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Colpo in Canna
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E-book347 pagine4 ore

Colpo in Canna

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Info su questo ebook


Quando le metterò le manette, sarà per portarla a letto, non in prigione.
Lasciarsi coinvolgere dalla donna sbagliata può distruggerti la vita.
Per allontanarmi da una pazza, sono dovuto tornare a casa, rinunciando al mio lavoro come detective.
Ripetere quell’errore è l’ultima cosa che voglio.
Dovrei sentirmi felice ora.
Vicesceriffo nella mia città natale, circondato dalla famiglia e dagli amici...
Poi, lei si schianta, letteralmente, nel mio mondo.
Adelle Harrington è una spina nel fianco, di cui non ho bisogno.
È troppo impegnativa per i miei gusti.
È sfrontata, orgogliosa, testarda da morire.
È anche l’unica figlia del sindaco.
Questo significa che dovrebbe essere completamente off-limits.
Ho cercato di starle lontano, ma, se mi forza la mano, la caccia si aprirà. Ha scelto il poliziotto sbagliato con cui scontrarsi.
La tengo sotto tiro, non può sfuggirmi. E di sicuro non sparerò a salve.
 
LinguaItaliano
Data di uscita21 ott 2020
ISBN9788855312448
Colpo in Canna
Autore

Jordan Marie

Jordan Marie was born on October 8, 2003. Jordan, her brother, and parents live in Memphis, Tennessee. She has a pet Yorkie named Bella “Boo Bear”. She loves animals; she plays volleyball, soccer, and softball. She wants to be a doctor when she grows up. She also creatively expresses herself through painting and drawing. Her goal through this book is to help the Humane Society of Memphis & Shelby County to provide the supplies that are needed to take care of animals in need.

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    Anteprima del libro

    Colpo in Canna - Jordan Marie

    Capitolo 1

    Black

    «Come ci si sente a riabituarsi alla vita di provincia?» chiede Luka, appollaiandosi con il sedere sulla mia scrivania. Alzo lo sguardo con disapprovazione. Sarà anche sposato con mia sorella, mi piace e lo rispetto, ma non ho bisogno del suo culo pidocchioso sulla mia scrivania.

    «Cosa ti salta in mente?» gli chiedo, accigliandomi e guardandolo con espressione infastidita mentre se ne sta seduto lì. Ma dovrei sapere che se ne frega.

    «Con te? Nulla. Preferisco concentrare la mia mente sulle donne... Be’, una sola donna, per la precisione: Petal. Anche a lei piace che io mi concentri. Proprio ieri notte...»

    «Se cominci a parlare di te che fai sesso con mia sorella, sarò costretto a frustarti… con la pistola... fino alla morte.»

    «Sei diventato così antipatico da quando sei tornato da Dallas. Te l’ho mai detto?»

    «Cominci a parlare come Petal» brontolo.

    Non ha torto. Voglio dire, sono contento di essere tornato, e il lavoro mi piace. Ma mentirei se dicessi che non mi manca l’eccitazione dei casi che avevo a Dallas. Essere a casa ha rappresentato un grande adattamento. Per non parlare del fatto che sono dovuto tornare ad abitare da mamma e Jansen, e questo finché non troverò un bel posto in affitto. In realtà, ne avevo preso uno... ma ho scoperto che era infestato dai topi. Quindi, sono tornato ancora una volta dalla mamma. Mason non è molto grande, e trovare un posto decente non è facile.

    «Deve avermi trasmesso qualcosa. Il che mi riporta a ieri notte, quando eravamo a letto...»

    «Basta così!» sbotto... ad alta voce. «Non mi spiego perché tu e mia mamma abbiate avuto dei problemi, dato che siete proprio uguali! Io me ne vado, non ho intenzione di starti ad ascoltare mentre racconti di come ti sbatti mia sorella.»

    «Sbatto? Come sei rozzo. Sono un poliziotto, preferisco definirlo martellare la patata

    «È a questo che mi sono condannato? È questa la mia vita adesso? Vivere a casa con mia madre, ad ascoltarla vantarsi di tutto il sesso che fa con Jansen... a cui voglio bene, ma probabilmente avrà le palle ridotte a due prugne... solo per venire al lavoro e sentire il mio capo che parla di fare sesso con mia sorella?» Emetto un gemito pietoso. Ma cazzo, in questo momento mi faccio pietà da solo.

    Luka, il bastardo, si limita a ridere.

    «Non sarà sempre così, ma ammetto che per ora mi sto divertendo. Soprattutto dopo aver scoperto che sei stato tu il cazzone che ha dato a Petal il maledetto vestito che si è messa per l’appuntamento con il coglione.»

    «Non penso che coglione sia il nome di Craig, anche se lo chiami sempre così.»

    «Gli si addice.» Luka si stringe nelle spalle mentre beve il suo caffè. «Non posso credere che tu le abbia dato quel dannato vestito.»

    «Per attirare la tua attenzione. E ha funzionato, no?» gli ricordo. Il bastardo dovrebbe essermi grato. Ehi, sono stato geniale con quel piano. La gente non riesce mai ad apprezzarmi fino in fondo.

    «Petal ha sempre avuto la mia attenzione, rompicoglioni.»

    «Comunque. Il mio piano era eccellente. Se ci pensi, sono io la ragione per cui adesso hai la piccola Rain.»

    «Oh, adesso ti stai solo facendo delle illusioni. La ragione per cui abbiamo nostra figlia non c’entra niente con te, ma con la potenza del mio...»

    «E io esco. Farò una ronda e mi cercherò un pedone distratto, o qualcosa del genere. Non posso starmene seduto qui, ad ascoltare te che parli del tuo cazzo come se fosse il martello di Thor. Prima ti lamenti di mia mamma... be’, un tempo lo facevi, ma stai solo dimostrando di essere strambo quanto lei. Hai dato ai tuoi figli i nomi dell’acqua» borbotto. In realtà, mi piacciono i nomi dei figli di Luka, ma mi piace anche ricordargli che lui è la versione maschile di mia madre.

    «Mi ha convinto Petal. Non so resisterle, quando implora in ginocchio...»

    «La-la-la! Non ti sento!» grido, balzando in piedi e prendendo la mia arma dalla scrivania. Non ne avrò bisogno. A Mason non succede nulla, ma la porto con me lo stesso.

    «Dato che stai uscendo, puoi fare un salto a casa del sindaco Harrington a consegnare queste carte? Ha chiesto di vedere la proposta di bilancio di quest’anno, prima della prossima riunione del Consiglio comunale.»

    «È stato tutto un trucco, vero? Un modo per farmi fare il tuo lavoro sporco, perché detesti avere a che fare con il sindaco?»

    «Be’, no. Sono davvero incazzato per il vestito che hai suggerito a Petal per il coglione. Inoltre, darti fastidio è troppo divertente. Ma ammetto che non voglio andare a casa del sindaco. Petal sta portando qui River e Rain, andremo a pranzo alla tavola calda.»

    «Non puoi mandare il piccolo Danny?» gemo. Non sono affatto dell’umore per affrontare i burocrati.

    «Oggi ha l’influenza, e poi, odio giocare questa carta, ma rispetto a te gode dell’anzianità di servizio.»

    «Vaffanculo» brontolo. «Dammi il documento, ci vado io.»

    «Non è così male, sai» dice Luka, andando a prendere un fascicolo dalla sua scrivania. «È molto meglio dell’ultimo sindaco» aggiunge con un’alzata di spalle, consegnandomi il fascicolo.

    Lo guardo. L’ultimo sindaco era suo padre, Roger, e non ci sono parole per descrivere adeguatamente quel pezzo di merda, però è morto ed è successo in una maniera complicata, e so che questo turba la mente di Luka.

    «Luka, ehi...»

    «Sto bene, Black. Più che bene. Ho tutto ciò che un uomo può desiderare. Tranne un vicesceriffo che fa quello che gli chiedo senza protestare.»

    «Va bene, vado» mormoro.

    Prendo il fascicolo e mi metto il cappello. Sono quasi alla porta, quando Luka mi richiama ad alta voce alle mie spalle.

    «E sii gentile. Il sindaco Harrington sarà anche nuovo in questo lavoro, ma sembra avere a cuore gli interessi di Mason.»

    «Ha fatto costruire una casa di tre piani in cima alla collina, con vista sulla città, Luka.»

    «E allora?»

    «Ci ha messo dentro un maledetto ascensore. Ha speso più soldi per quella casa di quanti la maggior parte di noi non ne guadagnerà per il resto della vita. Se vuoi integrarti in una città di provincia, non sbatti i tuoi soldi in faccia alle persone, ostentandoli continuamente. È il proprietario della banca cittadina e...»

    «Dai, Black. Devi dargli tregua.»

    «Come ha fatto lui con la vedova di Joey Dawson?»

    «Black...»

    «Tina non aveva chiesto altro che di poter rinegoziare il mutuo, per non perdere la casa oltre a quel pazzo di suo marito. Il buon sindaco non è stato nemmeno a sentirla. Ha pignorato la casa e le ha servito i documenti di sfratto lo stesso giorno in cui seppellivano Joey. La povera Tina si è vista crollare tutto addosso in un colpo solo.»

    «Black...»

    «Lascia perdere. Nel mio vocabolario, questo fa del sindaco Harrington una testa di cazzo» borbotto.

    «Sii gentile e basta, okay?»

    «Lo farò. Ma non significa che mi piacerà» mormoro, chiudendo la porta prima che Luka possa aggiungere altro. Niente di ciò che può dire riuscirebbe a ingraziarmi quell’uomo.

    Capitolo 2

    Addie

    Sollevo i miei folti capelli biondi e li avvolgo con un laccio, legandoli stretti. Ci sono trentadue gradi fuori oggi, ma li ignoro. È una giornata stupenda e ho bisogno di tagliare l’erba del prato. Papà darà di matto. Paga un servizio apposta per questo, ma abbiamo un enorme e costoso tosaerba nella rimessa, adattissimo allo scopo, e devo ancora elaborare alcune cose nella mia testa. Okay, certo... il tosaerba sembra fermo da anni, e forse è così. La ditta che papà incarica sempre usa la propria attrezzatura.

    Sono stata a studiare all’estero. Il rientro negli Stati Uniti ha rappresentato uno shock, soprattutto se si considera il fatto che negli ultimi tre anni ho vissuto a Parigi. È stato bello e ho imparato molto su una diversa cultura, mi ha aiutato a diventare una chef migliore, ma era giunto il momento di tornare a casa... e rimanerci. Il punto è che non mi aspettavo di scoprire che casa mia non fosse più tale. Una cosa sciocca, immagino. Avevo immaginato che mio padre fosse andato avanti con la sua vita, era inevitabile dopo la morte della mamma. Non mi sarei aspettata, però, che avesse venduto la casa di famiglia per trasferirsi a Mason, in Texas. Qui possiede una banca, certo. Ma papà possiede molte banche. Il fatto che abbia deciso di trasferirsi in una nuova città, dopo aver venduto la casa di famiglia e messo tutta la mia roba e quella della mamma in un deposito, mi lascia allibita. Intendo, non volevo mica che chiedesse il mio benestare, ma avrebbe potuto almeno dirmelo. Ne ero completamente all’oscuro fino a tre giorni fa, quando gli ho detto che stavo tornando a casa, e mi ha risposto dandomi il suo nuovo indirizzo. Avendolo sempre chiamato al cellulare, non sapevo neanche che il telefono di casa non fosse più attivo. Inoltre, aveva sempre preferito venire a trovarmi a Parigi, durante le vacanze, invece di far tornare a casa me. Diceva che era meglio costruire nuovi ricordi, lontani dalla casa e non intrisi dalla tristezza per la morte di mamma... non l’ho mai contraddetto, ma forse avrei dovuto. Papà non capirà mai quanto sia stato doloroso per me telefonare a casa, dopo che me lo ha detto, e non sentire la nostra segreteria telefonica... solo una registrazione, che mi informava della disattivazione del numero.

    Chissà che cosa ne ha fatto della vecchia segreteria telefonica… quella con la voce di mamma. Avrà cancellato il messaggio? Avrà buttato via l’apparecchio?

    Nonostante mi ponga un sacco di domande, sembra che non riesca a pronunciarle davanti a mio padre. Ma sono tornata solo da un paio di giorni, in seguito mi ci metterò d’impegno... al momento, non riesco evidentemente a fare alcun discorso con lui. Il fatto che sia poco presente non aiuta. Ieri sera aveva delle riunioni di lavoro, e oggi è fuori città per incontrare il governatore del Texas. Sono abituata al papà banchiere. Per abituarmi al papà politico, immagino mi ci vorrà del tempo.

    Indosso gli auricolari e, dopo aver cliccato sul telefono alla ricerca della mia playlist preferita, lo infilo nel reggiseno. Quando la musica parte a tutto volume, faccio del mio meglio per scuotermi di dosso un po’ di stress avviando il tosaerba. Nonostante il prato davanti casa non sia eccessivamente grande, è molto più ampio di quello che avevamo a Houston. Lascio che la musica mi travolga, nell’intento di fermare la mente e di non pensare. Da quando papà mi ha detto di aver venduto la vecchia casa, mi sento agitata. Quelle pareti conservavano i miei ricordi della mamma. Le abbuffate davanti ai film, la sera tardi, i biscotti cucinati insieme, i fiori piantati in giardino, le volte in cui giocavamo in piscina, il Natale in famiglia... Tutto.

    Non posso riavere quei momenti, ma adesso non posso nemmeno farne riaffiorare i ricordi passando nelle stanze. È colpa mia, presumo. Dovevo tornare prima. Avevo bisogno di lasciar cicatrizzare le ferite, e io e papà non eravamo mai stati particolarmente vicini. Papà è un brav’uomo, sul serio. Solo che ha sposato la carriera... a maggior ragione adesso che è sceso in politica. Sono a casa da così poco tempo, e mi lascia già da sola.

    Stranamente, il tosaerba è partito subito, appena ho tirato il filo, e falciare il prato mi aiuta a concentrarmi su altro. La dolce melodia di una canzone d’amore parte, e io sospiro.

    Come sarebbe trovare un amore così?

    A me non è mai successo. A quanto pare, ho un feromone dentro di me, o qualcos’altro, capace di attirare tutti i perdenti, come fanno le caramelle con un bambino.

    Passo l’ora successiva, o quasi, a tosare il prato. Sento il sudore colarmi lungo la schiena e sul collo. Il mio aspetto è un disastro, ne sono sicura, ma per la prima volta in una settimana mi sento più o meno normale. Sono completamente distratta...

    Finché un’ape non si avventa su di me alla velocità della luce. Magari esagero, ma questa è la mia impressione. La vedo arrivare, e scatto di lato per schivarla. Agito scompostamente le braccia, come se stessi ballando il twerk senza ritmo. Poi succede la cosa peggiore di tutte. Quella maledetta cosa finisce sotto la mia maglietta. Vengo presa dal panico come mai prima d’ora. Riuscendo a vederla, almeno, avrei potuto respingerla, ma adesso la sento solo strisciare da una parte all’altra, lì sotto, e allora urlo. Non voglio essere punta. Non sono allergica, non credo, ma il solo pensiero di una puntura è sufficiente per terrorizzarmi. Odio gli insetti che pungono, di qualunque specie, e odio il dolore. Se unisco le due cose, divento isterica, al punto da non prestare più attenzione a ciò che stavo facendo. Sollevo la maglietta nel tentativo di scovare l’ape, ma non la vedo, perciò me la strappo via dalla testa e la getto a terra, dandomi delle pacche sulla pancia e sulla schiena per riuscire a beccarla.

    Non la trovo. Non l’ho vista volare via, ma dev’essere di sicuro andata da un’altra parte. Mi tolgo le cuffiette e metto quelle grandi, da un lato perché ho scoperto che quelle piccole possono farmi venire il mal di testa, dall’altro perché temo che l’ape possa infilarsi nel mio orecchio.

    Ho visto un documentario, una volta, su un tizio che aveva un orecchio pieno di uova di insetto. Quella roba mi ha segnato, non credevo nemmeno che fosse possibile. Aveva un centinaio di questi insetti nell’orecchio, che strisciavano fuori improvvisamente. Il pensiero che una colonia di api si annidi nella mia testa mi sta mandando in paranoia al punto da farmi urlare con tutto il fiato che ho in gola. Mi alzo in piedi, pestando i piedi sul fondo della falciatrice nel tentativo di scuotere la testa avanti e indietro. La falciatrice dovrebbe spegnersi quando ci si alza in piedi. Questa non ha ricevuto il promemoria, a quanto pare. Scoppietta, ma continua a muoversi in avanti, poi il motore si arresta, non prima di aver urtato contro qualcosa. Inciampo nel sedile. Per un secondo penso di salvarmi, ma poi cado all’indietro e sbatto con il sedere per terra.

    «Che diavolo ha che non va?» Alzo lo sguardo, e vedo un uomo con l’uniforme della polizia torreggiare su di me. Ha i capelli castani con dei riflessi biondo scuro, e, perfino con le maniche lunghe e il colletto della camicia sollevato, si intravedono i tatuaggi che ha sul collo. In qualsiasi altra circostanza interromperei quello che sto facendo per ammirarlo. Ho sempre avuto un debole per gli uomini in divisa, e lui è sexy da morire. Ma non è questo ad attirare l’attenzione... non solo, almeno. Sono quei suoi penetranti occhi azzurri. Occhi azzurri che al momento mi stanno fissando come se fossi pazza. È furibondo... e ne ha motivo. Il tosaerba di papà ha appena arato il fianco della sua auto della polizia.

    Merda.

    In questo preciso istante, l’ape rivela la propria presenza. Mi convinco che si tratti di un demone dell’inferno sotto forma di ape, poiché sbuca di nuovo dal nulla e si tuffa, puntando dritta verso il mio viso. Grido forte, di nuovo, e la scaccio con la mano.

    Purtroppo, la spedisco direttamente addosso all’uomo che è già arrabbiato con me. Cerca di schivarla, ma i suoi riflessi non sono pronti quanto i miei, e l’ape gli finisce in faccia...

    Posso solo supporre, a giudicare dal fiume di imprecazioni, che lo abbia punto proprio in mezzo agli occhi.

    Mi alzo in piedi con l’intento di aiutarlo, quando mi rendo conto di avere addosso solo il reggiseno.

    Doppia merda.

    Urlo di nuovo... per nessun motivo in particolare, se non si conta che sono mezza nuda e sto cercando la mia maglietta. Quando finalmente la trovo, mi chino per raccoglierla proprio mentre lo fa anche il tizio, e le nostre teste sbattono l’una contro l’altra.

    Stavolta siamo pari in quanto a rumorosità delle imprecazioni. Le mie e le sue. E, senza ombra di dubbio, il signor occhi azzurri mi sta guardando come se volesse uccidermi.

    Tripla merda.

    Capitolo 3

    Black

    Mi porto una mano sulla testa mentre con l’altra tengo ferma la donna che, all’apparenza, sta cercando di uccidermi. Abbasso lo sguardo sul tosaerba ammaccato, sulla vistosa botta che deforma la portiera della mia auto della polizia, e sento il mio volto contrarsi. Se non mi fossi tolto di mezzo, quella matta mi avrebbe investito. E oltre a tutto ciò, mi ha spinto addosso un’ape, e la maledetta mi ha punto. Erano anni che non mi succedeva.

    Cristo.

    «Sei fuori di testa?» ringhio.

    «C’era un’ape» dice, come se bastasse a spiegare il caos che è appena scoppiato. Si rimette la maglietta mentre parla, smorzando il suono delle parole. Se non provassi dolore per aver sbattuto la testa contro la sua e per la puntura dell’ape, probabilmente mi starei soffermando ad ammirare quei seni tondi che traboccano dal reggiseno. Non sbatto nemmeno le palpebre, mentre si copre. Le donne significano problemi, l’ho imparato nel modo peggiore a Dallas, e questa tipa è chiaramente una che coi problemi va a braccetto.

    «Non dirmi che non hai a che fare con le api tutti i giorni nel tuo lavoro» la sgrido, perché davvero… non può essere una scusa.

    «Nel mio lavoro?» chiede, stupita.

    «Pensavo che fossi la giardiniera di Harrington.» Rimane in silenzio per un istante.

    «Siamo nel 2018» dice. «Il termine adatto ai giorni nostri è paesaggista.»

    «Oh...»

    «Mantenere il prato e gli alberi in buona salute è più importante di quanto pensi» comincia a predicare.

    «Anche saltare di qua e di là come una pazza, e spogliarsi nuda sicché ti vedano tutti?» la pungolo. Se ha intenzione di criticarmi, le ricorderò da dove è iniziato il discorso.

    «Te l’ho detto» sbuffa. «C’era un’ape

    «Cosa sarebbe successo, se avessi visto un serpente?»

    Ignora la mia domanda. Se non fosse per il fastidio e la scintilla di rabbia che le attraversano il viso, penserei che non mi ha sentito.

    «Mi spiace per la tua auto. Prenderò i tuoi dati e i contatti...»

    «È di proprietà della città di Mason. Possiamo dire al sindaco che se ne occupi, dato che lavori per lui.»

    «Oh... Sì, è fattibile. Anche se forse vorrà uccidermi.»

    «Hai fatto una cosa molto sciocca» le dico sinceramente. «Potevi farti male sul serio, o ferire me. Devi prestare più attenzione a quello che ti circonda. Dovrai anche contattare il titolare della tua ditta, così potranno avvisare la loro compagnia assicurativa.»

    «Oh... Sono io la proprietaria del tosaerba, in realtà.»

    «Sei la titolare della tua attività di paesaggista?»

    «È così difficile da credere?» chiede in tono pungente. Si capisce che si sta arrabbiando. So di aver usato un tono condiscendente, ma quello di paesaggista sembra un lavoro per cui servono un sacco di muscoli, inoltre è palese che lei sia un disastro. Come riesca a gestire la sua attività potrebbe essere uno dei grandi misteri della vita.

    «È solo che i paesaggisti sono per la maggior parte...» La mia frase rimane in sospeso, perché a ogni parola la sua espressione si contrae di più. L’unica donna di mia conoscenza, con un viso così animato da poterle leggere quasi ogni emozione, è mia madre. Mi allontano di un passo da questa donna, considerando il suo adombrarsi come un chiaro avvertimento.

    «Accomodati pure e dillo, sai» replica, incrociando le braccia sul petto, proprio sotto il seno. La posizione è di sfida, ed è proprio un brutto momento per guardarle le tette. Sarebbe stato più normale che catturassero la mia attenzione prima, quand’erano in bella mostra... ma no. Non ho provato la minima impellenza di guardarle, fino a questo momento. Quando la ragazza sembra avercela a morte con me.

    Evidentemente, sono ancora un idiota in fatto di donne, e tutto il pasticcio di Dallas non mi ha insegnato un tubo. A questo punto, sono tanto arrabbiato con me stesso quanto lei lo è con me.

    «Dire cosa?» chiedo. L’unica cosa di cui ho bisogno è alzare i tacchi e andarmene.

    «Che ti aspettavi che fossi un uomo» quasi mi ringhia in faccia.

    Questo è chiaramente un tasto dolente per lei.

    Se fosse possibile, a questo punto le penzolerebbe un grosso cartello al neon sopra la testa con scritto Pericolo. Indietreggio un altro po’. Non sono venuto qui per queste stronzate, e l’ultima cosa che voglio è complicarmi la vita con la giardiniera, paesaggista, di Harrington, una persona, non chiamarla donna, matta da legare.

    «Be’, è così. Che cosa ho fatto di tanto sbagliato?» chiedo con un tono sulla difensiva, e ho la sensazione di esserlo davvero.

    «Incontro continuamente tipi come te nel mio settore. Pensate che, se non c’è un uomo a fare le cose, queste non possano essere fatte. Ho una notizia per te, attaccabrighe, una donna può fare tutto ciò che fa un uomo, e la maggior parte delle volte lo fa maledettamente meglio!»

    Ora, essendo nato da una ragazza madre che ha cresciuto una grande famiglia quasi del tutto da sola, dovrei ammettere di trovarmi d’accordo con lei. A questo, va aggiunto il fatto che le mie sorelle sono tutte donne forti e amorevoli. Quello che non mi piace è che questa donna me lo stia sbattendo in faccia. Ha chiaramente dei problemi, e questa non è la mia battaglia, inoltre mi sto davvero stufando di stare sulla difensiva, quando è stata lei a cercare di uccidermi. E senza voler tirare in ballo il fatto che la testa ha cominciato davvero a dolermi. Dev’essere passato tanto di quel tempo dall’ultima volta che mi hanno punto, da non ricordare nemmeno ciò che si prova, perché in questo momento sento la faccia bollente, contratta e pulsante di dolore. Con questi pensieri, mi allontano e basta.

    Dopo essermi voltato e aver fatto cinque passi buoni, la sento gridare alle mie spalle.

    «Cosa? Non hai niente da commentare sulla questione? Ti sei all’improvviso reso conto delle stupidaggini che dici?»

    «Signora, non ho tempo di giocare con te. Adesso lascio queste carte al sindaco, dopodiché levo le tende. Hai già fatto abbastanza danni nel cercare di uccidermi, non ho bisogno di rimanere qui a subire

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