Street Rider Inizia la corsa: Street Rider 1
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Zombie - romanzo breve (95 pagine) - Val, campionessa di BMX freestyle, ha una missione: liberare Il Solitario, lo zombie marchiato da un tatuaggio mistico che lo emargina dai suoi stessi simili. Per riuscirci, dovrà affrontare la città invasa dagli zombie: la città morta e letale, dove potrebbe realizzare il suo sogno più grande.
Valeria, Val, campionessa di BMX freestyle, rischia ogni giorno la vita per il divertimento del suo padrone: in sella alla sua BMX sfida frotte di zombie compiendo acrobazie estreme. Ma Val non può costringere le sue ruote in gabbia, deve fuggire perché ha un sogno da realizzare. Quando il più improbabile degli alleati le propone un patto, Val accetta in cambio della libertà.
La città è invasa dagli zombie, è morta. La città fa paura perché lì si è soli, e la solitudine ti frantuma l’anima. Eppure tra le strade c’è ancora vita, tanto che Val arriva a sperare di poter esaudire il suo più grande desiderio: amare e formare una famiglia.
Ma la campionessa deve prima di tutto saldare il debito che ha contratto. Deve liberare Il Solitario: lo zombie marchiato da un tatuaggio mistico che lo emargina dai suoi stessi simili.
Alberto Tivoli è nato a L’Aquila nel 1973. Ingegnere, vive e lavora a Rieti come Project Manager per un’azienda farmaceutica. Ha pubblicato il romanzo breve di genere horror zombie Yantra Zombie (Delos Digital, collana The Tube Exposed). Suoi racconti si possono trovare in antologie di autori vari (NASF 11, NASF 12, Bukowski – Inediti di ordinaria follia Vol. IV, I mondi del fantasy VII), sulle riviste Robot (contest I vagoni di Trainville) e Writers Magazine Italia (Speciale Science Fiction del 2016).
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Anteprima del libro
Street Rider Inizia la corsa - Alberto Tivoli
9788825410211
I Zombie-park
Val scattò in avanti e spiccò un balzo.
Volò al di sopra della ruota posteriore e della sella e atterrò in piedi sui pedali, le mani a stringere il manubrio. A cavallo della sua BMX Premium Haro, si lanciò lungo la discesa.
I Kenda Krackpot blu elettrico mordevano il terreno, grip perfetto nonostante l’umidità che impregnava l’erba. Val inspirò ed espirò a fondo con la bocca. Intorno a lei crebbe un coro di incitamento, accompagnato da applausi tanto più rapidi quanto più accelerava.
Strinse le mani intorno alle sue Kheops: lunghezza pari alla larghezza del palmo per il massimo sfruttamento della superficie di presa e zero millimetri extra per non impacciare i trick più estremi, le acrobazie che le infuocavano l’anima. La gomma delle manopole, dello stesso blu elettrico dei copertoni e percorsa da un fascio di eliche di rombi in rilievo, si adattò ai palmi e alle dita.
Val azionò cosce e gambe come bielle e manovelle. Contrazioni e distensioni muscolari esplosive. Carne e sangue e acciaio al cromo-molibdeno ben lubrificato in accelerazione per decollare.
Il sole, calante alle sue spalle, immergeva nell’oro il percorso di fronte a lei e traeva un riflesso infuocato dalla lama di allumino che rivestiva la cresta della rampa di legno verso la quale stava piombando in velocità.
La folla ammutolì. Lo spettacolo stava per iniziare.
Val passò a una respirazione diaframmatica profonda. Attraverso le narici si riempì della fragranza dell’erba e della terra bagnata. Sempre in piedi sui pedali, staccò la ruota anteriore da terra che continuò a vorticare intorno all’asse. Il frenetico tamburellare dei raggi che frustavano l’aria fu l’unico suono intorno a lei.
Quando la ruota posteriore ingaggiò la base della rampa, Val bloccò la pedalata e abbandonò il manubrio per dispiegare le braccia come ali e slanciare il corpo in verticale.
Carne, sangue e acciaio si proiettarono in aria.
Le suole delle O’Neal Pinned Pro rimasero adese ai pedali, le stringhe e il logo VAL cucito sulla tomaia entrambi blu elettrico come copertoni e manopole.
Questo era il suo suicide no hand: in rampa solo sulla ruota posteriore e senza serrare le cosce intorno al sellino, pronti per volare. Così Val passava dalla terra al cielo senza soluzione di continuità. Questo era il suo stile. Questo era il suo modo di essere Val: la miglior street rider in circolazione.
Atterrò su una piattaforma sospesa formata da spesse assi di legno tenute insieme da fasce metalliche. Frenò la bici premendo la suola destra contro lo pneumatico posteriore. Rimase in equilibrio senza posare piede a terra e si volse indietro per contemplare ciò che aveva appena saltato.
La rampa da cui aveva spiccato il volo protendeva l’estremo superiore oltre il lato corto di una piscina. In basso, a tre metri dal bordo, una recinzione costruita con ferri da cantiere teneva prigioniere alcune delle creature da incubo che avevano invaso il mondo. Gli zombie, oltre i quali Val aveva planato, si scagliavano contro le sbarre eccitati dalla vita che ardeva nel corpo della rider. Desiderosi di nutrirsi ma frustrati dalla prigionia, emettevano lamenti cavernosi e gorgoglianti alternati a schiocchi acuti e disperati. Val li vide aggredirsi a vicenda, strappandosi lembi di carne in decomposizione.
Il tanfo dei non morti la nauseava. La cacofonia che producevano l’angosciava. Ma gli zombie non erano i peggiori esseri che la circondavano. Certo, se fossero riusciti ad agguantarla l’avrebbero sbranata viva per masticare i muscoli, bere il sangue, sgranocchiare le ossa e succhiare il cervello dal cranio. Ma per quanto terribile e doloroso, il banchetto sarebbe durato poco per Val. Lei sarebbe morta in fretta e anche se il suo corpo si fosse rialzato, animato da chissà quale forza oscura, lei non sarebbe più stata lì, in quell’ammasso di carne martoriata. Il suo sé, l’essenza di essere Val la street rider, sarebbe già migrato in un altro stato dell’esistenza o di consapevolezza o di energia o, per quanto lei ne potesse sapere, sarebbe semplicemente evaporato nel nulla, come se non fosse mai esistito.
Considerava peggiore la marmaglia sguaiata e urlante assiepata sugli spalti che si ergeva sbilenca alla sua destra. Val osservò quell’insieme rappezzato e maleodorante di donne e uomini la cui fascia d’età andava dall’adolescenza alla maturità decisamente portata male. Che cosa li accomunava a lei? L’essere sopravvissuti all’apocalisse zombie? Sì, certamente, ma questo era un fatto accidentale. Aver dimenticato chi erano, cosa facevano e, soprattutto, di essere umani con tutte le stramaledette contraddizioni e ipocrisie del caso ma anche con la capacità di formare delle famiglie e una società civile? Ah, no. Questo, proprio no. Val aveva ben presente chi era e non aveva affatto dimenticato il proprio passato.
La prigionia. Non essere più padroni della propria vita era la condizione esistenziale che accomunava Val ai membri di quella tifoseria scalmanata. E allo stesso tempo, ciò che li rendeva simili li allontanava all’infinito: per loro andava bene così, ma lei desiderava in ogni istante riguadagnare la libertà.
Chiuse gli occhi e si rimise in piedi sui pedali. Mantenne la sua Haro in equilibrio, saltellando sulle ruote. Il ritmo regolare dei balzi e le necessarie correzioni con il manubrio funzionavano da sempre come un catalizzatore di concentrazione. Perché adesso Val non doveva pensare a nient’altro che completare la sua esibizione. Il percorso che l’attendeva, il park, era disseminato di ostacoli che se fossero stati affrontati senza il pieno controllo di mente e corpo, le sarebbero risultati fatali. Perciò non indugiò oltre a esplorare con lo sguardo le file di spalti, a cercare con gli occhi chi, in cima a quel reticolato oscillante, stabiliva come vivere e morire per tutti loro.
Saltellando sulla coppia di Kenda ruotò a sinistra e si allineò con lo half pipe che puntava verso il lato lungo della piscina.
Il mezzo cilindro era corto e stretto, la curvatura esagerata delle pareti avrebbe messo in difficoltà un park rider puro, ma lei nasceva come street rider e aveva il talento affinché nessun percorso urbano potesse risultarle incomprensibile, per quanto estremo fosse. La sequenza le era chiara: imboccare lo half pipe, risalire fin sul bordo sinistro e buttarsi in picchiata verso l’interno per volare oltre il bordo destro e proseguire.
Il ruggito dello zombie, incatenato per i piedi al centro del mezzo cilindro, sembrò gridarle contro che non avrebbe mai raggiunto la prossima tappa. Ma Val era pronta a deludere quell’avanzo di cimitero.
Baricentro basso, pedalata decisa ma leggera per filare senza sbandare sui liquami organici che insozzavano il percorso. Su per la curva sinistra quando lo zombie si avventò su di lei. O’Neal a terra, la gamba scattò come un pistone al massimo dei giri: Val e acciaio ruotarono di 180°, e lo pneumatico posteriore sfondò la mascella del non morto. Picchiata verso il centro dello half pipe, uscita dal lato destro come un proiettile esploso.
Val atterrò salva sulla seconda piattaforma. "Alleyoop sporco, considerò tra sé
d’altra parte credo di essere la prima ad averlo eseguito con quello schifoso tra le palle."
Ora di fronte a lei si dipartiva una fila di quattro passerelle poco più larghe delle sue spalle e ognuna iniziava e terminava con un quarto di cilindro messo per traverso che avrebbe consentito a Val di accelerare all’imbocco e, sperava, di saltare abbastanza in alto e in lungo in uscita. "Okay, Capelli Blu. Qui ci vogliono quattro spine transfer. E non fare quella smorfia, non sono nemmeno i più difficili che hai fatto." Le avrebbe detto Cromo, sfidandola con occhi azzurri come le pareti di un ghiacciaio: gelidi e determinati, ma capaci di infondere forza e protezione. E che potesse perdere la Haro se quell’uomo non le mancava da morire, con quella giacca di pelle nera e lisa, odorosa di pelle conciata, da cui non si separava mai.
Cominciò a visualizzare nella mente come avrebbe dovuto spostare il peso del corpo e della bici durante i salti, al fine di deviare in volo a sinistra o a destra per atterrare sulla passerella successiva. E certo! Se le mettiamo allineate che cazzo di divertimento c’è? Strette che una moto non ci passa e poi le piazziamo sfalsate e abbastanza distanti da farci stendere uno zombie tra l’una e l’altra. Così, se la stronzetta atterra corta, fa un tuffo fra gli zombie inchiodati sul fondo della piscina!
Pensò Val, facendo il verso ai suoi aguzzini e rammentandosi che i non morti là sotto avevano le braccia libere, pronti a strapazzarla ben bene.
Dunque facciamo lavorare alla grande ’ste corone a ventotto denti e che non salti la catena!
Primo, secondo e terzo salto perfetti. Deviazioni in volo pennellate con tanto di grido di guerra contro i non morti sul fondo della vasca, che invano protesero le braccia in alto.
Via per l’ultimo salto. Tirare il manubrio e salire con il baricentro… e un sasso fischiò nell’aria.
Il proiettile la mancò ma nella mente di Val la sinfonia delle