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Bugie e Verità
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E-book262 pagine3 ore

Bugie e Verità

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Info su questo ebook

In questa antologia, frutto di una selezione operata da Il Mondo dello Scrittore, incontrerete ben trenta cadaveri sparsi fra le pagine, fate attenzione che non ne salti fuori qualcuno che non siamo riusciti a individuare! Fra questi ci sono diciannove uomini, nove donne e, purtroppo, anche due bambini.
In tutto questo gli assassini sono dieci. C’è da notare che non sempre le signore autrici si sono limitate a metodi poco invasivi, come il veleno, ad esempio, ma hanno dimostrato una crudezza al pari dei signori uomini.
Singolare è il fatto che nessuno dei nostri autori ha ben pensato di far fuori l’editore, cosa che, spesso, gli scrittori meditano di fare…
LinguaItaliano
Data di uscita14 nov 2015
ISBN9788866902805
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    Anteprima del libro

    Bugie e Verità - AA.VV.A cura de Il Mondo dello Scrittore

    Scrittore.

    Il magazzino delle prove

    Prima di lasciarvi al piacere della lettura vogliamo fare un rapido sunto con il nostro magazzino delle prove.

    In questa antologia incontrerete ben trenta cadaveri sparsi fra le pagine, fate attenzione che non ne salti fuori qualcuno che non siamo riusciti a individuare! Fra questi ci sono diciannove uomini, nove donne e, purtroppo, anche due bambini. Interessanti sono due racconti piuttosto anomali rispetto agli altri, dal momento che in uno l’assassino non è umano e nell’altro non vi è alcun morto, a meno che non vogliate far fuori voi il personaggio per comprovata antipatia verso lo stesso!

    In tutto questo gli assassini sono dieci, tra cui sei uomini, tre donne e il non umano di cui sopra. C’è da notare che non sempre le signore si sono limitate a metodi poco invasivi, come il veleno, ad esempio, ma hanno dimostrato una crudezza al pari dei signori uomini.

    Nel totale abbiamo, su dieci racconti, sei casi risolti, di cui uno da un personaggio non appartenente alle forze dell’ordine, mentre quattro casi restano irrisolti per i più disparati motivi… senza dubbio inquietanti.

    Le armi bianche sono state decisamente predilette rispetto ad altri metodi di soppressione, probabilmente perché il sangue, derivante da incisioni e tagli, fa più scena rispetto a un comune veleno, anche se, quest’ultimo, è stato ugualmente efficace. Gli altri metodi utilizzati sono stati i più vari e, talvolta, anche piuttosto fantasiosi, oltre che scenografici.

    Singolare è il fatto che nessuno dei nostri autori ha ben pensato di far fuori l’editore, cosa che, spesso, gli scrittori meditano di fare e non negatelo perché sapreste di mentire. A parte questo, siamo soddisfatti del risultato ottenuto con questa antologia, perché i dieci racconti selezionati coprono un vasto campo di possibilità, partendo dall’omicidio più classico all’indagine più particolareggiata. La nostra giuria, composta sia da una parte tecnica sia da un gruppo selezionato di lettori forti, ha scelto in modo unanime fra i molti testi pervenuti, offrendo al lettore una buona occasione per inquadrare a 360 gradi il mondo del giallo, del thriller e del noir.

    Fra gli scrittori abbiamo ritrovato vecchie e nuove conoscenze, in egual misura, scoprendo, con immenso piacere, che alcuni autori affezionati non hanno potuto fare a meno di regalarci un altro testo da inserire fra le nostre pagine. Dunque vi lasciamo all’introduzione, anch’essa scritta con il giusto grado di suspance.

    Irma Panova Maino e Andrea Leonelli

    Introduzione

    Le ombre della sera si allungavano inesorabili e le luci colorate del network si accendevano una a una come lucciole in una notte d’estate. Il grande palazzo MDS Network s’ergeva imponente nella periferia verde, come un castello che dominava la campagna di un feudo.

    La luce più splendente, in alto. Più in alto, ancora più in alto. No, non esageriamo, quella è la luna. Ecco, quella luce all’ultimo piano, apparteneva alla direzione stellare del network, là dove si prendevano le decisioni più importanti.

    Quella sera nella sala c’era un’atmosfera di attesa entusiastica. Si aspettava l’arrivo della prima copia di Bugie e Verità, prezioso dono dell’editore EEE ai curatori dell’antologia e nessuno, davvero nessuno, poteva prevedere la svolta che gli eventi stavano per prendere.

    Intanto, nella piccola sala al piano terra l’uomo dagli occhiali scuri si aggiustò il berretto di lana sulla corta capigliatura bionda e lanciò uno sguardo ansioso al cortile dalla finestra. Possibile che la ditta di trasporti impiegasse tutto quel tempo? Ma soprattutto, chi diavolo era il cretino dell’ufficio milanese che aveva nascosto i codici di lancio del sottomarino nucleare Dallas in mezzo a un’antologia gialla?

    Tra i cespugli la coppia aspettava tenendosi per mano. La scena avrebbe potuto apparire romantica, se la tensione non avesse attanagliato come un boa constrictor i due teneri innamorati. Scrittori e amanti segreti, avevano lasciato nei loro racconti frasi in codice che non dovevano assolutamente cadere nelle mani sbagliate. I pezzi più pericolosi erano stati eliminati in fase di correzione di bozze, ma quel dannato primo esemplare era sfuggito chissà come all’epurazione.

    Gialli, thriller e noir si giocano sull’atmosfera, sulla suspense e sul mistero. Affascinano, stupiscono, incantano il lettore e lo sfidano a trovare la soluzione prima che venga resa nota. Tuttavia, come spesso accade nel racconto di genere, domina l’elemento umano: la vita quotidiana in città e nei paesi, persino nei condomini, le piccole grandi tragedie, le bassezze e i voli inaspettati dell’animo delle persone comuni, le passioni incontrollate, l’ipocrisia e l’incomunicabilità nelle coppie. L’ambientazione sociale di una storia è l’occasione di visitare un piccolo mondo spesso distante, di lasciar vagare lo sguardo liberamente sulla tela articolata, complessa che gli autori hanno tessuto attorno alla storia principale. Mentre la mente cosciente del lettore sta cercando di inchiodare il colpevole, la sua fantasia gli costruisce intorno un paesaggio composto da tanti elementi affascinanti.

    Così, noi de Il Mondo dello Scrittore Network siamo davvero orgogliosi di presentare questa raccolta di racconti che è un puzzle di storie, di stili, di personaggi ma anche una finestra che si apre su molte realtà differenti. Il cammino che proponiamo sul filo conduttore della bugia e della verità è lungo e sorprendente, per cui lasciamo subito spazio ai racconti.

    Andrea Marinucci Foa e Manuela Leoni

    Grand Hotel Italia

    di Pino Benincasa

    Disfatta!

    Non nel senso di sconfitta rovinosa e senza appello. Antonietta si attribuiva quello stato in quanto donna sfinita dalla fatica e, dopo una giornata in cucina, giocoforza malandata nell’aspetto. Particolare quanto mai fastidioso per chi, come lei, ne faceva un punto d’onore.

    Il lavoro non mancava anzi, a volerla dire tutta, ce n’era addirittura troppo. I soldi invece scarseggiavano, chissà perché quelli non aumentavano mai.

    Tant’è. Nel Paese della crisi perenne domina un punto di vista molto pratico di concepire la questione: accontentarsi.

    Da semplice cuoca Antonietta non pretendeva di produrre soluzioni a simili problemi, le pareva però che, a forza di accontentarsi, giorno dopo giorno, il lavoro perdesse valore e i diritti dei lavoratori venissero ormai considerati scontati. Anche all’Hotel Italia, per esempio, le camere erano sempre piene, eppure la scusa della crisi tornava buona per essere rinfacciata al personale, quasi come se il lavoro fosse una gentile concessione per la quale ringraziare ogni momento e non un contratto tra le parti regolato dal classico dare per avere.

    Ricordati, c’è sempre chi sta peggio di noi, soleva dirle suo padre ogni qualvolta la sorprendeva a lamentarsi.

    In ossequio a questa massima, già avviata sulla strada di casa, si ricordò di Taye. Il povero ragazzo arrivava da qualche Stato dell’Africa, non rammentava bene quale, e insieme con altri disperati si aggirava senza una meta nei dintorni della Stazione Centrale, a due passi dall’albergo. Sfidando la volontà e l’irritazione di Mauro, portiere dell’hotel, nonché suo collerico marito, la sera Antonietta trovava il modo di far avere qualche avanzo al giovane profugo.

    Proprio per non dover dare spiegazioni al marito, rientrò in cucina dalla porticina sul retro: Mauro smontava alle ventidue e a quell’ora di sicuro cercava un po’ di refrigerio davanti al portone d’ingresso, anche se la maggior parte dei clienti rientrava dall’Expo a serata ormai inoltrata. Lasciò la porta socchiusa e si sentì rasserenata dalla buona azione che si apprestava a compiere. In fondo, pensò soddisfatta di sé, bastava davvero poco per rendere il mondo un posto migliore.

    Bastava ancora meno per renderlo peggiore ma Antonietta non lo sapeva ancora, l'avrebbe scoperto a breve.

    Entrò in cucina e fu invasa dal disagio che sempre le procurava quel luogo quando era semibuio e deserto. Chiassoso e spumeggiante durante l'attività, una volta spenti i fornelli si trasformava in un antro spettrale. Mestoli, padelle e tegami, appesi sui propri ganci, parevano animarsi e sghignazzare appena si voltavano loro le spalle, gli scaffali diventavano tanti zombie in agguato nell'ombra, il banco da lavoro sembrava messo lì apposta a fungere da nascondiglio per chissà quale delitto.

    Imprecando contro se stessa alla fine cedette e, come una bambina, corse all'interruttore delle luci, sebbene il sole di giugno non fosse ancora del tutto tramontato, si potevano scorgere gli ultimi raggi passare attraverso gli alti finestroni. Il locale s’illuminò all'istante come un tavolo operatorio e le cose ritrovarono ognuna la propria reale dimensione.

    Non necessariamente una buona notizia!

    Antonietta difatti girò dietro al bancone per raggiungere il frigo e s’immobilizzò di colpo, quasi fosse stata la campionessa mondiale di un due tre stella!

    Nello stesso tempo cacciò un urlo violento che la terrorizzò più della scena sul pavimento.

    Il dottor Pagani – oh mio Dio, Dante! Pensò in una frazione di secondo di lucidità – proprietario e direttore dell’Hotel Italia, la fissava con occhi dilatati e irremovibili in un’inconsueta espressione di rimprovero. Seduto, spalle appoggiate allo stipetto del mobile, braccia abbandonate lungo i fianchi, gambe distese in una pozza di sangue scarlatta, come la muleta di un torero, sulla gola un taglio da sinistra a destra quasi da un orecchio all’altro a disegnare un orrendo sorriso dal quale sgorgava ancora sangue in abbondanza.

    Prima di aver avuto modo di riacquistare le proprie facoltà mentali sentì un fruscio dietro di lei. Si girò di scatto ma fu l’unico movimento che le riuscì di compiere!

    Vide la mannaia luccicare nella luce abbacinante, avvertì un bruciore vivo nella gola, cento volte più ardente della più potente delle faringiti.

    Le ginocchia cedettero.

    Ebbe appena il tempo per pensare che tra poco avrebbe anche lei esibito quel sorriso disgustoso.

    Poi crollò.

    Le luci si spensero e le tenebre calarono, per l’ennesima volta premature, sull’esistenza di una brava persona.

    * * *

    Dopo oltre trent’anni in polizia il commissario Silvano Cabra s’illudeva di essere diventato immune a qualsiasi tipo di emozione, meraviglia o sentimento. Il cinismo in realtà, lo sapevano bene i suoi sottoposti, rimaneva in superficie, ricoprendolo come una pellicola per gli alimenti.

    Se non fosse che, una volta violata la pellicola, l’aria lentamente decomponeva i cibi, allo stesso modo, superato il primo momento di sicurezza, nel quale padroneggiava la situazione, lentamente il commissario veniva sopraffatto dall’enormità di porcherie che di volta in volta gli si paravano davanti.

    Ci cascava sempre! Nessuna eccezione per quel duplice sgozzamento.

    Mentre le rigirava tra le mani, le fotografie parevano animarsi, quasi sentì sulle dita l’umidità appiccicaticcia del sangue, dovette distogliere lo sguardo per evitare di incrociare soprattutto quello della donna. Insostenibile nella sua incredulità accusatrice.

    Al disgusto poi, fu costretto ad aggiungere il rammarico per non essere ancora riuscito a raccapezzarsi nel puzzle da un milione di pezzi nel quale sempre si componeva un omicidio.

    Per ironia della sorte, gli avevano già impacchettato e messo davanti il colpevole perfetto, ma ciò non faceva altro che aumentare la propria innata diffidenza verso le soluzioni troppo facili.

    Mai dire mai, tuttavia, se quel disgraziato era davvero un assassino, Silvano poteva dirsi Sherlock Holmes!

    Come ti chiami? chiese con tono neutro, più di un sapone per le mani.

    Il ragazzo sollevò occhi nei quali chiunque poteva scorgere l’opaca afflizione, propria della sofferenza umana, immancabile preludio della rassegnazione.

    Mi chiamo Taye Nguyen rispose in un italiano più che buono. Ma questo dovrebbe essere già scritto nel fascicolo che ha davanti.

    Altroché se c’era scritto. La richiesta di asilo politico conteneva il nome, oltre a un’infinità di altre informazioni sulla sua vita. Congolese, ventotto anni, orfano dei genitori a causa di una fra le tante guerre tra bande che insanguinavano l’Africa, con la tacita compiacenza delle potenze mondiali. Apparteneva difatti all’etnia Hutu, soccombente nell’ultimo conflitto interno terminato nel 2008 e dunque perseguitata dai Tutsi filo-rwandesi. Motivi sufficienti per spingere qualsiasi essere umano il più lontano possibile dalla propria terra d’origine.

    Sono sempre stato un tipo pigro, le storie mi piace farmele raccontare, quindi coraggio, dimmi come, quando e perché sei arrivato in Italia.

    Silvano pensò che si sarebbe pentito della domanda, certe cose è meglio non saperle, recita la filosofia praticata con ottimo profitto nel civilissimo e democratico Occidente.

    Il ragazzo lo guardò quasi supplicandolo ma Silvano mantenne la sua irremovibile espressione interrogativa e non gli lasciò scelta.

    Siamo partiti sei mesi fa dal nostro villaggio, nella parte più orientale del Paese, quasi al confine con l’Uganda.

    Siamo? lo interruppe subito.

    Taye distolse lo sguardo e sospirò profondamente.

    Io e mia sorella rispose alla fine.

    Continua.

    Con qualche passaggio, ma praticamente a piedi, abbiamo attraversato il confine con il Sudan e lungo il corso del Nilo siamo arrivati fino a Khartoum. Qui, non avendo abbastanza soldi, abbiamo dovuto lavorare un paio di mesi per comprare il biglietto per la Libia. Sa, prima del Mediterraneo c’è un altro mare che ci separa dall’Europa, si chiama Sahara e da un po’ di anni è una tomba a cielo aperto.

    Ignorandone il motivo, Silvano cominciò a provare un certo disagio. Si sistemò sulla sedia mentre Taye riprendeva il suo racconto.

    È stato il nostro errore imperdonabile, la rotta per la costa libica è la nuova strada per l’inferno. Ci hanno caricato in più di trenta nel cassone di un furgoncino, non c’era spazio per sederci tutti, si facevano i turni, almeno all’inizio. Poi, chi non sopravviveva allo sbalzo termico tra giorno e notte, principalmente i bambini, veniva abbandonato ai bordi della pista e così faceva posto. Dopo tre o quattro giorni l’autista ci ha scaricato in una piccola oasi, in pieno deserto, dicendo che doveva tornare indietro e sarebbe venuto un altro autista a prenderci. Siamo rimasti lì una notte e un giorno, fino a quando la sera successiva si sono presentati degli uomini armati dichiarandosi proprietari dell’oasi.

    La voce del ragazzo divenne meccanica, quasi come quella dei robot nei film di fantascienza degli anni settanta, lo sguardo sempre più spento si perse oltre le pareti. Il commissario avrebbe voluto dirgli di smettere ma non ne fu capace, si fece prendere dal fascino perverso dell’orrore.

    "Hanno subito costretto tutti a consegnare i cellulari, separando gli uomini dalle donne e portando via queste ultime. Ci hanno fatti sedere in fila, divieto assoluto di parlare o di muoversi. Un ragazzo ha provato a ribellarsi, è stato picchiato fino a fargli vomitare sangue, ha agonizzato per un paio d’ore, poi non l’ho più sentito lamentarsi. Nessuno di noi conosceva il suo nome né sapeva da dove arrivasse. Abbiamo passato così l’intera notte, poi al mattino ci hanno chiamato uno alla volta costringendoci a bere acqua putrida in modo da causarci problemi intestinali. Sapevano che molti di noi ingoiano palline di soldi arrotolati per nasconderli. Io ero uno di questi. Per mia disgrazia, i soldi erano sufficienti a pagare il pernottamento nella loro oasi e il nuovo biglietto di viaggio ma non per riscattare mia sorella…"

    La voce era ormai ridotta a un sussurro.

    A nulla sono valse le mie suppliche né quelle di altri, non so che fine abbia fatto. Siamo ripartiti e dopo altri giorni di viaggio, non saprei dire bene quanti, abbiamo raggiunto la costa libica, credo poco a ovest di Bengasi. Qui, ovviamente, serviva un altro biglietto, forse l’ultimo. I cellulari sono stati riconsegnati ai legittimi proprietari con l’unico scopo di chiamare casa per farsi mandare soldi tramite i money transfer. Chi non aveva il cellulare, o come me nessuno da chiamare, si ritrovava ancora di più alla mercé della milizia di turno. Io ho cominciato a ribellarmi, volevo tornare indietro, riavere mia sorella. Allora dopo avermi bastonato più volte, forse per farmi dispetto, mi hanno caricato a forza su un camion diretto nei pressi di Tripoli e da lì su un vecchio peschereccio stipato di persone all’inverosimile.

    Silvano aprì la bocca per interromperlo ma Taye fu più svelto nel proseguire.

    Abbiamo viaggiato per tre giorni senza cibo e con pochissima acqua, donne e bambini nella stiva, gli uomini sul ponte. Alcuni, cotti dal sole e stremati dagli stenti, non ce l’hanno fatta e sono finiti nel fondo di un mare troppo azzurro per essere credibile come cimitero. Arrivati a qualche chilometro dalle coste siciliane il comandante e altri due uomini sono saltati a bordo di un motoscafo veloce abbandonandoci alla deriva. Siamo stati intercettati poi da una nave della Guardia Costiera che ha trainato la nostra carretta fino a riva. Senza aver commesso alcun crimine, ci hanno rinchiuso in una specie di carcere, dove non c’erano abbastanza celle per tutti e molti vivevano all’aperto. Lì comunque sono riuscito a presentare la domanda di asilo politico e, dopo un paio di settimane, sono uscito. Ora, da un mesetto sto cercando un modo per raggiungere la Svezia, dove vive un altro mio fratello, non ho intenzione di rimanere in Italia.

    Terminato il suo racconto tacque, gli occhi lucidi ma pieni di dignità, lo sguardo di chi sa di non aver fatto niente di male.

    Silvano avrebbe voluto in qualche modo rincuorarlo, ma cosa poteva dire, esistono parole adatte a lenire tanta sofferenza? Probabilmente no, perciò decise di non usarne di banali, di quelle false e preconfezionate delle quali, invece, molto spesso si abusa.

    Non solo, si ricordò del motivo per cui quel ragazzo stava seduto davanti a lui e lo scoiattolo del dubbio cominciò a rosicchiare il guscio del suo cervello.

    Se fosse stata tutta una finta? Se il racconto da libro Cuore gli fosse stato propinato al solo scopo di impietosirlo?

    Parliamo della sera dell’omicidio sparò dunque a bruciapelo per soppesare la reazione, la quale si rivelò inesistente come quella che avrebbe avuto la sagoma di cartone di un tiro a segno.

    Voglio che mi racconti come sono andate le cose precisò per smuoverlo dall’immobilismo nel quale era caduto.

    Taye trasalì e strabuzzò gli occhi come chi è appena uscito da un incubo. Per sua disgrazia gli toccava subito entrare in un altro.

    Commissario l’ho già detto e ripetuto, non mi ricordo niente.

    Beh, per il tuo bene sarebbe meglio se ti tornasse la memoria. Ricominciamo daccapo, sei arrivato nel vicolo, la porta era socchiusa, poi cos’è successo?

    La cucina era vuota e buia, non c’era la signora né nessun altro ed io ho creduto di avere fatto tardi. Stavo per andarmene quando è arrivato quell’uomo. Non so chi fosse, anche se l’avevo già visto, una volta ha sgridato la signora Antonietta, non voleva che mi desse da mangiare.

    Se lo vedessi, sapresti riconoscerlo?

    Taye si limitò ad annuire e continuò a farlo anche quando gli mise davanti la fotografia.

    È lui, sono sicuro! Pareva esserlo davvero.

    Continua, cosa ha fatto quest’uomo?

    "È stato stranamente gentile e mi ha detto di aspettare la signora, sarebbe arrivata presto, poi mi ha fatto sedere su delle casse d’acqua. Non mi ricordo più da quanto non dormo in

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