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Storie di Natale
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E-book367 pagine5 ore

Storie di Natale

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Info su questo ebook

Un momento magico da trascorrere circondati dal calore della famiglia, dai sentimenti genuini, dall’essenziale che torna almeno una volta l’anno ad insegnarci perché il Natale riesce meglio di qualunque altra ricorrenza a scandire i momenti della nostra vita.
LinguaItaliano
Data di uscita11 dic 2020
ISBN9791220235846
Storie di Natale

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    Anteprima del libro

    Storie di Natale - AA.VV.

    AA.VV.

    Storie di Natale

    Storie di Natale

    AA.VV.

    © Idrovolante Edizioni

    All rights reserved

    Director: Roberto Alfatti Appetiti

    Editor-in-chief: Daniele Dell’Orco

    1A edizione – dicembre 2020

    www.idrovolanteedizioni.it

    idrovolante.edizioni@gmail.com

    la nuova libreria

    di Nadia Algeri

    No, quello specchio non la convinceva ancora. Aveva provato a piazzarlo in ogni angolo del locale senza trovare una postazione che le andasse a genio. In quel momento si trovava dietro al bancone, ma restava parzialmente nascosto ed era un peccato, perché la sua cornice dorata, con quelle fini decorazioni che ricordavano dei cristalli di ghiaccio doveva essere ammirata!

    A Maia venne da ridere pensando che ci aveva messo meno tempo ad arredare tutta la sua nuova libreria che a trovare un posto a quell’antico specchio, che tra l’altro non era nemmeno suo. Già, perché l’aveva trovato in negozio appena arrivata, probabilmente dimenticato lì dai vecchi proprietari durante il trasloco. Aveva tentato di rintracciarli chiedendo in paese, ma a parte scoprire che si chiamavano Nicola e Margaret ed erano una dolce coppia di anziani che vendeva giocattoli, non riuscì a sapere nient’altro.

    Perciò decise di tenerselo. Mentre lo stava studiando per l’ennesima volta le venne un’illuminazione: l’avrebbe messo in vetrina, ornato da un delicato filo di lucine natalizie!

    Ora sì che era soddisfatta! Tutto era pronto per accogliere i clienti il giorno seguente, quando avrebbe inaugurato la sua splendida libreria.

    Prima di spegnere le luci diede un’ultima occhiata in giro, chiuse il negozio ed uscendo scoprì con gioia che stava iniziando a nevicare.

    La mattina seguente si svegliò piena di energia e si avviò per la strada innevata canticchiando felice.

    Il suo buonumore però svanì di colpo non appena mise piede nel negozio: era tutto sottosopra! Gli addobbi natalizi erano stati strappati e gettati a terra, i libri sparsi sul pavimento e i dolcetti che aveva preparato per accogliere i clienti si trovavano nella spazzatura. Maia rimase allibita, poi, superato lo sconcerto iniziale, si mise a controllare la situazione nel dettaglio: la cassa era già vuota, visto che non aveva ancora avviato l’attività, quindi sicuramente non era stato rubato nulla, non mancava alcun libro e sulla porta non c’erano segni di scasso. Chi era entrato? E soprattutto come, visto che solo lei aveva le chiavi? Voleva chiamare la polizia per denunciare l’accaduto, ma cosa poteva dire? Che qualcuno era entrato nella sua libreria passando attraverso i muri e mettendo tutto a soqquadro senza portarsi via niente? Avrebbe fatto la figura della pazza e preferiva evitarlo. Perciò si rassegnò all’idea di rimandare l’apertura del negozio e si mise di buona lena a rimettere in ordine quel caos.

    Verso sera riuscì a tirare nuovamente a lucido il tutto e se ne tornò a casa col morale a terra. Si sforzava di pensare positivo, ma un brutto presentimento continuava a tormentarla.

    La mattina seguente venne accolta da un altro disastro: le vetrine erano completamente spalmate di cioccolato, per la precisione dei cioccolatini che il giorno prima aveva sistemato in una ciotola all’ingresso. Maia alzò gli occhi al cielo per la disperazione e scoprì che tutte le carte dei dolcetti erano incollate sul soffitto. Che pasticcio! Il resto del locale però sembrava in ordine. Si sincerò che non mancasse nulla e controllò bene la porta che, come il giorno precedente, non mostrava segni sospetti. Maia continuava a chiedersi da dove poteva essere entrato l’autore di quei guai e perlustrò la libreria in ogni angolo, per vedere se magari c’era qualche passaggio segreto del quale non si era accorta, ma non ne trovò. Era come se qualcuno volesse ritardare l’apertura del negozio, ma perché? Magari qualche commerciante suo concorrente in paese? No, erano tutti molto cordiali nei suoi confronti, non era possibile che si trattasse di uno di loro.

    Intanto che si scervellava per cercare di risolvere quello spiacevole enigma si era data da fare con spugna e secchiello per ripulire tutto. Una volta finito, stabilì che per quella notte avrebbe dormito lì. Voleva smascherare il colpevole! Ordinò un pasto d’asporto e dopo aver cenato si sedette su di una poltroncina immergendosi nella lettura. Era decisa a rimanere sveglia, ma ad un certo punto la stanchezza accumulata durante il giorno ebbe la meglio e Maia scivolò nel mondo di Morfeo.

    Si risvegliò all’alba, spalancando gli occhi di colpo. In un primo momento se la prese con se stessa per aver ceduto al sonno, anziché fare la guardia alla propria libreria, poi però si tranquillizzò, notando che tutto era ancora come l’aveva lasciato la sera prima. Evidentemente era bastata la sua presenza a scoraggiare lo sgradito visitatore.

    Maia era felicissima, finalmente poteva aprire! Decise di concedersi una bella colazione in pasticceria, prendendo uno di quei dolci alla crema che le facevano l’occhiolino ogni volta che ci passava davanti. Prima però doveva darsi una sistemata, così andò allo specchio e… orrore!

    I suoi liscissimi capelli castani si erano tramutati in un intrico di sterpaglie multicolori. Maia non riusciva a credere ai suoi occhi! Cos’era successo? Era successo che il sabotatore di librerie aveva colpito ancora, ecco cosa! Non poteva presentarsi ai clienti in quello stato pietoso, doveva cercare un rimedio al più presto. Andò di corsa dalla parrucchiera, che dopo essersi spaventata alla vista di quel groviglio arcobaleno, la rassicurò dicendole che avrebbe sistemato tutto. Purtroppo però, nonostante la sua buona volontà e le infinite prove con tinte, piastre, bigodini, lozioni anticrespo eccetera, quell’ammasso di rovi che Maia aveva in testa rimase tale e quale.

    La sfortunata giovane corse a casa e si gettò sul divano in lacrime. Come mai le stava accadendo tutto questo?

    Tra un singhiozzo e l’altro sentì suonare il campanello. Si alzò controvoglia e andò ad aprire senza curarsi di nascondere i capelli, talmente era triste. Si trovò davanti un paffuto vecchietto con la barba bianca che le rivolse un sorriso affettuoso. Indossava un cappotto rosso dai bordi bianchi e uno strano berretto dello stesso colore. Si presentò come Nicola, il precedente proprietario del suo negozio e, vedendo il garbuglio che aveva in testa, le chiese se nell’ultimo periodo avesse avuto dei problemi. Maia annuì distrattamente, poi lo fece accomodare e in quel momento le parve di cogliere un movimento veloce dietro alla poltrona, ma pensò di esserselo immaginato. Nicola, dopo essersi seduto , le raccontò che qualche giorno prima si era accorto che gli mancava uno specchio dalla cornice dorata e aveva incaricato un suo aiutante di andare a controllare se fosse rimasto nel vecchio negozio. I giorni passavano e l’aiutante non tornava, per cui conoscendo il tipo si insospettì e andò a vedere cosa stava combinando. Lo trovò in libreria che stava imbrattando le pareti con del succo di melograno e dopo averlo sgridato per bene gli chiese delle spiegazioni. Il furfante disse che non gli piacevano i libri e che il negozio era più bello prima, pieno dei loro giocattoli, perciò aveva deciso di sabotare in ogni modo l’apertura della libreria. Così Nicola era venuto a cercarla in modo che il combinaguai potesse rimediare al suo ultimo danno e scusarsi con lei. Detto questo allungò un braccio dietro alla poltrona, trascinandone fuori il bricconcello: era un elfo. Maia rimase a bocca aperta. Davanti a lei c’era davvero un piccolo elfo dalle orecchie a punta che la stava guardando imbronciato. Su invito del vecchio, l’ometto si scusò e le fece tornare i capelli come prima. La ragazza era senza parole, si sentiva sospesa tra fantasia e realtà e non sapeva più a cosa credere. Ad un certo punto però, un pensiero iniziò a farsi chiaro nella sua mente: il vecchietto gioioso di nome Nicola, il cappotto rosso e bianco, l’aiutante elfo... Ma allora quello era... Il corso dei suoi pensieri venne interrotto da un’allegra risata dell’uomo, che la invitò a tornare alla libreria e aprirla in tutta tranquillità. Dopodiché le augurò buone feste e se ne andò.

    Maia si fiondò in negozio piena di entusiasmo e un po’ stranita per quello che le era appena capitato, entrò e una sorpresa magnifica la accolse. Le sembrava di essere finita in una favola: c’erano rametti di agrifoglio ovunque, bastoncini di zucchero che penzolavano dal soffitto, brillanti stelle dorate, bellissimi giocattoli di legno che aspettavano i bambini su di un caldo tappeto al centro del negozio e un inebriante profumo di biscotti che aleggiava nell’aria. I clienti si sarebbero innamorati di tutto ciò, così come se n’era innamorata lei. Mentre ammirava tutto incantata, notò che lo specchio era ancora lì, si avvicinò e trovò una lettera infilata nella cornice: "Cara Maia, ti ho lasciato una piccola sorpresa per rimediare a tutti i guai che ha combinato il mio aiutante, spero che ti sia gradita. In più ti lascio il mio specchio, in ricordo del nostro incontro. Sii felice! Con affetto, Babbo Natale".

    storie di natale

    di Davide Augusto

    È Natale.

    Il vento imperversa, e cullati dalla sua furia infernale, danzano alti nel cielo piccoli fiocchi di neve, perle nell’immensa collana della notte, stelle, in un cielo oscuro, in un cielo vuoto. E metri di neve ricoprono le strada, dev’essere divertente stendercisi sopra e disegnare angeli che assumono le sembianze di demoni, e creare palle di neve da lanciare ai propri amici, o disegnare sui finestrini delle macchine. È la sera in cui il più gioviale dei vecchi, un uomo dalla folta barba bianca, la pancia prorompente, e dai candidi vestiti di un rosso scarlatto, giunge, con tanti piccoli pacchi al suo fianco, in groppa alla sua slitta, guidata da magiche renne, nelle vostre case, e entra, e approfitta del vostro sonno, del vostro silenzio, per varcare le soglie delle vostre fortezze. È la sera in cui si mangiano leccornie di ogni tipo, mentre un grande albero, abbattuto dalle mani irsute di vostro padre, e decorato di mille accesi colori, incornicia quella sera meravigliosa. È quella sera in cui sguardate dalla finestra, e osservate soltanto il vento imperversare, e i fiocchi cadere, e la luna brillare in quel cielo terreo, quel cielo vuoto e senza stelle, e vi scaldate le mani al fuoco del camino, e vi scambiate regali e sorrisi, e vi divertite tra amici, e non osate osservare oltre. Non riuscite a concepire qualcosa di diverso da voi, perché siete ciechi, credete che nulla possa accadere, che nulla possa essere diverso da voi, che tutto possa essere meraviglioso. E infine il dolce Morfeo prende il sopravvento, e vi cinge nella sua morsa, nell’effimera convinzione che tutto sarà sempre felice.

    Perché, infondo, è Natale, cosa potrebbe mai accadere?

    Siamo seduti nella neve. Il freddo mi stringe le gambe, non sento più nulla, e non credo che riuscirò ad alzarmi per un po’ di tempo. Sono bagnato, ed il vento mi lacera il volto, mi graffia, come un grido, come un urlo rabbioso. Ed i fiocchi dal vento mi finiscono negli occhi, nelle orecchie, e mi bruciano come sale su una ferita.

    Siamo tutti nelle stesse condizioni, ciononostante siamo uniti, e, seduti in cerchio, allunghiamo le mani come affamati verso una flebile lemma di fuoco che abbiamo acceso. E mi piace immaginare come possa essere il Natale per tutti gli altri, per tutti coloro che stanno mangiando, che vivono in pace, che sono felici.

    Perché a Natale non può accadere nulla…

    E mentre osservo i miei compagni, Mi piace immaginare come sarebbe potuta essere la loro vita, con una casa dove riposare, con un camino dove riscaldarsi, con la dignità di vivere, e non sopravvivere. La fantasia è qualcosa di cui tutti disponiamo, alcuni più di altri, ma nessuno riesce a sfruttarla come dovrebbe.

    La piccola Anna, ad esempio, cos’ha mai fatto di male? Una ragazzina di appena quattordici anni, capelli di un biancore cereo, e pelle di un pallore mortale, occhi piccoli e stretti, di un bel colore nocciola, e labbra che, un tempo, erano carnose, ed ora, così malridotte da sembrare diafana. E’ la più giovane tra di noi, ed è anche l’unica ad aver avuto una famiglia. Figlia di due genitori Italiani, il padre, il peggior razzista che abbia mai conosciuto, credeva che quella bambina così bella non fosse sua figlia, così l’abbandonò appena nata, per strada, senza neanche una coperta, in una grigia sera d’Autunno, quando l’unico sospiro che attraversava le strade era il vento, e al fianco della culla, in segno di ricordo, il padre abbandonò un mozzicone di sigaretta, maledicendo quella bambina che era sua figlia.

    La bambina venne ritrovata, nel cuore della notte, da un uomo. Era un uomo gentile, un uomo disperato, dalla bella chioma bionda e folte sopracciglia, non aveva un lavoro, né una casa, ma aveva una figlia, una fonte di guadagno. E così questa dolce bambina divenne fonte di guadagno per molti. Passò dalle mani di quel disperato, che poco dopo si suicidò per il dolore di aver abbandonato una tale, dolce creatura, alle mani di un commerciante, che la vendette ad un povero ladro, e, infine, finì tra le mani di un commerciante di sigarette.

    La ragazza venne cresciuta, venne addestrata, ed in breve, all’età di sette anni, divenne una perfetta venditrice di sigarette. Attraversava la città a piedi ogni giorno, che fosse Autunno o Primavera, che il sole si levasse alto nel cielo in tutta la sua magnificenza, o che la notte imperversasse, lei correva sempre per la città, così che potesse consegnare le sigarette a tutti i suoi clienti. E lei era felice. Avreste dovuto vedere che gioia nei suoi occhi, la sera di Natale, mentre correva di casa in casa, a vendere sigarette, e, se era fortunata, poteva persino godere del dolce profumo di carne o di pesce provenire da quelle case.

    Anche l’uomo che la comprò, l’uomo che lei chiamava padre, cucinava molto, e aveva un camino in cui scaldarsi, e una casa enorme, in cui lei, però, non aveva mai messo piede. Era costretta a rimanere fuori, ma lei era contenta, anzi, felicissima, perché poteva vederlo, suo padre, sua madre e suo fratello, mangiare tutti insieme.

    Ma a Natale cosa può accadere?

    Sei anni dopo, la sera del ventitré Dicembre, tornò a casa con un enorme livido purpureo che le copriva il volto. Un uomo non aveva gradito il ritardo della bambina, e così decise di punirla. E la punì anche suo padre, diseredandola, cacciandola via: "Nessuno vorrebbe un mostro con le sue sigarette!", furono queste le sue parole, ed io l’accolsi con me.

    Perché a Natale si sta insieme…

    O, magari, il mio caro amico Tommy, ragazzo alto, ben piazzato, capelli scuri lisci ed ondulati. Ventunenne, universitario, e padre di famiglia, credeva che la vita gli avrebbe riservato solo felicità. Era appena diciottenne quando incontrò la sua bella Elisa, lei, invece, aveva soltanto sedici anni. Ebbero una figlia insieme, ma non abbandonarono la scuola, decisero che l’avrebbero cresciuta insieme, come una famiglia. Eppure, ben presto, la famiglia cominciò a deteriorarsi, nessuno dei due lavorava, Elisa non era capace di sostenere quella vita, così andò via, "In cerca della mia pace spirituale", disse, l’ultima volta che la vide. Tommy dovette affrontare la scuola e sua figlia, senza soldi né lavoro, così decise di affidarsi a degli strozzini, e i debiti si accumularono come neve, e la scuola lo rifiutò, e una grave malattia si strinse sulla sua piccola bambina.

    Ora quella bambina ha quattro anni, ed è costretta a passare la sera della vigilia stretta tra le braccia di suo padre, il fiato pesante, sguardo vitreo, e la fronte ardente, a immaginare ciò che gli altri avevano, e ciò che lei non avrebbe mai avuto.

    E così, pochi giorni fa, Tommy e sua figlia vennero da me, senza casa né cibo, a chiedere rifugio, e io li abbracciai come fossero miei figli.

    Perché il Natale è una festa di regali.

    Ma nessuna storia mi colpì quanto quella di Gerald, il corpo tozzo e basso, sempre vestito di abiti eleganti e malridotti, dalla pelle diafana, il capo lungo e il naso adunco, mentre metà del volto era irreparabilmente lacerato. Se soltanto l’aveste osservato, avreste visto il fantasma di ciò che era, un uomo perso, sconfitto, affranto, che un tempo era stato il più grande tra di noi. Un uomo che, mai prima di questo momento, avrebbe immaginato di finire tra le mie braccia.

    Era il più grande politico che avessi mai conosciuto, capace di ammaliare le masse con una sola parola, un uomo che avrebbe davvero rivoluzionato quel paese che tanto diceva di amare.

    Ricordo di quando era un ragazzino, che correva per le strade, e osservava, e studiava ciò che si annidava nel buio, e stringeva tra le mani, ansante, viveri e vivande comprate di tasca sua, con cui avrebbe nutrito quegli esseri, che per molti erano soltanto ombre, annidati nell’oscurità. E così il ragazzino crebbe, e frequentò scuole eccelse, e il popolo riconobbe in lui il loro salvatore, colui che li avrebbe portati fuori dal baratro, colui che li avrebbe guidati persino nelle ombre, tra il sangue e la neve.

    E tramite scambi e favori, dopo anni di duro lavoro, divenne il rappresentante del popolo, col sorriso d’avorio stampato sul volto, mentre il suo animo diveniva sempre più scuro. E un giorno, saltò fuori una notizia riguardo certi traffici illegali a cui lui avrebbe aderito, e la sua fama crollò, ma il popolo lo adulava. E si venne a sapere della "neve dei poveri, che non fa male a nessuno" diceva lui, ma il popolo, ormai, non si fidava più, lo odiava.

    E così corse via, lontano, sino alle ombre da cui proveniva, e, inghiottito dalla neve e dal fuoco, crollò in quel baratro da cui disse che avrebbe salvato tutti.

    Era un uomo intelligente, era un grande uomo, ma pur sempre un politico.

    Ed ora vorrei che voi poteste vederlo, con ancora indosso il suo sorriso d’argento, che fissa il vuoto del cielo, mentre il vento imperversa.

    È quasi mezzanotte, il Natale sta finendo, da lontano, come un eco, mi sembra quasi di udire il tintinnio delle posate d’argento.

    E io? Io non sono nessuno.

    Io li ho conosciuti tutti, questi disperati che sono venuti a bussare alla mia porta, li ho osservati, li ho attesi. Non sono né un uomo né un fantasma, vi seguo, e vi osservo, mentre nelle vostre case, d’inverno, vi crogiolate innanzi al fuoco, e attendete che la neve crolli a ricoprire i vostri peccati.

    Io non sono un fantasma, sono Morte, e ho accettato questi peccatori tra le mie braccia, perché sapevo che avevano bisogno d’aiuto.

    A Natale, si deve avere compassione…

    E la prossima volta che attenderete Babbo Natale arrivare, o che osserverete la neve cadere, o la luna brillare d’ardesia nel cielo, o quando vi scalderete al fuoco, vi prego di pensare a ciò che vi ho raccontato, vi prego di ricordare che anche voi potreste finire tra le mie braccia, e che il Natale non è la festa dei regali, ma la festa dell’uomo.

    E con questo, auguro a tutti voi un Felice Natale, e che possiate sempre ricordare queste mie parole.

    la verità di agata

    di Lorella Ballini

    Il fumo che le usciva dalla bocca mentre attraversava la strada, nel secco freddo invernale, le faceva quasi compagnia. Nella strada buia sentiva risuonare i suoi passi, e le luci natalizie, che dovevano portare allegria e pace nei cuori non gli facevano proprio quell’effetto.

    La verità era che ormai era vecchia per il Natale, per gli addobbi, le luci, l’albero e il presepe. Era deciso, non avrebbe tirato fuori nulla, niente di niente, eccetto, forse, la tazza da colazione a forma di renna, con corna incorporate che puntualmente le infilavano negli occhi bevendo il latte. Non avrebbe fatto altro, anzi, le pareva già troppo.

    Un tempo, le piacevano i suoni e gli odori del Natale: il profumo della legna che era bruciata in qualche camino vicino alla sua casa, il profumo delle castagne o quello delle arance, dei mandarini…

    Adesso non sentiva più niente. Come se le fosse andato via l’olfatto, e anche la vista….

    Passò davanti al vecchio negozio di pollame, ormai vuoto da anni. Veramente, vendeva di tutto un po’ di tutto: uova, frutta e verdura di stagione del luogo, lisciva, sapone, lamette. Anche cartoline. Sorrise.

    Lei che era nata in quel paese, si ricordava di Ornella, la proprietaria: piccola di statura, con i capelli raccolti in una crocchia, un grande grembiule a fiori davanti e molto buffa, aveva battute spiritose e sorrisi per tutti. Vedendo quella vetrina chiusa, piena di polvere adesso, le venne in mente come Ornella preparava la sua vetrina di Natale: i conigli e i polli erano appesi ciondoloni proprio sopra le teste dei clienti, dato il piccolo spazio, avvolti da ghirlande d’oro, d’argento, rosse, verdi e non le importava se le ghirlande si appiccicavano alla pelle degli animali in vendita.

    "Che gli mangiate senza lavare? – soleva dire nel suo dialetto - Le grillande sbrilluccicanti, le ci vogliano, sennò uun’è Natale. Nella, così detta per far prima, in quel piccolo spazio, riusciva a trovare posto per tutto, ma la Befana, manichino rigorosamente a misura e vestito come la vecchina, era posta sul marciapiede, accanto all’ingresso. Questa Befana, aveva un movimento meccanico nel braccio, che lo faceva muovere dalla gamba all’infuori e ritorno, a scatto, in mano un mestolo. Mestolo più lungo di una spanna dai soliti mestoli di legno che si usano in cucina, e faceva paura ai bambini. Molti dei più piccoli, nel periodo natalizio, arrivati a girar l’angolo della piazza, vicina al negozio della Nella, appena vedevano la Befana, cominciavano a tirare indietro e a impuntarsi tanto che le mamme dovevano tirargli con forza, oppure prenderli in braccio. I più grandi invece non avevano più tanta paura, ma un timore reverenziale, diciamo così! La Nella, metteva sempre il sacco di iuta che conteneva le castagne secche, la balla, come diceva lei, vicino alla Befana. Avrebbe voluto che nessuno fregasse" le sue castagne, gliele rubasse insomma, perché era rito ormai conosciuto, che al ritorno da scuola, i ragazzi più grandi infilassero le mani nella balla per mangiare gratis quei buoni frutti secchi. Di solito era Nella che usciva col mestolo in mano gridando dietro a quei bricconi, ma durante le feste, lasciava il compito alla Befana e metteva a dura prova il coraggio dei discoli, che sfidando la Befana, prendevano lo stesso le castagne. Qualche volta si udiva un suono secco del mestolo che colpiva la mano di qualche dodderellone, ragazzino poco sveglio, che non era stato lesto a tirar via la mano. Una volta anche Agata aveva preso coraggio e rubato una castagna, ma mordendola l’aveva trovata dura, cosi, senza tante cerimonie, l’aveva ributtata nel sacco.

    La Befana era poi attorniata da una fila di lucine a forma di uva, che la facevano sembrare un’immagine santa da venerare.

    "Davvero - pensò ancora Agata - La Nella e i suoi coniglioli nostrali e le sue ova fresche scritti in una calligrafia puntigliosa, nero su bianco e messi al vetro del negozio. E i suoi AGURI e BON ANNO ormai celebri, e mai dimenticati, scritti col pennarello rosso e circondati dalla solita grillanda sbrilluccichente, rossa - Sennò unn’è Natale, avrebbe sicuramente aggiunto lei".

    Agata si trovò a sorridere e sospirando per i ricordi di bambina, alzò lo sguardo verso il vicolo in salita che l’avrebbe condotta a casa.

    Ai balconi con le finestre illuminate, le luci natalizie penzolavano con i loro colori brillanti: alcune si rincorrevano, altre si accendevano e spengevano. Alcune case non avendo i balconi, avevano le luci alle finestre, attaccate alla belle e meglio ai ganci per tenere ferme le imposte, oppure al filo per tendere il bucato, quello più esterno:

    Tanto d’inverno serve a poco quel filo.

    Nell’aria profumo di minestra di verdura, di pesce alla livornese, e altri strani odori che erano preludio della cena. Voci di bambini che giocavano, di madri che brontolavano e televisori che trasmettevano. Anche con le finestre chiuse si poteva sentirli nella via stretta.

    Era bello il suo paesello, con le case di pietra addossate alla collina e arroccate le une alle altre, con i vicoli stretti, le scalinate più o meno larghe, che portavano in alto. C’era stato un tempo in cui lei se ne era andata, ma vi era tornata e ora cominciava ad apprezzarlo, anche se non era ancora arrivata a descriverlo come un piccolo presepe, come facevano i turisti.

    La sua casa era proprio l’ultima lassù, alla fine della salita. Arrivata davanti alla sua porta, dopo aver guardato i soliti, riusati addobbi sulle porte dei condomìni, trovò un vaso con un bel fiocco e un bellissimo ciclamino fucsia, suoi fiori preferiti, con un biglietto Per Agata. Si chiese chi poteva avergli mandato quel fiore?

    Lo appoggiò sul tavolo della cucina, prese in mano un biglietto, lo aprì: TI RICORDI I PICCOLI GNOMI CHE ABBIAMO COMPRATO INSIEME? TI PREGO, ABBRACCIALI PER ME.

    Un tuffo al cuore! Una botta allo stomaco che non si aspettava. Lasciò andare il biglietto come se le bruciasse fra le mani e arretrò.

    Suo marito Flavio! Ex?

    Non avrebbe voluto, ma erano due anni che non lo sentiva!

    Si erano lasciati. Lo aveva lasciato!

    La ragione? Non la sapeva.

    Era l’uomo che aveva amato di più nella sua vita: dopo i tanti fallimenti avuti, aveva trovato Flavio che era meraviglioso, si erano sposati.

    Poi un giorno lei aveva deciso che era finita, gli aveva esposto la sua verità: l’amore deve essere libero!

    Non sei libera? - Le aveva chiesto lui - Ti senti oppressa?

    Non si sentiva oppressa, Flavio era tutto quello che di meglio poteva avere. In quel momento, non lo voleva accanto a sé.

    Lui l’aveva lasciata libera, aveva rispettato la sua volontà. Cosi facendo però, l’aveva lasciata in una landa sconfinata, dove lei aveva corso all’infinito, ma non era stata libera. Perché un fiume se non ha un margine, trabocca e non sa più dove andare, allaga e distrugge e non è più un fiume, è una palude, e non alimenta, non crea, non vive, ristagna e lì muore.

    Era diventata palude!

    Il margine che le sarebbe mancato per sempre era l’amore di Flavio e le sue braccia che la stringevano.

    Due lacrime le scorsero sulle guance.

    Un suono di cornamuse riecheggiava in lontananza, si avvicinava pian piano. Quella musica le riportò un ricordo sereno: sua nonna, che le diceva sempre che le cornamuse portano buone nuove. E con lei, era corsa a vedere gli zampognari nella strada sentendosi invadere da una strana gioia. Come allora, si sentì sopraffare da un’infinita tenerezza, avvertì le farfalle nello stomaco, percepì il bisogno di ritrovare quella bambina che credeva nelle favole, la bambina che c’era in lei, nascosta. Salì d’impeto in soffitta, asciugandosi il pianto col dorso delle mani. Ben incartati nella carta da pacchi, il presepe e i soliti addobbi erano davanti ai suoi occhi. Lei aprì invece la grande cassapanca che conteneva gli addobbi

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