Cellulosa
Di Simone Corà
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Info su questo ebook
Horror - romanzo breve (56 pagine) - Un pacco misterioso capace di alterare la realtà e trasformare le persone in terribili creature che sembrano arrivare da un altro mondo…
Il pacco divora ogni umanità. Chi lo sfiora, perde qualsiasi inibizione e abbraccia il suo istinto più primitivo, l’odio, la rabbia. Paolo, un corriere stremato dal lavoro, deve compiere la scelta più difficile se vuole riabbracciare la sua famiglia.
Simone Corà, classe 1982, vive a Vicenza ed è responsabile di una comunità per disabili. Si muove nell’underground horror da una vita. È stato editor per Edizioni XII, ha curato il blog Midian e ha collaborato con alcuni tra i maggior portali di cultura horror come Scheletri e LaTelaNera. Nel 2019 ha pubblicato il romanzo La mia vita con le blatte, nella collana Vaporteppa di Acheron Books.
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Anteprima del libro
Cellulosa - Simone Corà
Books.
1.
Paolo Repele si strinse sotto l’ombrello, affrettò il passo verso l’entrata della ditta e pestò una pozzanghera che gli bagnò i jeans fino al ginocchio. Una folata di vento gli rivoltò l’ombrello, strappando un braccio dell’intelaiatura d’acciaio dalla stoffa.
Il cellulare prese a squillargli in tasca. La suoneria era un trillo fastidioso come la sveglia al mattino presto. Paolo lo ignorò: se qualcuno voleva proprio parlare con lui avrebbe richiamato più tardi.
Raggiunse la porta e si riparò sotto la sporgenza di ferro battuto che ospitava il nome dell’azienda, SPIN – Corriere espresso
, in caratteri bianchi su sfondo bronzeo. La pioggia cadeva di traverso e gli picchiettava contro le punte zuppe delle scarpe.
La suoneria si zittì e subito ricominciò. Paolo scosse la testa. Con una mano fradicia afferrò il cellulare mentre con l’altra scuoteva l’ombrello per liberarlo dall’acqua.
Lasciò una lunga striscia umida quando rispose alla chiamata. – Pa’?
– Oggi pomeriggio ho tagliato la legna con la sega a nastro. Domani brucio ramaglie e spazzatura, vieni a darmi una mano? – La voce secca e sbrigativa di suo padre aveva intonato una domanda che sembrava più un ordine che una richiesta.
Paolo incastrò il telefono tra l’orecchio e la spalla e si aiutò con entrambe le mani per piegare l’ombrello. Il ramo spezzato ondeggiava in balia del vento.
– Pronto? Pronto? – perseverava suo padre.
– Ci sono, papà. Sono ancora al lavoro. Oggi ho consegnato 150 pacchi e sono uno straccio. – Paolo chiuse l’ombrello con il laccetto. – Perché hai tagliato la legna con questo tempo? Ti prendi una broncopolmonite.
– In aprile? Mi hai fatto una domanda che contiene già la risposta. È come se io ti chiedessi perché stai andando a lavorare. Perché devi. Pioggia o non pioggia. – Suo padre sbuffò infastidito. – Perché taglio la legna, povero figliolo mio? Perché devo. Se non taglio la legna adesso, non sarà mai secca per l’inverno prossimo. E la stufa non funziona, senza legna. Anche perché il gatto ce l’ho già buttato dentro. Dura poco e scalda ancora meno.
– Ah-ah, simpatico. Guarda che hai il riscaldamento, basta accenderlo se fa freddo.
Paolo appoggiò le natiche sulla maniglia e aprì la porta con una lieve spinta. Entrò e rimase fermo a sgocciolare sul pavimento. La voce del padre, che continuava a parlare, divenne un brusio di poco conto.
La reception era vuota. Il grande orologio al centro della parete segnava le sette passate. Quindi le ragazze avevano finito il turno da almeno due ore. Quanto gli sarebbe piaciuto finire anche lui alle cinque. Si portò una mano al fianco e spinse le spalle all’indietro, le vertebre mandarono una serie di schiocchi e un lieve sollievo calmò per un istante il dolore alla zona lombare.
Guidare dodici ore al giorno era una tortura per la sua schiena. Ma anche passare sul divano o sul letto il resto del tempo. Se avesse avuto uno stomaco meno sporgente e fosse pesato una trentina di chili in meno, sarebbe stato più facile cambiare stile di vita, forse.
Raggiunse il portaombrelli e vi gettò dentro il suo inutile pezzo di lamiera e tessuto. A causa del gesto di stizza, la schiena tornò subito a pulsare.
Il corridoio proseguiva sulla sinistra, oltre un vaso con un ficus che avrebbe avuto bisogno di maggiore attenzione. Al termine, prima di una curva a gomito verso destra che avrebbe condotto ai magazzini, l’ufficio di Verroni era una gabbia di vetro occupata da una scrivania e da paio di lunghe mensole che straripavano di cataloghi e documenti.
Il vecchio lo stava fissando immobile, gli occhi piccoli e ravvicinati e la bocca storpiata in una smorfia di disappunto. Dava l’impressione di attenderlo con una certa seccatura, come se il colloquio che Paolo aveva chiesto di fare al termine della giornata fosse passato da ultima grana da sbrigare prima di tornare a casa
a sfogo totale dopo una giornata di merda
.
Be’, era anche comprensibile. Un ritardo di oltre due ore sulle consegne non aiutava certo la sua posizione, già mezza compromessa. Paolo sbuffò piano tra le labbra strette.
Verroni aspirò dalla sigaretta elettronica e rilasciò una nube di fumo, socchiuse la porta e si accomodò dietro la sua scrivania. Lo invitava a entrare.
– … e questo è il motivo per cui non lo accendo. Ma mi sembra di avertelo già spiegato.
Paolo si rese conto di non aver ascoltato le chiacchiere del padre, ma era abituato a staccare il cervello durante i suoi lunghi monologhi zeppi di parentesi e incisi. – Sì, papà, lo so.
– E allora perché me lo fai raccontare ancora? Sarai stanco di sentire questa storia, no?
– No, mi piace sempre tantissimo e non mi annoia mai, però adesso devo mettere giù. Ho un colloquio in ufficio. – Fece un lungo sospiro, rotto dall’agitazione. – Magari faccio un salto uno di questi giorni per un caffè, okay? Non posso aiutarti a mettere via la legna, ho la schiena bloccata.
– A me questa sembra una scusa bella e buona, ma la legna è già a posto. Mi do da fare, io. Mi serve aiuto per il falò, invece, dobbiamo raccogliere e spazzare e sai bene che da solo io.
– Ma papà, non puoi farlo! – Paolo alzò gli occhi ai neon del soffitto e il bagliore gli rimase impresso nelle retine. Pizzicò la lingua tra gli incisivi per moderare la voce. Verroni non sembrava essersi accorto