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La Chiesa
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E-book295 pagine4 ore

La Chiesa

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Info su questo ebook

Intrappolata.
Picchiata.
Spezzata.
Per salvare me, Adam si è sacrificato pagando un prezzo altissimo. In un primo momento, dubito di riuscire a trovare la forza di andare avanti. Ma, a ogni secondo che passa, l’odio che provo per il Profeta cresce, facendomi fremere di rabbia. Il mio tempo come Ancella è terminato. Mi rifiuto di essere ancora una pedina in questo sporco gioco. Tuttavia, il Profeta trova sempre nuovi modi per annientarmi, usarmi e tenermi sotto il suo controllo. Sarò mai abbastanza forte da liberarmi dalle sue grinfie?


Terzo e conclusivo capitolo della trilogia. Il romanzo rientra nel genere dark. Alcune scene e descrizioni possono urtare la sensibilità del lettore.
LinguaItaliano
Data di uscita12 apr 2021
ISBN9788855312561
La Chiesa
Autore

Celia Aaron

Celia Aaron is the self-publishing pseudonym of a published romance and erotica author. Dark to light, angsty to funny, real to fantasy--if it's hot and strikes her fancy, she writes it. Thanks for reading. Sign up for my newsletter at aaronerotica.com to get information on new releases. (I would never spam you or sell your info, just send you book news and goodies sometimes). ;) You can find me on: Twitter: @AaronErotica Facebook: facebook.com/aaronerotica Instagram: celia_aaron

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    Anteprima del libro

    La Chiesa - Celia Aaron

    Capitolo 1

    Grace

    Sputo la sborra dalla bocca e mi alzo, pulendo i residui sulle labbra con la manica della veste.

    «Non ingoi?» La guardia mi guarda con disapprovazione e si tira su la cerniera. «Credevo che le Filatrici fossero delle ingoiatrici vecchia scuola.»

    «Posso andare adesso?» Mi alzo e gli passo di fianco ignorando il suo commento.

    Lui mi afferra il braccio e me lo stringe fino a farmi male. «Cinque minuti e basta.»

    «Okay.»

    «Vai.» Mi spinge via e quasi cado, ma le ballerine si limitano a scivolare sulla ghiaia clemente, mentre ritrovo l’equilibrio.

    Spazzolo via la polvere dalla gonna nera e mi dirigo in fretta verso il cerchio delle punizioni. Sono le ventitré e trenta e il Profeta è nel pieno del suo sermone. Non noterà la mia assenza, se mi sbrigherò a tornare prima che finisca.

    Le tre croci sono come un richiamo, quella al centro più pesante delle altre. Adam è appeso lì, con la testa a penzoloni e il corpo inerme. Un singhiozzo minaccioso mi stringe la gola, ma lo ricaccio indietro. Sono brava in queste cose.

    Mi affretto verso la croce. «Adam.»

    Lui apre gli occhi.

    «Adam, sono io.»

    «So chi sei. Cosa vuoi?» La sua voce è sgarbata come sempre, solo più stridula, adesso. Come fosse scorticata.

    Pronuncio le prime parole che mi vengono in mente. «Mi dispiace.»

    «Sempre con questa storia che ti dispiace.» Muove appena i piedi sul minuscolo pezzo di legno sotto di lui, facendo del suo meglio per cercare di scaricare su di esso il peso del suo corpo.

    Il sangue ancora gli sgorga dalle ferite alle mani e so che gli rimarranno delle cicatrici orribili. Conosco molto bene la carne, e quanto sia facile deturparla, quanto in fretta sanguini e quanto siano persistenti i danni provocati.

    Sono affascinata dagli squarci sul corpo dell’uomo che ho sempre creduto invincibile.

    «Allora, cosa vuoi?»

    Lo guardo di nuovo negli occhi. «Tua madre si sta adoperando per farti scendere da lì il prima possibile.»

    Lui ghigna. La sua personalità è ancora intatta, sebbene il corpo sia martoriato. «Che piano ha? Ammazzare un’altra innocente per chiedere al Padre di Fuoco di intervenire? No, grazie.»

    «No.» Mi allungo e sfioro il legno freddo, ruvido e sgradevole al tatto. «Ha intenzione di parlare a tuo padre.»

    «Già, perché questo, di solito, funziona alla grande.» Ridacchia e muove di nuovo i piedi.

    Così tanto dolore. Ecco cos’è questo luogo: un immenso dolore, dato e ricevuto. Io ne sono la testimone vivente, ma continuo a recitare il mio ruolo, come ho sempre fatto. Attendo il momento opportuno. Faccio del male a chiunque si trovi sul mio cammino e non mi fermerò finché non avrò Adam al mio fianco e il Profeta non sarà sepolto in una tomba profonda.

    «Può fare più di quel che pensi. Ma devi fidarti di lei. Devi fidarti di me.» Mi trema la voce mentre esprimo il desiderio più recondito che ho nel cuore: recuperare la fiducia che ho distrutto e riaccendere quella fiamma d’amore che ho estinto con la mia stupida devozione nei confronti del Profeta.

    Adam sputa a terra, proprio accanto a me. «Mai.»

    «Adam, ti prego.» Mi protendo verso di lui ma è troppo distante, come sempre, del resto, da quando... da quando lei è morta.

    «Come posso fidarmi di te? Di te?» Scuote la testa e si contorce in una smorfia di dolore. «Non posso.»

    «Sì che puoi.» Stringo la croce così forte che le nocche mi scricchiolano. «Posso dimostrartelo.»

    «E come, Jenny? Come?»

    Usa il mio nome. Il mio vero nome, e sento un frammento di me rinascere.

    «Io...» Appoggio la fronte sul legno. «Forse posso...»

    «Delilah.» Gracida il suo nome con voce stridente.

    Indietreggio inorridita. «Cosa c’entra quella troia?»

    «Prenditi cura di lei, e mi fiderò di te.»

    «Cosa?» Io la voglio morta, non sotto la mia ala protettiva. Da quando lei ha messo piede al Monastero, e dal momento in cui ha toccato il mio Adam, è stata solo una fonte infinita di guai. Sto spingendo affinché il Senatore se la prenda il prima possibile. Delilah è solo un’altra sgualdrina che pensa di poter indurre Adam in tentazione. Mi venga un colpo se farò qualcosa per salvarla dal destino che si merita con il Senatore Roberts. «Perché mai dovrei fare qualcosa per lei? È il motivo per cui tu sei qui. Ti ha condotto sulla cattiva strada con la sua fica vergine e il suo aspetto anomalo. Se non fosse per lei, tu...»

    «Jenny!» Lotta per mettersi dritto, e altro sangue fuoriesce dai suoi palmi. «Hai sentito quello che ho detto. Proteggila, tienila lontana dal Senatore. Se riuscirai a dimostrarmi che sei capace di fare ciò che ti chiedo a questo riguardo, allora, e solo allora, potrò fidarmi di te.» Finisce la frase con un respiro affaticato, quasi fosse l’ultimo.

    Giro intorno alla croce, come se giocassi a un innocente girotondo, mentre rifletto sulle parole che ha appena pronunciato. Mi sento minacciata? No, certo che no. Mi viene da ridere a quel pensiero. Delilah non è niente. Non ha alle spalle la storia che abbiamo io e Adam. Una volta che se ne sarà andata, lui non le concederà nemmeno un altro istante del suo tempo. Adam è mio. È sempre stato mio e nessun’Ancella strafottente potrà cambiare le cose.

    «Quindi?» domanda digrignando i denti.

    Mi fermo di fronte a lui e osservo l’uomo che possiede metà della mia anima e tutto il mio cuore. «Se la tengo lontana dal Senatore, mi riprenderai con te?»

    «Fai in modo che sia al sicuro, non solo da quella testa di cazzo. Se lo farai, mi fiderò di nuovo di te.»

    Fiducia. Per Adam è sempre stata una cosa importante, e forse lo è ancora. Per quel che mi riguarda, è solo una parola che può essere usata per manipolare le persone e piegarle ai propri voleri. Ma, per lui, è qualcosa di molto più importante. Non lo capisco, ma voglio comunque la sua fiducia. Quella e molto altro.

    L’idea di aiutare Delilah mi brucia come acido nelle vene, ma non deve essere per forza una cosa negativa. Dopotutto, sono io quella sul campo, quella che ha potere. Appeso su quella croce, Adam non è in condizione di poter prendere decisioni e influenzare qualcuno. Decisamente no.

    «Facciamo un patto.» Incrocio le braccia al petto. «La terrò al sicuro. Hai la mia parola. Ma quando tutto questo finirà, e tu sarai il nuovo Profeta, la caccerai via e sposerai me.»

    La bocca di Adam si assottiglia in una linea affilata. «Jenny, non posso...»

    Giro i tacchi e me ne vado.

    «Jenny!» mi grida, con la voce spezzata.

    Mi fermo e mi volto verso di lui. «Qual è la tua risposta?» Il mio cuore si dimentica di battere, in attesa delle parole che usciranno dalla sua bocca martoriata.

    Lui si accascia, con il dolore che gli contorce il viso in una maschera orribile. «Affare fatto.»

    Capitolo 2

    Delilah

    L’acqua calda mi scivola addosso, anche se riesco a malapena a percepirla.

    «Troppo calda?» mi domanda Ruth, l’evidente leader delle donne nella Cattedrale, in piedi alle mie spalle.

    Scuoto la testa e mi avvolgo le braccia intorno al corpo. «Non so cosa fare.» I miei pensieri sono frammentati, ma uno emerge nella mente con estrema chiarezza: io sono persa, Adam è crocifisso e nessuno può aiutarci.

    «Puoi fare tanto. Ma non qui.» Ruth si appoggia contro le mattonelle bianche, appena fuori dalla portata del getto d’acqua. «E non quando sei mezza congelata.»

    «Devo salvarlo. Non può rimanere appeso lì, così.» Riesco a vederlo in modo molto chiaro, con l’angoscia che sgorga da lui e colora tutto di un nero disperato.

    «Il Profeta lo tirerà giù.» Mi porge una bottiglia di bagnoschiuma. «Prima o poi.»

    «Quando?» Mi limito a fissare il sapone che mi sta offrendo.

    «Dobbiamo aspettare.»

    «Aspettare?» Prendo il bagnoschiuma con movimenti più meccanici che umani. «È l’unica cosa che mi hai detto da quando sono arrivata qui.»

    Ruth mi passa una spugna azzurra. «Perché è anche l’unica cosa che puoi fare, quando sei rinchiusa, circondata da guardie e tenuta sotto costante sorveglianza.» Scuote la spugna.

    L’afferro.

    Una campanella risuona da qualche parte fuori dall’ampio bagno bianco.

    Sospira. «Vado alla funzione. Tu rimarrai qui, molto probabilmente. Credo che non ti permetteranno di uscire dalla Cattedrale. Mi darei malata per stare con te, ma è una delle poche occasioni in cui mi è concesso di vedere mio figlio Ezekiel. Rimani al tuo posto e stai al caldo. Ti ho lasciato degli abiti sul mio letto, okay?»

    «Perché?»

    «Perché, cosa?»

    «Perché sei così gentile con me?» Mi guardo intorno tra la distesa di docce vuote. Nessuna delle altre donne si è avvicinata a me, da quando sono alla Cattedrale. E sebbene io abbia compreso che Ruth è parte di qualsiasi cosa Chastity stia architettando all’interno del Recinto, non significa che sia una cosa furba, da parte sua, interessarsi a me in modo così palese. Dopotutto, io sono un problema.

    «A volte, essere gentili è l’unica cosa che ci rimane.» Si volta e la lunga treccia nera le scorre sulla schiena. «Tornerò dopo la funzione. Forse con altre notizie. Ma non contarci.» Sparisce nel labirinto di mattonelle e mi lascia sola, con i miei pensieri ingombranti e il sibilo dell’acqua.

    Mi appoggio alla parete, e la visione di Adam inchiodato alla croce mi invade di nuovo la mente facendomi cadere in ginocchio.

    Sento il cuore attorcigliarsi per l’angoscia, e mi domando se riuscirò a sopravvivere a tutto questo. E Adam, ci riuscirà? Le lacrime non scendono. Devo averle terminate tutte ai piedi della croce.

    Le mie lacrime non sono valse a nulla agli occhi del Profeta, che sprizzava soddisfazione da tutti i pori di fronte alla sofferenza del figlio. Che questo sia di lezione per chiunque, qui dentro, sta pensando di sfidarmi. Io sono il Profeta del Signore, e punirò gli ingiusti!

    Nessuno lo ha aiutato. Nemmeno suo fratello Noah, che si è limitato a rimanere lì, impassibile, a fissarlo. Ma forse questo corrisponde alla sua reale personalità. Se è stato lui a uccidere Georgia, cosa sarà mai un po’ di sofferenza in più? Nulla. Anzi, forse si è persino rallegrato di non essere lui quello lassù, nudo e martoriato. Sento una scintilla accendersi sotto la mia disperazione, e incendiarla con lente fiamme blu. Adam non si meritava quel destino, ma ci sono moltissime persone, qui, che lo meritano.

    La stessa rabbia che mi ha spinta a cercare l’assassino di Georgia comincia a circolarmi nelle vene, puntando in una sola direzione: il Profeta. Qualsiasi uomo che tortura il proprio figlio merita una morte lenta. Lascio cadere la spugna e volto i palmi all’insù. L’acqua mi cola sulla pelle e percepisco il movimento verso il basso di ogni minima goccia. Potrei usare queste mani per uccidere qualcuno? .

    La verità mi sussurra nella mente. Quando sono arrivata qui, cercavo risposte e vendetta. Ora, dopo aver visto ciò di cui è capace il Profeta, sono cambiata. E come avrebbe potuto essere altrimenti? La violenza e il terrore sono maestre severe, destinate a deturpare qualsiasi cosa tocchino. Me inclusa.

    Non mi basta più che questo posto venga chiuso. Voglio il sangue.

    Dovrei essere scioccata da questi pensieri, terrorizzata da ciò che ho intenzione di fare. Ma non è così. Mi rimetto in piedi e piego la testa all’indietro, abbracciando l’acqua corrente invece di nascondermi da essa.

    Ho chiuso con l’essere un’Ancella, chiuso con il fingere di credere al Profeta. Combatterò, dilanierò e ucciderò, se dovrò farlo. Non so ancora come, ma troverò un modo.

    La Città Celeste brucerà. Sorrido. Un sorriso vero, che non si ferma alle sole labbra. Pura gioia mi pizzica la pelle al pensiero del Profeta appeso a quella stessa croce, con il sangue che gli sgorga dal corpo.

    «Che mi venga un colpo.»

    Sobbalzo e spalanco gli occhi.

    Evan Roberts è in piedi fuori del box doccia, e con lo sguardo fruga il mio corpo nudo.

    Mi copro i seni con un braccio e incrocio le gambe.

    «Tranquilla, è già tutto qui dentro» mi informa picchiettandosi la tempia. «Per non parlare di ciò che ho nel telefono.»

    «Cosa ci fai, qui?» Scatto in avanti e afferro un asciugamano dal gancio. «Sono merce guasta, ricordi?»

    Lui sorride, mentre io mi avvolgo nel telo e chiudo il rubinetto. «Non sei più pura, è vero.» Con un passo laterale, blocca l’uscita della doccia. «Ma mi sono sfogato un po’ ieri sera e, stamattina, ho assistito a una meravigliosa visione.»

    Lo fisso con odio.

    «Oh, non te, tesoro, anche se mi sono goduto lo spettacolo.» Ghigna. «Adam sulla croce è stato il miglior modo possibile di cominciare la giornata. Sono passato a fargli una visitina, prima di venire qui. Non ha voluto parlare con me, ma l’ho comunque informato riguardo a un paio di cose: nello specifico, cosa intendo farti. Come ti scoperò in ogni buco fino a farti sanguinare. Poi, gli ho detto che potrei persino condividerti, anche se ancora non ho ben deciso riguardo a questo aspetto. E poiché voglio dimostrargli che sono una persona sportiva, nonostante lui abbia rubato qualcosa di mio, gli ho promesso di inviargli un video.»

    Le ginocchia minacciano di cedermi, ma raddrizzo la schiena. Non mostrerò alcun segno di debolezza di fronte a lui. Mai più.

    Faccio un passo in avanti, ostentando una forza simulata. «Sai? Sento ancora Adam dentro di me.» Quando il suo ghigno si spegne, un fremito mi percorre. «Forse, lo sentirò per sempre, dato che è stato il mio primo uomo.» Chiudo gli occhi e gemo con le labbra serrate. «Dio, cosa darei per un altro giro con lui. Solo un’altra...»

    Mi afferra per il collo e mi sbatte contro le mattonelle. «Chiudi quella bocca!»

    Mantengo intatto il mio sorriso, nonostante il dolore alla nuca. «Era così grosso e mi ha riempito al punto che pensavo quasi di esplodere.» Mi mordo il labbro. «Volevo che lo facesse. Volevo tutto di lui. Mi ha fatto sanguinare e ha continuato a fottermi finché non ho goduto. Nessuno potrà mai prendere il suo posto.»

    La presa sul collo si stringe e il suo viso è a soli pochi centimetri dal mio. «È questo quello che vuoi? Farti scopare fino a sanguinare?»

    «Sì.» Mi lecco le labbra. «Ma solo da Adam.»

    Mi stringe ancora di più il collo, togliendomi il respiro. «Ti piace stuzzicare, eh?» Fa scivolare l’altra mano tra le mie gambe. «Vuoi farmi incazzare?» Mi afferra il sesso racchiudendolo nella mano a coppa, mentre le sue dita cercano di punirmi, non di darmi piacere. «Bene, ci sei riuscita.»

    Sento qualcuno schiarirsi la gola e la voce di un uomo riecheggiare tra le docce vuote. «Mi dispiace, Senatore. Ma non può toccare l’Ancella finché non l’ha...»

    «Comprata. Lo so. Lo so, cazzo.» Rimuove la mano e fa un passo indietro. Con un respiro affannato, mi fulmina con lo sguardo arcigno, dietro cui arde lo psicopatico che è in lui.

    Deglutisco e comprimo il panico, continuando a tenerlo ben celato. Forse non potrò arrestare la paura, ma posso rifiutarmi di arrendermi a essa.

    «Non smetterò mai di parlare di lui, di pensare a lui, di desiderare lui al posto tuo.» Mi stringo di più il telo attorno al corpo. «Mai.»

    Lui libera l’uscita per lasciarmi passare, ma io rimango immobile. Tutta la mia devozione appartiene ad Adam e a nessun altro.

    Evan alza le mani mostrando i palmi, e indietreggia di un altro passo. «Se pensi che la tua bocca impertinente mi fermerà, non mi conosci affatto.»

    «Non voglio affatto conoscerti, e tu non vuoi conoscere me, credimi.» Lo supero in fretta. «Ti combatterò, ti ferirò e farò qualsiasi cosa per ucciderti.»

    «Ancella!» La guardia mi fulmina. «Attenta a ciò che dici, e stai al tuo posto.»

    Gli passo accanto come una furia. «Conosco il mio posto. È sotto Adam Monroe.»

    La guardia mi afferra per i capelli e mi fa ruotare per guardare in faccia Evan. «Scusati col Senatore.»

    «No» dico a denti stretti.

    Lui mi strattona più forte, mentre Evan si avvicina con occhi famelici. «Ho detto chiedi scusa, troia.»

    Nonostante il dolore acuto alla testa, sigillo le labbra.

    Evan afferra un lembo dell’asciugamano e lo strappa via.

    Non mi coprirò. Non importa cosa mi farà.

    Si lecca le labbra, mentre la guardia mi preme la canna fredda della pistola contro la tempia. «Chiedi scusa.»

    «Non muovetevi, nessuno dei due.» Evan tira fuori il telefono e lo solleva.

    «Sei un disgustoso figlio di puttana.» Vorrei spaccargli quella maledetta fotocamera.

    «Non ne hai idea...» Dopo alcuni scatti, sghignazza, mette in tasca il telefono e fa un cenno alla guardia. «Adesso, quella mettila via...»

    «L’Ancella ha bisogno di...»

    «Ho detto mettila via!» Il suo grido è come uno sparo.

    La canna della pistola sparisce, come la presa sui miei capelli. Raccolgo l’asciugamano da terra e schizzo via, verso l’ampio dormitorio coperto dal tappeto azzurro.

    Evan mi segue fino al separé di Ruth. «Tornerò da te, Delilah.»

    Mi sposto con cautela dal letto, sbirciando gli abiti ripiegati che Ruth mi ha lasciato. Non permetterò a Evan di cogliermi alla sprovvista. «Ti ucciderò.» Non è una minaccia. È un dato di fatto.

    «Hai idea di quanto me lo fai venire duro?» Si strofina il palmo della mano sull’inguine.

    «Non sto facendo nessun giochetto di potere con te.» Scuoto la testa nella sua direzione. «Non è una sorta di preliminare o un’esca a cui farti abboccare. Ti sto dicendo che ti voglio morto. Non so come essere più chiara di così. Se oserai toccarmi, ti ammazzerò, cazzo.»

    La guardia si avvicina e il suo sguardo torvo sembra la maschera della morte.

    «Oh, ci credo eccome che proverai a farlo. Probabilmente più volte, finché non spezzerò la tua volontà.» Evan si raddrizza la cravatta e si passa una mano sui capelli fin troppo perfetti. «E credimi, alla fine, la spezzerò

    «Spero, allora, che ti piaccia il sapore del tuo stesso sangue.» Non so come lo combatterò, ma farò tutto ciò che è necessario. La disperazione trasforma chiunque in un gladiatore.

    «Mi godrò di più il sapore del tuo.» Mi rivolge un ghigno compiaciuto. «Ma non pagherò il prezzo pieno, per te. Non più. Andrò alla chiesa e avvierò una trattativa con reciproche concessioni. Dopo di che, tu sarai mia.»

    «Non sarò mai tua.» Riverso ogni stilla di veleno in quelle parole.

    Mentre si volta e se ne va, l’espressione sul suo volto si fa ancora più soddisfatta. «Oh, tesoro. Adoro quando mi sottovaluti.»

    Capitolo 3

    Noah

    «Fai pure la spia e vedi se mi frega una sega.» Supero la guardia e barcollo lungo la strada che porta al cerchio delle punizioni. O forse ci sono due strade. È tutto confuso, in questo momento.

    «Il Profeta ha detto...»

    «Vaffanculo!» Continuo a camminare.

    Lui desiste.

    Quasi vorrei che mi mettesse le mani addosso, così potrei fargli il culo. Maledizione. Sto pensando come Adam. Non va bene. Soprattutto considerando dove il suo modo di pensare lo ha condotto. Ridacchio e rutto, ma in qualche modo riesco a continuare a camminare.

    La giornata è fredda, nonostante il sole sia alto e luminoso. La funzione del mattino è terminata un’ora fa. Ho dovuto prendervi parte, in attesa, dietro le quinte. Ma ho portato con me due bottiglie e ho bevuto, mentre mio padre predicava sul nuovo anno e sul futuro radioso che attende la Città Celeste.

    Riesco a pensare soltanto al liquore, che mi anestetizza, e ad Adam. Ancora mi risuonano in testa le sue grida. Mi riecheggiano nella mente ogni volta che c’è troppo silenzio. Perciò bevo per fare in modo che il rumore continui, che sia lo sciabordio del cervello a rimbombarmi nelle orecchie.

    Quando mi avvicino, Adam non si muove. Per un attimo, temo sia morto, come Cristo in croce. Solo che ad Adam non sarebbe concessa una seconda possibilità di tornare. Se facessero rotolare via la pietra della sua cripta, troverebbero solo marciume e morte, non un nuovo salvatore.

    «Stai zitto.» Mi rimprovero ad alta voce e continuo a camminare verso di lui finché non mi ritrovo di fianco alla croce. «Adam?»

    Lui apre gli occhi e muove i piedi sullo stretto pezzo di legno. «Buon pomeriggio.» La sua voce roca nasconde il dolore, che vedo fin troppo bene alla luce accecante del sole. Le mani sono insanguinate, ciascuna con un chiodo infilzato nel palmo, e la pelle si sta già scorticando lungo i bordi dei legacci in cuoio, che gli tengono la parte superiore delle braccia bloccata al legno.

    Gli occhi mi si inumidiscono. Il dolore non se n’è andato. L’alcol non lo ha smorzato abbastanza. Fanculo. Mi cedono le ginocchia e cado sul terreno gelido. Fantastico, eccomi qui a piangere come un bambino, a emettere singhiozzi che non si addicono affatto a un uomo come me; rotolano fuori dal mio corpo senza controllo e non riesco a trattenerli.

    È tutto così incasinato, e non c’è nulla che io possa fare. Non posso tirare giù Adam. Non posso fermare la follia di mio padre. Non riesco nemmeno a bere fino a collassare, come un alcolista decente. Piango finché quasi non riesco a respirare, per via del naso che cola.

    «Noah.» La sua voce mi graffia dentro.

    «Mi dispiace.» Le mie parole rimbombano, quando sollevo lo sguardo su di lui.

    «Non è colpa tua.» Fa una smorfia di dolore e cambia di nuovo posizione, con le gambe che

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