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White Spirit
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E-book1.205 pagine16 ore

White Spirit

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Info su questo ebook

Un romanzo di avventura basato sulla più epica storia (vera) australiana. 

Incentrato sulle straordinarie peripezie del detenuto irlandese John Graham, WHITE SPIRIT è un’epica avventura storica ambientata nell’Australia del diciannovesimo secolo.

Dopo esser fuggito dalla famosa colonia penale di Moreton Bay, Graham trova rifugio dai Kabi, una tribù di aborigeni che lo accetteranno come uno di loro.

I tentativi di catturare Graham sono orchestrati da una varietà di personaggi contrastanti che lavorano per l’onnipresente Impero Britannico. Quest’ultimi includono il tirannico (e dipendente da oppio) Comandante Lord Cheetham, l’affascinante seppur bellicoso Tenente Hogan, il cacciatore nativo Barega e il Capitano della colonia penale,Tom Marsden. 

La giovane figlia di Marsden, Helen, donna di avanguardia, egualitaria e femminista, si inserisce coraggiosamente nel conflitto tra il detenuto irlandese, suo padre e i tiranni dal pugno di ferro che gestiscono Moreton Bay. Helen complica maggiormente le cose quando si ritrova in un triangolo amoroso in stile Orgoglio e Pregiudizio con i due uomini che occupano esattamente le due fazioni opposte di questo conflitto. 

Quando la scozzese Eliza Fraser naufraga ed è in pericolo di vita nel territorio dei Kabi, Graham e i suoi inseguitori, così come la famiglia aborigena dell’irlandese, sono obbligati ad intraprendere un'articolata missione per salvare la donna. Il rischioso salvataggio è reso ancora più difficile dall’intromissione etica di Helen Marsden, la quale spesso supera d’astuzia gli uomini coinvolti.

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita10 feb 2021
ISBN9781071585108
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    Anteprima del libro

    White Spirit - Lance Morcan & James Morcan

    Parte uno

    I CANCELLI DELL’INFERNO

    Prologo

    Grande Rosso, sotto il suo tetto di alberi e fogliame, si scacciò via delle mosche dal viso, mentre studiava il distante billabong. La pozza d’acqua fresca era nascosta dietro l’erba alta, ma lui l'aveva trovata subito, nonostante fosse la prima volta che visitava quel luogo: ne poteva sentire l’odore anche da cento iarde di distanza.

    Normalmente, Grande Rosso iniziava ogni giornata con una fresca bevuta per mitigare la sua sete ma, in questo particolare giorno, era stato disturbato dai cacciatori aborigeni, i quali gli avevano fatto un’imboscata mentre si dirigeva verso il suo solito stagno. Ciò era accaduto qualche ora prima, all’alba. Era riuscito a eludere facilmente i cacciatori, ma la loro presenza l’aveva obbligato a cercarsi da bere altrove. Il sole del mattino era già alto nel cielo, il caldo era infernale, e avrebbe ucciso per avere dell'acqua.

    Vicino al billabong sembrava non esserci nessuno, ma Grande Rosso esitò. Tutte le volte in cui era dovuto scappare gli avevano insegnato a essere paziente. E, d’altro canto, avvertiva un pericolo.

    Dal suo nascondiglio, studiò il terreno collinoso intorno a lui. Ai suoi lati, la foresta pluviale continuava, ininterrotta, da nord a sud, verso distanti orizzonti, mentre proprio davanti a lui, diverse miglia oltre il billabong, si scorgeva l’acqua blu dell’oceano, scintillante sotto la luce del sole. Quell’acqua segnava l’estremità orientale del vasto continente che lui e i suoi compagni consideravano la loro casa. Ecco dov’era diretto oggi; ma prima doveva bere.

    Tra Grande Rosso e il billabong c’era un ceppo solitario: ciò che rimaneva di un albero della gomma, una volta possente e ora carbonizzato, quasi irriconoscibile. Il risultato di un incendio ormai dimenticato, o di un fulmine. Qualcosa di quel ceppo lo infastidiva. Se ne stava lì, come una sentinella solitaria, e gli dava l’idea di essere un cattivo presagio. Valutò l’idea di andare ad abbeverarsi da qualche altra parte.

    Alla fine, la sete ebbe la meglio e, cautamente, emerse dagli alberi per avvicinarsi al billabong.

    Dietro al ceppo bruciato, se ne stava immobile un aborigeno solitario, la lancia impugnata saldamente al suo fianco. Moilow era lì, senza muovere un muscolo, dall’alba. Stava pensando di arrendersi quando avvertì una presenza nella foresta, aldilà del suo nascondiglio.

    Rispettabile membro della tribù locale dei Kabi, Moilow era, per molti versi, tipico della sua gente: intelligente, scuro di pelle, con occhi profondi che spuntavano sotto due sopracciglia corrucciate; un grande naso che si allargava sopra le labbra piene, e una barba nera e ispida da complemento ai suoi capelli cespugliosi, legati con una crocchia sopra la testa; la sua pelle nero-carbone era lucida, e la sua figura asciutta, quasi interamente nuda, trasudava forza e robustezza: il risultato di cinquemila anni di evoluzione in quella terra implacabile e inospitale; il suo petto e i suoi arti erano scarificati a causa dell’antica pratica di incidersi la pelle con le conchiglie; e le sue parti intime erano coperte solo da un perizoma striminzito fatto di pelle di dingo, il nativo cane selvaggio che vagava su quasi tutto il continente. Il perizoma, una volta giallo come il dingo di cui era fatto, era diventato marroncino col passare degli anni.

    Per altri versi, invece, Moilow non era tipico della sua gente. Prima di tutto, era più alto della maggior parte degli uomini aborigeni, e le sue gambe erano muscolose, non magre come il più dei suoi compagni. Era anche una persona solitaria, che preferiva la propria compagnia rispetto a quella degli altri, il che spiega perché fosse lì ora, solo.

    Il suo desiderio di solitudine, anche durante la caccia, l’aveva portato in quel punto preciso, dopo essersi separato dal suo gruppo nell’oscurità che precede l'alba. Si era aspettato che, presto, qualche canguro sarebbe giunto lì per la prima bevuta della giornata, come era abitudine di quegli animali.

    Con sua grande sorpresa ciò non avvenne. Verso mezzogiorno, a parte l’innocuo pitone che gli era strisciato vicino, non c’era stata ombra di alcuna creatura. Almeno fino a quel momento.

    Identificò l’animale non appena emerse dagli alberi: era un pregiato canguro rosso, un grande rosso, un colpo grosso. Moilow stimò che l’animale fosse almeno un’intera testa più alto di lui.

    Ora, mentre il grande rosso si avvicinava con cautela, Moilow si sforzò di rimanere fermo, cosa non facile considerando che era immobile in quella posizione da ore e iniziava ad avere i crampi alle gambe.

    Il sole di mezzogiorno lo colpiva senza pietà, e, con la forte umidità, il sudore gli usciva da ogni poro. Dovette combattere contro l’istinto di asciugarsi il sudore dagli occhi, e ignorare la miriade di mosche che gli si posavano sul volto. Alcune gli erano entrate nelle orecchie e una stava esplorandogli la narice sinistra. Ma rimase immobile.

    In realtà Moilow non era completamente fermo. I suoi occhi si muovevano senza sosta, guizzando da sinistra a destra, tanto era in ansia di dare un’altra occhiata alla sua preda e le dita della mano libera accarezzavano il dente di squalo che pendeva dalla collana di conchiglie sul suo petto: un’abitudine che aveva da quando sua moglie gliel’aveva regalato, alla fine della penultima stagione umida.

    Moilow allentò la presa sulla lancia. La stava stringendo così forte che gli faceva male la mano destra. L’arma, abbellita con delle foglie di tecoma, era più lunga di lui di qualche piede. L’aveva posizionata in una woomera, o propulsore per lance, che si era aggiudicato in uno scambio con un amico cacciatore. La woomera, tradizionalmente fatta di legno di mulga, aveva diverse funzioni utili; in questa occasione sarebbe stata usata per il suo scopo principale: scagliare la lancia con molta più potenza di quanto Moilow avrebbe potuto fare con il suo solo e forte braccio destro.

    Il cacciatore solitario ora non poteva né vedere né sentire la sua preda, ma non osava sporgersi  per paura di farsi scoprire. Ipotizzò che il canguro avesse smesso di pascolare o di controllare i dintorni. Non per la prima volta si maledisse di non essersi coperto con il fango del billabong quando ne aveva avuta l’occasione. Senza il fango come protezione, sapeva che c’era la possibilità che il canguro annusasse la sua pelle. Fortunatamente, l’aria era ferma e non c’era nessuna brezza che potesse trasportare il suo odore.

    Il grande rosso si fermò. Era abbastanza vicino da scorgere l’acqua, ma ancora non si sentiva di saltare quell’ultima cinquantina di iarde che avrebbero alleviato la sua sete. Quel ceppo bruciato, che se ne stava lì come una sentinella tra lui e il billabong, non lo convinceva. Si guardò in giro, annusò l’aria, e le sue grandi orecchie pulsarono nel momento in cui chiamò a sé tutti i suoi sensi per  localizzare un eventuale pericolo.

    Alla fine, gettò al vento la prudenza e si diresse verso il billabong. Ogni energico salto lo portava avanti di circa venti piedi.

    Moilow, prima di vederlo, lo sentì arrivare. Appena il grande canguro raggiunse il ceppo, il cacciatore balzò da dietro di esso e, con un movimento fluido, alzò la woomera e scagliò la lancia.

    Il grande rosso si accorse del pericolo troppo tardi, e saltò su un lato. La lancia lo colpì sul fianco. La forza del lancio fu tale che la punta dell’arma gli trapassò il corpo.

    All’inizio, il grande rosso non sentì alcun dolore. Fece un salto, ignaro della lancia che l’aveva appena infilzato.

    L’ebrezza di essere fuggito venne gradualmente sostituita da un’altra sensazione: un fastidioso dolore che si estendeva dal suo petto fino agli arti. La coordinazione iniziò ad abbandonarlo, e la sofferenza a impossessarsi di lui. Era un male candido e caldo, che gli fece quasi perdere l’equilibrio.

    Ora, conscio dell’uomo che lo stava cacciando, provò a muoversi di nuovo, ma non c’era più speranza per lui. Collassò per terra e rimase lì senza fiato, zampeggiando l’aria, provando invano a rimettersi in piedi. Il sangue gli sgorgava dalla ferita, e gli schiumava dal naso e dalla bocca.

    Moilow si avvicinò e trovò la sua preda ormai vicina alla morte. Si chinò per estrarre la lancia dall’animale morente. Ci vollero parecchi tentativi prima di riuscirci.

    Il grande rosso non poté che guardare mentre l’uomo dalla pelle scura gli puntava contro la sua arma un'altra volta. Sentì dei suoni sconosciuti provenire dalla bocca dell'umano. Non poteva sapere che gli stava parlando: Sei libero ora, nobile rosso, disse Moilow, brandendo la lancia. La sua punta tagliente trapassò il cuore del canguro, uccidendolo all’instante. Ora puoi unirti agli altri che se ne sono andati prima di te. Col respiro affannato, Moilow appoggiò a terra la lancia e prese in mano la woomera per aprire il petto del canguro. Per farlo, usò un pezzo di roccia di quarzo inserito nell’elsa. Quando il taglio raggiunse lo sterno, afferrò il cuore del grande rosso e glielo strappò. Poi, senza esitazione, lo avvicinò al proprio petto, vicino al suo cuore.

    Con gli occhi chiusi, ignaro del sangue che gli colava dal torace fino all’inguine, recitò un antico canto di rispetto in onore della sua preda.

    #

    Era ormai tardo pomeriggio quando Moilow raggiunse i suoi compagni di caccia. Il peso del grande rosso che stava trasportando sopra le spalle, come fosse uno zaino, lo aveva rallentato, nonostante gli fossero state rimosse viscere e interiora. Era da tanto che non uccideva un canguro così grande.

    Moilow vide gli altri prima che gli altri vedessero lui. Bastò un’occhiata per appurare che non avevano avuto la stessa fortuna ed era evidente che fossero giù di morale. In mezzo a loro, i sei cacciatori Kabi trasportavano un assortimento di cacciagione, incluso un pitone, diverse goanna, opossum e wallaby, ma nessun canguro. Ancora erano ignari dell’uomo che li stava raggiungendo.

    Un sorriso malizioso attraversò il volto di Moilow: È tutto qua quello che siete riusciti a trovare? domandò.

    Gli altri si guardano attorno e videro il loro amico, un largo sorriso stampato sul volto. Il loro sguardo si spostò sul grande rosso ora era disteso ai suoi piedi.

    Additando le prede dei suoi compagni e poi puntando il dito al grande canguro, Moilow disse: Avreste avuto più fortuna mandando le donne al vostro posto.

    I cacciatori tentarono di nascondere l’imbarazzo prendendo in giro Moilow.

    Abbiamo ucciso una dozzina di grandi rossi prima, disse uno.

    Sì, eravamo stanchi di aspettarti quindi li abbiamo mangiati tutti, disse un altro, sfregandosi vistosamente una mano sulla pancia.

    Chissà perché non vi credo... rispose Moilow.

    L’innocente beffa continuò finché Moilow non sollevò ancora una volta la sua preda sulle spalle e si unì agli altri nel cammino verso casa.

    Moilow osservò i suoi compagni. Come lui, tutti avevano la barba e un fisico magro e ossuto, seppur imponente. Erano irrobustiti da quella terra crudele e dalle condizioni ostili che avevano dovuto affrontare anno dopo anno. Come Moilow, il loro petto e i loro arti erano scarificati, e avevano cespugliosi capelli legati in una crocchia sopra la testa. A differenza di Moilow, molti usavano quell’acconciatura per riporci una punta di lancia di scorta o altri oggetti utili.

    I cacciatori erano guidati da Mirritji, uno dei più anziani del clan kabi, rallentato dalla vecchiaia, ma ancora in vena di divertirsi durante gli eventi di caccia. Moilow studiò Mirritji che camminava in testa al gruppo: le sue gambe, estremamente curve, marcavano il terreno con una velocità sorprendente per qualcuno così storto e avanti con l’età. Come sempre, Moilow provò affetto per l’uomo. L’anziano era stato come un padre per lui e il giovane non poteva che provare rispetto nei suoi confronti.

    Subito dietro Mirritji c’era Gabirri, un cacciatore esperto e un guerriero capace, che aveva dato prova di valore numerose volte nelle battaglie con i nemici dei Kabi. A Gabirri seguiva il miglior amico di Moilow: Turo, un grande guerriero dalle ossa sporgenti, che aveva fatto più vittime (tra esseri umani, sia chiaro) di ogni altro uomo della tribù.

    Turo, che trasportava un pitone adulto sulle sue grandi spalle senza alcuno sforzo, rallentò il passo per unirsi a Moilow: Bella preda, brontolò, guardando la carcassa che portava l’amico.

    Sono stato fortunato, disse Moilow.

    Camminarono in un confortevole silenzio fino all’accampamento. Il sito era su una collinetta erbosa che si affacciava verso una spiaggia sabbiosa. Al di là, il vasto blu dell’oceano entrava in comunione con l’azzurro di un cielo senza nuvole, rendendo l’orizzonte invisibile a occhi inesperti.

    L’accampamento ospitava un centinaio di Kabi, la tribù predominante della regione. Comprendeva tettoie e bivacchi dall’aspetto precario, costruiti con legname, rami, cespugli ed erba. La condizione temporanea di questi rifugi era data dal fatto che, come tutti gli aborigeni, i Kabi erano una popolazione nomade che si spostava continuamente in cerca di cibo.

    Il clan di Mirritji si trovava lì da meno di una settimana e, se la caccia non avesse dato migliori frutti, a breve si sarebbero spostati. Sfortunatamente, anche la pesca era andata male e i membri del clan erano affamati.

    Bambini nudi, in fremito, accolsero i cacciatori al loro arrivo nel campo. Gli adulti, alcuni ugualmente nudi, altri semi-vestiti, nascosero il più possibile la propria delusione nel vedere il magro bottino dei cacciatori. Riservarono le loro più sentite congratulazioni a Moilow, impressionati dalla grossa preda.

    Moilow si avviò al suo bivacco dove fu accolto da sua moglie Mamba e dai suoi due figli.  Non appena abbassò la carcassa sul terreno Murrowdooling, di otto anni, gli saltò in braccio e Carravanty, di quattro anni, si avvinghiò alla sua gamba.

    Mamba, una bella donna dai vivaci occhi marroni e dai lineamenti decisamente più raffinati rispetto alle altre donne Kabi, accolse il marito con un sorriso: Sei stato bravo oggi Moilow, mormorò.

    Sì, concordò fiero Moilow: Almeno stasera mangeremo bene.

    #

    Le fiamme del grande falò comune illuminavano il cielo notturno, proiettando ombre sui membri del clan radunati intorno a esso. Le prede appena cacciate erano appese su una specie di spiedo sopra il fuoco, e la loro pelle stava rapidamente assumendo un colorito dorato.

    Gli occhi di tutti erano fissi sulla carcassa del grande rosso che Moilow aveva ucciso. Era grosso come tutte le altre prede messe assieme. Anche se non era stato scuoiato, la pelliccia dell'animale bruciava rapidamente. Carboni ardenti nelle interiora del canguro assicuravano che la carne risultasse estremamente tenera.

    Come da abitudine, i Kabi proseguirono distribuendo la carne tra tutti i membri del clan. La filosofia del tutti per uno, uno per tutti era, per loro, l'unica filosofia applicabile, dato che contavano uno sull'altro per la propria sopravvivenza.

    Le donne servivano il cibo prima agli uomini. A Mirritji e agli altri anziani venivano date le parti più tenere e succose; poi toccava a Moilow e agli altri cacciatori prendere il meglio della carne che rimaneva, in quanto avevano provveduto alla cena; poi il cibo veniva diviso tra gli altri uomini e, infine, quello che rimaneva andava alle donne e ai bambini.

    Moilow e Turo, seduti uno di fianco all'altro a mangiare, erano immersi in una discussione. Mentre parlavano, Mamba guardava suo marito con orgoglio. Sapeva che era invidiata dalle altre donne, alcune delle quali manifestavano alla luce del sole il loro desiderio per Moilow, e ringraziò silenziosamente il suo totem per averle mandato un uomo tanto attraente e per giunta bravo nella caccia.

    Turo guardò Mamba e le sorrise maliziosamente. La donna distolse velocemente lo sguardo, cosciente della sua sfrenata passione per il genere femminile e soprattutto per chi, come lei, era sposata. Mamba pensava che quattro mogli fossero più che sufficienti per qualsiasi uomo e che quindi l'amico di Moilow avrebbe dovuto ritenersi soddisfatto e smetterla di cercare altre donne da aggiungere al suo harem.

    Mamba riportò l'attenzione su Moilow. Il suo cuore si riempì di gioia nel vederlo accarezzare il dente di squalo che pendeva dalla collana che lei gli aveva regalato. Era un'abitudine che riteneva molto tenera, ed era felice che fosse così legato a quel ciondolo. Non lo aveva mai tolto dal giorno in cui lo aveva ricevuto.

    Quando non rimase più nulla da mangiare, le donne e i bambini si ritirarono nei loro bivacchi, lasciando gli uomini a parlare. La discussione, che era guidata dagli anziani, riguardava la disponibilità di cibo o, con più esattezza, la sua scarsità. Fu deciso che avrebbero intrapreso un'ultima battuta di caccia alle prime luci dell'alba prima di decidere se rimanere in quel sito o spostarsi.

    Uno dopo l'altro gli uomini si ritirarono. Moilow e Turo furono tra i primi ad andarsene. Volevano partire presto, prima dell'alba, per sfruttare al meglio il loro tempo. Guidati dalla luce della luna piena, si fecero strada nell'accampamento.

    Moilow augurò la buonanotte a Turo mentre oltrepassava la capanna dell'amico. La casa mobile di Turo era una delle più grandi del campo. Non c'era alternativa, dal momento che doveva accomodare tutte le sue mogli e i suoi tredici figli.

    Avvicinandosi al suo bivacco, posizionato leggermente distante dagli altri, si accorse di essere in trepidazione. Realizzò di aver improvvisamente bisogno di Mamba.

    Moilow si abbassò ed entrò nella capanna. Fu felice di trovare sua moglie ancora sveglia. I loro figli stavano dormendo lì a fianco.

    Mamba...

    Sshhh! bisbigliò lei. Non svegliare i ragazzi. Poi gli prese la mano e lo guidò sopra di lei.

    Moilow fu contento di scoprire che Mamba era nuda. E fu ancora più contento di sapere che lo desiderava quanto lui desiderava lei. Lo accompagnò dentro di sé e poi iniziarono a fare l'amore. Amore selvaggio e passionale.

    #

    La mattina dopo, Mamba fu svegliata dai primi raggi di sole che confluivano nel bivacco scacciando le tenebre della notte. Guardandosi attorno, realizzò che lei e i bambini erano soli. Moilow era partito all’alba per cacciare, come aveva promesso.

    Mamba sorrise tra sé ripensando alla loro notte d’amore. Non vedeva l’ora di un’altra sera come quella appena passata.

    Mentre gli uomini erano a caccia, Mamba e le altre donne facevano a turno per badare ai bambini e per adempiere agli altri compiti quotidiani. Quest'ultimi includevano raccogliere frutta e bacche dai cespugli circostanti e prendere cozze, ostriche e altri molluschi dalle rocce e dalle pozzanghere lungo la spiaggia.

    I bambini abbastanza grandi aiutavano le madri, oppure si divertivano a giocare o a nuotare nel mare. Nei momenti più afosi della giornata, quando il caldo diventava troppo opprimente per stare fuori, dormivano all’ombra.

    Per Mamba, la giornata passò lentamente, come succedeva sempre quando Moilow si trovava lontano. Era sempre in ansia quando suo marito non c’era ed era piena di gioia quando quest’ultimo le era accanto. In questa occasione però provava un'inspiegabile sensazione d'angoscia.

    Mamba si rilassò quando vide Turo emergere dalla foresta, dall'altra parte dell’accampamento. Sapeva che Moilow doveva trovarsi lì vicino.

    Realizzò che era accaduto qualcosa quando udì delle grida. Alzò lo sguardo e vide una donna correre verso Turo, caduto sulle ginocchia. La donna era la più giovane delle sue mogli.

    Mamba e diversi altri adulti che erano nelle vicinanze si apprestarono per capire cosa stesse succedendo. Solo quando si avvicinò a Turo vide che soffriva di una brutta ferita alla spalla, da cui gli usciva una grande quantità di sangue.

    Cosa è successo? chiese Mamba. Spostò lo sguardo verso la foresta e poi di nuovo verso Turo: Dov’è Moilow? Si sentì morire nel vedere lo sguardo rassegnato dell'uomo. Dov’è mio marito? chiese.

    Turo si alzò a fatica e guardò Mamba negli occhi: Moilow è stato ucciso, rispose semplicemente. I nemici ci hanno teso un’imboscata... i Noonuccal.

    Nel sentire il nome dei loro acerrimi nemici, Turo e gli altri Kabi vicino a lui sputarono per terra, tanto era il loro odio nei confronti dei Noonuccal, una tribù conosciuta e temuta per le sue pratiche cannibali.

    Turo aggiunse: Tuo marito ha combattuto coraggiosamente ed è morto come il guerriero che è stato.

    Mamba spostò lo sguardo da Turo alle altre donne, come se una loro reazione avrebbe potuto sistemare le cose. Nessuna di loro si mosse. Poterono solo distogliere lo sguardo. Alla fine chiese: Che cosa ne hanno fatto di lui?

    Turo esitò: Hanno trascinato via il suo corpo, mormorò.

    Mamba urlò e corse verso la sua capanna. Sconvolta, radunò i suoi due figli che stavano dormendo e li strinse forte a sé.

    Il più grande, Murrowdooling, chiese assonnato: Dov’è Moilow?

    Silenzio, bambino mio, singhiozzo Mamba. Non riusciva a dire ai suoi figli che il padre era morto. Non ancora.

    La sua sofferenza era ancora più grande dal momento che sapeva che il corpo del marito era stato portato via. Solo i cannibali richiedevano i cadaveri delle proprie vittime. Se Moilow non era ancora stato mangiato, tra poco lo sarebbe stato. Non aveva nessun dubbio al riguardo.

    Mamba rivolse il volto al cielo, e urlò. Fu un lungo e straziante grido primordiale che proveniva direttamente dalla sua anima.

    1

    Un muscoloso cacciatore aborigeno correva veloce tra la boscaglia, seguendo delle tracce che solo lui riusciva a vedere. In una mano brandiva una lancia e nell'altra una nulla nulla, o clava. A piedi nudi, con addosso solo un perizoma, copriva il terreno senza sforzo alcuno, quasi sorvolando l'arida terra arsa dal sole.

    Era Barega, uno degli ultimi membri sopravvissuti dei misteriosi Joondaburri, una tribù famosa in tutta la costa orientale australiana per le eccelse abilità di inseguimento dei suoi uomini. Nel linguaggio della sua gente il suo nome significava Vento, il che era appropriato per lui che correva veloce come il vento. Per i soldati inglesi che lo assoldarono lui era conosciuto semplicemente come il Braccatore.

    Anche se di altezza comune, le gambe di Barega erano sproporzionate, essendo stranamente lunghe rispetto al torso, un fattore che gli dava un notevole vantaggio nella professione che si era scelto. Pochi uomini, neri o bianchi, avrebbero potuto eguagliare la sua velocità nella corsa e, come gli altri della sua tribù, era in grado di correre tutto il giorno senza dar segni di fatica e senza soccombere all'implacabile caldo.

    Le orme che stava seguendo erano quelle dei prigionieri fuggiti quella mattina. Si stavano dirigendo a ovest, lontano dalla costa e lontano da Moreton Bay, dove si trovava la più nuova colonia penale inglese nonché la casa di oltre duecento tra condannati e soldati.

    Il percorso lo stava portando sempre più in profondità nella foresta che abbracciava quella parte di costa. Il terreno divenne progressivamente più ripido quando le montagne sostituirono le colline.

    Barega era accompagnato da tre soldati che lo seguivano sul dorso dei loro cavalli. Ogni tanto dava loro un'occhiata per assicurarsi che gli stessero dietro. Anche se la maggior parte della fatica toccava ai cavalli, era evidente che anche gli uomini sopra di loro fossero esausti a causa del caldo cocente. Di tanto in tanto si fermavano e bevevano dalle proprie borracce.

    Ad aprire la strada c’era il Tenente Desmond Hogan, focoso inglese e militare in carriera in tutto e per tutto.  L’ambizione di Hogan nell'eccellere nella sua professione era abbastanza evidente dal suo grado di ufficiale, notevole per qualcuno così giovane: aveva solo ventisei anni. La sua rapida ascesa di carriera era stata sicuramente influenzata dal fatto che suo padre e il padre di suo padre erano stati entrambi ufficiali d’alto grado nell’esercito. Era abbastanza sveglio da saperlo, ma ciò non cambiava il fatto che era un uomo abile, le cui promozioni erano state basate in gran parte su suo merito.

    Hogan cercò lo sguardo di Barega: Quanto siamo vicini, Braccatore? chiese.

    Fermandosi, il Braccatore indicò prima il sole, che al momento era a nordest, e poi  l’estremo nord. Molto vicini, Signore, rispose, ma non c'era bisogno che si esprimesse a parole.

    Il giovane Tenente aveva usato Barega così tante volte che riusciva a capire prontamente i suoi segnali. In questa occasione era chiaro che avrebbero raggiunto la preda per mezzogiorno, quando il sole era a nord, dove lui aveva indicato. Secondo i calcoli di Hogan ci sarebbe voluta più o meno un' ora. Diede un’occhiata ai suoi due uomini. Un' altra ora e dovremmo esserci, disse.

    Grazie a Dio, borbottò uno di loro.

    Come il loro comandante, a causa del caldo, i due soldati semplici si erano tolti le tuniche rosse e le avevano appese alle selle dei loro cavalli. Liberarsi da quel peso fu l'unica debolezza che Hogan si concesse, ma solo quando si trovò abbastanza lontano dalla colonia penale, cosciente di star disubbidendo alle rigide norme di abbigliamento militare.

    Dietro di lui, in lontananza, Hogan poteva ancora vedere Moreton Bay. Gli alberi nascondevano quasi interamente la colonia penale che aveva preso il nome dalla baia che la ospitava, ma da quell'angolazione si riusciva a scorgerne una parte. E al di là di essa, il blu dell’Oceano Pacifico si congiungeva con il blu del cielo. Era uno spettacolo incredibile.

    Tuttavia, Hogan e gli altri non erano lì per ammirare la vista: era stato assegnato loro il compito di catturare i prigionieri in fuga, e non vedevano l'ora di completare la missione per potersene tornare il prima possibile alla base e godersi il meritato riposo, oltre che liberarsi dall'odiosa umidità e dal caldo.

    Davanti a loro Barega aveva ripreso a correre. La sua pelle nera ricoperta di sudore brillava al sole. Era evidente che avvertisse la sua preda sempre più vicina.

    I soldati lo seguivano a poca distanza, così da non perderne le tracce nella fitta foresta pluviale. Nel loro avanzare erano intralciati da liane e rampicanti che minacciavano di disarcionarli dalla loro monta. Nonostante le difficoltà, i soldati erano grati che i condannati avessero optato per un sentiero già battuto nei secoli dai nomadi nativi. Sapevano che se la loro preda avesse intrapreso un'altra strada, i cavalli non sarebbero più serviti a nulla e sarebbero stati costretti a procedere a piedi. 

    In ogni modo il Tenente Hogan era a conoscenza di una cosa di cui i suoi uomini erano ignari, ovvero che non tutti i fuggiaschi sarebbero stati riportati indietro vivi. Prima di partire, il Comandante della colonia penale aveva messo in chiaro che non avrebbe gradito la presenza di più di un sopravvissuto.

    Ancor prima che Lord Bertram Cheetham diventasse il Comandante di Moreton Bay, quattro mesi prima, la sua fama di uomo crudele l'aveva preceduto. Da allora Hogan e gli altri Ufficiali avevano capito il motivo di quella reputazione; vedeva i condannati come animali e si aspettava che i soldati sotto il suo comando li trattassero come tali. Di conseguenza le fustigazioni erano diventate un evento quotidiano; gli oberati prigionieri, regolarmente malmenati, venivano lasciati senza cibo e gli episodi di dissenteria e di altre malattie che affliggevano loro e anche alcuni dei soldati avevano raggiunto proporzioni epidemiche. Quasi ogni singolo condannato aveva avuto, almeno una volta, un malessere o una lesione grave e, per peggiorare le cose, le cure mediche erano a dir poco superficiali. Nonostante ciò finché un prigioniero era in grado di tirare il fiato era obbligato a a sopportare sedici ore al giorno di lavori forzati, sette giorni a settimana.

    Le condizioni erano così dure (a quanto si dice, al pari della famigerata Isola Norfolk) che alcuni prigionieri, piuttosto che aspettare di scontare la loro pena, avevano preferito optare per il suicidio; e non solo alcuni pensavano di frequente di compiere quell'insano gesto.

    Inoltre, la crudeltà dilagante faceva sì che non passasse nemmeno una settimana senza che uno o più condannati cercassero di scappare. Dove avessero intenzione di scappare non si sa, perché Moreton Bay si trovava a molte centinaia di miglia dalla città più vicina. I condannati che scappavano via terra rischiavano di morire di infarto, sete, fame, morsi di serpente o nativi inospitali, e la fuga via mare era fuori questione, perché gli unici vascelli che visitavano Moreton Bay erano quelli che servivano la colonia penale.

    La ribellione ovviamente era inevitabile e dall'arrivo di Lord Cheetham, malattie, tentativi di fuga e morti tra i condannati erano in aumento. Tutto ciò era servito solo a fare infuriare Cheetham ulteriormente, che come soluzione aveva deciso di far lavorare i condannati ancora più duramente e di imporre punizioni più severe per ogni tipo di trasgressione.

    I tentativi di Hogan e degli altri ufficiali di appellarsi al buon senso del Comandante, o almeno alla sua umanità, caddero a vuoto. Per questo le istruzioni private date a Hogan quella mattina presto: voleva dare una lezione ai fuggiaschi e assicurarsi che solo uno di essi ritornasse vivo a Moreton Bay, tanto era grande il suo desiderio di dissuadere i prigionieri a fuggire.

    Tali istruzioni non andavano molto a genio a Hogan, ma sentiva di avere le mani legate.

    L'esperienza gli aveva insegnato che se avesse consegnato in vita tutti e tre i fuggitivi, era probabile che l'eccentrico Cheetham decidesse di non risparmiare nessuno e magari di far giustiziare anche uno o due degli altri prigionieri. Era una cosa che aveva già visto.

    Giunto in una radura Hogan si girò e venne distratto dalla vista di una nave che stava salpando due o tre miglia al largo della costa. Era lontana, verso sud, così lontana che non l'avrebbe notata se non fosse stato per l'ondeggiare delle sue bianche vele. Avrebbe potuto essere scambiate facilmente per delle nuvole se non fosse stato per il fatto che il cielo ne era privo. Il giovane Ufficiale riconobbe subito la nave come l’Hoogley, dato che era l'unica in programma di visitare Moreton Bay quella settimana. Stava portando un altro carico di detenuti provenienti dalla colonia penale di Parramatta, vicino a Sydney Town. Un avvenimento normale in quei giorni. Se Hogan non fosse stato inviato a supervisionare la cattura dei fuggiaschi avrebbe avuto il compito di accogliere l'Hoogley e il suo carico di condannati. Invece, quel giorno, il compito sarebbe spettato al suo Ufficiale Comandante.

    Anche se la compassione e la pietà non gli appartenevano il Tenente era quasi dispiaciuto per gli uomini incarcerati nella stiva della goletta che stava osservando. Quasi, ma non del tutto. Era al corrente che i condannati così sfortunati da essere trasportati a Moreton Bay, o su quel buco infernale che era Isola Norfolk, erano considerati i più incorreggibili tra tutti. Non rimpatriabili era il termine ufficiale per definire questi uomini.

    Secondo il militare, era già difficile che potessero essere rilasciati, figurarsi ritornare nei loro paesi d'origine. Per quanto riguardava Hogan, si meritavano di marcire all'inferno.

    Il cavallo di Hogan inciampò sulla radice sporgente di un albero, costringendolo a riportare l'attenzione sul compito imminente. Realizzò di aver perso di vista il Braccatore e piantò i talloni nei fianchi del suo stallone, incoraggiando l'animale a muoversi più velocemente.

    #

    Al largo la Hoogley stava faticando nel piegare a nord verso l'alto, ondoso mare.  Le condizioni si stavano riadattando dopo una tempesta che, dalla sera prima, si era abbattuta senza tregua sulla goletta a tre alberi appena salpata da Sydney Town sei giorni prima. Le sue travi di legno cigolavano in modo allarmante, in protesta al salire e scendere della prua, e le onde che si infrangevano su di essa minacciavano di strappare le vele dai loro alberi.

    Nel cordame, in alto sopra il ponte, gli attrezzatori lottavano per la propria vita mentre eseguivano le loro pericolose mansioni.

    Sottocoperta le condizioni non erano molto migliori. In aggiunta al dover sopportare il movimento ondeggiante del vascello, i quaranta prigionieri, per la maggior parte irlandesi, e le loro guardie, dovevano combattere contro i costanti spruzzi di acqua salata che si riversavano dagli oblò e dalle botole, lasciando gli uomini permanentemente bagnati.

    I prigionieri subivano il peggio, dato che erano confinati sottocoperta per tutto viaggio. Permanentemente legate, le loro caviglie erano assicurate a delle catene che, a loro volta, passavano in una catena più lunga fissata all'interno dello scafo a ogni estremità della stiva. Alla loro condizione, si aggiungeva la costante mancanza di cibo adeguato e di acqua e la temperatura che si alzava durante il giorno e si abbassava quasi sotto zero di notte.

    La puzza nauseante di urina e merda, combinate con l'onnipresente acqua stagnante che si riversava sul fondo della stiva, si era propagata ovunque. Precedentemente una dissenteria fulminante si era diffusa sulla nave, colpendo in ugual modo detenuti, guardie ed equipaggio, gravando su quello che già era uno squallore generale.

    Non tutti i carcerati erano sopravvissuti al viaggio. Un giovane malaticcio di Belfast era perito di polmonite. Il suo cadavere era stato gettato nel mare due giorni prima, senza funerale. E molti altri erano in condizioni critiche. Non aiutava il fatto che non ci fosse nessun medico a bordo, né l'attrezzatura per una medicazione, almeno superficiale.

    Per quanto il viaggio fosse difficile però non era niente a confronto dei tre o quattro mesi di traversata che questi detenuti avevano sopportato usciti dall'Inghilterra. In alcuni casi la mortalità era salita al quaranta per cento, e una volta persino al sessanta.

    Due sopravvissuti a quel viaggio infernale, a bordo delle più famose galee, erano ora sulla Hoogley: il ventottenne John Graham e il poco più giovane Noel Thomas, la quale data di nascita precisa era sconosciuta, almeno a lui, erano incatenati assieme nel retro della stiva. Originari di Dundalk, nella contea di Louth, in Islanda, erano amici d'infanzia. Il primo era stato condannato a sette anni per aver rubato dieci sterline a un losco padrone che asseriva non l'avesse pagato, mentre il secondo, per quanto possa sembrare un cliché, era stato condannato a cinque anni per aver rubato un pezzo di pane.

    I due amici facevano decisamente contrasto. John aveva le spalle larghe ed era più alto della maggior parte dei suoi compagni, e certamente più bello. I suoi capelli neri e spettinati, lunghi fino alle spalle, incorniciavano un viso pallido ma interessante che qualunque donna avrebbe trovato attraente. Ma quello che davvero lo faceva risaltare erano i suoi notevoli occhi blu. Sempre in allerta, non si facevano scappare nulla.

    Noel, d'altro canto, era basso e magro, e non molto bello. Ciò nonostante, aveva dei modi affascinanti e un umorismo sfacciato che lo rendevano amabile a tutti, o meglio, tutti eccetto i suoi carcerieri. La sua sfacciataggine lo cacciava sempre nei guai, sia con i compagni prigionieri che con le guardie e John era dovuto andare in suo aiuto più di una volta.

    Incatenato insieme a loro c'era un vecchio di Berlino, che stava peggiorando rapidamente: Leith Donovan, che affermava di avere quarantacinque anni ma ne dimostrava sessantacinque; era  già malato da prima di partire da Parramatta. Aveva iniziato a vomitare appena la goletta era salpata e stava ancora vomitando ora. Negli ultimi sei giorni aveva perso quasi metà del suo peso corporeo.

    Resisti, Leith,  lo incoraggiò Noel mentre Donovan rigurgitava l'ultima delle magre razioni che era riuscito mandare giù. Il rimanente di quelle razioni, inclusi residui di cavolo e cereali, finì sulla gamba di Noel.

    Scusa, Thomas, mormorò Donovan, cercando invano di pulire il disastro sulla gamba del suo compagno.

    John diede un'occhiata a Noel: sul suo volto la consapevolezza che il viaggio di Donovan sarebbe finito presto. Un'opinione che John condivideva.

    Noel fece un cenno alla guardia più vicina per attirare la sua attenzione: Abbiamo un uomo malato qui, disse.

    La guardia, un'insensibile inglese che coglieva ogni opportunità per mostrare il proprio disprezzo verso gli irlandesi, si limitò a sorridere a Noel. Distolse lo sguardo velocemente appena notò che John lo stava osservando.

    I profondi occhi blu di John Graham avevano questo effetto su molte persone. Pochi uomini riuscivano a sostenere il suo sguardo... c'era qualcosa dietro quegli occhi che li inquietava.

    #

    Nello stesso momento, nell'entroterra oltre Moreton Bay, i tre prigionieri fuggiaschi erano così esausti che dovettero rallentare fino a camminare. Se nella frescura prima dell'alba erano partiti a tutta velocità, la fatica, il caldo e la sete li avevano presto ridotti a un lento strascicare.

    Il ferro attorno alle loro caviglie non aiutava. Le pesanti catene rendevano quasi impossibile correre, e il tintinnio che facevano rivelava la posizione dei condannati almeno da cinquanta iarde di distanza. Solo il pensiero di quello che li attendeva a Moreton Bay, nel caso fossero stati catturati, li faceva andare avanti. Avrebbero preferito morire piuttosto che tornare in quel posto che chiamavano inferno.

    Erano un gruppo malassortito. Tutto ciò che avevano in comune era pressoché il fatto di essere prigionieri inglesi che condividevano un ardente desiderio di libertà. Ed erano tutti armati. L'uomo più anziano aveva con sé  un'ascia e i due più giovani dei coltelli.

    Tim Brady, il capo del gruppo, aveva qualche anno in più degli altri: un quarantacinquenne della Cornovaglia, era considerabilmente più basso dei suoi due compagni, ma largo quasi quanto era alto. Quello che gli mancava in statura l'aveva compensato in stazza ed era un dato di fatto che fosse il più forte tra i prigionieri di Moreton Bay e, in realtà, anche tra i soldati.

    I compagni di Brady, entrambi nativi di Londra ed entrambi sulla ventina, ovviamente  contavano sulla guida del più anziano. Dopo tutto l'evasione era stata una sua idea. Per loro sfortuna Brady ora era a corto di idee ed era così esausto da essere di nessun aiuto per loro e, a dirla tutta, neanche per sé stesso.

    I due londinesi si fermarono quando realizzarono che Brady era rimasto indietro.

    Muoviti, Brady! urlò il più giovane.

    Annaspando, il cornovagliese provò a correre, ma le gambe cedettero sotto di lui e crollò sul terreno. Acqua, mormorò: Ho bisogno di acqua.

    Abbiamo tutti bisogno d'acqua, Brady! disse il più anziano dei londinesi. Dobbiamo continuare a muoverci.

    Brady si alzò lentamente in piedi e iniziò a incespicare per raggiungere i suoi compagni.

    I due londinesi si guardarono.

    Ci sta rallentando, mormorò uno.

    Sì, che si fotta, disse l'altro.

    La coppia se ne andò, lasciando Brady a sé stesso.

    Aspettate, bastardi! li chiamò Brady. Si affrettò verso di loro, desiderando disperatamente di non essere lasciato indietro.

    Il momento in cui il cornovagliese realizzò che avevano compagnia fu quando la punta della lancia del Braccatore lo attraversò da dietro. Vide la sua punta emergergli dal petto ancor prima di avvertire dolore. E quando il dolore lo raggiunse fu solo passeggero, dato che la nulla nulla di Barega gli fracassò il cranio, uccidendolo all'istante.

    Barega si fermò solo il tempo necessario a riprendersi la lancia, per poi continuare a rincorrere gli altri due. Dietro di lui il rumore degli zoccoli dei cavalli gli suggeriva che i soldati erano vicini.

    Davanti a lui riusciva a sentire il tintinnio delle catene alle caviglie dei londinesi che si infrangevano sulla boscaglia.

    Anche se erano a meno di cinquanta iarde innanzi ai loro inseguitori, i fuggiaschi sopravvissuti  non avevano idea che presto sarebbero stati catturati, o peggio. Per il momento erano beatamente ignari della prematura morte di Brady e del fatto che la loro libertà si poteva misurare  in minuti, o meno.

    Realizzarono che il gioco era finito quando sentirono il rumore dei cavalli.

    Si nascosero subito nella fitta boscaglia, coi pugnali sguainati.

    Spiando attraverso il fogliame, vennero confusi da una serie di movimenti troppo veloci per i loro occhi. Barega si muoveva con tale velocità e discrezione che dava l'impressione che ci fossero due o tre copie di sé.

    Nel caos, il più giovane dei londinesi si mosse, rivelando il proprio nascondiglio. Fu l'ultima cosa che fece. La lancia del Braccatore gli finì dritta nella gola, inchiodandolo ad un albero.

    Terrorizzato, il condannato sopravvissuto scappò, correndo alla cieca tra gli alberi.

    Non per la prima volta quel giorno, il ventitreenne Frank Patterson si chiese se evadere fosse stata una buona idea. Infatti, si era pentito della sua decisione quasi immediatamente, ma ormai non poteva più tornare indietro.

    Petterson non vide la nulla nulla in volo che andò ad infrangersi sul retro della sua testa, stordendolo.

    Barega riprese la sua arma e si preparò a dare il colpo di grazia all’intontito londinese. Fu distratto dall’arrivo di Hogan e degli altri. La sua esitazione diede a Patterson il tempo di recuperare il coltello da caccia che gli era caduto. Barega abbassò con forza la sua nulla nulla, frantumando l’avambraccio della sua vittima, portandola ad urlare di dolore.

    Il Braccatore alzò lo sguardo divertito, mentre il disperato prigioniero riprendeva da terra il coltello con la mano buona e si preparava ad attaccare di nuovo.

    Per lo stupore di Patterson, Barega si stese improvvisamente prono sul terreno. Il giovane londinese alzò lo sguardo e vide i due soldati con Hogan che gli puntavano addosso i loro moschetti. I due colpi risuonarono all'unisono. Lo shock fu così grande che Patterson cadde a terra, convinto di essere morto. Gli ci volle un momento per realizzare che non era così. Guardò i soldati e vide che lo stavano deridendo.

    Bentornato nella terra dei vivi, ragazzino! urlò uno dei soldati, alimentando le risa. Avevano giocato lo stesso scherzo ad altri fuggitivi, puntando le loro armi in alto o lontano dalle loro vittime mancate, ma Patterson non poteva saperlo.

    Con un ghigno, il Braccatore si alzò e prese il coltello dalla stretta del londinese, rivendicandolo suo. Tale bottino era suo di diritto. Questa era l’accordo che aveva fatto con gli inglesi. Barega sorrise a Hogan, che gli fece segno di tirar sù da terra il rincuorato, ma ancora scioccato, sopravvissuto e di fare marcia indietro verso Moreton Bay.

    2

    Il Capitano Tom Marsden e sua moglie Vera, dalla veranda ombreggiata del loro cottage, osservavano la loro figlia inseguire il fratellino intorno al gigantesco tronco dell’albero di fichi di Moreton Bay, che occupava un posto d’onore nel loro cortile.

    La diciannovenne Helen Marsden era furiosa perché Matthew aveva scarabocchiato un commento poco carino su una lettera che lei stava scrupolosamente abbozzando per un vecchio compagno di classe di quando studiava a Londra. Ti faccio a pezzi quando ti prendo, Matthew! urlava.

    L’undicenne Matthew rideva sguaiatamente mentre conduceva la sorella in un’allegra danza intorno all'imponente albero. Helen ama Samuel! la canzonava riferendosi al ragazzo per cui sospettava Helen avesse una cotta ancora non corrisposta.

    Tu, piccolo... Helen si trattenne quando si ricordò che i suoi genitori potevano sentire.

    Non provocare tua sorella, Matthew! gridò la signora Marsden, rivelando dall’accento la sua educazione borghese.

    Il ragazzino non fece caso a sua madre e continuò imperterrito.

    Tom Marsden ridacchiò tra sé. Non smetteva mai di divertirsi a guardare i suoi figli interagire. A discapito della loro differenza di età e dei loro frequenti battibecchi, erano solitamente migliori amici. Ma non oggi.

    Helen, alla fine, si stancò di provare a catturare l’imprendibile Matthew. Era un pomeriggio spietatamente caldo e, anche se agile e atletica, aveva esaurito le energie. Ti prenderò più tardi, promise a suo fratello, sedendosi sotto l'ombra dell’albero, con la schiena appoggiata al tronco.

    Deluso che il divertimento fosse finito, l’irrefrenabile Matthew si rivolse ai genitori:

    Posso avere una bevanda fresca, mamma?

    "Posso avere una bevanda fresca cosa?" chiese un severo Tom Marsden. Il suo accento non era diverso da quello di sua moglie. Un po’ più proletario forse, senza dubbio irruvidito da quindici anni ininterrotti di servizio miliare in alcune delle più vaste colonie dell’impero britannico.

    "Posso avere una bevanda fresca per favore, mamma?" chiese Matthew.

    Così va meglio. Il ragazzino era il pupillo del signor Marsden, ma non esitava a metterlo in riga quando necessario.

    Certo che puoi,  disse la Signora Marsden. Chiedi a Orana di versarti un bicchiere di limonata, e anche uno a Helen, aggiunse, riferendosi alla cameriera aborigena che, da quando si erano trasferiti lì, era diventata il quinto membro della loro piccola famiglia.

    Matthew si imbronciò nel sentir nominare sua sorella e scomparve all’interno.

    È un bravo ragazzo, disse la signora Marsden, quasi tra sé, riportando l' attenzione al libro che stava leggendo prima che Matthew iniziasse a provocare sua sorella.

    Helen, che aveva letto il labiale di quello che sua madre stava dicendo, gridò: Sei troppo indulgente con Matthew, mamma!

    Tom Marsden annuì, per esternare che era d’accordo con sua figlia.

    Sciocchezze, disse la signora Marsden. Si sta solo comportando da fratello.

    Helen guardò suo padre in cerca di supporto. Marsden si limitò ad alzare le spalle, indicando che la sosteneva, almeno moralmente.

    Helen, esasperata, scosse la testa, facendo intendere al padre di non essere stupita dal suo tiepido supporto, poi chiuse gli occhi e si ripromise di dormire. Aveva imparato che nei primi giorni di gennaio Moreton Bay era così calda che sonnecchiare all'ombra era uno dei modi più efficaci per fuggire dall'ardore estivo. Aveva imparato anche a combattere da sola le proprie battaglie quando si trattava di Matthew, perché i suoi genitori, come tutti i genitori, durante le dispute si schieravano immancabilmente dalla parte del figlio minore. Nonostante questo, voleva davvero bene al suo fratellino. Il più delle volte.

    Matthew riapparve da dietro l'angolo della casa con un bicchiere di limonata per ogni mano, ed esitando si avvicinò a sua sorella. Sorellina, mormorò. Sei sveglia?

    Helen aprì gli occhi e sorrise quando vide suo fratello che veniva a far pace. Spianò il terreno vicino a lei, indicando a Matthew di sedersi. E così lui fece. Poi lei, scherzosamente, allungò una mano e gli pizzicò una guancia prima di prendere uno dei bicchieri e iniziare a berne il contenuto.

    Sollevato di essere stato perdonato, Matthew iniziò a sorseggiare la sua limonata. In un battibaleno i due stavano chiacchierando come i migliori amici che erano.

    Osservando i fratelli, Marsden si meravigliò forse per la centesima volta di quanto andassero d'accordo nonostante la differenza di età. Riteneva che il merito fosse soprattutto di Helen. Mentre la maggior parte delle ragazze sarebbe stata troppo impegnata per dar retta a un così tumultuoso fratello minore, Helen era una persona altruista, che metteva gli altri prima di sé, fratelli inclusi, a prescindere da quanto fossero fastidiosi.

    Marsden era fiero di sua figlia. Stava crescendo in una bellissima, giovane donna, dentro e fuori. Con i suoi biondi capelli e scintillanti occhi blu, la sua abbronzatura dorata e la figura slanciata, era una vera meraviglia. Cosa di cui stava cominciando a rendersi conto. E, sicuramente, anche i soldati nella vicina colonia penale lo sapevano: diversi giovani ufficiali avevano già mostrato il loro interesse nei confronti di sua figlia.

    Non per la prima volta, Marsden mise in discussione la sua scelta di portare una giovane e bella donna come Helen in Australia. In realtà non solo Helen, ma la sua intera famiglia.       L'Australia, dopotutto, non era altro che una nascente colonia penale situata ai confini del mondo e Moreton Bay era a circa  centocinquanta miglia a nord di Sydney Town, la città più vicina. Come la definiva volgarmente un suo amico, Moreton Bay era collocata nel buco del culo del nulla. Lo stesso amico si era riferito a quello come un posto adatto solo a selvaggi e tafani, dove nessun uomo bianco sano di mente avrebbe mai vissuto.

    A cosa stai pensando? chiese la signora Marsden, interrompendo la scia di pensieri del marito.

    Lo stava osservando da un po', di nascosto.

    Oh... mi stavo solo domandando di nuovo se ho fatto la cosa giusta portandovi tutti qua giù, disse Marsden.

    La Signora Marsden si appoggiò in grembo il libro e si tolse i suoi occhiali da lettura: Ne abbiamo già discusso, Tom, lo rimproverò lei. Questa posizione era un' opportunità di carriera troppo buona perché tu non la accettassi, e per niente al mondo ci separeremmo da te.

    Poco convinto, Marsden aggiunse: E mi preoccupo per Helen. Chiese, Quali prospettive di carriera o matrimonio offre un posto come questo a una giovane donna? Anche se era fiero di essere un soldato e di servire l'esercito britannico, non voleva che sua figlia diventasse la moglie di un soldato. E, rimanendo lì, era molto probabile che lo sarebbe diventata.

    La signora Marsden non rispose subito. Stava avendo gli stessi pensieri ultimamente. Per quanto fosse felice del suo matrimonio, capiva più che bene i sacrifici che la moglie di un soldato doveva fare, e anche lei non desiderava quella vita per Helen. Alla fine, disse: Penso che arriverà il giorno in cui dovremo rimandarla a Londra a stare con tua sorella.

    O a Sydney Town forse, disse Marsden, riferendosi alla colonia costiera in forte crescita a sud di Moreton Bay.

    Che non sia mai! replicò la signora Marsden. Quel posto è un covo di criminalità. Pieno di ubriaconi, dissoluti, ladri e prostitute.

    Non sono sicuro che Londra sia molto meglio, mia cara, ricordò gentilmente Marsden a sua moglie.

    Ricorda una delle ragioni per cui abbiamo istituito delle colonie penali intorno al mondo. Per...

    Lo so, lo so, la signora Marsden sospirò. Per liberare la Britannia da i suoi indesiderabili.

    La conversazione degenerò, come succedeva di solito quando discutevano sul futuro di Helen.

    Nessuno dei due voleva che loro figlia lasciasse il nido, ma sapevano che il momento si stava velocemente avvicinando.

    Non c'era futuro per lei lì. La signora Marsden voleva che ritornasse a Londra, così da poter stare con sua zia, mentre Tom Marsden preferiva si trasferisse a Sydney Town, dove dei vecchi amici di famiglia le avevano offerto vitto e alloggio, e un'istruzione come maestra delle elementari nella scuola che avevano istituito. Almeno sarebbe stata nello stesso continente, argomentava lui.

    Marsden studiò sua moglie mentre immergeva nuovamente il naso nel suo libro. Inizialmente, aveva avuto paura che non avrebbe retto la vita nella nuova colonia. Lei era, dopotutto, fragile di costituzione e dall'animo gentile, adatta più per la vita della donna di classe che conduceva a Londra piuttosto che alla durezza, prima dell’India, poi dell’Africa e ora dell’Australia. Ma si era dovuto ricredere ogni volta: senza lamentarsi, aveva accolto tutto ciò che la vita le presentava davanti, accettando ogni problema come una eccitante sfida. L’istruzione che stava personalmente impartendo a Matthew ne era un esempio. Anche se ben educata, la signora Marsden non aveva avuto nessuna esperienza di insegnamento quando si era presa la responsabilità di istruire il ragazzo. Nonostante i primi dubbi del marito, aveva dimostrato di essere nata per fare l'insegnante e l’educazione di Matthew stava procedendo meglio di quello che entrambi avevano sperato.

    L’uomo di casa si alzò e si stirò, conscio che da lì a poco si sarebbe dovuto presentare al lavoro. Pur avendo costituzione ed altezza nella media, l'aspetto del quarantenne Marsden trasudava forza e vitalità, e i suoi penetranti occhi grigi riflettevano un animo d’acciaio, che eguagliava il suo freddo temperamento. I suoi sottoposti sapevano che era meglio non contraddirlo, ma nonostante ciò aveva la reputazione di essere un uomo giusto e diretto, e i suoi uomini lo rispettavano.

    Marsden diede un'occhiata a quel luogo che ora chiamavano casa. La loro villetta, costruita grazie alla manodopera dei prigionieri, aveva tre locali e si erigeva sopra un rialzo che dominava la colonia penale, a circa duecento iarde di distanza.

    Era una vista di cui Marsden non si sarebbe mai stancato. Tutt’intorno le colline assolate si allungavano in orizzonti lontani. Alcune erano state arse dal sole, mentre altre erano coperte da densi cespugli. L’ondeggiante pianura che collegava le colline con la costa, invece, era punteggiata da file di eucalipti, o alberi della gomma, a perdita d'occhio. Questo tipo di albero era popolare tra Matthew e i pochi altri bambini europei nella colonia, perché era la casa di adorabili koala, che si vedevano spesso intenti a masticare le foglie degli eucalipti, appollaiati in modo precario sui rami.

    Tra il cottage e la colonia si estendevano campi non recintati di mais, patate, cavoli e altri vegetali. Erano stati importati e piantati dai condannati poco dopo che la colonia era stata spostata da una zona meno favorevole del nord, circa due anni prima. Ad oggi, solo il mais stava dando i suoi frutti; le altre verdure non stavano crescendo molto bene. Marsden non era sicuro di quanto ciò fosse attribuibile al clima e allo stato del suolo e quanto alla negligenza dei prigionieri incaricati di occuparsi dei campi. Lui aveva i suoi sospetti.

    La colonia di per sé comprendeva una variegata collezione di casupole di legno e baracche, posizionate lungo la sponda vicina di un grande, seppur finora senza nome, fiume, che si svuotava nella baia più avanti. Le baracche alloggiavano duecento condannati, che presto sarebbero diventati duecento-quaranta, e le casupole ospitavano i soldati.

    Vicino ai rifugi dei soldati c’erano alcuni uffici rudimentali costruiti per Marsden e per la manciata di impiegati dell'esercito, un edificio che ospitava la mensa dei soldati e un altro per la mensa dei prigionieri (entrambi con cucine annesse ), un singolo blocco per lavarsi, diviso in due, una parte per i soldati e una per i prigionieri, un’officina, tre capanne di deposito, un fienile, due cisterne d’acqua, stalle per i cavalli e un capannone per il fabbro locale. E, come Marsden sapeva bene, dietro quelle strutture, convenientemente nascosto, c’era un palo per la fustigazione e una serie di forche, entrambi usati di recente. Fin troppo utilizzati per i suoi gusti.

    Ad ogni lato della colonia, stava prendendo forma quella che poteva essere descritta solo come una baraccopoli. Gli aborigeni locali, membri della tribù predominante dei Quandamooka, vivevano non troppo lontano dai nuovi arrivati bianchi. Era un arrangiamento che andava bene ad entrambe le parti. Gli aborigeni ne ricavavano cibo e liquore dai soldati, mentre quest’ultimi sfruttavano l'abilità di inseguimento e di caccia dei primi e, occasionalmente, le loro donne. Questo arrangiamento ovviamente aveva anche i suoi svantaggi. Casi di alcolismo e agitazione stavano incrementando tra gli Quandamooka e le litigate dei soldati per accaparrarsi l’attenzione delle donne native spesso sfociavano in vere e proprie risse.

    Marsden si interrogava sui gusti dei suoi compagni in fatto di femmine. Specialmente di quegli uomini di rango minore, che sembravano essere di una razza differente, e dovette concordare con l'osservazione di una persona arguta che una volta disse, Si scoperebbero qualsiasi cosa con due gambe.

    Gli occhi di Marsden si posarono su uno stormo di cacatua dalla cresta nera, che volava oltre il cottage, stridendo. Si stavano dirigendo nella direzione della novella città di Brisbane, un quarto di miglio a monte.

    Brisbane Town: popolazione composta in totale da quarantasette adulti (trentacinque maschi e dodici femmine, per essere precisi) e mezza dozzina di bambini.

    Il distretto era stato costruito dal nulla come centro di servizio per la colonia penale in espansione. I soldati lì stanziati erano per lo più impegnati nel garantire i servizi essenziali e i rifornimenti a Moreton Bay, mentre pochi intrepidi stavano cercando di irrompere nelle campagne circostanti con l'idea, eventualmente, di coltivarle. Marsden non era sicuro su cosa facessero le donne nubili per sopravvivere, anche se aveva uno teoria o due al riguardo.

    Ufficialmente, Brisbane Town e la più grande Moreton Bay erano parte dello stato del Nuovo Galles del Sud. Ci sarebbero voluti altri trentadue anni prima che diventassero parte di un nuovo stato che sarebbe stato conosciuto col nome di Queensland.

    L'unico stabile importante nel distretto era l’edificio che Lord Cheetham utilizzava come casa quando non era chiamato a Sydney Town dal Governatore del Nuovo Galles del Sud. Casa, in questo caso, era un termine improprio. Era un villa coloniale a tre piani, grande come le ville che si potevano ammirare nel paese natale di Cheetham: Essex, nella Madrepatria Inghilterra. L'abitazione non era visibile dal cottage dei Marsden, nascosta com'era dietro gli onnipresenti alberi della gomma, ma Marsden la conosceva molto bene, essendoci stato troppe volte per i suoi gusti, in occasione delle numerose riunioni dell'organico.

    Il Capitano spostò lo sguardo, oltre la colonia penale, fino alla cava dove i prigionieri passavano gran parte del loro tempo a spaccare rocce che sarebbero state usate per costruire strade e per progetti edili.

    In quel momento poteva vedere un gruppo di circa trenta condannati che venivano scortati da guardie armate per sostituire un numero simile di prigionieri che attualmente stavano lavorando duramente nella cava. Nello strascicare sulla rossa terra, alzavano piccole nuvole di polvere . Le catene alle caviglie, combinate con il caldo, assicuravano che il viaggio di quattrocento iarde dalla colonia alla cava non fosse una passeggiata, nonostante l'incoraggiamento dei soldati a cavallo che li scortavano. Quell'incoraggiamento includeva un costante abuso verbale e frequenti sferzate di frusta. Anche da lì, Marsden poteva vedere la stanchezza dei prigionieri. E il loro turno non era nemmeno iniziato.

    Papà!

    Marsden alzò lo sguardo per vedere Matthew che indicava eccitato la baia. Si girò e vide la goletta a tre alberi navigare verso la bocca del fiume.

    È la Hoogley, disse Matthew. 

    Sì, la vedo, disse Marsden, decisamente meno emozionato di suo figlio. L'arrivo del vascello significava per lui un immediato ritorno al lavoro. Dal momento che il Tenente Hogan era assente, doveva sostituirlo.

    In realtà non era compito di Marsden come superiore e, automaticamente, capo delle guardie, accogliere i nuovi arrivati. E poi, per essere precisi, era capo delle guardie solo di nome.   Quel ruolo, seppur ufficialmente suo, era stato usurpato dall'onnipotente Lord Cheetham, che si era appropriato di quel titolo per immischiarsi negli affari di Marsden. Sfortunatamente per quest'ultimo, i suoi reclami alle più alte autorità di Sydney Town erano stati ignorati.  A Cheetham era stata data piena libertà nella gestione di Moreton Bay e se ne stava abbondantemente approfittando.

    Riluttante, Marsden indossò la sua tunica rossa, che sua moglie aveva premurosamente appeso sulla porta d'ingresso. Non dovrei fare troppo tardi, mia cara, disse. Torno subito dopo il tramonto.

    La signora Marsden si alzò immediatamente e corse in casa, solo per emergere un momento dopo con in mano il cappello reggimentale del marito, che posò amorevolmente sulla sua testa prima di sistemargli l'uniforme. Era una routine che avevano intrapreso molte volte in molti posti. Sembri pronto a condurre un' armata, disse lei, fieramente. Anche quello un motivo che aveva ripetuto molte volte.

    Marsden sorrise comunque: Grazie, mia cara, disse. Le diede un bacio sulla guancia e salutò i suoi figli, prima di scendere dai gradini e avanzare verso la collina. Fate i bravi, voi due! gridò.

    Matthew ed Helen lo salutarono. Il ragazzo eseguì un rapido saluto militare, a cui suo padre rispose con eguale professionalità. Ecco un altro rituale di cui nessuna delle due parti si stancava.

    Dopo solo qualche passo, lo raggiunse al galoppo un soldato proveniente dalla colonia, che portava con sé un altro cavallo. Il soldato, un giovane caporale, si fermò vicino al suo superiore: Scusi il ritardo, Capitano, disse, salutandolo vivacemente.

    Marsden rispose al saluto e montò sull'animale senza dire altro al ragazzo, che aveva ritardato perché era dovuto andare a riprendersi il cavallo dal fabbro, dove era stato ferrato di nuovo. Il silenzio del suo superiore faceva intendere al caporale Angus Davies di non aver fatto una buona impressione con la sua lentezza. Umiliato, il soldato seguì il suo superiore verso la colonia con un lento trotto.

    Finalmente Marsden si rivolse a Davies. Lord Cheetham è stato avvisato dell'arrivo della Hoogley, caporale Davies?

    Sissignore! rispose Davies. Il soldato semplice Wither lo sta andando a prendere ora.

    Molto bene. Con ciò Marsden affondò i talloni nei fianchi del cavallo e, con il suo subordinato in coda, galoppò lungo la strada che divergeva a destra e diresse l'animale lungo la riva del fiume, verso il pontile dove la goletta stava per attraccare.

    #

    In quel momento, nella villa di Lord Bertram Cheetham, o Bertie, come i soldati lo chiamavano alle sue spalle, il soldato semplice Jonathon Withers stava suonando il pretenzioso e fin troppo grande campanello che pendeva dalla porta d’ingresso.

    Ogni cosa riguardante quella casa era pretenziosa: dalle balaustrate  che circondavano il pian terreno, il primo piano e le verande, scolpite in modo riccamente ornato, al pomposo lampadario italiano visibile da una delle finestre dei piani superiori, al giardino in stile inglese che si estendeva per ben cinquanta iarde dietro la casa. Due anziani giardinieri aborigeni si stavano occupando del terreno proprio in quel momento. Sotto il sole cocente, sembravano lavorare a rallentatore.

    Per Withers era la prima volta che visitava la villa. Con gli occhi spalancati, il soldato non poteva credere a quanto fuori luogo sembrasse la struttura, collocata com'era tra una manciata di modeste abitazioni, magazzini e officine che costituivano la novella cittadella di Brisbane Town.

    Withers stava per suonare di nuovo il campanello quando dei passi lo avvisarono di una presenza all'interno della casa. La porta si aprì per rivelare una ragazza aborigena che sembrava non avere più di sedici anni. Era, pensò Withers, una delle tante ragazze Quandamooka che, aveva sentito, visitavano la proprietà del Comandante quando richiesto.

    "Il padrone sarà giù

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