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Baal L'apocalisse di Salomone
Baal L'apocalisse di Salomone
Baal L'apocalisse di Salomone
E-book202 pagine3 ore

Baal L'apocalisse di Salomone

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Info su questo ebook

Le gerarchie dell'inferno cambiano, il sogno del nuovo re sembra prendere forma e la promessa fatta ai nuovi angeli a poco a poco si sta realizzando. Ma qualcosa rompe il precario equilibrio che faticosamente è stato raggiunto, qualcuno ha atteso il momento propizio per dettare la sua legge e riprendersi ciò che tanto brama. Un essere dimenticato, rimasto nell'ombra e diventato forte, a tal punto da non temere il leggendario dio demone.

Altre opere dell'autore:
Hell Kaiser Vol.1 - Lorian L'alleanza dei Caduti
Glenvion La matrice Vol.1
Pactum Sigill

LinguaItaliano
Data di uscita3 mag 2015
ISBN9781310264603
Baal L'apocalisse di Salomone

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    Anteprima del libro

    Baal L'apocalisse di Salomone - Alessandro Falzani

    INCONTRO INATTESO

    Un fendente d'acciaio gli squarciava la schiena trapassandolo senza il minimo ostacolo, fuoriusciva quindi dal petto, preceduto da uno sgorgare incontrollato di sangue nero e frammenti di ossa, poi trascinava con se sottili filamenti di muscoli che aveva tranciato in un solo, poderoso colpo. Il demone cadeva a terra con gli occhi colmi di sorpresa e di un liquido scuro che dalle narici scivolava sulla bocca, creando due sottili rigagnoli che si prolungavano sino al mento. I denti sottili e spaziati si affacciavano dalle labbra lunghe e carnose, le mani impegnate a contenere le viscere truculente che dallo squarcio scivolavano insistenti, mischiandosi tra loro. Socchiuse la bocca, la riaprì, rigurgitando un fiume di melma nera, respirò a fatica e con l'ultima stilla di energia gli disse, «questo luogo…doveva essere libero, di nuovo nostro…come è possibile, non puoi essere vivo, ancora…» L'ascia di Lilith roteò nell'aria e tornò veloce verso l'obiettivo; fendeva l'etere come guidata da uno spirito superiore: la testa di Brer cadeva a terra accompagnata da un leggero sibilo e un dolce intaccare di ossa, le mani si muovevano alla ricerca del capo e si incrociavano tra loro continuamente, sino a che caddero ai lati del busto, precedendo il corpo in un tonfo sordo e solitario. La lama proseguì la corsa, sino a che un grosso masso non si frappose sulla sua strada e lì si incagliò, nell'attesa che una mano forte e meritevole la impugnasse ancora. Alcuni minuti di silenzio, poi dei piedi veloci che si avvicinavano e un respiro affannato e tremolante che nascondeva insicurezza e solitudine. Riflessa su un lato dell'ascia, l'immagine di un giovane ragazzo che correva, la sagoma di un umano. Poi la figura scomparve, occultata dal riflesso della sua stessa mano, l'ascia di Lilith tornava dal suo custode. Il ragazzo osservava lo scempio attorno a se: due demoni sgozzati, uno tagliato a metà e per ultimo Brer, il capo di quella misera legione. Le parole di quel verme gli erano rimaste impresse,i demoni erano soliti urlare, ma di rado parlavano e ancor più raramente si comprendeva quello che dicevano. - Non puoi essere vivo, ancora - questo gli parve di aver sentito. Abbassò lo sguardo e mimò il gesto della croce, ripulì il tagliente dell'ascia su un apposito straccio che portava con se e la ripose nel fodero allacciato sulla coscia destra. Gli occhi tristi e scuri si incastonavano in un volto scarno e roseo, una mascella squadrata e zigomi ossuti tradivano un essere debole, mal nutrito, un umano che faticava a reggersi in piedi. Un sottile alito di vento si era alzato e un velo di polvere rossa lo infastidì, salì al mento un pezzo di stoffa che solitamente scendeva sino al collo. Lo tirò sin sopra il naso e trattenne il respiro, nell'attesa che la polvere si posasse. A volte andava bene, altre doveva cercare un riparo per evitare che il vento, divenendo uragano, lo trascinasse via. Conosceva bene il sapore di quella terra, tante volte si era posata sulle sue labbra sottili:fine, un retrogusto che risaliva sin dentro le narici e lo faceva tossire. Alcune volte gli pareva di percepire un sapore simile alla sostanza che dal suo corpo usciva. Spesso, in quegli scontri violenti veniva ferito, seppur di striscio e subito un liquido rosso sgorgava dalla sua pelle. Aveva notato che da qualsiasi parte del suo corpo venisse tagliato, usciva la stessa sostanza e dello stesso colore, rossa. La prima volta l'aveva assaggiata, sembrava quasi gli fosse piaciuta, anzi doveva averci preso gusto perché ripeteva lo stesso gesto dopo ogni maledetto combattimento. Questa volta era una brezza da poco, abbassò il pezzo di stoffa lasciandolo cadere sul mento e si guardò la spalla destra: tre lunghe scie avevano scavato un solco profondo sulla pelle e i contorni cominciavano ad assumere una sfumatura viola; osservava le carni vive e spesso provava curiosità nell'immaginare cosa vi fosse sotto di esse e perché facessero tanto male. Una leggera smorfia di sofferenza, sopportava bene il dolore ormai, ancor più sapendo che di lì a poco sarebbe guarito. Iniziò a camminare, sempre nella stessa direzione, come la madre gli aveva insegnato, - dovunque tu sia, ricorda:cerca un grande vento nero che volteggia violento, dove vedrai buio e oscurità nel vasto cielo rosso, quella è la tua direzione, è casa tua. -

    Si voltò ripetutamente alla ricerca del solito segnale, ma al di sopra di aspre montagne non riusciva a scorgere altro, se non il cielo cremisi; diverse volte gli era successo ed era sufficiente concentrarsi un po’ di più affinché la via del ritorno fosse visibile. Nulla, ancora nulla. Adesso l'agitazione iniziava a impadronirsi di lui, un formicolio che ben conosceva lo percorreva dalla nuca sin sotto i piedi, ma questa volta era insistente, diverso; quando combatteva sapeva che la vittoria sarebbe stata sua, con l'ascia di Lilith non doveva temere nessuno, per quanto forte potesse essere. Ma ora non combatteva, aveva vinto, come sempre, eppure era irrequieto, spaesato, non trovare la strada di casa lo terrorizzava. Spalancò gli occhi mentre la sottile brezza che poco prima si era posata, tornava a farsi insistente, ora con maggior vigore. Questa sollevava lunghe scie di terra e scavava solchi per decine di centimetri di profondità, ciò gli impediva ancor più di vedere e lo lasciava indifeso verso altri, possibili attacchi. Risalì nuovamente il tessuto sulla bocca e scelse una direzione qualsiasi, seguendo l'istinto che tante volte in battaglia lo aveva aiutato. Si parò gli occhi con il braccio sinistro, mentre il destro iniziava a dolergli in modo insopportabile: aveva bisogno di cure. Mosse i primi passi mentre il cuore pompava impazzito, le strisce di carne aperta si stavano riempiendo di terra e questo acuì ancor più il dolore; la vista veniva meno e per la prima volta in vita sua le gambe non riuscivano a sorreggerlo, lasciandolo sprofondare a terra mentre gocce di sudore si raggrumavano sulla fronte, mischiandosi alla polvere: a poco a poco il suo viso e le mani si tinsero di un rosso scarlatto. - Paura - una delle poche parole che gli avevano insegnato, gli parve fosse la più appropriata per quella situazione, ma a essa ne associò, per inconscio, un'altra ben più letale e di cui tutti quelli che aveva incontrato sulla sua strada avevano timore: morte.

    Si chiese cosa gli mancasse per vincere anche quella sfida, perché sentiva nel silenzio e in quel luogo un nemico impossibile da combattere, troppo superiore alle squallide creature che lo popolavano. Un suono. Un suono animalesco attirò la sua attenzione, un gracchiare talmente forte e penetrante da sovrastare l'urlo di potenza del vento, che, intanto, rinforzava paurosamente. Alzò lo sguardo e tra i fasci di terra che gli roteavano intorno scorse un piccolo uccello nero; si librava quasi fosse capace di volteggiare tra i flussi di aria rotanti, evitando le turbolenze e sfruttando la corrente per tornare indietro, verso di lui; quando il volto dell'uccello fu di fronte al suo, sebbene a distanza notevole, il ragazzo comprese che quella che stava provando era solo un leggero gusto della paura: gli occhi di quel volatile, quell'iride rosso acceso, brillante e minacciosa, un'apertura alare di svariati metri e un corpo che adesso appariva grande e lucente, le due zampe lunghe e gli artigli più affilati e curvi che avesse mai visto; quella cosa, qualunque fosse, gli incuteva terrore. Senza la minima esitazione, la bestia si fiondò su di lui e le fauci affusolate agguantarono le mani del giovane, sollevandolo con una forza che mai aveva conosciuto prima. La ferita bruciava troppo e gli artigli erano così taglienti che era impossibile non restarne ferito, tanto che subito il sangue prese a scivolargli dalle mani, sin lungo le braccia e poi sul volto; sentiva una pelle rugosa che lo stringeva e poi allentava la presa quando il mostro nero era impegnato a battere con vigore le ali, veniva scosso da sussulti ripetuti e gli parve che i tagli si stessero aprendo ancor più. Non resistette e per la prima volta in vita sua, urlò. Un grido disperato, che da tanto quei luoghi avevano dimenticato; improvvisamente, non sentiva più il vento sferzargli il volto, tuttavia non riusciva ad aprire gli occhi, pieni di polvere e terra, comprese che qualcosa intorno a lui era cambiato, perché la bestia aveva perso l'impeto, assumendo un andatura più tranquilla. L'aria diventava quasi piacevole e l'impatto sul suo corpo originava un suono vuoto e cupo che gli era nuovo; aprì gli occhi e le immagini appannate gli lasciarono intravedere una massiccia struttura nera a terra, poi lo sguardo ancor più su e il vento nero che turbinava sopra la sua testa. «C…casa…» ebbe solo la forza di dire.

    ***

    «Avid…avid…David!», una voce conosciuta echeggiava nella sua mente, non riusciva a svegliarsi, le palpebre troppo pesanti e la sensazione di non essere nemmeno lì. La voce divenne più forte e penetrante, sino a che il tono fu distinguibile, il timbro finalmente noto e un barlume di sicurezza tornò vivo in lui. Aprì lentamente gli occhi, due mani delicate lo stavano ripulendo dolcemente, togliendo dalle ciglia e sulle gote tutta la polvere che si era rappresa, con uno straccio inumidito gli ripulì il volto da sangue e sudore e quando poté finalmente vederla tornò in se, «ma…madre», disse David con l'ultima riserva di fiato che aveva in gola. «Non parlare, riposa. Come ti hanno ridotto? Che ti è successo, non sei stato attento forse?» David non rispose, più per ordine che per necessità, era stato avvezzo da sempre a seguire il volere della madre, gli era vietato opporsi: obbedienza, solo questo contava e solo questo valeva. Dalia pose la mano sulla ferita alla spalla, il figlio chiuse gli occhi, conscio di cosa lo aspettasse e attese: la madre estrasse un piccolo coltello con cui si incise il polso, per poi riversare il suo sangue nelle ferite del figlio, queste iniziarono a ribollire, mentre il giovane sbarrava gli occhi dal dolore, sbatteva il braccio libero a terra e si dimenava e contorceva come un serpente che avvinghiava la preda. Attese alcuni secondi e quando il dolore calmò seppe che la ferita era ormai quasi rimarginata, la osservò, tre lunghe cicatrici rosse rimanevano a ricordo di quell'ennesima battaglia. Rimase in silenzio, distolse lo sguardo da quello della madre, pur sapendo che a ben poco sarebbe servito, doveva raccontare tutto nei minimi dettagli, erano questi gli ordini. «Questa volta erano a Nord, però più vicini, una legione di quattro demoni minori, nulla di che, li ho battuti facilmente ma…», «ma…David? Che cosa?» La donna mantenne un tono severo e questo era quello che più di ogni altra cosa lui odiava; possibile che nessuna delle sue azioni la rendesse…felice? Alcune volte sentiva di odiarla, avrebbe lasciato tutto e sarebbe scappato via, ma sapeva che il Pandemonium era l'unico luogo in cui poteva stare al sicuro, il solo posto dove i demoni non osavano avvicinarsi, nonostante le loro incursioni si facevano sempre più numerose. Con il tempo aveva imparato che quel luogo andava chiamato casa. «Niente, mi ha colto la tempesta e…ho perso l'orientamento, per un attimo, no niente.» «Per un attimo, cosa? Ti dirò io cosa, figlio, per un attimo, anche brevissimo, tu hai avuto paura. Non è così? Questo ti ha bloccato, vero? La paura di non farcela, di perderti, di non poter tornare da me. Non va bene David, così non crescerai mai. Ti ho dato quel riferimento, quel vento nero, lo vedi? La nostra forza è lì, per quanto tu non possa comprendere.» Poi si calmò, asciugò una timida lacrima che si affacciava sulla gota pallida e concluse, «purtroppo questo è l'unico modo che ho perché tu possa sopravvivere, dobbiamo difendere questo posto e tu sei il solo che può farlo, lo hai sempre fatto e devi continuare sino a…», «sino a quando madre? Dimmi, sino a quando dovrò uccidere demoni? Vorrei tanto sapere cosa mi nascondi, perché questo posto è così importante per te, io non vedo nulla, oltre a solitudine e desolazione, non so perché odi questi demoni, a me non hanno fatto nulla eppure vuoi che li ammazzi tutti.» David aveva gli occhi colmi di lacrime rosse e sentiva di non poter frenare la sua bocca, da tanto tempo desiderava dire quelle parole e stavolta l'autorità della madre non lo avrebbe intimidito, voleva sapesse quello che pensava. «Basta combattere, basta! A cosa serve tutto questo!? Cosa! Che senso ha! Non vedi che siamo soli, soli?! Se proprio odi quei demoni ammazzali tu o fallo fare a chi mi ha preceduto, perché qualcuno lo ha fatto prima di me, vero?» Gli occhi di Dalia caddero dallo sconforto alla desolazione, «che…cosa…chi ti ha detto questo?!» Il ragazzo aveva attirato l'attenzione della madre, si fece forza e per la prima volta la fronteggiò deciso, spiazzandola le disse, «Brer, il demone che ho ucciso. Prima di morire ha detto che non potevo essere ancora vivo, che era impossibile, ma io gli ero dietro, l'ho attaccato di sorpresa e non poteva sapere chi fossi. Nessuno di quei demoni poteva, perché li ho ammazzati tutti, in un solo colpo. Allora madre, chi è costui che mi ha preceduto, parla!» Dalia distolse lo sguardo, lasciandosi allo sconforto e serrando forte le labbra: David non l'aveva mai vista così.

    ***

    Abbandonò la madre a se stessa, piantandola con quel micidiale dubbio che aveva insinuato in lei e si diresse verso la massiccia porta di casa. Era di un nero spettrale, sembrava che la luce nemmeno potesse sfuggirle, assorbiva qualsiasi cosa la toccasse, ogni forma di energia, persino pensieri, poteva penetrare nella mente di chiunque e indurlo a compiere le sue volontà: qualsiasi cosa fosse in realtà, il Pandemonium viveva. Una volta dinanzi all'ingresso, questo si aprì; le ante si spalancarono velocemente, accompagnate da un cigolio rugginoso e inquietante. Muro di oscurità dinanzi e silenzio perenne. Conosceva bene la strada e voltando alla sua destra avrebbe trovato subito grosse feritoie sulle mura, che avrebbero lasciato penetrare una tombale luce rossastra a fargli da guida nell'attraversare il lungo corridoio, prima di giungere alla camera in cui stava passando tutti gli anni della sua vita. Dall'ingresso su cui sostava, scorgeva la camera in lontananza e poteva vedere distintamente le ante della porta aprirsi, lasciar fuoriuscire un fascio retto di luce arancio, come se tutto dentro fosse avvolto dalla fiamme. Quella grande bocca sembrava dirgli - ti aspetto-, pronta a divorarlo, come faceva in ognuno dei suoi miserabili giorni; ma oggi no. Aveva preso una decisione, dire basta a tutto e capire quale segreto celasse la madre, da sempre, sin dalla nascita. Alla sua sinistra era fatto divieto assoluto persino di voltarsi, sapeva che in quella direzione vi erano gli alloggi di Dalia e una grande, immensa stanza vuota. Non sapeva altro. Deglutì lentamente e senza curarsi della donna ancora fuori, si voltò. Nulla di diverso da quanto si aspettava, una porta, piccola e senza maniglia. Ogni volta si apriva al suono della voce di Dalia e dubitava che funzionasse anche con lui, tuttavia provò. «A…Apriti.» Attese alcuni secondi e un occhio dall'iride giallo scuro prese forma da quella superficie, grande quanto la sua testa; sottili

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