Una principessa per il greco: Harmony Collezione
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Anne McAllister
Autrice di grande versatilità, ha vinto il premio RITA per la letteratura romantica ed è acclamata dai fan di tutto il mondo.
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Anteprima del libro
Una principessa per il greco - Anne McAllister
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Virgin’s Proposition
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2010 Barbara Schenck
Traduzione di Carla Ferrario
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5898-218-1
1
Un giorno o l’altro incontrerò il mio Principe Azzurro. Anche se temo che non accadrà presto, pensò Anny, controllando con discrezione l’orologio.
Si agitò sulla poltrona, dove aspettava già da venti minuti. Si raddrizzò e allungò il collo per ispezionare l’atrio affollato dell’albergo, alla ricerca di Gerard.
Come sempre per il Festival del Cinema, la prima settimana di maggio Cannes si riempiva di produttori cinematografici, aspiranti attori e patiti cinefili.
A tre giorni dall’inizio del festival, l’area accanto al bar dell’albergo era invasa da una piccola folla. I toni normalmente bassi e pacati degli ospiti avevano lasciato il campo a rauche risate maschili e ad acute risatine femminili.
Intorno ad Anny si concludevano affari mentre giornalisti e fotografi assaltavano gli attori e le attrici più richiesti. La presenza di un principe si sarebbe notata a malapena. Ma, a meno che si fosse travestito, ipotesi improbabile, il sofisticato principe Gerard di Val de Comesque non era ancora arrivato.
Anny provò la tentazione di battere i piedi con impazienza, invece sorrise, fingendo serenità.
«In pubblico devi sempre mostrarti serena, rispettosa e felice.» Sua Altezza Reale, re Leopold Olivier Narcisse Bertrand di Mont Chamion, per lei solo papà, glielo aveva instillato nella mente fin dalla culla. «Ricordalo sempre, mia cara. Si tratta di un tuo preciso dovere.»
Come ben sapeva dopo ventisei anni di esperienza personale, fare la principessa non era solo rose e fiori, però per un semplice diritto di nascita aveva tanti e tali privilegi da non potersi mostrare meno che grata.
Così sua Altezza Reale, la principessa Adriana Anastasia Maria Christina Sophia di Mont Chamion, conosciuta come Anny, era serena, rispettosa, volontariamente felice. E sempre grata.
Be’, quasi sempre.
In quel preciso istante si sentiva impaziente, annoiata e, a dirla tutta, anche inquieta.
Classica tremarella da matrimonio, anche se la cerimonia non si terrà prima di un anno... e Gerard è un uomo fantastico.
Si alzò in piedi e si guardò di nuovo attorno.
Quando suo padre l’aveva chiamata al mattino, per comunicarle che Gerard voleva incontrarla alle 17 al Carlton Ritz, aveva protestato. «Ma è giovedì, a quell’ora sarò ancora alla clinica!»
La clinica Alfonse de Jacques era una fondazione privata dedicata a bambini e adolescenti affetti da paralisi o lesioni spinali, una sistemazione a metà tra casa e ospedale. Anny faceva volontariato martedì e giovedì pomeriggio fin da quando cinque mesi prima, subito dopo Natale, si era stabilita a Cannes per lavorare alla sua tesi di dottorato.
Aveva iniziato per rendersi utile e fare qualcosa, oltre a scrivere tutto il giorno di dipinti preistorici. Amava i bambini e trascorrere qualche ora con i meno fortunati le pareva giusto, il compito di ogni principessa. Quello che però era cominciato come una distrazione e una buona azione si era ben presto trasformato nell’attività che più la coinvolgeva.
Per i bambini della clinica non era la principessa di Mont Chamion. Per loro era soltanto Anny, un’amica.
Giocava a nascondino con Paul, e ai videogiochi con Madeleine e Charles. Guardava le partite di calcio con Philippe e Gabriel e cuciva vestitini per le bambole insieme a Marie Claire. Parlava di cinema e di attori con la romantica Elise e discuteva praticamente di tutto con Franck-lo scorbutico, il quindicenne cinico che ogni volta la sfidava.
«Resto sempre alla clinica fino alle 18» aveva ripreso. «Gerard può passare a prendermi lì.»
«Lo sai che non mette piede negli ospedali.»
«Ma non è un ospedale» aveva ribattuto lei.
«Non cambia granché» aveva insistito suo padre. «Lo sai, da quando Ofelia...»
Non terminò, non ce n’era bisogno.
Ofelia era la moglie di Gerard, o meglio lo era stata fino alla sua morte, quattro anni prima. La bellissima, affascinante, elegante Ofelia era la donna che Anny avrebbe dovuto rimpiazzare.
«Dobbiamo cercare di capirlo» aveva continuato suo padre con dolcezza. «Per lui è molto difficile, Adriana.»
«Lo so.»
Sarebbe stato molto difficile anche occupare il posto di Ofelia nel cuore di Gerard, ma doveva provarci. Era uno dei motivi che le davano ansia.
«Ti aspetterà nell’atrio, cenerete insieme e avrete modo di parlare» aveva spiegato suo padre. «Poi dovrà ripartire subito per Parigi, dove domani mattina prenderà un volo per Montreal. Questioni d’affari.» Il principe Gerard era a capo di più di una multinazionale. «Non farlo aspettare, mia cara.»
«No.»
Era arrivata in orario, ma lui non si era ancora presentato.
Anny batté il piede con impazienza una volta, al massimo due, lanciando un’occhiata di sottecchi all’orologio.
Una principessa non dovrebbe mostrarsi impaziente, ma sono già le sei meno un quarto. Sarei potuta rimanere a discutere con Franck delle serie televisive.
Vedendola andarsene prima del solito, il ragazzo l’aveva accusata di scappare via.
«Non sto scappando via» aveva negato lei. «Devo incontrare il mio fidanzato.»
«Fidanzato?» Franck aveva fatto il broncio sotto il ciuffo scuro di capelli in disordine. «Devi sposarti? E quando?»
«Tra un anno, forse due. Non lo so.» Prima o poi. Gerard aveva accettato di rimandare fino alla conclusione della sua tesi di laurea. Non mancava molto, forse un anno. Non abbastanza.
Respinse quel pensiero. Dopotutto, anche se il matrimonio è stato combinato da mio padre, Gerard è un tipo a posto, gentile, premuroso. Un vero principe.
Solo che... Anny respinse il senso di disagio che la soffocava. Era un sollievo sapere che lui la capiva ed era disposto ad aspettare.
Franck invece la disapprovava. «Un anno o due? Che cosa accidenti devi aspettare?»
«Che cosa vuoi dire?»
Il ragazzo aveva agitato una mano, in un gesto che comprendeva ciò che li circondava e loro stessi. Aveva fissato prima lei e poi le proprie gambe paralizzate. «Non si sa quello che può capitare.»
A lui era successo mentre giocava a calcio. Era saltato per colpire di testa una palla, proprio mentre un altro ragazzo faceva lo stesso. Il giorno dopo, il compagno aveva solo una bella botta, mentre Franck era rimasto paralizzato dalla vita in giù. Ogni tanto gli capitava di sentire un leggero formicolio negli arti, ma ormai da quasi tre anni non camminava.
«Non dovresti aspettare» aveva dichiarato deciso, senza mai staccare gli occhi dai suoi.
Era il genere di affermazioni tipiche da parte sua, una sorta di proclama studiato per provocarla.
Discutere è il passatempo di Franck, le aveva detto una delle infermiere, scherzando solo in parte.
«Dici che dovrei organizzare una fuga romantica?» lo aveva stuzzicato Anny sorridendo.
Gli occhi di Franck, però, non brillavano della solita luce di sfida. Aveva scosso la testa. «Semplicemente non capisco perché aspettare.»
«Andiamo, un anno non è poi tanto» aveva obiettato lei. «E neppure due. Devo laurearmi e una volta fissata la data saremo assorbiti dai preparativi.»
«Cose che preferiresti non fare?»
«Non è quello il punto.»
«Invece sì, perché non dovresti perdere tempo in qualcosa che non ti piace.»
«Non è sempre possibile fare solo ciò che si vuole» gli aveva fatto notare con dolcezza.
Lui aveva sbuffato. «E lo dici a me?» aveva replicato in tono amareggiato. «Non starei qui immobilizzato se non ci fossi costretto!»
Anny si era immediatamente sentita in colpa per avergli fatto quella predica. «Lo so.»
Franck si era stretto nelle spalle. «Abbiamo una vita sola.» L’espressione desolata dei suoi occhi le aveva stretto il cuore. Avrebbe voluto provocarlo, reclamare che aveva torto, suscitare una reazione...
Ma aveva ragione, perciò aveva fatto l’unica cosa che sapeva fare: gli aveva preso la mano e gliela aveva stretta. Le sarebbe piaciuto fargli conoscere Gerard, forse la presenza di un principe gli avrebbe fatto dimenticare la sua infelicità almeno per un po’. Ma Gerard non metterà mai piede in clinica.
«Mi dispiace, devo andare» aveva annunciato.
Franck aveva accolto le sue parole con una smorfia. «Vai» l’aveva bruscamente liquidata. Solo il rapido battito di ciglia aveva tradito il suo vero stato d’animo.
Mancavano solo dieci minuti alle sei, e di Gerard non c’era traccia. Sarei dovuta restare.
In quell’istante nel salone calò un improvviso silenzio, come se tutti trattenessero il respiro.
Anny alzò lo sguardo. Forse Gerard è finalmente arrivato? Tutti avevano lo sguardo fisso nella stessa direzione e lei seguì il loro esempio.
Notando l’uomo sul lato opposto del salone, il cuore le diede un balzo nel petto.
Non era Gerard, non gli somigliava neppure.
Gerard era il risultato di ventun secoli di raffinatezza e quasi altrettanti di educazione reale.
Quell’uomo invece aveva lineamenti marcati, capelli e barba lunghi, indossava un paio di jeans sbiaditi e una polo. Sarebbe potuto essere un muratore o un marinaio, invece era Qualcuno, con la lettera maiuscola.
Si chiamava Demetrios Savas e Anny lo conosceva, come tutti i presenti. Per dieci anni era stato il ragazzo prodigio di Hollywood.
Figlio di greci immigrati in America, aveva cominciato la sua carriera, poco più che ventenne, grazie al viso e a un corpo da urlo, lavorando come modello per reclamizzare intimo maschile!
Dopo quell’inizio poco rilevante aveva sfruttato le sue capacità per costruirsi una rispettabile carriera, prima lavorando come attore in una fortunata serie televisiva e in una mezza dozzina di film, per poi dedicarsi alla regia con risultati di tutto rispetto.
Per non parlare del suo breve e tragico matrimonio da favola con la bellissima attrice Lissa Conroy.
Demetrios e Lissa erano stati la coppia d’oro dell’industria cinematografica di Hollywood e del mondo, almeno fino a due anni prima, quando Lissa, contratta un’infezione girando un film all’estero, era morta in pochi giorni. Demetrios, impegnato in un film all’altro capo della terra, era riuscito a raggiungerla poco prima che spirasse.
Anny ricordava ancora le foto che lo ritraevano durante il viaggio intrapreso per riportare la salma della moglie nel cimitero del Nord Dakota, dove era stata sepolta.
Ricordava la desolazione di quel posto e le parole di Demetrios: «Lissa veniva da qui, ed è qui che sarebbe voluta tornare. L’ho solo riportata a casa».
Ricordava i suoi lineamenti contratti dal dolore.
Da allora, per due anni Demetrios Savas non aveva più fatto apparizioni pubbliche. Si era rifugiato da qualche parte e dopo un po’ di tempo i giornali, in assenza di novità, avevano smesso di interessarsi a lui.
L’estate precedente, la notizia che Demetrios aveva scritto una sceneggiatura, selezionato il cast, trovato i fondi necessari e diretto un film indipendente in Brasile aveva colto tutti di sorpresa. Il suo film arrivava in quei giorni a Cannes, accompagnato dalle voci che avrebbe concorso agli Oscar.
Ed eccolo proprio qui, davanti a me. E pensare che tenevo in camera un suo poster!
Ma persino quel notevole poster sbiadiva di fronte all’uomo in carne e ossa, che con la sua presenza carismatica attirava lo sguardo di tutti.
Emanava un senso di forza e potere. Non quello elegante di Gerard e di suo padre, ma un qualcosa di più elementare e selvaggio, come un campo di forza che si muoveva con lui, attorno a lui.
Si era fermato per un istante per guardarsi alle spalle e poi aveva ripreso ad avanzare con passo sciolto e autorevole. E benché, stando a quanto diceva suo padre, le principesse non dovrebbero fissare le persone, Anny non riusciva a distogliere lo sguardo.
Anche la maggioranza dei presenti seguiva i suoi movimenti. Qualcuno si avvicinò per dire qualcosa, ma Demetrios si limitò a sorridere o ad annuire senza fermarsi, continuando a perlustrare il locale con lo sguardo, alla ricerca di qualcuno.
Poi il suo sguardo si posò su di lei e Anny rimase intrappolata dalla magia verde dei suoi occhi.
Dopo istanti che le sembrarono eterni, riuscì a ritrovare il buon senso e la disciplina imparati in anni di insegnamenti regali che le permisero di abbassare lo sguardo. Si obbligò a controllare l’orologio, sfogando la propria impazienza. Sempre meglio che restare a