regina, la nipote Principessa, erede al trono, è inviata a completare la formazione presso i misteriosi Custodi dello Stagno Incantato.

Alla morte di Regina, però, Principessa scompare e le zie ne usurpano il potere con un pretesto, proibendo l'accesso allo Stagno. Tuttavia, il Regno entra in crisi, schiacciato tra incapacità e lotte intestine.

A turbare i sonni già agitati delle Reggenti, alcuni mesi dopo, provvedono un’oscura minaccia esterna e l'arrivo inatteso di un enigmatico messo imperiale...
LinguaItaliano
Data di uscita4 ago 2020
ISBN9788831688840
Il segreto dello Stagno Incantato

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    Anteprima del libro

    Il segreto dello Stagno Incantato - DAMIANO MARTORELLI

    Indice

    I

    II

    III

    IV

    V

    VI

    VII

    VIII

    IX

    X

    XI

    XII

    XIII

    XIV

    XV

    XVI

    XVII

    XVIII

    XIX

    XX

    XXI

    XXII

    XXIII

    XXIV

    XXV

    XXVI

    XXVII

    XXVIII

    XXIX

    XXX

    XXXI

    XXXII

    XXXIII

    XXXIV

    XXXV

    XXXVI

    XXXVII

    XXXVIII

    XXXIX

    XL

    XLI

    XLII

    XLIII

    XLIV

    XLV

    XLVI

    XLVII

    XLVIII

    XLIX

    L

    Note biografiche

    Damiano Martorelli

    Il segreto dello Stagno Incantato

    ISBN | 9788831688840

    Questo libro è stato realizzato con PAGE di Youcanprint

    Youcanprint.it

    Copyright © 2020 by Damiano Martorelli

    Tutti i diritti riservati.

    All rights reserved.

    Nessuna parte del presente volume e opera potrà essere riprodotta in ogni forma senza il consenso scritto dell’Autore.

    No part of this publication and work can be reproduced in any form without the written permission of the Author.

    Prima Edizione:

    Luglio 2020

    Cover by: Lucia Martorelli

    Impaginazione e layout:

    Studio Martorelli®

    http://www.studio-martorelli.eu

    Youcanprint

    Via Marco Biagi 6, 73100 Lecce

    www.youcanprint.it

    info@youcanprint.it

    A mia sorella

    Damiano M.

    I

    Tra le irte montagne che a Nord fanno da cornice alla Grande Pianura, in un luogo prospiciente la Via Imperiale che da secoli conduceva da Sud alle terre settentrionali dell’Impero, c’era una volta un regno ricco e prospero, che tutti semplicemente, anche sulle mappe, chiamavano il Regno con la R maiuscola.

    Era un regno rispettato ed in pace con tutti, sia l’Impero con cui confinava direttamente, e di cui era tributario, che tutti gli altri piccoli regni limitrofi.

    La capitale del Regno era Gomeviano, una piccola e graziosa città che sorgeva in un punto strategico, in una valle percorsa da Nord a Sud dal fiume Athesius.

    Questo aveva un corso d’acqua lento e sinuoso che si snodava attraverso il fondovalle poco sotto il piano campagna, portando verso Sud, verso la cosiddetta Grande Pianura, l’acqua raccolta dai suoi molti affluenti.

    Questi scendevano dalle montagne circostanti, poste a Nord-Ovest, poco oltre il confine del Regno, in pieno territorio dell’Impero, che da Nord a Sud confinava proprio con il nostro regno. Erano a regime torrentizio, e questo poteva creare qualche problema nelle stagioni delle piogge, a primavera ed in autunno.

    La città si era nei secoli sviluppata sul pendio della montagna che digradava sulla sponda sinistra del corso del fiume, in un punto strategico esposto a Sud-Est, così da cogliere anche d’inverno ogni raggio del Sole.

    La scelta del pendio non era, peraltro, dovuta soltanto alla favorevole esposizione solare.

    Infatti, come detto, in primavera con il disgelo e le prime piogge primaverili, e in autunno con le piogge intense che arrivavano dal lontano Oceano, a Occidente, il fiume, che pure era facilmente navigabile per tutta la sua interezza, gonfiato dagli affluenti, usciva spesso dal suo letto a causa dei suoi bassi argini, allagando la valle circostante e tutte le campagne.

    Per questo motivo, nel fondovalle, c’erano solo boschi o coltivazioni a frutteto (mele, pere, uva) o cereali (farro e frumento), qualche orto, poche baracche per attrezzi e, qua e là, qualche stagno e palude che d’estate creavano qualche noia ai contadini dovuto alle fastidiose zanzare che solo parzialmente pipistrelli, rane, lucertole ed altri predatori riuscivano a contenere.

    I quartieri della città si sviluppavano dal fondovalle, dove la vecchia Via Imperiale da secoli costeggiava, attraversando il Regno nella sua interezza, il lembo inferiore della montagna, ad una quota tale, rispetto al fondovalle, da garantire la sua percorribilità in ogni stagione.

    Il centro urbano risaliva lungo il pendio, dove gli edifici, prevalentemente a due piani, si infittivano uniti da piccoli vicoli in terra battuta o con brevi scalinate miste in legno e pietra, e una strada principale lastricata in pietra che si snodava serpeggiante partendo dal fondovalle come diramazione della via imperiale.

    A mezza costa della montagna, proprio a settentrione, dove con una piazza antistante le mura finiva la cittadina di Gomeviano, sorgeva l’imponente Castello, in forma ellittica allungata parallela alla montagna, che dominava dalla sua posizione strategica tutta la valle, con una ottima visuale da Nord a Sud.

    Questo aveva al suo interno il Palazzo Reale: era un edificio bello a vedersi, dalle mura candide, solido e maestoso, ricco di torri dai tetti verdi a causa delle pregiate tegole di rame che li ricoprivano; tetti che contrastavano con il colore rossastro delle tegole di terracotta degli edifici normali sia del maniero, sia del sottostante centro urbano.

    Bandiere gialle e blu, lunghe e svolazzanti ad ogni flebile alito di vento, adornavano le guglie del palazzo e le robuste e munitissime torri del doppio muro di cinta che avvolgeva gli edifici interni.

    Le torri, distribuite lungo entrambe le cinte murarie, conferivano un’aria massiccia ed inespugnabile al Castello, con la loro forma tozza circolare, costituita da solide pietre squadrate perfettamente incastrate le une con le altre.

    Si era persa perfino memoria, tra gli abitanti del Regno, dall’ultima volta che il Castello aveva dovuto difendersi da un assalto nemico. Neppure nei racconti per ragazzi o davanti al focolare vi era più ricordo di tali eventi nefasti.

    Per tale ragione, il ponte levatoio che collegava la cinta più esterna alla strada principale scavalcando un profondo fossato, pieno d’acqua, era sorvegliato ma sempre abbassato durante il giorno, grazie alla pacifica esistenza del Regno.

    Solo durante la notte, per evitare che eventuali animali predatori notturni, come lupi o orsi, entrassero a disturbare la quiete del Palazzo, era alzato a mezza via.

    Il fossato, che circondava il Castello su tre lati, era mantenuto pieno con l’acqua estratta da un torrente che scendeva dalla montagna, perennemente ricco d’acqua in ogni stagione.

    Proprio per il suo essere costantemente alimentato, seppure con portate diverse nelle varie stagioni, lo stesso torrente riforniva l’acqua che alimentava le cisterne e le numerose fontane interne al Castello, mentre opportune tubazioni portavano l’acqua anche alle fontane distribuite in modo strategico in città. Queste fontane integravano l’approvvigionamento di acqua altrimenti eseguito tramite pozzi scavati in più punti.

    Il quarto lato del Castello, verso Nord, era invece a strapiombo su una rupe inaccessibile, così scoscesa da conferire un aspetto ancora più grandioso all’imponente complesso di edifici che componeva il ricco maniero.

    Tutti gli abitanti qui vivevano in concordia e armonia; essi traevano beneficio dal lavoro dei campi, dall’allevamento degli animali, dall’artigianato e dal commercio del pregiato legname del Regno e dei frutti della sua fertile terra.

    Alcune piccole miniere di rame, piombo e argento, scoperte di recente tra le montagne più impervie, contribuivano ulteriormente all’economia di questo regno.

    I poveri non erano molti, ma vi era una grande attenzione alle loro esigenze da parte del governo.

    Inoltre, nella popolazione vi era un notevole senso di solidarietà verso i più sfortunati, il che rendeva meno dura la loro esistenza in tempi dove la miseria poteva costituire la prima causa di morte.

    Pochi erano gli scansafatiche e verso di loro non c’era accondiscendenza, né da parte del governo né tantomeno da parte del popolo: pigrizia e lassismo non erano tollerati in nessun modo.

    Pertanto, i furbacchioni che cercavano di approfittarsi delle fatiche altrui erano additati con infamia e allontanati senza appello dal lavoro e dai centri abitati. Essi erano costretti a vagabondare disprezzati da tutti e andavano ad ingrossare le fila di piccole bande di briganti, destinati ad essere prima o poi catturati e severamente puniti: in alcuni casi più gravi, perfino giustiziati senza appello.

    II

    Dentro il Castello spiccava nettamente il Palazzo Reale, uno splendido edificio dove risiedeva stabilmente, per tutto il corso dell’anno, la sovrana del Regno.

    Il regno era infatti governato da una donna, Regina, sovrana saggia e instancabile, dall’alto delle molte primavere che inargentavano i suoi lunghi e splendidi capelli. Nonostante l’età, era regale, maestosa e dignitosa: mai lasciava trasparire dal corpo slanciato alcuna sofferenza, nonostante gli affanni del governo, gli acciacchi inevitabili ed i malanni dell’età.

    Regina era salita al trono molto giovane, a soli vent’anni, a seguito della morte per malattia, una brutta broncopolmonite, di sua madre, la pia Geltrude.

    La medicina dell’epoca nulla aveva potuto contro il male inarrestabile e la donna, dopo due settimane di lotta, si era spenta nel suo letto a Palazzo, lasciando a Regina il compito di proseguire la sua opera.

    Regina aveva raccolto il testimone e si era impegnata con energia nel buon governo del suo regno, memore degli insegnamenti materni. Si era sposata ed aveva avuto una brillante figlia primogenita, che a sua volta le aveva regalato una nipote, destinata alla successione, di nome Principessa.

    Principessa era la delizia della nonna e fin dalla tenera età, la piccola mostrava di avere ereditato la bellezza e il portamento dell’ormai anziana sovrana, che nei pochi momenti liberi la contemplava con orgoglio e gioia, rivedendo se stessa quando era più giovane, innocente e con molti meno grattacapi e preoccupazioni.

    Principessa non era però una bambina come le altre. Non solo era destinata a succedere a sua volta al trono, quando Regina sarebbe venuta a mancare, ma tutte le speranze del Regno erano riposte in lei.

    Secondo un’antica legge risalente, infatti, alla mitica Fondatrice del Regno, solo le figlie primogenite potevano essere sovrane; solo in caso di una loro esplicita rinuncia il trono poteva passare alle sorelle o alle cugine, in linea di successione materna.

    Questa evenienza, in realtà, non si era mai verificata, da che se ne aveva memoria, ed infatti non era rigidamente codificata, cosicché il presupposto delle leggi del Regno era il buonsenso e la diligenza del buon capofamiglia che sempre doveva animare ogni decisione, anche la più grave o impegnativa.

    Principessa aveva molte zie, figlie di Regina o sorelle del padre della bambina, e cugine, ma era lei la destinataria del trono del regno, anche a causa di un altro evento che faceva di Principessa una bambina particolare: la piccola non aveva mai conosciuto i suoi genitori.

    La madre, primogenita di Regina e quindi erede al trono, era purtroppo morta anch’essa di malattia incurabile quando Principessa era molto piccola, e dunque la bambina non conservava di lei che vaghi ricordi.

    Il padre, invece, era scomparso molti anni addietro, mentre era in un regno confinante per ragioni diplomatiche.

    La notizia era sopraggiunta poche ore prima della nascita di Principessa, a rattristare un così lieto evento.

    Di lui si erano perse le tracce e nessuno ne seppe più nulla, nonostante Regina si fosse adoperata per raccogliere informazioni in merito, cosicché dopo alcuni anni fu dichiarato formalmente morto.

    Principessa, dunque, oltre che orfana ed erede al trono, era anche figlia unica.

    La nonna era così entusiasta della nipote che cercava di non farle mai mancare niente, sia a livello di beni terreni, sia a livello di educazione, nonostante gli impegni di governo.

    Ma l’affetto di una nonna o delle zie non è mai quello di una madre o di un padre.

    Principessa, per quanto lo nascondesse bene nel suo cuore, nel suo animo sentiva un grande vuoto.

    Ella era ben cosciente non solo del suo passato ma anche della sua diversità rispetto agli altri bambini non solo del Palazzo, ma anche del regno nel suo intero.

    Tale era la mancanza delle normali figure genitoriali che la riempissero d’affetto da costituire un problema latente, giacché non erano infrequenti i momenti di melanconia, quando osservava gli altri bambini con i propri genitori. Lei cercava di non farlo trasparire, ma agli occhi attenti di alcune inservienti anziane, che si prendevano cura della piccola, la cosa non era sfuggita, in più di una circostanza ufficiale, e ne avevano riferito in separata sede alla sovrana.

    Con i cugini e le cugine la piccola non aveva mai legato molto, vuoi per la differenza di età, vuoi per l’invidia che gli stessi provavano, perché lei era non solo la diletta nipote della nonna, ma anche la predestinata al regno.

    I bambini, nella loro ingenuità, sanno essere davvero perfidi quando esprimono la loro gelosia o invidia, sia direttamente a parole, sia indirettamente isolando o emarginando la vittima predestinata.

    Regina ne era col tempo divenuta cosciente, avendo assistito per caso ad alcune baruffe, ma presa dai suoi doveri poteva ben poco, se non sperare che le proprie figlie cadette inculcassero il rispetto ed il senso del dovere nelle teste dei nipoti. Regina non aveva fatto mai mistero dei propri sentimenti nei confronti della nipote sin dalla sua nascita, ma col tempo aveva cercato di essere meno esplicita, anche per attenuare le inevitabili invidie delle altre figlie e nipoti.

    Ma ormai il seme dell’invidia e della gelosia era germogliato e saldamente radicato negli animi

    Peraltro, la sovrana non aveva più né il tempo né le forze per poterlo sradicare con fermezza.

    Fin dall’età di sei anni, era perciò diventato compagno di giochi di Principessa il mite Mughetto, un gatto orfano come lei e, forse per questo, lo sentiva più vicino al suo cuore.

    Infatti, durante una delle (poche) gite nel territorio del regno, Principessa e Regina lo avevano trovato abbandonato e infreddolito sotto un odoroso pino mugo, e da lì trassero ispirazione per assegnargli il nome.

    Principessa si era subito affezionata al cucciolo: chiese alla nonna di poterlo tenere con sé a Palazzo, lo prese con sé e lo allevò con amore, nutrendolo personalmente, e non se ne volle più separare.

    Mughetto, ripresosi dall’esperienza allo stato selvatico, ricambiava in tutto l’affetto della sua nuova padroncina, con una devozione più tipica di un cane che di un gatto.

    Crescendo, era diventato uno splendido gatto nero, ma con una chiazza di pelo bianca sul petto, sulla punta delle zampe (tanto da sembrar un gatto con le scarpette) e sulla parte inferiore del muso; infine, aveva una curiosa macchia nera sul labbro inferiore.

    Egli passava ore e ore a fianco della padroncina, senza mai stancarsi, tanto che, quando lei andava a scuola, Mughetto si accoccolava su di una finestra che dava sul piazzale del Castello in attesa di vederla tornare, paziente, attento e silenzioso.

    La sera, poi, quando Principessa si ritirava nella sua stanza per dormire, il gatto, dopo aver ricevuto alcune gradite coccole dalla padroncina, si accoccolava silenzioso, immobile e con un occhio semiaperto là, in fondo al letto, come a vegliare sul sonno dell’amata padroncina.

    Purtroppo, governare un regno è un impegno molto gravoso, ed anche l'età avanzata di Regina non aiutava la nonna a prendersi cura della nipote come pure avrebbe voluto.

    Un giorno, per timore di non essere più all’altezza del proprio compito di genitrice, la donna decise di affidarne l'educazione a insegnanti tra i più capaci nel Regno.

    Quando Principessa compì dieci anni, la nonna la iscrisse a una delle migliori scuole intermedie del regno, che al tempo di cui scriviamo era per soli ragazzi nobili, lì a Gomeviano.

    Per le persone meno abbienti, infatti, la sovrana aveva disposto delle scuole ma solo per insegnare i rudimenti del leggere e dello scrivere, dato che per lo più si trattava di figli di contadini o artigiani che avrebbero speso la loro vita prima ad imparare un mestiere in bottega o nei campi, e poi a lavorare in settori dove la cultura, si pensava all’epoca, non serviva a nulla.

    La scuola di Principessa era intitolata a un grande scrittore vissuto alcuni secoli addietro ed era nota al tempo per il suo rigore scientifico nell’educazione e per i suoi migliori insegnati del Regno.

    Principessa, che non voleva contraddire la nonna, di cui aveva grande considerazione, non si fece pregare, ma anzi ripagò subito la grande fiducia riposta in lei. Si distinse senza problemi dai compagni di classe, meritando i voti migliori e conquistando numerosi riconoscimenti in varie discipline con la sua indubitabile bravura.

    Ma Regina, che idealizzava Principessa, per quanto fosse compiaciuta da tutti questi risultati, non era ancora soddisfatta. Sapeva di non poter curare direttamente della formazione dell’amata nipote e questo in parte la frustrava, tanto da lamentarsene sovente anche son il suo Gran Cancelliere.

    Questi, che era il Primo Ministro del Regno, era un uomo sulla cinquantina, alto e ben piantato, con la barba folta ormai bianca. Uomo d’esperienza, aveva visto nascere e crescere Principessa e la considerava affettuosamente quasi una sua nipote.

    Egli ascoltava paziente e silente la sua sovrana, lasciandola sfogare e offrendo, solo dove riteneva opportuno, il suo consiglio, puntuale e preciso, sempre apprezzato dalla donna. Cercava quindi di rincuorare la sovrana, facendo leva sia sui brillanti risultati della bambina, sia sul carisma della donna che avrebbe fatto da faro per la nipote.

    Ma per Regina questo non sembrava bastare. Conscia di questa sua impossibilità a curare personalmente la formazione della nipote, desiderava per la sua diletta qualcosa di ancora superiore, per fare di Principessa la sua degna erede, una sovrana degna di questo titolo e del Regno, che tanto a lungo lei aveva governato e fatto prosperare.

    III

    Principessa crebbe in fretta, molto più velocemente di quanto nonna Regina si fosse resa conto, e compì presto tredici anni: come ogni anno, a Palazzo, con l’inizio dell’estate si diede il via ai preparativi per il Compleanno dell’erede al trono e le campane del regno, allo scoccar del mezzogiorno, risuonarono a festa per ogni dove.

    La sovrana non badò a spese nell’organizzazione della festa del genetliaco di Principessa, perché la sua diletta nipote doveva essere festeggiata in tutto il regno come si conveniva ad una futura sovrana, così da preparare per tempo i sudditi ad apprezzare e amare la loro futura regina.

    Allo stesso tempo, però, Regina era pervasa da un cruccio perché, troppo presa dagli affari di governo, si era ritrovata in men che non si dica un’adolescente a Palazzo, ed ora era assolutamente necessario provvedere per tempo a che la sua formazione fosse curata nei minimi dettagli, come lo era stato a suo tempo per lei, per preparare la giovane nipote al suo futuro ruolo di sovrana.

    La mancanza della figlia a cui sarebbe spettato il ruolo di genitrice si faceva purtroppo sentire, ed essere al contempo nonna, madre sostitutiva e sovrana non aveva agevolato la situazione.

    Né aveva potuto fare affidamento sulle altre sue figlie, zie di principessa: l’invidia e la gelosia, purtroppo, serpeggiavano, e Regina lo sapeva bene, sebbene avesse sempre cercato di trasmettere alle sue figlie amore e concordia. Non aveva avuto figli maschi, perciò non aveva neppure cognate cui affidare la formazione della nipote.

    Principessa era un’adolescente su cui pendeva il futuro del regno. Non che Principessa non sapesse di essere l’erede al trono: qualche cuginetta invidiosa, nelle solite baruffe fra bambini, già glielo aveva rinfacciato più d’una volta, ma di essere la prediletta e la predestinata, in verità, non se ne era mai curata.

    La nonna Regina, peraltro, fino a quel momento non l’aveva mai resa partecipe del suo destino.

    Il suo futuro dovere di governo era una faccenda che fino allora aveva preso con fanciullesca leggerezza, come un evento lontano nel tempo. Pertanto, anche le baruffe con le sue cugine le dimenticava rapidamente, tanto buono e generoso era il suo animo, in questo non dissimile da sua nonna.

    Il suo mondo, a parte la scuola e gli studi, era sì il Palazzo, ma soprattutto il vicino Giardino dove, in compagnia di Mughetto, suo inseparabile compagno di giochi, si divertiva tra i cespugli di rose e fiori ben curati da un abile giardiniere a ciò dedicato.

    Anche la Biblioteca di Palazzo era molto gradita alla giovane, dove il gatto silenzioso e ligio la seguiva, nelle sue esplorazioni fra gli scaffali pieni dei libri più preziosi, miniati a mano e acquistati anche da territori molto lontani, su cui Principessa si immergeva in stimolanti letture con riguardo a tutto lo scibile noto al tempo.

    I suoi preferiti erano naturalmente le antiche favole di Fedro ed Esopo, così come tutto il ricco patrimonio di leggende di eroi e cavalieri, di cui solitamente aveva udito narrare alcune gloriose gesta dai giullari e trovatori giunti a corte, durante le feste organizzate a Palazzo.

    Per ragioni di prudenza non le era consentito allontanarsi da sola da Palazzo: il Regno era sicuro e in pace con tutti, ma poteva sempre esserci qualche malintenzionato che passava di lì e, come recitava il noto proverbio, l’occasione fa l’uomo ladro, il che poteva accadere anche in un regno pacifico e tranquillo.

    Era sempre meglio evitare di mettere a rischio la sicurezza del regno per una banale imprudenza o l’eccessiva sicurezza.

    Come ogni anno la festa si tenne nel salone a Palazzo, il cui accesso era riservato solo ai nobili di rango, mentre nel cortile del castello ed in tutta Gomeviano, addobbata per l’occasione con stendardi e ghirlande fiorite, si tennero giochi e banchetti aperti a tutto il popolo.

    Inoltre, a questo nel tempo si era aggiunta la ormai tradizionale fiera degli animali, un tempo celebrata proprio all’inizio della primavera, con allevatori giunti da ogni parte del Regno e, alcuni, addirittura dall’Impero e dagli altri regni confinanti.

    La fiera era un’occasione dove i contadini e gli allevatori potevano scambiarsi non solo conoscenze, ma anche vendere o comprare capi di bestiame a prezzo vantaggioso e con imposta ridotta, proprio per la coincidenza della festa con la fiera.

    La sovrana e la nipote di prima mattina uscirono dal Castello con la scorta in tenuta da parata e fecero il tradizionale giro a cavallo lungo la via principale di Gomeviano, accolte dai saluti calorosi dei loro sudditi.

    Tutti erano ammaliati dalla giovane bellezza e dall’amorevole sorriso di Principessa, che faceva ben sperare nel futuro del regno. Un fatto, questo, che riempiva d’orgoglio Regina, ripagandola pienamente delle fatiche di governo nella consapevolezza di lasciare una valida eredità sia concreta che morale attraverso la sua amata nipote.

    Passando lungo tutto il centro abitato, finirono per giungere quindi alla piazza della fiera, un’area in terra battuta creata appositamente ai piedi della montagna, appena fuori il centro urbano, dove nonna e nipote inaugurarono ufficialmente la ricca e frequentatissima manifestazione.

    Guidate dal capo degli allevatori, visitarono velocemente i recinti dove erano assicurati gli animali: capre, mucche, cavalli, pecore, galline, maiali, conigli facevano bella mostra di sé, ciascuno marcato on un nastro colorato che identificava l’allevatore proprietario.

    Alla fine della giornata, infatti, sarebbe stato scelto, a giudizio insindacabile di una giuria composta di esperti funzionari reali, l’animale più bello per la fiera, ed il relativo proprietario, oltre a ricevere una coccarda da sfoggiare nella propria fattoria, avrebbe anche avuto un premio in danaro, pagato direttamente dalla sovrana. Un modo come un altro per incentivare non solo il buon esito della fiera, ma anche l’impegno oneroso degli allevatori.

    Regina era consapevole di quanto importante, e faticoso, fosse all’epoca l’allevamento del bestiame, che garantiva non solo gli approvvigionamenti costanti di carne, latticini, lana e ogni altra necessità. Era una risorsa indispensabile che ogni buon governante doveva tutelare e incoraggiare, e a volte bastava davvero poco sforzo e anche solo un piccolo segno per dare grandi risultati. La fiera annuale, in fondo, era uno di questi preziosi segni di riconoscimento dell’importanza di questo lavoro.

    Poi, tornate al Castello, furono accolte dai nobili festanti qui riuniti, e diedero quindi il via ai giochi ed ai festeggiamenti ufficiali di corte. Mentre nel cortile del Castello si alteravano giochi per i più giovani e per i nobili annoiati dalle chiacchiere di corte, dentro il Palazzo, nella sala da pranzo, la sovrana, la nipote e l’alta nobiltà si dedicarono al ricco banchetto a base di cereali, carne e frutta, allietato da alcuni trovatori che a turno raccontavano prodi gesta di cavalieri lontani, accompagnandosi con la musica.

    Terminata nel tardo pomeriggio la festa, Regina congedò personalmente i nobili, ministri e dignitari giunti a corte, intrattenendosi con alcuni per brevi consultazioni sui temi più disparati.

    Dopo quel magnifico giorno, meditò a lungo sul futuro della nipote, conscia che il tempo era giunto e che doveva prendere una decisione; finché, a estate inoltrata, chiamò a raccolta il Gran Consiglio del Regno: ordinò che tutte le campane del Consiglio, in ogni angolo del Regno, chiamassero a raccolta i ministri e i dignitari di Corte, e organizzò un gran consulto.

    Ministri e alti dignitari confluirono da tutto il regno a Gomeviano e, quando tutti furono presenti nella capitale, a Palazzo ebbe inizio il Gran Consiglio nella Sala degli Arazzi al primo piano del Palazzo dove, secondo le antiche leggi del Regno, erano stati predisposti gli scranni secondo un rigido ordine di merito e lignaggio.

    Era una sala ricca di finestre sul lato lungo verso la valle, per consentire anche alla luce invernale di dare una buona illuminazione, e addobbata da preziosi arazzi sul lato non finestrato verso monte, a destra del portone di ingresso.

    Dal lato d’onore della Sala, in fondo e dal lato opposto dell’ingresso, ove era il trono, si levò Regina, che espose a tutti il suo dilemma:

    Miei cari sudditi e amici, siete stati qui convocati per una questione di grave importanza.

    Tutti si guardarono in trepida attesa di quella che sembrava essere una comunicazione davvero seria, visto il tono solenne della sovrana.

    Come sapete, il primo dovere di una regina è garantire al Regno la continuità, la prosperità e la pace: a tale scopo, in questi lunghi anni mi sono impegnata, così come i miei predecessori e i miei avi, sin dai tempi della nostra Fondatrice. Ebbene, come sapete, ho una nipote a me molto cara: su di essa risiedono la speranza e il futuro del Regno.

    Regina si fermò un attimo, cercando le parole migliori per esporre il suo pensiero.

    Da molto tempo ho cercato di garantirle l’educazione migliore che assicurasse la prosecuzione della mia opera. Ma ora che è divenuta adolescente, sento che ogni mio sforzo potrebbe non essere abbastanza. Chiedo quindi a Voi consiglio su come migliorare e completare nel modo più adatto l’educazione di mia nipote, Vostra futura sovrana. Il futuro del Regno dipende da questo.

    Quand’ebbe finito di parlare, si sedette sul trono, quasi spossata dallo sforzo di parlare, mentre un lungo attimo di silenzio pervase la sala, dove gli sguardi si incrociarono, ma nessuno sembrava avere il coraggio o l’idea di cosa poter proporre alla sovrana.

    Si trattava certamente di una problematica inattesa: nessuno si era mai posto un tale problema. Di regola, i nobili avevano o precettori privati, per quelli con i propri possedimenti e castelli posti fuori dai centri urbani, o di scuole pensate apposta per i loro figli, per i fortunati che abitavano in prossimità di una città, come ad esempio Gomeviano.

    Il Gran Cancelliere, prese infine la parola:

    Miei cari amici, a turno ognuno di voi esponga il proprio pensiero senza tema, così che la nostra amata Regina possa comprendere se la proposta sia valida o meno. Una volta che ognuno di Voi avrà esposto il proprio consiglio, inizieremo a discutere e a selezionare le proposte migliori che poi saranno messe ai voti.

    A un segno del Gran Cancelliere, ogni ministro e dignitario prese a turno la parola, e ognuno espose il suo pensiero, quale gli veniva al momento.

    Ci fu chi proponeva di iscriverla a qualche collegio superiore di questa o un’altra città, anche al di fuori del Regno, ritenuti superiori per merito e disciplina. Ci fu, poi, chi suggeriva invece di integrare il collegio superiore locale con degli istruttori privati fatti venire da altri regni vicini; altri ancora di assegnare completamente a degli istruttori privati la formazione di Principessa, scelti tra i migliori del mondo conosciuto.

    La discussione proseguì per alcuni giorni, ma nessuna soluzione sembrava essere convincente, o la migliore. Nessuna sembrava raggiungere il favore della maggioranza.

    Si proseguì a lungo finché, a furia di scartare questa o quella, in un Gran Consiglio quasi privo d’idee brillanti, uno degli zii paterni di Principessa si ricordò, per puro caso, di aver udito narrare di uno Stagno Incantato situato proprio nel Regno, in una valle remota non facilmente raggiungibile, e ne parlò in Consiglio.

    Raccontò dunque a tutti i presenti di aver sentito dire da fonte attendibile che vi era uno stagno particolare, peraltro poco distante dalla capitale, in mezzo ai boschi, tra le montagne: un luogo poco frequentato dagli Uomini perché di scarso interesse strategico, tale da aver preservato incontaminato il luogo e averne consentito la prosperità secondo le leggi

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