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Ucronie: Storie di fantafilosofia
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E-book165 pagine1 ora

Ucronie: Storie di fantafilosofia

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Info su questo ebook

La storia del pensiero è impalcatura sempre attuale e irrinunciabile del vivere umano: senza timore, quindi, l’Autore di questa raccolta si volge ai grandi della filosofia e ne tramuta il pensiero in una rampa di lancio verso un possibile impossibile, una riflessione ucronica in specchi che si specchiano tra di loro e rimandano all'infinito. Da queste astrazioni escono storie tese, inaspettate e totalmente fruibili da un lettore incuriosito, che si lasci catturare dall'evidente intento della costruzione letteraria.
LinguaItaliano
Data di uscita17 mag 2021
ISBN9788855391290
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    Anteprima del libro

    Ucronie - Maurizio Regis

    Maio.

    Età antica

    Ηρακλειτος (Eraclito - 535 a.C. 475 a.C.)

    Εμπεδοκλης (Empedocle - 470 a.C. 430 a.C.)

    Λευκιππος (Leucippo - V secolo a.C.)

    Mortali Immortali

    Volare¹.

    Se gli antichi avessero preso un aereo oggi, chissà che delusione!

    Dobbiamo rassegnarci al fatto che il nostro corpo non è adatto a combattere la gravità, e i nostri organi mal sopportano la velocità, i venti turbinanti e il freddo pungente. Allora siamo costretti in carlinghe d’acciaio ove l’unico svago è contemplare le nubi spumeggianti. Tuttavia per gli dei è bello e buono così: siamo solo noi a ritenere giusta una cosa e ingiusta l’altra.

    Sono partito da Punta Arenas con un BAE 146 che in circa due ore raggiunge l’isola di Re Giorgio: la maggiore delle Shetland meridionali. Un’inezia in confronto all’interminabile volo dall’Italia, ma ancora un’attesa che mi separa dal nuovo lavoro di ricerca tanto ambito.

    Il velivolo sta attraversando il canale di Drake, che separa la punta del continente americano dalla penisola antartica, naturale prosecuzione della catena delle Ande, che per qualche misterioso motivo qui si è inabissata.

    Ora l’apparecchio ha cominciato a vibrare e a subire brevi cadute che mi fanno arrivare il cuore in gola. Siamo ai primi di gennaio, in piena estate australe, ma i Westerlies² spirano con la loro consueta violenza, e meno male che ho evitato la traversata in traghetto.

    Per distrarmi cerco di consultare gli appunti dettati dal caro professor Caputo. Troppo anziano per affrontare il viaggio, ha preferito inviare il suo migliore assistente in aiuto degli americani. Inutile dire che la cosa ha generato in me una pressione enorme, e temo il momento in cui dovrò dimostrare come un giovane dottorando possa contribuire alla risoluzione dei loro problemi. Invece di concentrarmi sulle formule, mi distraggo a riepilogare mentalmente tutti i capi speciali dell’abbigliamento tecnico contenuti nelle mie valigie.

    Il terrore del freddo polare mi perseguita fin dall’inizio di questa missione, e nemmeno le previsioni sulle temperature estive mi hanno rassicurato. Non starò mica sempre piantato sulla costa, e quando arriverà l’inverno?

    Mi prende un attacco d’ansia e chiedo alla hostess un serotoninergico. Poi resto buono buono fino alla discesa sulla pista dell’aeroporto Teniente R. Marsh dove termina il volo. Sono arrivato in Antartide.

    Ci siamo imbarcati sulla rompighiaccio Dobrynya Nikitich ormeggiata alla baia di Filden, nella parte più meridionale dell’isola. A bordo sono saliti anche una decina di studiosi provenienti dalla base locale di Frei, forse dei futuri colleghi.

    Per coprire alla velocità media di venticinque nodi le oltre tremila miglia che ci separano dalla base Zucchelli, occorrerà una settimana di navigazione senza soste.

    Trascorro il tempo leggendo e ammirando il panorama della costa occidentale, bagnata dalle acque miste di tre oceani. Osservando i miei compagni di viaggio mi è venuta voglia di conoscerne qualcuno. Devono essere abituali frequentatori della zona antartica, custodi di chissà quali storie e avventure. Tra tutti mi ha colpito un tipo basso, tarchiato e con una folta barba screziata che passa gran parte del tempo sul ponte, incurante del freddo. Sempre solitario e con occhi insolenti si affaccia sul lato ovest, verso il mare aperto, fregandosene dei fiordi e delle catene montuose che lascia alla contemplazione degli altri. I suoi modi sono piuttosto bruschi e anche oggi, a pranzo, ha sbraitato contro un povero cameriere, reo di avergli fatto sbrodolare la zuppa sul braccio. Sono attratto dalla sua personalità e mi avvicino con il cappuccio di goretex tirato fin sugli occhi, sfidando il vento gelido.

    «Mi chiamo Lear, come il re di Shakespeare» ha detto ridacchiando «ma chiamami pure Tico. Sono danese».

    «Io invece sono un ricercatore italiano.»

    «A ogni uomo è concesso conoscere se stesso ed essere saggio. La tua ricerca rientra in questo ambito?»

    «Non so, io mi occupo di cosmologia.»

    Ho spiegato al mio nuovo amico, così mi viene da considerarlo, che l’équipe scientifica americana operante al Polo Sud, nella base Amundsen-Scott, aveva richiesto gli uffici del professor Caputo, massima autorità nell’interpretazione dei dati registrati dal radiotelescopio ivi operante.

    «Dovranno accontentarsi di me e temo che questa sorpresa non gli sarà gradita.»

    «Che le cose vadano come uno se l’aspetta non è certo il meglio. Per nessuno³!» sono state le consolanti parole di Tico.

    Il terzo giorno di navigazione abbiamo oltrepassato il circolo polare antartico oltre il quale il sole non tramonterà più fino all’equinozio di primavera. La temperatura si è mantenuta sempre sopra lo zero, anche a causa di questo costante irraggiamento che mi ha piuttosto rincuorato. Tico non mi ha dato spiegazioni sulla sua presenza a bordo. Ho avuto l’impressione che abbia improvvisato di sbarcare alla base italiana Zucchelli perché ci andavo io, ma ho ben altro a cui pensare e la sua compagnia mi è di molto conforto.

    All’alba del sesto giorno di viaggio abbiamo avvistato la grande barriera di Ross e perfino Tico si è degnato di osservare l’imponente massa di ghiaccio che occupa gran parte dell’omonimo mare. Il capitano mi ha detto che a causa del riscaldamento globale la banchisa finirà per disintegrarsi. Quando accadrà il livello dei mari si alzerà di cinque metri e chissà quante terre saranno sommerse.

    «Gli sciocchi amano stupirsi di ogni discorso⁴» ha sentenziato Tico rivolgendosi all’equipaggio rimasto a bocca aperta.

    Quei semplici marinai, rispettosi nei confronti del possente monumento della natura, si sono indignati, non tanto per l’offesa, quanto per l’indifferenza mostrata dallo scorbutico passeggero.

    Per fortuna il giorno dopo siamo sbarcati per raggiungere la base italiana raccomandata dal professor Caputo, salvandoci dalla brutta piega che aveva preso la faccenda. Con un sospiro di sollievo ho guardato la Dobrynya Nikitich che si allontanava per circumnavigare la Terra Vittoria. L’ho seguita fino a quando, piccola come un puntino, ha doppiato l’ultimo capo visibile. A quel punto la si sarebbe potuta scorgere solo dalla cima del monte Erebus, che al confine della banchisa si innalza come un gigantesco guardiano.

    La nostra sosta qui sarà di breve durata: tra qualche giorno, tempo permettendo, giungerà l’elicottero per condurmi alla base americana edificata nei pressi del Polo Sud.

    Trascorro questi ultimi giorni in una moderata allegria, circondato dai miei connazionali che mi invidiano per l’importanza del mio compito, ignorando completamente quanto io mi senta inadeguato.

    Sono così angosciato che supplico Tico di seguirmi spacciandosi per il mio assistente.

    Sebbene sia un uomo maturo, accetta questo ruolo poco credibile. Ho come l’impressione che non abbia aspettato altro, ma gli sono troppo grato per nutrire sospetti di qualunque genere.

    Le condizioni meteorologiche si mantengono buone e ne approfitto per una escursione sulla costa in compagnia di Tico. Si è aggiunto anche Ciro, un ragazzo napoletano che alla base svolge le funzioni di cuoco. Il mare blu cobalto è magnifico: potrei restare a contemplarlo per ore combattendo la tentazione di immergermi in quelle acque purissime.

    «Il mare è l’acqua più pura e più impura⁵» interviene Tico.

    «Ha parlato ò oracolo» gli fa eco Ciro.

    Per fortuna con certi tipi non c’è modo di litigare e ci divertiamo per tutta la giornata ad avvistare meravigliose creature marine.

    Al nostro ritorno troviamo gli americani

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