Spazi inclusi
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Anteprima del libro
Spazi inclusi - Vilma Buttolo
Riccardo
Prefazione
Questa raccolta l’ho costruita negli anni, con pazienza, con racconti scritti apparentemente per concorsi letterari di varia natura. Solo voltandomi indietro e rileggendoli capisco che il concorrere è stato solo un alibi per spronarmi a scrivere ciò che mi interessava. Ho sempre scelto la storia, privilegiando concorsi a tema libero o quelli che più mi sembravano attinenti alle trame che, da giorni o mesi, avevo nella testa. L’unica cosa che hanno definito davvero gli altri, a cui ho dovuto attenermi con precisione nelle mie narrazioni, è stato il numero di battute, spazi inclusi
.
Nel leggere questi racconti, tutti insieme, a posteriori, osservo l’intrecciarsi dei temi a me cari: la maternità con tutte le sue facce, anche quelle oscure; i legami che sostengono o soffocano, a seconda di dove poniamo l’accento; i margini, nei mondi di devianza e di fragilità, che incontriamo sulla strada di tutti i giorni. Ed è nell’ondeggiare tra presente e passato, tra ricordo e oggi, nel dare un po’ di me a ogni storia e nell’appropriarmi delle emozioni di un personaggio, che questi racconti si snodano, nell’apparente assenza di una narrazione comune.
Al Castello
Seduta su una panchina, nel parco del Castello, Tatiana fissava davanti a sé. Era stanca e nello stesso tempo sentiva i muscoli tesi, pronti ancora a scattare.
«Quel bastardo mi ha fregato!» imprecò Patrizia andando avanti e indietro, lungo il viale, sotto le mura del Castello. A Tatiana ricordò uno di quegli orsi meccanici a cui si spara al luna park.
«Che c’è Pat?» le chiese con la voce impastata.
«Quello stronzo di un negro mi ha venduto uno schifo, un niente. Sto male.»
Tatiana era troppo rallentata per poterle rispondere ci penso io, ti aiuto io
. Continuò nel suo viaggio, girandosi dall’altra parte. Dopo un attimo Patrizia si mise a piangere e gridare, attirando l’attenzione degli ultimi visitatori del Castello.
«Basta, non fare la cretina o arriveranno gli sbirri» tentò di azzittirla Tatiana. «Dai vieni, andiamo a vedere se riusciamo a trovare qualcosa» le disse trascinandola via.
La prese sottobraccio per sostenerla ma Patrizia procedeva a scatti e quella strada in discesa rese ogni sforzo vano. Patrizia cadde più volte, bestemmiando e piangendo.
«Portami da Marco» le disse infine. «Penserà lui a me.» Anche senza soldi, Patrizia sapeva come fare. Non era la prima volta, né sarebbe stata l’ultima.
Tatiana si era alzata dalla panchina mettendosi le mani sui fianchi e inarcando leggermente la schiena. Aveva fatto anche qualche piccolo passo per non cedere alla stanchezza. Quei ricordi arrivavano veloci. La trapassavano.
Dopo quella sera, al Castello non era più tornata. Troppe le immagini spaventose che si alternavano nella sua mente. Eppure quello era stato il luogo in cui lei e Patrizia si confidavano, in cui progettavano un futuro libero, lontano dalle loro case e dalle loro ingombranti famiglie. Quante volte aveva detto: «Ci si vede dopo, al Castello».
Erano amiche da così tanto tempo.
A casa di Marco fu tremendo.
«Oh, questa non respira più!» disse Marco dandole dei colpi violenti sul petto. Tatiana, curva sull’amica, tentò di ridarle il respiro, incurante del rantolo e della saliva che le usciva ai lati della bocca.
«Chiama l’ambulanza, dai, muoviti» disse poi stremata dallo sforzo.
«Questa schiatta. Portiamola noi» furono le ultime parole di Marco.
E poi solo dei flash.
Patrizia grigia sul sedile dietro.
Patrizia che sbatte la testa a ogni curva troppo stretta.
Patrizia buttata a terra, come un sacco di rifiuti.
«Ce l’hai fatta, sei qui con me.» Tatiana teneva la mano dell’amica.
«È la prima volta che mi lamento di un ago nel braccio» disse Patrizia, con una smorfia di dolore, guardando la flebo. Tatiana, però, non aveva voglia di scherzare.
«Dobbiamo fare qualcosa, non possiamo continuare così, abbiamo quarant’anni» le disse.
Mettendosi seduta sulla barella, Patrizia liberò la sua mano.
«Dobbiamo fare qualcosa? E perché? Per chi? Guardami. Cosa vedi?»
Tatiana esitò.
«Vedi una tossica» continuò. «Posso cambiare, secondo te? Ma qui, in questa cittadina, chi lo vedrà?