Lust
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Anteprima del libro
Lust - Nicola Marrano
Nicola Marrano
LUST
M’ha preso così, all’improvviso, la voglia di scrivere qualcosa che si leggesse tutto d’un fiato. Non è un romanzo, non è un racconto, non so neanche io cosa sia realmente. È un qualcosa da leggere, più che da scrivere. Da leggere ad alta voce, quasi recitare. Non è un romanzo, non è un racconto, ma è sicuramente una storia. La storia del Lust, vera o inventata poco importa. Una storia figlia della consapevolezza che ci si può sentire a casa ovunque, con le persone giuste; che i figli non sono pezzi di cuore, ma un cuore intero; che è davanti a un qualsiasi jukebox che ti sorprende l’amore; e, soprattutto, che la tristezza ha paura delle persone che ballano.
Benvenuti al Lust, signori. Sedetevi dove vi pare… bevete pure quello che preferite e innamoratevi di chi vi fa vibrare il cuore.
Nicola Marrano
UNO
Poi succedeva che le luci si spegnevano e quel fottutissimo sipario all’italiana, di velluto rosso, con i contorni dorati, iniziava ad aprirsi. Joseph O’Cannon puntava l’occhio di bue al centro del palco, con un gesto semplice e armonioso. Lo pagavano pochi centesimi al giorno per indovinare la traiettoria esatta da far percorrere a quel fascio luminoso. Non a caso, Mr. Backrail, il proprietario del locale, aveva la fama di essere l’individuo più spilorcio di tutta la Gran Bretagna. Tirchio del cazzo!
, lo apostrofava Joseph, sputacchiando un muco denso e verdastro che si raschiava via dalla gola con un suono brusco e grasso… eredità delle sessanta sigarette che si fumava ogni giorno da quando aveva dodici anni. Adesso, ne aveva quarantacinque. Erano queste le parole esatte: tirchio del cazzo! Nessuno muoverebbe quel faretto meglio di me
. C’era sempre posto per un 'cazzo' nelle imprecazioni di Joseph. Tutti lo saprebbero fare, non serve essere un genio
, si giustificava Mr. Backrail, e, a pensarci bene, non aveva tutti i torti. Eppure, gli habitué del locale, me compreso, erano d’accordo col pensare che quel faretto, puntato al centro del palco, acquisiva un nonsoché di poesia quando a muoverlo c’era Joseph O’Cannon.
Iniziava ad aprirsi dal centro, separandosi in due falde che si allontanavano poco convinte, indirizzate ai lati opposti del palco, come due amanti sorpresi a flirtare. Si aprivano in modo scattoso e grottesco,
a svelare l’età pressoché adolescenziale del siparista. Franck, figlio di Mr. Backrail, un tredicenne gracile che si sottoponeva a uno sforzo spropositato per muovere quei drappi appesantiti dalla polvere e dall’umidità. Sei un allampanato, figliolo. Qualche muscoletto su quelle braccia rinsecchite non ti farebbe di certo male
, Mr. Backrail cercava di convincere il ragazzo che un aspetto vigoroso può sempre tornare utile nella vita. Tira quelle corde del cazzo, che se le tende non si aprono come Cristo comanda, non so dove puntare il faretto. Non posso mica lavorare così, io
, si lamentava Joseph. Ricordo bene quel giorno in cui le luci si spensero, l’occhio di bue tagliò in due la sala, la Cannew’s Band iniziò a suonare il suo consueto Rockabilly… senza che le tende si fossero mai aperte. Si poteva udire, dietro il sipario, Franck frignare: Ho sonno, oggi non ce la faccio… sono più pesanti del solito
, e Mr. Backrail rincorrerlo per tutto il palco e urlare: Vieni qui brutto bastardo, che se t’acchiappo io ti metto le mani al collo!
Già… la Cannew’s Band! La loro musica mi risuona ancora nelle orecchie come se l’avessi ascoltata ieri per la prima volta. Suonavano un Rockabilly che ti veniva voglia di ballare e battere il piede a tempo di musica. Ancora non capisco perché si ostinassero a esibirsi in quel locale dimenticato da Dio, alla periferia di Londra, invece di calcare i palcoscenici più in vista della capitale britannica. "Il successo non m’interessa, mi basta portare a casa i soldi necessari per l’affitto, un pacchetto di sigarette e una buona Burton ale. Il resto è merda. Ricordalo bene, Rich: merda!". Cannew era l’unico a chiamarmi Rich. Per tutti gli altri ero Richard, ma lui non aveva tempo da perdere, neanche coi nomi. E quando io gli facevo notare che la vita non poteva limitarsi a un affitto, al fumo di sigaretta