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Il sarto di Parigi
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E-book396 pagine7 ore

Il sarto di Parigi

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Info su questo ebook

Un città unica come Parigi.
L’incontro con un uomo particolare.
Il racconto delicato di un’elegante amicizia.

È il 1944 quando Copper Reilly, fresca di matrimonio, arriva per la prima volta a Parigi, poco dopo la liberazione. La città è in fermento e i festeggiamenti rendono l’aria frizzante e piena di promesse, ma lei è imprigionata in un matrimonio che la rende infelice. Quando suo marito la tradisce per l’ennesima volta, Copper decide che è troppo e chiede la separazione. Da sola, in una grande città come Parigi, trova conforto in una bizzarra amicizia: un uomo tormentato, uno stilista di mezza età che nasconde il suo talento nei retrobottega di una casa di moda in decadenza. La sua riluttanza ad apparire si scontra però con la bellezza audace dei suoi disegni. Il suo nome è Christian Dior. Affascinata dalla sua bravura, Copper lo esorta a mettersi in proprio, aiutandolo a sconfiggere le proprie insicurezze. Con l’aiuto di alcune fotografie e una macchina da scrivere, si avventura nel mondo selvaggio e colorato del giornalismo di moda, decisa a raccontare al mondo il genio di Dior. Grazie a questa nuova, ambiziosa missione, Copper riuscirà a capire chi è e cosa vuole davvero?

Vincitore del premio RNA 
Miglior romanzo dell’anno

Una donna alla ricerca di se stessa 
Il genio di Christian Dior
Un romanzo che non passerà mai di moda

«Marius Gabriel è uno scrittore incredibile che dipinge l’Europa degli anni Quaranta come una tela. Questo romanzo è appassionante e inaspettato, il tipo di libro che tiene svegli fino a notte fonda.»
Historic Novel Society

«Molto più di un semplice romanzo d’amore: storia, relazioni, lotte e rinascite personali e sociali, in un intreccio complesso e coinvolgente.» 

«Una lettura appassionante su Parigi all’epoca dell’occupazione tedesca e su Christian Dior e la nascita del moderno concetto di moda.»
Marius Gabriel
è stato definito da «Cosmopolitan» capace di «tenerti inchiodato alle pagine mentre la tua cena sta bruciando». Ha finanziato i suoi studi presso la Newcastle University pubblicando con uno pseudonimo oltre trentatré romanzi d’amore. È nato in Sudafrica, ma ha vissuto e lavorato in moltissimi Paesi, e adesso vive tra Londra e il Cairo.
LinguaItaliano
Data di uscita6 nov 2018
ISBN9788822727145
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    Anteprima del libro

    Il sarto di Parigi - Marius Gabriel

    Capitolo uno

    Copper era sposata soltanto da diciotto mesi, quindi non si considerava un’esperta in relazioni matrimoniali. Tuttavia, era in grado di dire se una coppia aveva dei problemi. Ed era certa che la sua era nei guai.

    Mentre ascoltava il marito intervistare un partigiano francese, rifletté sul consiglio letto su una rivista femminile, che, in assenza di madre o amiche, era la sua unica fonte di saggezza. Non brontolava, non lo infastidiva e non si lamentava. Di sicuro non gli chiedeva di continuo nuovi abiti ed evitava con successo di avere un’aria sciatta e trasandata. Non gli serviva pasti poco appetitosi in piatti sporchi o tovaglie macchiate, ma faceva sempre del suo meglio, viste le privazioni di una Parigi in guerra. Eppure, malgrado non avesse commesso alcuno di quei peccati, ignorava cosa facesse il marito fino alle due del mattino fuori casa o a chi appartenesse il rossetto stampato sul colletto della sua uniforme, o perché la considerasse parte dell’arredamento.

    «C’è qualcosa da mangiare?», domandò Amory Heathcote, gettandole addosso un foglio pieno di scarabocchi. In qualità di sua segretaria, aveva il compito di battere a macchina i suoi appunti scritti a mano, affinché potessero essere trasmessi negli Stati Uniti con il bollettino delle notizie. In qualità di moglie, doveva provvedere al focolare, circondare Amory di ogni comodità, pensare alle sue necessità e tenerlo il più lontano possibile dalle brutture della vita.

    «Ho rimediato vino, pane e formaggio».

    Suo marito sembrava scontento. «Nient’altro?»

    «Chiedo alla proprietaria». I cittadini della neo liberata Parigi erano particolarmente generosi nei confronti degli americani, ma, da quando i francesi stessi avevano cominciato a morire di fame, approvvigionarsi era diventato difficile.

    Andò dalla proprietaria e ritornò con mezza salsiccia e quattro uova bollite. Amory e François Giroux stavano fumando sulla piccola terrazza che si affacciava su rue de Rivoli, che ancora presentava i segni tangibili della battaglia consumatasi nelle strade durante la recente sommossa parigina. Stavano osservando una pattuglia americana, quattro soldati che amoreggiavano con un gruppo di ragazze francesi, le cui risate si diffondevano nell’aria.

    «Sa come chiamiamo i soldati del vostro esercito?», gli domandò Giroux. «Gli uomini delle caramelle».

    «Non mi sembra un soprannome molto rispettoso», replicò Copper.

    Giroux osservò con sguardo torvo la scena che stava avendo luogo sotto di lui. «Se ne vanno in giro per Parigi a pavoneggiarsi e a distribuire caramelle. Non siamo mica dei bambini».

    «Vogliono solo essere gentili».

    «Sono francese e comunista, madame. Non voglio essere schiacciato dal tacco di nessuno, tedesco o americano che sia».

    «Mi domando se mai ci perdonerete per avervi liberato», commentò Copper. Dopo anni di umiliazione e miseria sotto l’occupazione nazista, l’orgoglio francese era come un porcospino: sensibile sotto uno strato pungente.

    «Le nostre strade erano grigie. Adesso sono tutte color cachi». Nelle ultime ore, Giroux li aveva intrattenuti con racconti, alcuni più lunghi di altri, sull’eroico ruolo che aveva avuto nella liberazione di Parigi. Percependo che l’interesse dei suoi interlocutori stava svanendo, disse: «Forse questo pomeriggio vi andrebbe di vedere qualcosa d’interessante».

    «Interessante in che senso?», s’informò Amory.

    Giroux spense la Camel che stava fumando. «I collaborazionisti pensano di potersi nascondere, ma noi li scoviamo sempre. Troveremo i traditori, a uno a uno, e li consegneremo alla giustizia».

    «Una épuration sauvage

    «È così che la chiamano. Oggi puniremo qualcuno».

    Amory drizzò le orecchie. «Ci sto», affermò. «Vorrei assistere. Aspettiamo Fritchley-Bound. Sono sicuro che voglia far parte della compagnia». Si rivolse a Copper. «Dov’è?»

    «Secondo te?», fece lei.

    Con la liberazione della città dai tedeschi, si erano scatenati dei giganteschi festeggiamenti, e George Fritchley-Bound, conosciuto anche come la Brutta Canaglia, non era in grado di resistere a una festa. Era un giornalista inglese, che si era aggregato a loro qualche settimana prima. Un vecchio studente di Eton, praticamente sempre ubriaco, ma al quale si erano affezionati.

    La Brutta Canaglia non era ancora rientrata quando il cibo venne servito a tavola, perciò incominciarono senza di lui. Il pane era più sgradevole della salsiccia e il vino più di tutti e due messi assieme, ma avevano fame.

    «Chi è il traditore?», chiese Amory a Giroux.

    Quest’ultimo tagliò la salsiccia con il suo coltello a serramanico. «Una persona che ha fatto molto male alla Francia», rispose cupamente. «Vedrà».

    «Lo ucciderete?»

    «Forse».

    Copper fece una smorfia. Avevano assistito a così tanti orrori in seguito all’invasione degli Alleati, un’immensa orda di uomini e macchine che si erano riversati in Europa per raggiungere Berlino.

    All’indomani dell’accaduto, Parigi continuava a tremare.

    Amory non pareva sconvolto dalle terribili mutilazioni, dalle morti recenti. Ma, dopotutto, lui era un corrispondente di guerra, abituato a certe cose.

    E, malgrado lei lo amasse, era l’uomo più freddo che avesse mai conosciuto.

    La Brutta Canaglia irruppe cinque minuti dopo. Tuttavia, la sua comparsa fu più che altro fisica, dato che era completamente ubriaco, tanto che a reggerlo c’erano due soldati.

    «Simpatico per un britannico», commentò uno dei due, ansimando. Fritchley-Bound era grande e grosso e l’appartamento si trovava in cima a una lunga rampa di scale. «Ma non sa quando è ora di smettere. Dove ve lo lasciamo?»

    Fritchley-Bound venne separato dai compagni di bevuta e depositato nel suo letto. Viste le passate esperienze, Copper lo girò su un fianco, poi gli sistemò un catino a portata di mano. Di colpo, aprì un occhio iniettato di sangue per guardarsi intorno. «Mi sono reso ridicolo?»

    «Non più del solito», rispose Amory, «ma ti perdi un’occasione. Giroux ci porta a vedere come la Resistenza fa piazza pulita».

    «Bastardi. Il mio giornaletto ne andrebbe pazzo». Cercò di mettersi a sedere, ma si strinse il petto. Il suo volto, una maschera rubizza, sbiancò. Dovettero afferrarlo per evitargli lo schianto a terra. Alzò lo sguardo per implorare Copper. «Ti prego, pensaci tu».

    «No, George. Non voglio vedere uccidere nessuno».

    «Per favore, fallo per me».

    «No».

    «Salveresti il buon vecchio George. Due pagine. L’editore ne sarà felice e io non perderò il lavoro». Si aggrappò al suo braccio. «La macchina fotografica è nell’armadio. Dovrebbero esserci ancora un paio di scatti nel rullino».

    «Maledizione, George!», esclamò furiosa. «Non puoi continuare a fare così».

    Agitò una mano grossa e molle – non fu in grado di stabilire se voleva segnalarle che aveva ragione o mettere fine alle sue proteste –, quindi si lasciò cadere come un cadavere sul letto.

    Amory inarcò un sopracciglio. «È l’ultimo desiderio di un uomo morente. Non vorrai mica rifiutarti?»

    «Mi tirerei indietro persino per due centesimi». Copper si avviò verso l’armadio battendo i tacchi. «Non ho intenzione di cambiare il rullino. Se è pieno, pazienza». Controllò la Rolleiflex (ironicamente Fritchley-Bound insisteva nel voler utilizzare una macchina fotografica tedesca dell’anteguerra). C’erano ancora dodici scatti disponibili. «Maledizione!».

    «Puoi restare a casa», le concesse Amory.

    Fritchley-Bound sbuffò nel dormiveglia. «No, non può. Ragazza coraggiosa salva Brutta Canaglia. Eternamente grato».

    «Quante volte l’ho già fatto?», domandò, sistemandosi la macchina fotografica a tracolla. «Ve ne approfittate tutti. Sono stufa. Dai, andiamo».

    Non ricordava quante volte aveva già rimpiazzato Fritchley-Bound perché lui era troppo ubriaco per fare il suo lavoro. Aveva scattato fotografie al posto suo e aveva persino scritto degli articoli. Lui si era limitato ad aggiungere qualche correzione con una penna tremolante e a inviare il frutto del lavoro di Copper come se fosse suo. Non aveva guadagnato nulla al di fuori della sua gratitudine e la consapevolezza che, in effetti, gli stava salvando la carriera. Fritchley-Bound era una bomba a orologeria. Un giorno o l’altro, il giornale per cui lavorava avrebbe scoperto di che pasta era fatto e per lui sarebbe stata la fine.

    Osservò Parigi scorrerle davanti agli occhi mentre sobbalzava sul duro sedile della jeep. L’aria era impregnata dall’odore dei cavalli e del loro letame. A corto di benzina, la città era ripiombata nel diciannovesimo secolo, con carretti e carrozze trainate da cavalli che scalpicciavano lungo i boulevard. Le uniche automobili in circolazione erano i pochi taxi e le jeep, come quella in cui si trovava lei, di solito piene di soldati, giornalisti o turisti attirati dalla guerra.

    Gli edifici erano butterati qua e là dalla sommossa, e sorpassarono furgoni e carri armati tedeschi ribaltati all’altezza del giardino delle Tuileries; ma, a parte questo, Parigi aveva un aspetto magnifico. Di sicuro, se paragonata a Londra, che avevano visitato qualche tempo prima, Parigi era più allegra, punteggiata d’oro e bordata di verde, e con la sagoma superba della Tour Eiffel che svettava nel cielo ceruleo sopra gli alberi e i tetti. Il tricolore sventolava dappertutto e le strade erano piene di ragazze in bicicletta.

    «Non si direbbe che c’è stata una guerra», commentò Copper.

    «Infatti», replicò con tono ironico Amory, «arrendersi è più semplice che resistere».

    Giroux lo guardò di traverso. «E lei, monsieur», indagò sdegnato, «si può sapere come mai non ha combattuto?».

    Amory scoppiò a ridere, per niente offeso dalle parole del francese, perché raramente se la prendeva. Invece Copper intervenne subito in sua difesa. «Mio marito è esente dal servizio militare. Ha il cuore debole».

    «Il cuore debole?», ripeté Giroux, squadrando l’esile americano, alto un metro e ottantatré.

    «Ha avuto la febbre reumatica da bambino».

    Giroux sorrise. Copper aveva già visto quel sorriso incredulo.

    A dirla tutta, avere un padre bancario lo aveva tenuto lontano dalla guerra più della febbre reumatica infantile. Amory era il rampollo di una famiglia benestante del New England e uno studente della Cornell. Per lui era normale sentirsi superiore. Copper, invece, aveva un’estrazione sociale diversa e aveva frequentato soltanto la scuola per dattilografe, perciò comprendeva meglio le sfaccettature della realtà.

    Gli aveva permesso di corteggiarla in un lungo pomeriggio estivo trascorso a Long Island; era stato il suo primo amore e, con sua grande sorpresa, l’aveva sposata sei mesi dopo.

    Nessuna delle due famiglie era contenta di quell’unione. Dal lato degli Heathcote, erano rimasti tutti delusi dal fatto che Amory non avesse scelto una delle giovani ereditiere che gli venivano presentate ogni anno al ballo delle debuttanti. Di contro, per il padre di Copper, un operaio irlandese rimasto vedovo, Amory incarnava lo stereotipo dei padroni che schiacciavano sotto i loro stivali i poveri lavoratori. E, come aveva brutalmente espresso uno dei suoi fratelli, era molto probabile che con le donne fosse un vero bastardo.

    Eppure Amory sosteneva di ammirare la lotta contro i demoni del capitalismo. Come tanti altri intellettuali dell’alta società, gli piaceva l’idea di essere considerato di sinistra. Forse si erano sposati perché gli opposti si attraggono. O, molto più probabilmente, perché lei si era dimostrata aperta al sesso laddove le ragazze dell’aristocrazia non lo erano.

    Copper era rimasta incantata dall’aspetto da stella del cinema di Amory. Aveva folti capelli biondi e occhi di un blu elettrico quasi viola; un colore che non aveva mai visto in nessun altro. Inoltre, si muoveva con una tale naturale sofisticatezza e familiarità conviviale in un mondo al quale lei, a sua insaputa, aspirava segretamente.

    Era stato mandato in Europa come corrispondente di guerra. Lei si era rifiutata di lasciarlo partire da solo, così lui l’aveva portata con sé, sfruttando i tanti agganci della sua famiglia, che gli avevano consentito di ottenere i visti per entrambi. Doveva essere la loro più grande avventura. Sosteneva che chiunque avesse il diritto di guadagnare qualcosa dalla guerra. Nel suo caso, il premio Pulitzer. Stava scrivendo un romanzo che prometteva di essere il libro del secolo dopo quelli di Hemingway (che aveva cercato di conoscere da quando erano giunti a Parigi). Secondo Copper, l’intelligenza del marito era fuori discussione, malgrado i tanti difetti.

    Di fatto, l’ingegno era l’unica cosa che lo rendeva ancora sopportabile dopo i diciotto mesi di matrimonio in cui ogni illusione era crollata; in particolar modo, la sua convinzione che le sarebbe stato fedele. In realtà, era un bastardo con le donne. I suoi fratelli avevano ragione.

    Una sera in cui aveva bevuto molto, le aveva rivelato che il padre era stato infedele a sua madre per l’intera durata del loro matrimonio e che lei aveva imparato ad accettarlo. Il sottinteso era che anche lei dovesse fare la stessa cosa.

    Copper appoggiò la testa in modo che il vento le agitasse i capelli. Lunghi, voluminosi, di un rosso dorato, erano il motivo del suo soprannome che significava rame e, a ventisei anni, si era ormai abituata a sentirsi chiamare Copper invece di Oona. I suoi capelli si abbinavano perfettamente alla carnagione pallida e agli occhi grigio-verdi: era evidente che aveva del sangue celtico nelle vene. Lasciò che la brezza le scompigliasse la capigliatura.

    Le donne che passeggiavano per le strade erano talmente ben vestite rispetto agli americani. Ancheggiavano sui tacchi alti, avevano spalle squadrate, mascoline, e acconciature stravaganti; pedalavano sulle biciclette con immensa disinvoltura. Le loro gonne corte mettevano in mostra i polpacci. Come facevano? Con il razionamento, in Europa e in Gran Bretagna, negli ultimi quattro anni in giro si vedevano solo abiti banali e insulsi. Allora come facevano quelle donne francesi, malgrado le strette privazioni, a essere così eleganti? Dovevano nascondere un segreto gallico e, di colpo, decise di scoprire di cosa si trattasse. Al diavolo non chiedete mai loro dei nuovi vestiti!

    Copper si sporse in avanti, gridando contro il vento. «Voglio un vestito parigino».

    Amory girò leggermente la testa, mostrandole il suo profilo greco. «Cosa?»

    «Un abito parigino. Voglio un abito parigino».

    Lui la guardò con aria sprezzante. «Non pensavo ti piacessero le coperte equine».

    «Be’, voglio qualcosa di nuovo», insistette Copper. «Sono stufa del cachi». In effetti, era stanca delle salopette verde oliva e delle brutte uniformi che costituivano il suo intero guardaroba. Erano un affronto alla bellissima città in cui viveva e la rendevano lo zimbello delle altezzose parisiennes.

    «Che ne pensa, Giroux?», chiese Amory.

    Giroux rivolse a Copper uno sguardo particolarmente acido. «Donne. Sono tutte uguali. Conosco qualcuno. Ma prima pensiamo al dovere, madame, e poi al piacere».

    «Si fermi qui», gli ordinò Giroux. Amory parcheggiò la jeep nel punto indicato dal francese, vicino a un gruppetto di uomini che stavano bighellonando per strada all’angolo di Montmartre. Indossavano vestiti sciatti, troppo leggeri per le temperature del periodo.

    «Sono della Resistenza?», domandò Copper ad Amory.

    «Ne hanno tutta l’aria».

    Copper guardò dentro il mirino della macchina fotografica. Gli uomini furono felici di mettersi in posa: gonfiarono i petti magri e agitarono i cappelli, fischiando.

    Qualcuno gridò da una strada. All’udire quella voce, gli uomini sparirono dietro l’angolo, con le scarpe di tela che ciabattavano sui ciottoli. Giroux fece un cenno con la testa e Copper e Amory lo seguirono. «Ora vedrete cosa facciamo ai collaborazionisti», dichiarò.

    Rincorsero il piccolo gruppetto, raggiungendolo in una strada parallela con una schiera di case ordinarie. Il gruppetto di uomini si era radunato intorno a una giovane madre emersa da uno degli edifici con il passeggino a seguito. Lei voleva disperatamente rientrare in casa, ma gli uomini glielo stavano impedendo, trascinandola con la carrozzina giù dalle scale.

    «È una donna!», esclamò Copper. La baruffa s’intensificò. Provava orrore perché c’era un bambino di mezzo, che piangeva talmente forte che si sentiva nonostante le urla e gli schiamazzi. Amory le afferrò il braccio, impedendole di procedere oltre.

    «Non interferire».

    La donna indossava un cappotto e un berretto. Le furono strappati via e poi gettati nel canale di scolo. I suoi ricci biondi le ricaddero sul volto sfigurato dal terrore. Copper poté constatare che non aveva più di diciannove o vent’anni. Qualcuno prese il bambino dal passeggino. La madre implorò gli uomini allungando le braccia verso il figlio, ma qualcuno la colpì alla bocca, facendola accasciare al suolo. La rimisero in piedi e iniziarono a spogliarla.

    Copper aveva il cuore in gola. «Che cos’ha fatto?», chiese.

    «Era l’amante di un uomo della Gestapo», rispose Giroux. Non aveva preso parte all’aggressione, ma osservava la scena con attenzione, con una sigaretta in bocca e gli occhi che sbirciavano attraverso le volute di fumo. «Il figlio è suo».

    «Che cosa avete intenzione di farle?»

    «Guardate quant’è grassa, la scrofa», commentò Giroux con tono aspro. «Pasteggiava a burro, mentre noi morivamo di fame». Ormai la donna era quasi del tutto nuda e si abbracciava il petto, cercando di nascondere il volto. Il corpo era pallido e morbido, già coi primi segni rossi.

    La strada, che all’inizio dell’aggressione era quasi del tutto deserta, si era all’improvviso affollata. Le persone erano uscite dalle loro case per unirsi alla folla o gridavano dalle finestre. L’ondata di odio era come una sferzata di vento caldo. Un uomo stava tenendo il bambino urlante in aria, come se volesse scagliarlo sui ciottoli. La madre cercava disperatamente di raggiungere il figlio, ma veniva spinta da tutti i lati, gli assalitori la strattonavano o le tiravano i capelli. Dal naso e dalla bocca iniziarono a sgorgarle dei rivoli di sangue.

    Le grida si trasformarono in un boato. Qualcuno aveva tirato fuori una vecchia sedia e un cappio.

    «Oh no!», ansimò Copper. Divincolò il braccio dalla morsa di Amory e si mise a correre.

    «Copper, torna qui!», le urlò Amory.

    In qualche modo, riuscì a raggiungere la donna urlante, facendosi strada tra la folla come un lottatore. Le mise le braccia intorno, cercando di farle da scudo, ma una decina di mani glielo impedì, trascinandola via dalla vittima e gettandola a terra.

    «Sei impazzita?», chiese Amory, strattonandola e rimettendola in piedi. «Avrebbero potuto ucciderti!».

    «La linceranno. Fa’ qualcosa!».

    «Non possiamo fare un bel niente».

    Dolorante e senza fiato, Copper si rivolse a Giroux. «Li fermi!».

    Giroux inalò il fumo dalla sua sigaretta. «Lei è coraggiosa, ma stupida, madame».

    La folla trascinò la donna urlante fino a un lampione. Lei allungò le braccia verso il suo bambino in un ultimo gesto disperato. Copper non riuscì a chiudere gli occhi.

    Spinsero la vittima sulla sedia, sulla quale si rannicchiò con le lacrime che le rigavano le guance e il cappio intorno al collo. Un piccolo uomo venne fatto passare tra la folla. Indossava un grembiule bianco e aveva in mano un paio di forbici da cucina. Il suo viso raggrinzito era privo d’espressione.

    «Quello è le Blanc, il pasticcere», spiegò Giroux. «La Gestapo gli ha portato via due figli».

    Il vecchio afferrò una manciata di ciocche bionde e cominciò a tagliarle metodicamente con le forbici. La folla gridava: «Collaboratrice! Putain!». All’inizio, la donna reagì ai colpi inferti, poi tacque come se avesse accettato il suo destino. Iniziò a dondolare la testa avanti e indietro sotto i movimenti rapidi del vecchio.

    Procedette spedito. Quando l’ultimo serpente dorato scivolò a terra, dalla folla si levò un grido trionfante. Non contento, il vecchio le rasò anche gli ultimi ciuffi, finché la testa da bambola non fu quasi completamente calva. Poi le sputò in faccia e rientrò, facendosi largo tra la folla, in negozio. Al suo passaggio, alcuni allungarono le mani per dargli delle pacche sulla schiena. Copper pregò che la finissero lì, che non le facessero niente di peggio. «Datele il suo bambino!», gridò al gruppetto di uomini.

    Tra l’ilarità generale, il neonato venne passato alla vittima, che se lo strinse vicino alla gola. Sembrava illeso, ma urlava in preda al terrore, il volto contratto e scarlatto. La madre se lo portò al petto e lui si mise a succhiare convulsamente, un piccolo corpicino scosso dai singhiozzi. Giroux spinse Copper verso la donna. «Forza, Giovanna d’Arco, scatti la sua fotografia».

    Copper eseguì. Alzò la macchina fotografica e mise a fuoco la donna, che aveva lo sguardo pietrificato dallo shock. Tutta la sua bellezza era svanita.

    «Mi spiace», disse Copper. La donna la squadrò con occhi iniettati di sangue, l’espressione indecifrabile. Copper le scattò due fotografie.

    Ora che lo spettacolo era finito, la folla iniziò a disperdersi. Alcuni si soffermarono a guardare la donna mezza nuda con l’infante attaccato al seno, come se fosse una Madonna caduta in disgrazia.

    La porta della sua casa rimase chiusa, e Copper notò che le tende alle finestre erano state tirate. La donna sarebbe rimasta seduta lì, oggetto di derisione, finché la sua famiglia non avrebbe trovato il coraggio per farla rientrare. I vestiti ridotti a brandelli erano sparpagliati per tutta la strada e l’elegante carrozzina giaceva a terra, schiacciata.

    «Fine dello spettacolo», annunciò laconicamente Giroux.

    Copper prese la blusa stracciata della donna e gliela drappeggiò intorno al corpo come meglio poté, in modo da coprire le sue nudità. Amory la trascinò via con furia. «Sei stata una pazza», la rimproverò. «Cosa diavolo pensavi di fare?»

    «E tu, come hai potuto stare fermo a guardare?»

    «Non era affare mio. Io sono un giornalista, e tu dovevi limitarti a scattare due fotografie per conto di Fritchley-Bound, non gettarti nel bel mezzo di una folla inferocita».

    «Ho gli scatti», disse lei con tono astioso, «e se è ancora così ubriaco da non riuscire a scrivere l’articolo, suppongo che toccherà a me farlo».

    «Sei dannatamente impulsiva. Agisci sempre senza pensare. Dovevi limitarti a osservare. Quante volte ti ho ripetuto che non devi farti coinvolgere?»

    «È stata una scena raccapricciante».

    «È fortunata che non abbiano scuoiato il piccolo bastardo», intervenne con tono calmo Giroux. «Sa che cosa ha fatto la Gestapo ai prigionieri?»

    «Si è semplicemente innamorata di un uomo e ha avuto un bambino».

    Sogghignò. «Logica femminile, eh?»

    «Mi hanno insegnato a odiare il fascismo», replicò lei. «Mio padre e i miei fratelli sono stati picchiati e gettati in una cella da gente come quella. Lei li chiama partigiani, ma non sono migliori degli uomini di Hitler».

    Giroux la fissò con aria meditabonda, quindi gettò via il mozzicone di sigaretta. «D’accordo. Andiamo a prendere il suo abito parigino».

    «Non m’interessa più», disse Copper, mentre Giroux li conduceva di nuovo alla jeep.

    «Perché no? Perché hanno rasato la testa a una puttana? Meritava di peggio».

    «Non credo che c’entri qualcosa con la Resistenza», mormorò Copper ad Amory. «Lo odio».

    «È perfettamente plausibile amare Parigi e, al contempo, odiare i francesi», ribatté lui con noncuranza.

    Si avviarono verso il centro della città. Copper utilizzò gli scatti rimasti per catturare i dettagli che attiravano la sua attenzione: mazzi di fiori lasciati in strada per i morti, bevitori di caffè che si godevano il sole nei dehors di ristoranti con le vetrate crivellate dalle pallottole, un gruppo di uomini su una scala che stava tirando giù l’insegna in tedesco di un cinema per i soldati. Piano piano, riacquistò la calma.

    Dopo venti minuti, raggiunsero un negozio abbastanza sobrio in una strada esclusiva vicino agli Champs-Elysées. Copper lesse il nome Lelong e il suo umore si risollevò. Lucien Lelong era esattamente quello di cui aveva bisogno: ciprie, profumi e abiti, cose che sapevano e odoravano di dolce.

    «Conosce Lelong?», le domandò Giroux, vedendo la sua espressione.

    «Oh, sì, ho sentito parlare di lui», rispose Copper. Era quasi disposta a perdonarlo per il ripugnante episodio con la collaboratrice. Possedere un qualsiasi capo con l’etichetta di Lelong, simbolo della più alta moda francese, era un sogno. Ma le sue speranze crollarono di colpo. «Non posso permettermi i suoi abiti».

    «Non si preoccupi. Sono un esperto di Ju-Jitsu».

    «Ju-Jitsu?»

    Si portò il dito al naso. «So fare pressione nei punti giusti».

    Il negozio era proprio come Copper se lo era immaginata: le pareti color perla con le tende di seta grigia e i candelabri scintillanti.

    «È così bello», sospirò. Era come se la guerra, con i suoi pratici ma orribili vestiti, fosse già finita. Qui c’erano abiti raffinati e completi sofisticati in bella mostra con cappellini e accessori coordinati. L’aria era profumata e una musica delicata si diffondeva soavemente da un altoparlante nascosto. Un paio di vendeuses presidiavano il bancone con grande compostezza. Non c’era nessuno. Copper fece scivolare le dita su una giacca dalla fattura squisita. La vendeuse più vicina la guardò con un sorriso falso.

    «Posso aiutarla, mademoiselle?»

    «Siamo venuti a trovare monsieur Christian», annunciò bruscamente Giroux e li condusse nel retro del negozio e su per una scala.

    Salirono al secondo piano e raggiunsero l’atelier, una stanza lunga, ben illuminata da una lunga fila di finestre. Era silenziosa e deserta. Una dozzina di vestiti imbastiti giacevano appesi su manichini di legno, tenuti assieme da spilli, ma mancavano le sarte e i loro attrezzi del mestiere non erano sparpagliati sul tavolo da lavoro, come se fossero fuggite a metà dell’opera.

    Giroux aprì una porta ed entrarono in una sala più piccola. Alle finestre c’erano tende grigie in crêpe de chine, associate a pannelli bianco perla e ad applique di bronzo. C’erano svariati specchi che consentivano alle clienti di ammirarsi, ma anche lì non c’era nessuno, a parte un uomo che stava guardando fuori da una finestra. Era parzialmente coperto dalle tende e indossava un completo gessato. Si voltò verso di loro con il volto pallido e un’aria apprensiva.

    «Questo è monsieur Christian», annunciò Giroux. «Ti ho portato una cliente, mon vieux».

    Monsieur Christian, che era un uomo di mezza età calvo, si fece avanti tra i drappi come una timida creatura che ha timore di lasciare il proprio rifugio. «Enchanté». Prese la mano di Copper nella sua, soffice e calda, e si chinò educatamente.

    «Piacere», fece lei con tono imbarazzato. «Le chiedo scusa se abbiamo invaso il suo atelier».

    Agitò il braccio per farle capire che non aveva importanza. «È la benvenuta, madame…».

    «Heathcote».

    Fece fatica a pronunciare le sillabe anglosassoni. «Madame Eatcot». La squadrò dall’alto in basso con la testa leggermente inclinata. «Che cosa aveva in mente?».

    Venne interrotta da Giroux prima che potesse rispondere. «Un outfit completo. Con cappello e accessori».

    «Oh, non credo di potermelo permettere», disse Copper con una risata nervosa. «Volevo soltanto un abito. Forse…».

    «Lucien Lelong sarà felice di regalarle l’intero outfit», replicò Giroux. «Dico bene?»

    Monsieur Christian tentennò. «Un regalo?»

    Copper era mortificata. «Non posso accettare».

    Giroux la ignorò. «Dove sono i vostri clienti?», domandò bruscamente al couturier, mostrando i denti aguzzi. «Il negozio è deserto. Oh, forse è perché i vostri clienti erano tutti nazisti o collaborazionisti e, attualmente, gli conviene rimanere chiusi in casa?».

    Le guance di monsieur Christian s’imporporarono, e si succhiò il labbro inferiore come un bambino imbarazzato. Copper si rivolse a Giroux. «Non era quello che volevo, monsieur Giroux. Non mi aspettavo di non dover pagare. Mi dica il prezzo».

    «Non le costerà nulla», insistette Giroux. «La casa Lelong ha collaborato con i nazisti per quattro anni. Ora deve espiare le sue colpe».

    «La casa Lelong ha tenuto a bada i tedeschi per quattro anni», replicò monsieur Christian a bassa voce, con il volto più rosso che mai. «È grazie a Lelong se abbiamo ancora dei sarti a Parigi».

    «A chi importa dei sarti?», domandò Giroux. «Lei, Chanel e gli altri parassiti borghesi compiacete la ricchezza e la decadenza, qualsiasi lingua parli. Siete tutti traditori».

    «Mi permetto di discordare, monsieur», disse lo stilista con un tono di voce ancora più basso. Era un uomo che chiaramente non amava i contrasti, ma aveva la sua dignità. «Abbiamo opinioni contrastanti sull’argomento, ma non ha importanza, perciò servirò madame con immenso piacere».

    «Non posso accettare», ripeté Copper, guardando Giroux.

    «Le assicuro, mademoiselle, che sarà un bel cambiamento rispetto a restare con le mani in mano tutto il giorno per la mancanza di clienti», dichiarò monsieur Christian con una certa ironia. «Se i gentiluomini vogliono ritirarsi, prenderò le misure della dama».

    «Perché mai dovrei lasciare la stanza?», grugnì Giroux.

    Monsieur Christian alzò gli occhi al cielo. «È alquanto impossibile prendere le misure di una signora in presenza di gentiluomini».

    «Cosa? Nemmeno di suo marito?», domandò Amory.

    «Soprattutto di suo marito».

    «Per l’amor del cielo! È mia moglie!».

    A quelle parole, monsieur Christian indicò la porta con gli occhi chiusi. Era ovvio che non avrebbe mosso un dito, o aperto gli occhi, finché gli uomini non fossero usciti. C’era qualcosa di perentorio nella sua immobilità e, con grande divertimento di Copper, Amory e Giroux girarono i tacchi e sbatterono la porta alle loro spalle. Monsieur Christian aprì gli occhi con un sospiro. «Ora», disse, «se madame posa la macchina fotografica e si toglie la salopette…».

    Decisa ad affrontare il discorso del pagamento più tardi, Copper si sfilò la Rolleiflex, che le pendeva pesantemente dal collo, e si levò la salopette. Monsieur Christian ripiegò quegli abiti squallidi con estrema cura, come se appartenessero a una regina, poi ammirò lo spettacolo di Copper in intimo, pizzicandosi il mento con indice e pollice.

    «Che

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