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Luoghi proibiti - 5 brevi racconti erotici
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Luoghi proibiti - 5 brevi racconti erotici
E-book149 pagine2 ore

Luoghi proibiti - 5 brevi racconti erotici

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Info su questo ebook

Cassandra va in clinica soltanto per farsi controllare alcuni nei, ma forse c'è una motivazione segreta dietro a questa visita? Forse un'attrazione proibita per il dottore, che le fa ribollire il sangue e sognare che lui non smetta mai di esaminare il suo corpo...Questo libro contiene i seguenti racconti brevi: Luoghi proibiti: Dal dottore, Luoghi proibiti: Al Cinema, Luoghi proibiti: l'autobus, Luoghi proibiti: l'acciaieria, Luoghi proibiti: l'officina.-
LinguaItaliano
EditoreLUST
Data di uscita14 apr 2021
ISBN9788726783476

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    Anteprima del libro

    Luoghi proibiti - 5 brevi racconti erotici - Vanessa Salt

    Luoghi proibiti - 5 brevi racconti erotici

    Cover image: Shutterstock

    Copyright © 2021 Vanessa Salt and LUST, an imprint of SAGA Egmont, Denmark

    All rights reserved

    ISBN: 9788726783476

    1. e-book edition, 2021

    Format: EPUB 2.0

    All rights reserved. No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    Luoghi proibiti: Dal dottore

    Qui ci sono solo anziani. Alcuni uomini sembrano aver oltrepassato da tempo la data di scadenza e si aggrappano disperatamente a bastoni e deambulatori. Alcune anziane signore hanno l’alito cattivo, altre hanno dentiere messe male, altre ancora hanno addirittura la peluria sul mento. Dulcis in fundo, ci sono quelli che non smettono mai di parlare, che hanno un bisogno disperato di compagnia. Quei maledetti dicono buongiorno e come va? a ogni singola persona che incontrano, anche a quelle che ostentano il proprio disinteresse – tenere in mano il telefono in modo che copra la maggior parte della faccia dovrebbe essere un chiaro segnale. Almeno secondo me.

    E poi, non è che si può semplicemente andare in giro a parlare con gli sconosciuti. Non qui a Uppsala – ma neanche a Stoccolma, se è per quello. Non è il tipo di cosa che si fa solo all’estero?

    Agda. C’è una signora Agda qui?

    Una dottoressa col classico camice bianco infila la testa nella sala d’attesa. Occhiali. Capelli corti. Ha l’aria di una che lavora qui dentro da troppo tempo. Chissà, forse un tempo aveva ambizioni diverse, il sogno di andare a lavorare in un vero ospedale, ma poi è rimasta bloccata qui in clinica. Immagino che succeda a molti. Ringrazio il cielo per il mio lavoro d’ufficio che non mi costringe a passare le giornate esaminando brutti culi e ferite aperte.

    Sospiro e sposto il peso sulla sedia cigolante. Mi starei divertendo molto di più se il mio telefono non fosse morto, invece mi tocca stare qui seduta a guardarmi intorno. Come uno di quei matti accanto ai quali non ti vuoi mai sedere perché si appiccicano e iniziano ad esaminare ogni tua mossa. Immagino che non abbiano niente di meglio da fare.

    Due diverse Agde si alzano e la dottoressa deve rimediare al malinteso e invitare una delle due a tornare a sedersi. Oh, che dramma. Afferro la borsa per guardare l’orologio, ma poi mi ricordo: il telefono. Cazzo.

    Quando la Agda giusta è stata accompagnata dalla sala d’attesa allo studio della dottoressa, entra un altro medico. Lo fisso.

    Lo fisso davvero.

    Come può esistere un dottore così incredibilmente attraente? Basterebbero già i suoi capelli, scuri e scompigliati come se fosse appena passato sotto un temporale estivo. Cos’è, non si pettina? Oppure rimangono ritti così nonostante lui provi a sistemarli? In un caso o nell’altro, sono davvero sexy. E anche quella barbetta. Sono sicura che se ci passassi le mani sopra la sentirei pungere. Dio, che voglia di toccarla.

    Cassandra, ripigliati! Ricordati cos’è successo l’ultima volta che hai cercato di flirtare con un medico.

    La scommessa di Julia. Quella sensazione di formicolio eccitante nel corpo. Ricordo che avevo indossato il mio sorriso più ammiccante, tirato giù la scollatura del mio top così che coprisse a malapena il seno e avevo sculettato in maniera un po’ esagerata. Il piano era soltanto fare sì che il dottore mi baciasse, non era obbligatorio che pomiciassimo a lungo. Julia mi aspettava nella sala d’attesa.

    Non mi era mai successo nulla di così imbarazzante. Il dottore mi stava strizzando i seni – avevo, naturalmente, inventato di aver sentito un nodulo strano – e mentre li palpava, gli avevo accarezzato una guancia con la mano e...

    No, no, fa troppo male ripensarci.

    Non riesco a credere di aver pensato di potermela cavare così. Quanta vanità. I medici sono professionisti; la probabilità che ci provino con un paziente è la stessa che io trascini un collega nella stanza delle fotocopie in ufficio per una sveltina. E probabilmente è pure vietato dalla legge. Come lo sono tutte le cose divertenti.

    Cassandra legge l’uomo dal foglio che ha in mano. Alzo lo sguardo e incontro un paio d’occhi scuri e gentili.

    Sì? Al posto della voce mi esce uno squittio. Mi affretto a raccogliere da terra la borsetta, mi alzo e mi aggiusto il vestito. Faccio qualche passo avanti senza distogliere lo sguardo. Afferro la mano che mi sta tendendo.

    Da vicino, le pupille dei suoi occhi sono nere come lo spazio più profondo, le iridi marrone chiaro come campi di orzo al tramonto. La sua mano è calda. Ma non sta sorridendo. Chissà se è così serio con tutti, o se dipende da me.

    Marco dice.

    Cassandra.

    Lo so. Mi segua, prego.

    Lo so? Che stronzo.

    Si volta ed esce dalla sala d’attesa, imboccando un corridoio stretto e lungo. Ovviamente tutti i muri sono bianchi. Tutto è sempre bianco negli ospedali e nelle cliniche. Lo seguo; quando incrociamo un’infermiera annuisco educatamente per salutarla. I muri sono costellati di dipinti incorniciati e le mie scarpe ticchettano sul pavimento lucido. Improvvisamente Marco si ferma, apre una porta e mi fa cenno di entrare.

    Prego, si sieda. Se vuole, può appendere la borsetta laggiù.

    Grazie.

    Si accomoda sulla poltrona da ufficio bordeaux davanti al computer mentre io prendo posto sulla sedia di legno che sembrerebbe essere riservata ai pazienti. Fissa uno degli schermi in silenzio, fa qualche clic col mouse, scorre verso il basso.

    E adesso? Accavallo le gambe e aspetto. Non ha intenzione di chiedermi perché sono qui?

    La luce del giorno filtra tra le tendine e inonda il davanzale su cui sono posate alcune piante, piante vere. I bordi dei monitor del computer sono coperti di post-it colorati, mentre all’altro capo della stanza sono appesi alcuni strumenti dall’aspetto strano. Forse si usano per esaminare le orecchie?

    Ha finito con la sua ispezione?

    Ho un sussulto. Non sto ispezionando niente. Sto solo aspettando di cominciare.

    Bene. Ora mi sta guardando fisso. Dunque, lei è qui per farsi controllare alcuni nei, giusto?

    .

    Ha paura di poter avere un tumore?

    Chi non ce l’ha? Tiro un filo che spunta dal mio vestito, sentendo il bisogno di concentrarmi su qualsiasi cosa che non sia lui per riuscire a respirare normalmente. Mi piace prendere il sole e quindi vorrei farli controllare. Solo per sicurezza.

    I suoi occhi guizzano sulla mia pelle nuda – braccia, petto, gambe. Il vestito aderente mi arriva solo a metà coscia, ma non avevo molta scelta di vestiario stamattina; con ventotto gradi, fa decisamente troppo caldo per indossare i jeans. Per fortuna pare che qui dentro ci sia l’aria condizionata.

    Torna a guardare lo schermo. Si vede.

    Cosa intende?

    Si vede che le piace prendere il sole.

    Dovrei prenderlo come un complimento?

    Se vuole. Scrive un appunto e aggrotta la fronte. Ma sa, non a tutti piace il look abbronzato.

    E a lei piace? Oddio, l’ho davvero detto ad alta voce?

    Lui posa la penna. Mi faccia vedere i nei, darò un’occhiata.

    Interessante. Non ha intenzione di rispondere alla mia domanda.

    Lentamente faccio scivolare le spalline sottili del vestito verso il basso. Giù. Ancora più giù. Faccio ricadere la stoffa sui fianchi così che tutto il mio busto sia esposto. Il mio reggiseno nero di pizzo è minuscolo, so che può vedere metà delle mie areole anche se rimango immobile come sono. Forse è stato un diavoletto nel mio subconscio che mi ha fatto scegliere di indossare proprio quel reggiseno, proprio oggi.

    Sbaglio o il dottore ha appena sussultato?!

    Pare di sì. Il suo sguardo, così pacato un istante fa, si è posato sui miei capezzoli, con una tale intensità che mi sembra di sentirli saltare fuori dal pizzo sottile.

    Alzo un sopracciglio e mi volto. I nei sono sulla schiena.

    Certo. Un polpastrello freddo mi sfiora il collo. Il tocco mi fa rabbrividire.

    Mi scusi mormora, quasi in un sussurro. Le ho fatto male?

    No, affatto. Il contrario, semmai. Vada avanti...

    Mi può descrivere dove si trovano i nei?

    Uno è tra le scapole, l’altro più giù, proprio sopra al... all’elastico delle mutandine. E ce n’è un terzo sulla spalla. La destra.

    Le sue dita mi sfiorano la pelle, fermandosi in un paio di punti e poi continuando a muoversi. Mi viene la pelle d’oca, i peletti sulle braccia mi si rizzano. Improvvisamente l’aria condizionata mi sembra gelata. Fisso la porta chiusa, aspettando che Marco finisca, anche se allo stesso tempo vorrei che non smettesse mai. Ma devo lasciar perdere questa fissa dei dottori... è ridicolo languire di desiderio per qualcosa che non si avrà mai. Dovrei trovarmi un ragazzo qualsiasi. Uno che indossa abiti qualsiasi, ha un lavoro qualsiasi e parla di cose qualsiasi. E se devo levarmi qualche fantasia dalla testa a forza di scopate, possiamo sempre fare qualche giochino piccante a letto. Forse sono una tipa da giochi di ruolo?

    No, non c’è niente di cui preoccuparsi. Il dito di Marco è sulla mia spalla. Sembrano normali, fin qui, ma fa bene a tenerli d’occhio. Continui a farlo, e mi avvisi se nota dei cambiamenti.

    Oh, che bello sentirselo dire. Grazie! Volto la testa e gli lancio un’occhiata, pienamente consapevole del calore delle sue dita sulla mia pelle. È che è difficile tenerli sotto controllo, sono in punti poco visibili.

    Non c’è qualcuno che può aiutarla? Un fidanzato o qualcosa del genere?

    Nessun fidanzato. Alzo un po’ le spalle. Ci siamo solo io e il mio gatto Sixten, e lui non è molto bravo ad aiutarmi a tenere le cose sotto controllo.

    Posso immaginarlo.

    Sta sorridendo? Uno degli angoli della sua bocca si arriccia all’insù. Possibile che volesse scoprire se sono single, o era solo una domanda di routine?

    Ha guardato attentamente quello sopra all’elastico? Non l’ho sentita toccarmi... lì. Voglio essere sicura che non le sfugga niente.

    Ho soltanto guardato. Non ho proprio toccato. Il dito ricomincia a muoversi lungo la schiena, ma si frena, come se volesse toccarmi ma sapesse di non doverlo fare.

    Forse dovrebbe farlo? Inclino la testa di lato.Per sentire se è in rilievo o qualcosa del genere? Sono così preoccupata.

    Mi guarda con l’aria di chi ha capito. Come se dicesse: Non sei preoccupata. Vuoi soltanto che io ti tocchi. Che ti senta. Che esplori ogni parte del tuo corpo.

    Lo sbircio fra le ciglia. Puoi biasimarmi?

    Pare che abbia deciso di stare al gioco. Il suo dito scende lungo il mio corpo, così lentamente che rabbrividisco di nuovo. Devo stare attenta a non tremare, ansimare o gemere ad alta voce. Sarebbe inopportuno. Del tutto inopportuno. E se lo facessi, forse porrebbe fine a questo momento, mi direbbe arrivederci e grazie e mi spedirebbe via. Non lo rivedrei mai più. Non rivedrei più quegli occhi scuri e misteriosi. Non sentirei

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