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Segreti a corte: Harmony Collezione
Segreti a corte: Harmony Collezione
Segreti a corte: Harmony Collezione
E-book163 pagine2 ore

Segreti a corte: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Durante una notte di passione tra le braccia di un affascinante sconosciuto, Pia si era sentita bellissima e... libera. Libera di essere se stessa e non solo la solitaria e trascurata erede dei milioni della sua famiglia. Ma quando scopre di portare in grembo i figli del Principe di Atilia, le cose si complicano e il suo sogno di libertà sembra svanire per sempre.

Ares è deciso a rivendicare ciò che gli appartiene, ma non anche a mettere un anello al dito di Pia. Lei, però, non ha alcuna intenzione di rinunciare ai suoi figli... e all'uomo di cui si è perdutamente innamorata.
LinguaItaliano
Data di uscita19 giu 2020
ISBN9788830516083
Segreti a corte: Harmony Collezione

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    Anteprima del libro

    Segreti a corte - Caitlin Crews

    successivo.

    1

    «La sola cosa che conta è la stirpe» gli ripeteva il padre cupo e minaccioso quando Ares aveva poco più di cinque anni. A quell'età, il Principe ereditario Ares non aveva idea di cosa intendesse dire. Non sapeva a che stirpe si riferisse, né in che modo lo riguardasse. A cinque anni, si preoccupava soprattutto di quante ore al giorno poteva passare gironzolando per il parco del palazzo, lontano dagli occhi della bambinaia, che cercava sempre di farlo comportare da gentiluomo.

    Ma aveva già imparato, a sue spese, a non fare domande al padre.

    Il re aveva sempre ragione. Se aveva torto, erano gli altri a sbagliarsi.

    A dieci anni, il Principe Ares sapeva esattamente a che stirpe si riferisse il padre, ed era già stanco morto di sentir parlare del proprio sangue.

    Era solo sangue. A nessuno importava se si sbucciava un ginocchio, ma era chiaramente importante che ascoltasse predicozzi sullo scopo di quel sangue. La sua dignità. La sua importanza. Quando era lo stesso sangue che sgorgava da ogni graffio che si procurava facendo cose che non avrebbe dovuto fare. Cose che, come amava dirgli la vecchia bambinaia, erano la causa dei suoi capelli grigi.

    «Tu non conti» sbraitava il padre durante gli appuntamenti programmati con Ares. «Sei solo l'anello di una nobile catena, niente di più!»

    Il re scagliava qua e là brandy e caraffe varie quando andava su tutte le furie. Ares non amava quegli appuntamenti. Non che qualcuno gliel'avesse chiesto. E gli era stato ripetutamente insegnato a non muoversi quando il padre era in collera, a stare seduto eretto, distogliendo lo sguardo ed evitando di reagire. A dieci anni, la trovava una tortura.

    «Gli piacciono i bersagli in movimento» gli spiegava la madre, con la voce rotta, sedendogli accanto con le mani fresche sul suo viso e gli occhi dolci. «Devi imparare a mantenere la postura perfetta e a non tradire mai le tue emozioni anche solo con un battito di ciglia.»

    «Che cosa succederebbe se scagliassi io qualcosa contro la parete?»

    Il sorriso della regina era sempre triste. «Non farlo, Ares. Ti prego.»

    Ares arrivò a considerarlo una specie di gioco. Fingeva di essere una statua, come quelle che gli avrebbero eretto un giorno per abbellire la galleria dei re, situata nel Grande Salone del Palazzo Settentrionale dai tempi in cui, stando alla leggenda, le isole che formavano il regno di Atilia erano sorte dal mare. Marmo e oro, con una bella targa che elencava le sue imprese.

    «La nostra stirpe mantiene la corona di Atilia da secoli» tuonava il padre mentre Ares pensava: Sono pietra. «E ora è interamente nelle tue mani. Tu, un debole, che non riesco a credere di avere generato.»

    Pietra, si diceva Ares, con lo sguardo fisso sul mare oltre la finestra.

    Da adolescente aveva perfezionato l'arte di restare seduto immobile alla presenza del padre. Perfezionato e anche complicato, perché era sempre più certo di non avere una goccia di sangue del vecchio re nelle vene. Lo detestava troppo per essere imparentato con lui.

    «Non devi mai dire una cosa del genere a voce alta» lo pregava la madre con lo sguardo serio. «Non devi mai dare adito a dubbi sulla tua origine a nessuno a corte, Ares. Promettimelo.»

    A volte, però, il principe non era dell'umore di fare la statua, preferendo ricambiare lo sguardo del padre con tutta l'insolenza possibile e sfidandolo in silenzio a scagliargli contro qualcosa.

    «Sei solo una delusione per me» tuonava il re a ogni appuntamento. Incontri che per fortuna avevano luogo poche volte all'anno ora che Ares era stato mandato in collegi di tutta l'Europa. «Perché ho la disgrazia di avere un erede così debole e insolente?»

    Il che, naturalmente, incoraggiava Ares a rispondere alle peggiori aspettative del padre. Quindi... se la spassava. Sfrenatamente, sbadatamente e totalmente.

    L'Europa era un grande campo di gioco e Ares faceva amicizia in tutti i collegi esclusivi da cui alla fine era cacciato. Con i suoi amici ricchi e annoiati girovagava per il continente, dalle Alpi alle spiagge e viceversa. Dai club underground di Berlino a feste su megayacht nello splendore del Mediterraneo.

    «Adesso sei un uomo» dichiarò amaramente il padre quando ebbe ventun anni. «Cronologicamente.»

    In base alla legge del loro regno isolano, ventun anni era l'età in cui l'erede al trono veniva riconosciuto formalmente come principe ereditario e futuro successore al trono. L'investitura di Ares cementava il suo posto nella linea di successione e, in seguito, quello dei suoi figli. Sempre quella sciocchezza della dinastia. Ora gli interessava ancora meno di quando aveva cinque anni. Attualmente era più attratto dalla vita sociale e dalle stravaganze che poteva permettersi ora che aveva accesso alla sua vasta fortuna.

    «Non temete, padre» rispose dopo la cerimonia. «Non ho meno progetti di farvi inorridire ora che sono ufficialmente il vostro successore.»

    «Te la sei spassata abbastanza per due vite» brontolò il padre.

    Ares non si preoccupò di contraddirlo. Primo, perché sarebbe stata una bugia, e secondo, perché l'ipocrisia avrebbe potuto strozzarlo. Re Damascus era ben noto per essersela spassata a sua volta. E, a differenza di Ares, era fidanzato con sua madre dal giorno della sua nascita.

    Una ragione in più per odiarlo.

    «Lo dite come se fosse una brutta cosa» rispose invece, senza più fare la statua.

    Ormai era un adulto, o così gli dicevano tutti. Era l'erede al trono ed era previsto che eseguisse doveri in nome della corona che un giorno avrebbe portato. Restò in piedi accanto alla finestra nell'appartamento del padre, guardando le dolci colline e l'azzurro cristallino del mare all'esterno.

    Per lui questa sarebbe sempre stata Atilia. Il mormorio delle onde, il dolce profumo dei fiori portato dalla brezza. Il mar Ionio che si estendeva di fronte a lui.

    Non il re e la sua tendenza a fracassare cose e a causare angoscia alla minima provocazione.

    «È ora che ti sposi» dichiarò il padre.

    Ares si girò, ridendo, e rise ancora di più quando vide che il padre era serio. «Non potete immaginare che sia disponibile a una cosa del genere, vero?»

    «Non ho alcuna intenzione di tollerare quello che infliggerai a me e al regno nei prossimi dieci anni.»

    «Ma dovrete» rispose Ares con una lieve minaccia nella voce, che era la cosa più vicina a colpire fisicamente il suo re che avesse mai osato. «Non ho nessuna intenzione di sposarmi.»

    Quel giorno il padre fracassò una caraffa che apparteneva alla famiglia dal Settecento. Andò in mille pezzi accanto ad Ares, che non mosse un muscolo. Ricambiò solo lo sguardo del vecchio.

    Ma qualcosa si era spezzato in lui.

    Non i frammenti del cristallo inestimabile che cadevano sui suoi abiti da cerimonia tradizionali. Né la collera del padre, che a quel punto trovava poco più che noiosa.

    Era tutto quello... spettacolo. I titoli, la terra, la discendenza. Tutte cose che al padre importavano più di lui. Non era stato cresciuto dai genitori, era stato sorvegliato da una serie di domestici ed esibito di fronte al padre di quando in quando. E solo quando tutti erano sicuri che il suo comportamento fosse perfetto.

    O, comunque, tollerabile.

    Non poteva evitare di pensare che in realtà avrebbe preferito non essere affatto un principe. E se non avesse avuto scelta, be', non c'era alcun bisogno di contribuire a passare il mantello di sangue e sciocchezze alla generazione successiva. Non intendeva sposarsi. Non gli interessava.

    Ma era assolutamente contrario ad avere figli.

    Non poteva evitare di pensare che fosse la stirpe, insieme alla corona, ad aver trasformato il padre in un mostro. Ed era un mostro anzitutto con il figlio. Era freddo con sua madre, ma era Ares che riceveva caraffe in frantumi ed esplosioni di collera.

    Ares non intendeva passare quella collera ai figli. Mai.

    «Non dovresti innervosire così tuo padre» l'aveva rimproverato la madre anni dopo, quando Ares aveva avuto un'altra conversazione con il padre sulle sue prospettive matrimoniali. Aveva ventisei anni. «Dovremo incominciare a importare caraffe dal Palazzo Meridionale.»

    Atilia era un antico regno isolano nel mar Ionio. Delle isole che costituivano il regno, l'Isola Settentrionale era quella più a nord e quella dove avevano luogo gli affari di stato. Di conseguenza il Palazzo Settentrionale era la residenza più maestosa della famiglia reale. Il Palazzo Meridionale, sulla costa meridionale dell'isola più a sud, serviva per rilassarsi. Spiagge, quiete e tutto lo spazio per respirare che un uomo poteva avere quando portava sulle spalle il peso del regno.

    Non che Ares intendesse addossarsi quel peso, tuttavia preferiva il sud. Era lì che si era preso qualche settimana per tonificarsi dopo un lungo viaggio dedicato ai rapporti internazionali prima che il padre lo convocasse. Perché era trascorso chiaramente troppo tempo fra una sgradevole conversazione e l'altra.

    «Non posso controllare ciò che lo irrita» rispose con sarcasmo. «Se potessi, gli ultimi ventisei anni sarebbero stati diversi. E ci sarebbero in giro per il palazzo molti più oggetti fragili, immagino.»

    La madre gli aveva sorriso. Il suo consueto sorriso dolce e triste. Ares presumeva sempre che fosse perché non poteva salvarlo dal padre. Non poteva costringere il re a trattarlo come trattava lei, con gelido disinteresse. «Non è la cosa peggiore al mondo incominciare a pensare alla prossima generazione.»

    «Non fa per me» ribatté allora lui. Ormai quella convinzione cresceva in lui da anni. Studiò la madre e il suo caro viso tirato. «Se sei la pubblicità per l'istituto del matrimonio, o ciò che bisogna avere per diventare regina di queste isole, non posso dire di essere molto ispirato per infliggere a una donna questo dubbio piacere.»

    Era vero, ma era vero soprattutto che ad Ares piaceva la propria vita. Aveva una specie di dimora nella Casa Saracena, una sontuosa proprietà separata che faceva parte del complesso del palazzo sull'Isola Settentrionale. Ma non ci stava mai. Preferiva l'energia di Berlino. L'attività frenetica di Londra. La pulsante e folle vivacità di New York.

    O qualunque posto dove non ci fosse suo padre.

    Inoltre, non aveva ancora incontrato una donna che volesse per più di una o due notti. Meno ancora, per una vita di famiglia, pompa e tradizioni. Dubitava che esistesse la donna in grado di fargli cambiare idea.

    Non che quest'assenza lo turbasse particolarmente.

    «Vedo come mi guardi» lo rimproverò la madre. Sedeva come sempre, eretta ed elegante, nella sua stanza preferita, dove la luce del sole sostituiva la felicità. «E non sono così vecchia, grazie, da non ricordare l'eccitazione della gioventù e la certezza di poter prevedere le alterne vicende della mia vita.»

    «Spero che non progetti di fornirmi i particolari dell'eccitazione della tua gioventù» replicò Ares. «Soprattutto perché ho l'impressione che tu ne abbia trascorso gran parte in un convento.»

    Il sorriso della regina suggeriva segreti, e Ares ne fu lieto. Gli piaceva pensare che la madre avesse qualcosa di più su cui riflettere nella vita del padre e della freddezza del loro matrimonio.

    «Devi trovare una moglie di una famiglia simile» gli spiegò con calma la madre. «Dovrai essere re, Ares. Comunque sia il tuo matrimonio, qualunque accordo facciate tu e la tua sposa, dovrà essere una regina senza macchia. Così come dovrà esserlo la tua prole. Capisci che cosa sto dicendo?»

    Sì. Ma capire non significa ubbidire.

    «Che dovrei rimandare il più possibile il matrimonio» rispose, e le sorrise. «Sono più che felice di adeguarmi.»

    Ares aveva poco più di trent'anni quando la madre morì all'improvviso a causa di un cancro che le era stato diagnosticato in ritardo. Era ancora scosso e addolorato quando il padre lo richiamò nel Palazzo Settentrionale qualche mese dopo il funerale.

    «Devi sapere che era il desiderio più caro di tua madre che ti sposassi» grugnì il re, tenendo in mano una coppa di cristallo

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