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Gramsci il fascista. Storia di Mario, il fratello di Antonio
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E-book205 pagine2 ore

Gramsci il fascista. Storia di Mario, il fratello di Antonio

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Un saggio e una ricerca storica sul Gramsci Nero che riserva molte    sorprese. Mario Gramsci (1893-1945), il fratello fascista di Antonio Gramsci, sul quale fino ad ora era calato un oblio, si dice per volontà dei comunisti che intendevano cancellarne la memoria, e al contempo mito del neofascismo, in realtà ebbe una vita ben diversa dalla narrazione di parte. 
Mario Gramsci del quale si racconta che sia stato il primo segretario del Fascio di  Varese e che sia morto mussoliniano convinto, aderente alla Repubblica Sociale Italiana, nasconde un’altra verità. Volontario in Etiopia a costruire l’Impero, capitano del Regio esercito sul fronte dell’Africa settentrionale nella Seconda guerra mondiale, finì prigioniero per cinque anni degli inglesi in Australia. Nel campo si dichiarò monarchico e antifascista. Rimpatriato in Italia nel 1945 morì dopo qualche settimana dal suo arrivo a causa del tifo contratto sulla nave di ritorno. 
Da quel momento è stata raccontata una storia che fino ad ora non aiutava a capire chi era stato veramente Mario Gramsci, il fratello di Antonio Gramsci, uno dei fondatori del Partito Comunista d’Italia.
 
LinguaItaliano
Data di uscita4 dic 2020
ISBN9788832281361
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    Anteprima del libro

    Gramsci il fascista. Storia di Mario, il fratello di Antonio - Massimo Lunardelli

    edizioni

    copyright

    © Copyright Tralerighe libri

    © Copyright Andrea Giannasi editore Lucca

    Dicembre 2020

    1° edizione

    Tutti i diritti sono riservati. Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633).

    ISBN 9788832281361

    I lettori che desiderano informazioni possono visitare il sito internet: www.tralerighelibri.com

    Mario Gramsci: la famiglia, le verità

    Lo sapevate? Antonio Gramsci, il santone del Pci, ha avuto un fratello. Si chiamava Mario, è stato federale del Fascio a Varese, subito dopo la marcia su Roma. Valoroso combattente in Abissinia e in Africa Settentrionale. Caduto prigioniero degli Alleati fu portato in Australia. Qui, essendosi rifiutato di collaborare con gli inglesi, fu confinato tra gli irriducibili fascisti. Mario Gramsci, rientrato dalla prigionia molto malato, anzi moribondo, si spegne a soli 52 anni. Muore mussoliniano convinto. Il Pci ha provveduto a farne sparire lettere, scritti e persino il ricordo. Lo ricordiamo noi. E faranno bene le Federazioni del MSI a ricordarlo ai buoni italiani. E ai cialtroni versipelle del nostro Paese.

    Così scriveva Giuseppe Niccolai il 24 novembre 1979 nella sua rubrica Il Rosso e il Nero su Il Secolo d’Italia, il giornale del Movimento Sociale Italiano. Giuseppe Niccolai (1920-1989), detto Beppe, era un fascista duro e puro: tra i fondatori del Msi, oppositore da sinistra del segretario Giorgio Almirante; nel ’79 è membro della direzione del partito, ha alle spalle due legislature da deputato ed è consigliere comunale a Pisa, la sua città. Di Mario Gramsci scriverà di nuovo il 30 gennaio 1981, stesso giornale e stessa rubrica, polemizzando con la Rai che si appresta a mandare in onda uno sceneggiato in quattro puntate sulla vita di Antonio Gramsci nel quale è censurata l’esistenza del fratello fascista. Chiosò alla fine dell’articolo: Antonio scrisse che la verità è sempre rivoluzionaria. Questa, culturalmente, è la verità Antifascista. Giudicate voi.

    Quindici anni dopo toccò a Marcello Veneziani, intellettuale di spicco della nuova destra italiana, riportare in auge la storia del fratello dimenticato di Antonio Gramsci. Si legge in un articolo intitolato Il Gramsci in camicia nera che fu imprigionato dai comunisti, pubblicato sulla prima pagina de Il Giornale il 27 aprile 1995:

    Fratelli d’Italia. Oggi è l’anniversario della morte di Antonio Gramsci. Ma questo ’95 è anche il cinquantenario della morte di un altro Gramsci, anch’egli in politica, anch’egli rivoluzionario: è suo fratello Mario. Che scontò quasi e più di suo fratello maggiore la sua fede politica. Fascista, nel suo caso. Storie parallele, una famosa e l’altra no, ed io le voglio raccontare per concludere, credo civilmente, il ciclo del 25 aprile […] Mario Gramsci aveva combattuto volontario nella Prima guerra mondiale da sottotenente. Divenne poi fascista e fu il primo segretario federale fascista di Varese. Invano Antonio tentò di scoraggiare il fratello, andandolo pure a trovare a Varese. Non lo dissuasero nemmeno le bastonate dei compagni di Antonio Gramsci, che lo colpirono a sangue. Mario Gramsci fu fascista in disparte e non in carriera. Aiutò suo fratello Antonio durante il fascismo. Partì volontario per la guerra d’Abissinia e combatté poi nel ’41 nell’Africa Settentrionale. Aderì alla Repubblica Sociale Italiana,fu fatto prigioniero e fu torturato per fargli abiurare la sua fede fascista. Poi venne deportato in un campo di concentramento in Australia. Rientrò nel ’45 con la morte nel petto. E difatti morì subito dopo il rientro per le malattie contratte durante la prigionia. Morì in un ospedale di terz’ordine, dimenticato da tutti, non assistito dallo Stato italiano, ma solo dai suoi famigliari.

    La storia, si sa, viene spesso riscritta ad uso e consumo del presente. Quando Il Giornale pubblica l’articolo di Veneziani, l’aria in Italia sulla questione del fascismo e dell’antifascismo è sensibilmente cambiata: i fascisti, diventati post-fascisti con il congresso di Fiuggi che il 27 gennaio 1995 aveva sancito lo scioglimento del Msi e la nascita di Alleanza Nazionale, hanno da poco concluso la loro prima esperienza di governo dal dopoguerra. Erano stati, con ampio clamore internazionale, parte fondante insieme alla Lega Nord della coalizione guidata da Silvio Berlusconi che nel marzo del ’94 aveva stravinto le elezioni. L’avventura di governo durò pochi mesi, chiusa dagli avvisi di garanzia che avevano costretto Berlusconi alle dimissioni; ma seppur breve l’esperienza di governo della destra fascista ha sancito la fine di un veto, di un pregiudizio. Sono sempre di più le voci che si levano a dare pari dignità politica ai vinti della Resistenza, come a dire: rossi o neri, non importa da che parte si stava, non fu guerra di liberazione ma guerra civile tra due fronti contrapposti meritevoli entrambi dello stesso rispetto. Così a Piero Pierini, sindaco di destra del piccolo Comune di Bagnone, in provincia di Massa Carrara, nella Lunigiana, dopo aver letto l’articolo di Veneziani venne in mente di intitolare la piazza principale del paese ad Antonio e Mario Gramsci, nel nome della riconciliazione nazionale. La notizia finì su molti giornali, i fotografi accorsero ad immortalare il sindaco in posa con alle spalle la targa di marmo della rinominata piazza; ma si trattò soltanto di una boutade, a Bagnone Piazza della Riconciliazione nazionale Antonio e Mario Gramsci non è mai esistita: nessuna commissione urbanistica, nessun consiglio comunale, nessuna giunta approvò mai l’iniziativa.

    Mario Gramsci, il quintogenito, di due anni più giovane del fratello Antonio, nato a Sorgono in provincia di Cagliari (di Nuoro dal 1927) il 9 febbraio 1893 e morto a Varese il 25 novembre 1945. Cominciai a cercare informazioni sul suo conto nella primavera 2018, convinto che avrei potuto scrivere un buon libro. Cercare, dal latino circum, vale a dire girarci intorno, come un cerchio che si stringe sempre più. Per prima cosa chiesi all’anagrafe del Comune di Varese una serie di certificati: nella cittadina lombarda, dove era andato a fare il militare, si sposò il 27 novembre 1920 con Anita Emilia Maffei, nata a Palin, in Guatemala, il 30 luglio 1895. Lei è vissuta fino al 28 novembre 1982, rimasta vedova non si risposò. Ebbero due figli: Cesarina (1921-2005) e Giovanni Francesco (1929-1993). Cesarina è stata insegnante di scienze e di chimica all’Itis varesino, Giovanni Francesco ingegnere all’Enel di Novara; nessuno dei due si è sposato ed ha avuto figli mettendo così fine alla discendenza. La famiglia di Mario Gramsci risiedeva in via Vetera 5, una strada oggi centrale, a due passi dal tribunale, negli anni Venti ancora abbastanza periferica. Abitavano sotto lo stesso tetto anche uno zio di Anita, Gian Felice Maffei (1866-1955), impiegato comunale, e Rosa Ferrari, domestica.

    In un libro intitolato I Gramsci a Sorgono, scritto da Marco Marras e pubblicato da Iskra nel 2014, trovai gli atti di nascita e di battesimo di Mario Gramsci dai quali risulta che nacque alle tre del pomeriggio; che venne registrato con il nome completo di Mario Giovanni Francesco alla presenza del farmacista e dell’avvocato del paese; che fu battezzato da don Domenico Piras con tale Lorenzo Manca, agente delle imposte, a far da padrino. In un altro libro intitolato Lei non sa chi è mio fratello!, scritto da Franco Bungaro e Vincenzo Jacomuzzi (Sei 2007), lessi che Mario Gramsci prima di partire militare passò qualche anno, malvolentieri, al seminario di Oristano. Da un altro libro ancora, Le donne di casa Gramsci (Ed. Riuniti 1991; Iskra 2003) scritto da Mimma Paulesu Quercioli, figlia di Teresina, la sorella minore di Antonio e Mario, appresi che Mario Gramsci dopo essersi sposato accorse in Sardegna, a Ghilarza, per far conoscere la moglie ai famigliari e che in quell’occasione ruppe sbadatamente una tazzina da caffè di un pregiato servizio acquistato a rate. Altre informazioni le trovai nella celebre biografia di Antonio Gramsci scritta da Giuseppe Fiori (Vita di Antonio Gramsci, prima edizione Laterza 1966); Mario è citato 14 volte, evidenziai in giallo la descrizione fatta dalla sorella Teresina:

    È stato sempre l’allegria di casa. Tutto il contrario di Nino, per carattere. Come Nino era posato, lui era irrequieto, chiassoso, incline a bizzarrie comiche. Nino parlava poco, Mario solo cucendogli la bocca si riusciva a farlo stare zitto. A tanti spariva di casa il gatto, ed era stato lui, poi si sapeva, a farselo arrostire da un fornaio. Ricordo che una volta mamma lo aveva rinchiuso in casa. Per essere sicura che non se ne uscisse, gli aveva tolto e nascosto le scarpe. Mario, deciso a svignarsela ugualmente, s’era tinto i piedi con lucido nero da scarpe. Capitava allora che, proprio per obbligarlo a starsene a casa, mamma lo vestiva da femminuccia, con qualcuno dei nostri abiti. Solo così Mario era messo nella condizione di non scappare in giro.

    Sullo stesso libro, lessi inoltre che Antonio e Mario, essendo solo due gli anni di differenza tra loro, erano soliti da bambini scorrazzare insieme nelle campagne intorno a casa e che nel 1911, anno in cui Antonio, ventenne, salpò alla volta di Torino per fare l’università, Mario rimase disoccupato a Ghilarza per poi arruolarsi alla fine dello stesso anno in una non meglio specificata specialità dei ciclisti. Confrontai la biografia di Fiori con quella più recente di Angelo D’Orsi (Gramsci: una nuova biografia, Feltrinelli 2017); Mario Gramsci è citato solo quattro volte e non vi è niente di nuovo. Parevano dunque avere ragione Niccolai e Veneziani: sul conto di Mario Gramsci persisteva l’oblio; nei siti internet di estrema destra trovavo sempre la stessa storiella copiata e incollata che lo celebra come il fascista che mai ha tentennato. Scoprii che nel 2017 Casa Pound gli intitolò la neonata sede di Cagliari: Onore a una grandissima persona piena di valori e nazionalismo vero, occultata dai libri per distorcere la storia dichiarò in quell’occasione Simone Di Stefano, il leader nazionale dell’organizzazione.

    Decisi di rileggere le Lettere dal carcere, curioso di scoprire quante volte Antonio aveva nominato suo fratello Mario: una decina in tutto. La prima il 26 febbraio 1927; dal carcere milanese di San Vittore, dov’era rinchiuso da pochi giorni, scrive alla madre e tra le altre cose le dice che gli occhi azzurri di suo figlio Delio, che ha due anni e mezzo, gli ricordano quelli di Mario. Poi il 25 aprile 1927; in un’altra lettera alla madre dice di rammentarsi di quanto Mario fosse, insieme all’altro fratello Gennaro e al contrario del loro fratello Carlo, poco propenso a fare affari e sempre portato a vedere guadagni favolosi e a fare castelli in aria per ogni piccola cosa. Poi il 23 maggio 1927, ancora alla madre: Vorrei avere inoltre l’indirizzo preciso di Mario; dal 1921 non ho più avuto rapporti con lui, ma ora ho saputo che si è occupato di me e perciò vorrei scrivergli per ringraziarlo. Scrivimi tutto ciò che lo riguarda, in modo che dalle mie lettere non appaia che io proprio non mi sono occupato di lui in tutti questi anni… Particolarmente significative mi parvero due lettere, datate 29 agosto 1927 e 12 settembre 1927. Nella prima Antonio informa la madre di avere ricevuto la visita di Mario:

    Giovedì è giunto Mario e ci siamo parlati per circa un quarto d’ora. Sta molto bene. Mi ha accennato ai suoi affari che adesso vanno abbastanza bene anch’essi. Mi pare che abbia una leggera tendenza a diventare grasso come papà. […] Egli mi ha promesso di scriverti subito per dirti che mi ha trovato assai bene di salute. Ciò che mi hai scritto mi pare esagerato. Nessuno, in questo caso, può essere più spassionato e obbiettivo di me, poiché Mario milita nel campo opposto al mio. Quando io sono stato a visitarlo, qualche anno fa, in casa sua, credo di essermi fatta un’opinione esatta su tutto l’ambiente in cui egli era una specie di eroe. Ma sono cose che è meglio non scrivere e d’altronde Mario è mio fratello e gli voglio bene nonostante tutto. Spero che adesso si occupi più delle sue faccende e che metta la testa a partito. Se ritornerà a trovarmi, come mi ha detto, vedrò di trovare il modo di dirgli qualcosa, specialmente per sua moglie che non è certo una donna come te, e che si affloscerebbe come uno straccio se dovesse lottare con una difficoltà appena appena seria. Altro che rinunciare ai bagni o alla villeggiatura o a un nuovo vestito.

    Nella seconda lettera, indirizzata alla cognata Tatiana, il giudizio sul fratello Mario è tranchant:

    Su mio fratello Mario non posso più contare. L’ho capito un mese fa, dopo una lettera di mia madre. La mamma mi scrisse di avere ricevuto una lettera dalla moglie di Mario, con molti lamenti. Scrissi a Mario di venire a colloquio, mi sembrò molto imbarazzato. Dopo il colloquio scrisse al mio paese, a mio fratello Carlo, in forma allarmatissima, da quanto posso immaginare. Carlo mi scrive come se io fossi sull’orlo della tomba; parla di venire lui a Milano e ha pensato persino di condurre la mamma, una donna di 70 anni circa, che non si è mai mossa dal villaggio e non ha mai fatto un viaggio in ferrovia più lungo di 40 chilometri. Cose da manicomio, che mi hanno addolorato e anche un po’ irritato contro Mario, che poteva essere più franco con me e non terrorizzare la vecchia mamma. Basta. Ho deciso per tutto questo di porre un termine a questo stato di cose, riducendomi, se occorre, al puro vitto carcerario.

    Mi sarebbe piaciuto leggere la lettera che mamma Peppina Marcias scrisse al figlio Antonio raccontandogli tutto quel che sapeva dell’altro figlio Mario. Mi sarebbe piaciuto leggere la lettera che la moglie di Mario spedì a Ghilarza lamentandosi di quel cognato comunista in carcere che stava rovinando la carriera e la reputazione del marito. Mi sarebbe piaciuto leggere le parole allarmatissime con cui Mario informò i famigliari sulle condizioni di salute di Antonio. Sfortunatamente si tratta di lettere andate perdute, non risultano conservate in alcun archivio. Da un libro intitolato Nuove lettere di Antonio Gramsci, curato da Antonio A. Santucci (Editori Riuniti 1986), recuperai invece un’altra lettera rimasta a lungo inedita che Mario scrisse ad Antonio il 17 maggio 1927, quindi tre mesi prima di fargli visita in carcere. Ma non è particolarmente significativa:

    Caro Antonio, le tue ultime notizie mi fanno preoccupare un po’ della tua salute. So che dormi molto scarsamente e che non puoi mangiare carne. Credo che all’uno e all’altro inconveniente tu possa e debba riparare. Vuoi che ti mandi un medico dall’esterno? Ma è possibile? Ritengo utile che tu riprenda in ogni caso le iniezioni. Per il sonno, un mio amico farmacista mi consiglia il Sedobrol che è un composto vegetale e non produce alcun disturbo. Credo che tu possa acquistare questo farmaco anche in carcere. Fammi però sapere se è più agevole per te che il Sedobrol ti venga mandato dall’esterno. In tal caso, un mio amico farmacista provvederebbe lui direttamente. Egli potrebbe mandarti anche le medicine per le iniezioni. Quanto al vitto, mia moglie potrebbe farti avere delle uova fresche. Se ben rammento, le uova non ti producono disturbi. Procura di riposare meglio che puoi almeno durante la giornata ed abbi molti riguardi per la tua salute. Fraternamente ti abbraccio.

    La mia ricerca cominciò a produrre qualche

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