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A piccoli sorsi interrotti
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E-book217 pagine3 ore

A piccoli sorsi interrotti

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Info su questo ebook

A quale generazione è andata meglio, negli ultimi cento anni? Pare ai cosiddetti “boomer”, ossia ai nati intorno agli anni Sessanta del secolo scorso.
Eppure, chi è venuto alla luce in quel decennio appartiene a una generazione che non ha ancora deciso bene cosa vuole fare da grande, ha nel DNA il ’68 e la smania della disobbedienza dei figli contro i padri; guarda al passato, che appare lontano, ma lascia anche galoppare la fantasia verso le praterie di un futuro sempre più tecnologico… e anche un tantino inquietante.
Così, tra tenui nostalgie e rimpianti, agitazioni e apprensioni, impossibile non conoscere il disagio di appartenere a un presente in continuo divenire e la solitudine esistenziale alla quale molti cercano rimedio con l’identificazione a un gruppo –setta, partito, associazione – ma non funziona per tutti e non ci sono veri rimedi.
È faticoso vivere il presente col virus della malinconia, sentirsi un alieno in mezzo agli altri, ma rifiutare di indossare una maschera; non c’è nessuna ragione per rimpiangere il passato e neppure ci sono le premesse per ritenere che il futuro sarà bello, equilibrato e saggio…
LinguaItaliano
Data di uscita15 ott 2020
ISBN9788855390859
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    Anteprima del libro

    A piccoli sorsi interrotti - Valerio Parmigiani

    Commons.

    I

    Perché scrivo? Per paura.

    Per paura che si perda il ricordo della vita

    delle persone di cui scrivo.

    Per paura che si perda il ricordo di me.

    Da un quotidiano dell’epoca: La giornata di oggi, 30 marzo 2073, segna una tappa fondamentale nella storia della Provincia Federata Post-italica. A una settimana dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del D.M. contenente le Linee guida in materia di utilizzo dei dispositivi finalizzati alla pratica del sesso virtuale e responsabilità connesse, infatti, nel corso di una toccante cerimonia svoltasi presso la Sala del Progresso Sociale del Ministero per la Fertilità e la Pianificazione Familiare è stato simbolicamente consegnato al Sottosegretario On. Ausenda il primo esemplare dello strumento standard destinato alla prossima diffusione sul territorio nazionale. Dopo essersi scherzosamente concesso ai fotografi per alcuni minuti e aver indirizzato una breve allocuzione ai partecipanti, l’On. Sottosegretario ha espresso il proprio rammarico per il fatto che pregressi impegni istituzionali" (sulla cui natura, per altro, il suo stesso portavoce è stato piuttosto vago) gli avrebbero impedito di presenziare al convegno: ‘La macchina del piacere: prospettive e problemi a cent’anni dall’orgasmatic del Dormiglione di Woody Allen’, e si è accomiatato allontanandosi da un’uscita secondaria con una fretta che ha stupito più di un astante".

    Come noto, le norme sulla commercializzazione dei prodotti destinati alla pratica del sesso virtuale – già liberalizzata in tutte le Province della Federazione Mondiale con la provvisoria eccezione dell’Unione Post-Islamica dei Territori Arabi, che ha chiesto una deroga – sono state da poco introdotte nel nostro ordinamento al termine di un tormentato iter legislativo. L’ala più intransigente del PC (Partito Clericaltrasversale), infatti, aveva minacciato di far mancare il proprio sostegno alla maggioranza se nel Piano Nazionale per l’Eugenetica, in via di approvazione, non verranno inserite norme atte a scongiurare il pericolo – si legge in una nota dell’On. Teoturri, relatore in Parlamento – che le nuove tecnologie finiscano per soppiantare del tutto i metodi tradizionali.

    Naturale evoluzione dei prototipi introdotti in via sperimentale all’inizio del secolo, i dispositivi di simulazione erotica (DSE) oggi presenti sul mercato sono basati su un software complesso in grado di interagire con i recettori sensoriali, stravolgendo la percezione della realtà e offendo una sbalorditiva esperienza multidimensionale. Un visore proietta fasci di immagini a elevatissima risoluzione direttamente sulla retina, mentre una serie di elettrodi e sensori di movimento, posizionati in corrispondenza dei nervi periferici, convertono i gesti in sensazioni tattili. Una serie di sofisticatissimi controller, infine, trasmette al corpo un piacere in tutto e per tutto assimilabile a quello provato durante un atto sessuale, compresa la produzione di endorfine normalmente associata al coito. Ben lontani dunque dal costituire un semplice succedaneo della masturbazione o del sesso mercenario, secondo la maggior parte degli esperti tali dispositivi consentiranno a molte persone di vivere le proprie fantasie proibite al riparo dai sensi di colpa e dalle conseguenze materiali derivanti dalla loro messa in pratica.

    II

    Io mi dico è stato meglio lasciarci

    che non esserci mai incontrati.

    Per un paio di mesi, le sette e mezzo del martedì sera erano diventate la piccola ossessione di Edoardo.

    A yoga si era iscritto senza gran convinzione, e non certo perché fosse particolarmente affascinato dallo spiritualismo o dalle pratiche ascetiche. Forse vi aveva giocato una parte maggiore il desiderio – per quanto inconsapevole – di fare nuove conoscenze, visto che la città in cui si era temporaneamente trasferito per frequentare un corso di specializzazione non sembrava in grado di offrirgli gli stimoli di cui sentiva sempre un gran bisogno. In quell’epoca lontana in cui le relazioni non erano ancora diventate virtuali, del resto, comunicare vis-à-vis (o al massimo dal telefono fisso – a disco, in molti casi) ci sembrava la cosa più normale del mondo, e nessuno sano di mente avrebbe potuto prevedere che di lì a pochi anni saremmo finiti a spedirci faccine ammiccanti e mozziconi di frasi dal riparo di asettici e solinghi avamposti. In fondo non gli era nemmeno sembrato importante trovare un motivo: gli era piaciuta l’idea di ritagliarsi un piccolo spazio settimanale in cui correggere i difetti posturali e soprattutto rilassarsi, e tanto bastava. Non per caso il quarto d’ora finale di training autogeno era il suo preferito: un’oasi di tranquillità in cui si cullava – appunto – fino alle sette e mezzo, lo spartiacque tra la sua classe e quella successiva.

    Durante il cambio del turno, in assenza di un vero e proprio spogliatoio, gli uscenti si sedevano sulle panche del corridoio per rimettersi scarpe e cappotto, gli entranti arrivavano alla spicciolata per liberarsene con aria altrettanto distratta. Qualche sorriso di circostanza, al massimo una battuta anodina seguita da una risatina di cortesia a dissipare l’imbarazzo. Due minuti al massimo e poi via, ognun per sé. Fino all’ingresso in scena, a corso abbondantemente iniziato, di colei che avrebbe stravolto la natura di quella banale parentesi.

    Per il modo in cui si presentava, Micol era piuttosto lontana dal suo ideale di donna. Non che girasse in anfibi e giaccone mimetico, intendiamoci, ma quel look vagamente androgino risultante da un trucco minimale accostato a certi maglioni e pantaloni larghi a nascondere le forme si collocava davvero agli antipodi della sua idea di femminilità. Eppure, fin dalla prima volta in cui ne aveva incrociato lo sguardo – uno sguardo fugace per via della consuetudine di lei ad arrivare all’ultimo momento – Edoardo aveva capito benissimo che non se la sarebbe cavata a buon mercato. Per quanto tutto l’insieme si discostasse indubbiamente dai tradizionali canoni di bellezza, infatti, di fronte all’armonia di quel viso incorniciato da una massa di capelli a caschetto, spessi e nerissimi come gli occhi, si era sentito subito totalmente inerme. Ogni più piccolo particolare, da quell’appena percettibile accenno di strabismo al tenue pointillage di efelidi che macchiettava con efficace asimmetria il nasino leggermente all’insù, sembrava congegnato ad arte per renderlo vulnerabile come un poppante. Come infatti era stato, fin dall’inizio.

    Fin dall’inizio, e per un paio di mesi, quei pochi minuti successivi alle sette e mezzo del martedì sera erano diventati il punto focale dell’intera settimana: il momento in cui fare i conti, nel bene e nel male, con la non preventivabile discontinuità che l’ingresso in scena di quella creatura spuntata dal nulla aveva introdotto nella sua vita emotiva. Ma Edoardo era assai poco avvezzo alle fatiche imposte da quel tipo di situazioni. Da persona pacata, riflessiva, fondamentalmente malinconica e refrattaria ai grandi moti di entusiasmo qual era, difettava – ahimè – della spensierata frivolezza che sarebbe risultata funzionale al suo agognato tentativo di approccio. Ecco perché, la maggior parte delle volte, si era arenato in una sorta di regressione tra i cui sintomi più invalidanti spiccava un’eclissi parziale delle funzioni del linguaggio che l’aveva traghettato ai confini della lallazione. Il turbamento adolescenziale che lo prendeva durante l’attraversamento della fatidica porta che dava sul corridoio, in altri termini, aveva il potere di neutralizzare una quota notevole della sua dotazione neuronale, e la sola vista di lei ne riduceva drasticamente la possibilità di articolare frasi nelle quali si sarebbe riconosciuto nei momenti di lucidità.

    Quando la gamma delle sue reazioni riusciva a oltrepassare la produzione di gesti di saluto un po’ scomposti accompagnati da qualche suono gutturale, poi, finiva quasi sempre per essere posseduto da una paradossale loquacità che lo spingeva a esprimersi attraverso battute da conduttore radiofonico che in un diverso contesto gli sarebbero suonate assai imbarazzanti. L’evidenza che queste ultime non sembravano ingenerare in lei il minimo disagio, tuttavia, gli regalava l’opportunità di sentirsi insolitamente indulgente con se stesso e soprattutto di uscire dal centro yoga con l’immagine del suo sorriso stampata nella mente, a costituire un prezioso rifugio a cui attingere poi, nel corso della settimana, nei momenti più avari di gratificazioni. Man mano che il tempo passava, però, si faceva largo in lui la consapevolezza che questi episodi estemporanei si stavano susseguendo senza mai concretizzarsi in una vera e propria strategia di corteggiamento, della quale stentava a pianificare le mosse. Forse il cullarsi in quell’incertezza lo preservava dal timore di un probabile fallimento, ma l’estate si avvicinava a grandi passi, e con essa la fine del corso. Occorreva giocarsi il tutto per tutto, e l’occasione non avrebbe potuto che essere la cena organizzata dall’insegnante per darsi appuntamento a settembre. Solitamente Edoardo si teneva ben lontano da quel tipo di eventi, ma le circostanze imponevano al suo severo senso critico di prendersi una piccola pausa.

    A quella serata era arrivato lacerato da mille dubbi, ma anche con la rassicurante certezza di non aver niente da perdere. Era entrato nel locale tra i primi in modo da assicurarsi una posizione strategica, dall’altro lato della tavolata rispetto a lei e con Maurizio al suo fianco. Aveva sempre fatto fatica a farselo piacere, Maurizio. Un po’ troppo invadente, per i suoi gusti, e poi certe uscite spiritose a commento delle tecniche di meditazione gli erano sembrate forzate e fuori luogo. In quel caso, però, la sua esuberanza fracassona gli avrebbe fatto gioco, e con la complicità di un giro di birre a stomaco vuoto si era creato il clima giusto per sciogliere le inibizioni. Si era molto riso e scherzato, durante la cena, tanto che al momento di raccogliere i soldi per il conto gli era venuto quasi naturale di vincere le resistenze e avvicinarsi a Micol per buttarle lì la possibilità di uscire di nuovo, una di quelle sere. Loro due soli. Dentro di sé si era subito raccolto in posizione da è il comandante che vi parla, prepararsi all’impatto, con la speranza che il rifiuto sarebbe stato almeno cortese. Lei però, quasi come animata dal piacere di disorientarlo, aveva risposto va bene.

    Il sabato successivo si erano incontrati all’ingresso di un parco. Era un tipico pomeriggio di fine maggio, soleggiato e denso di feromoni. Lui si era presentato con qualche minuto di anticipo sull’orario concordato nel corso di una non facile telefonata: tra le mani una rosa selvatica colta in una siepe poco lontana da casa. Lei lo aveva raggiunto, tutta trafelata, dopo tre quarti d’ora buoni. All’epoca un simile lasso di tempo, che oggi inonderemmo con un profluvio di messaggini, gif ed emoticon per esorcizzare l’ansia, era ancora consegnato alla potestà assoluta dell’attesa, con i suoi interrogativi, le sue incertezze, il riaffiorare dei ricordi angosciosi del cucciolo d’uomo non ancora divezzato che siamo stati, destinato a essere pervaso dal terrore dell’abbandono all’inedia correlato a ogni ritardo della madre. Anche per questo, il dover aspettare generava in lui un senso di inquietudine che, in diverse circostanze, lo avrebbe probabilmente indotto a desistere. Quel giorno però aveva scelto di tenere la posizione, e certo non se n’era pentito, perché si era subito sentito mille volte ripagato dall’epifania di lei. La camminata un po’ malferma sul tacco 4 a cui era evidentemente poco adusa, il vestito al ginocchio in luogo dei soliti jeans, il trucco appena più accentuato, le movenze impacciate da cui emanava un vago bisogno di rassicurazione: tutto contribuiva a renderla, agli occhi di lui, semplicemente incantevole.

    Dopo un abbraccio un po’ esitante, Edoardo aveva invano riposto le proprie speranze di poter sciogliere parte dell’imbarazzo nel gesto di porgerle la rosa. Lei aveva sorriso, ma a occhi bassi, poi aveva iniziato a tormentarsi i capelli per cedere infine a un’incontrollata logorrea. Si erano avviati verso il parco, l’una sempre più agitata e l’altro incapace di interromperne il monologo in cui aveva attribuito la colpa del ritardo all’autobus che non passava e a un’amica che le telefonava sempre nei momenti sbagliati. Micol parlava e camminava spedita nonostante le scarpe e la pesante borsa che teneva sulla spalla (Edoardo, invece, per nulla fidandosi del proprio gusto estetico aveva prudentemente preferito concedere un turno di riposo all’amato marsupio per stipare chiavi di casa e portafogli nelle tasche dei pantaloni). Camminava e parlava, Micol. Soprattutto del fidanzato che viveva a Londra dall’inizio dell’anno e a cui aveva promesso di raggiungerlo presto ma poi non riusciva mai a trovare la tariffa più conveniente per comprare il biglietto dell’aereo, anche se qualche volta si era chiesta se in realtà non fosse il coraggio quello che le mancava e però si sentiva che prima o poi l’avrebbe fatto anche se non sapeva bene quando e comunque... Di tanto in tanto si fermava come per riprendere il filo, ma senza mai dare l’impressione di badare troppo alla presenza di lui, che continuava a seguirla docile e in uno stato semi-estatico che il frastornamento di quel fiume di parole non sembrava mettere più di tanto a repentaglio. Poi riprendeva a camminare e a parlare, rivolgendosi con ecumenica alternanza in parte all’uomo di cui, con il cervello rettile, continuava a percepire la presenza da qualche parte alla sua sinistra, in parte (accompagnando il cambio di interlocutore con un infantile addolcimento del tono della voce) agli uccellini che frusciavano tra le frasche e ai fiori più colorati che punteggiavano il prato.

    C’era voluta una quarantina di minuti perché il progressivo allentamento della tensione lasciasse emergere in lei i primi sintomi di stanchezza. A un certo punto aveva guardato Edoardo – forse per la prima volta – negli occhi, invitandolo a dire anche qualcosa di sé. Lui, allora, aveva suggerito di sedersi su una panchina, aspettando che lo facesse prima lei per meglio calibrare la giusta distanza da frapporre tra quei due corpi animati da una diversa urgenza di cercarsi: non troppo vicino per non apparire invadente, non troppo lontano per non penalizzare il più bistrattato dei sensi: l’olfatto. Quasi non bastassero gli stimoli visivi, infatti, la sua attività percettiva era in completa balìa anche del profumo di lei: non di quello che si era spruzzato, peraltro con parsimonia, ma di quello della sua pelle.

    Nulla sembrava in grado di titillare in maniera altrettanto profonda e pervasiva il sistema limbico di Edoardo, la cui espressione ricordava quella di Noodles-De Niro nella fumeria d’oppio. I nuovi riferimenti al fidanzato, però, avevano inibito qualsiasi velleità di concretizzare il desiderio di contatto fisico che lo stava squassando. Si erano salutati che era quasi ora di cena, tenendosi le mani (caldissime, quelle di lui) e scambiandosi sguardi improntati a disuguale intensità. Visto che tra le poche cose che era riuscito a dire c’erano un paio di riferimenti (per altro non colti) a scene di film, Edoardo aveva gettato in extremis l’amo dello sconto del mercoledì al cinema. E da come aveva reagito vedendo che a lei la proposta era piaciuta si sarebbe potuti star certi che a quell’appuntamento non sarebbe mancato neppure se fosse coinciso con la finale della Champions League in TV.

    In un cineclub che conosceva era già tempo di retrospettiva della stagione ormai avviata all’epilogo, e per quella sera erano in programma Va’ dove ti porta il cuore e I soliti sospetti. Micol, completamente digiuna della materia e comunque troppo timorosa di passare per frivola per palesare la propria ovvia preferenza, aveva delegato la scelta a lui, che invece il secondo se l’era visto eccome. Da una parte, però, gli sembrava semplicemente doveroso che lo vedesse anche lei, dall’altra non gli dispiaceva per niente l’idea di applicare il principio repetita iuvant, perché in tutta sincerità non è che ci si fosse raccapezzato più di tanto con quella storia complicatissima (si sa che in genere gli uomini hanno qualche difficoltà a seguire l’intreccio). Verbal Kint, dunque, sarebbe stato.

    L’appuntamento era per le nove. Micol si era presentata con un ritardo, tutto sommato, più che contenuto, e benché per l’occasione avesse rispolverato il solito look da yoga con poche concessioni alla seduzione (maglietta tinta unita, pantaloni di cotone grezzo di un discutibile color vinaccia, scarpe basse) a Edoardo era bastato incontrarne il sorriso infantilmente pulito e scevro d’inquietudini per sentirsi trasportato d’incanto in una dimensione parallela. Molto più che dal film, pertanto, la sua concentrazione era stata assorbita per tutto il tempo dalle sensazioni trasmessegli dal contatto dei corpi: profittando di una piccola schermaglia nata con mutua complicità poco prima che si spegnessero le luci in sala, infatti, le aveva appoggiato la testa sulla spalla e una mano sul braccio, rimanendo quasi sempre in quella posizione a tacitare i sospironi promananti da quell’autentico brodo di giuggiole.

    Anche quella proiezione, di conseguenza, aveva contribuito assai poco a diradare le nubi gravanti sulla sua comprensione del film, né in quel momento poteva sapere che nemmeno dalle successive sarebbe venuta una svolta decisiva in tal senso. Non sorprendentemente, però, altre priorità avevano preso il sopravvento all’uscita dal cinema, e per dribblare alcune domande di lei sull’identità di Kobayashi e Keyser Söze gli era bastato fare un po’ il vago e soprattutto svoltare l’angolo imitando la camminata finale di Kevin Spacey. Proprio quella, però, aveva finito col rivelarsi un’inaspettata mossa vincente, perché vedere che l’aveva fatta ridere gli aveva trasmesso la fiducia necessaria ad alzare il tiro e proporle di entrare in un pub poco distante. Era un posto molto affollato e rumoroso per i gusti di Edoardo, ma in questi casi, si sa: à la guerre comme à la guerre! Tanto che si era perfino spinto a ordinare un cocktail di cui sapeva poco o nulla ostentando una sicurezza da habitué. Poi era rimasto a lungo incantato a osservarla sorseggiare un mojito. Aveva parlato parecchio anche quella sera Micol, incurante della musica alta e del fumo sempre più denso che aggrediva la gola. I riferimenti al fidanzato, però, erano molto diminuiti rispetto al pomeriggio al parco, e a Edoardo questo non era sfuggito.

    Fuori da lì si

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