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Marian
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E-book257 pagine3 ore

Marian

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Info su questo ebook

Un ventenne di nome Saverio incontra una ragazza molto attraente, Marian. Trova anche tra i testi rari della libreria in cui lavora, un misterioso testo di occultismo e decide di nascosto da tutti di fare un rito per conquistarla. Ne nasce una relazione passionale in cui però lui sviluppa un rapporto di sudditanza psicologica nei riguardi della compagna, che inizia a mostrare poteri paranormali causando strani incidenti e terrificanti fenomeni.
Nel frattempo, il proprietario della libreria scopre che il ragazzo ha adoperato il libro di occultismo e comincia a indagare. Lo stesso fa parallelamente un ispettore di polizia, in seguito al verificarsi di decessi violenti e inspiegabili.
LinguaItaliano
Data di uscita16 mag 2021
ISBN9788869632808
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    Anteprima del libro

    Marian - Camillo Maffia

    Camillo Maffia

    MARIAN

    Elison Publishing

    © 2021 Elison Publishing

    Tutti i diritti sono riservati

    www.elisonpublishing.com

    ISBN 9788869632808

    Alla Gatta

    Desidero ringraziare Gianni Carbotti per il determinante ruolo maieutico nella elaborazione della trama e dei personaggi.

    Che cosa sapeva lui dell’esistenza di antiche stregonerie ed arcani misteri, che il suo occhio acuto individuava nel calderone delle nefandezze in cui la feccia di secoli di immoralità faceva ribollire il proprio veleno, tramandando i suoi orrori blasfemi?

    (HOWARD PHILLIPS LOVECRAFT, L’orrore a Red Hook)

    PROLOGO

    Era il Novantadue, o il Novantatré.

    Oriana spense la sigaretta. Le dita ancora tremanti erano ulteriormente smagrite rispetto all’ultima volta in cui aveva parlato con lei. Caracciolo aveva notato, nel corso dei suoi lunghi anni di servizio, l’effetto straordinario che faceva il dolore sui corpi umani. Li affinava, li tagliuzzava, li smembrava e li rimontava fino a farli diventare qualcos’altro: in questa macabra alchimia, il soggetto definitivo che ne derivava era quel che si definisce comunemente un uomo provato dal dolore, ossia una specie di spettro, che si aggira per la vita senza fare rumore, magari appeso al filo di una qualche sua fede personale. Aveva imparato a distaccarsi da questa sensazione perché quando aveva iniziato a lavorare gli faceva girare la testa: ora, guardandola stare ritta sulla sedia senza che la sua schiena nervosa potesse prendere in considerazione l’idea di adagiarsi lungo lo schienale, si rese conto che quel capogiro stava tornando dopo tanti anni.

    C’era un provino…

    Un provino di che cosa?

    Lei lo guardò stupita.

    Di danza, naturalmente.

    Perché, lei ballava?

    Se ballavo!

    Fece una smorfia che evidentemente doveva essere, nelle sue intenzioni, una specie di sorriso. Invece, si disse Caracciolo, aveva scoperto i denti e basta.

    Ballavo eccome. La mia carriera, il mio futuro, il mio… tutto, ecco, la mia vita era la danza.

    Scusi se glielo domando, ma… perché ha smesso di ballare e ha cominciato a fare la coreografa?

    Per colpa sua.

    Oriana si rabbuiò. La sua espressione per un istante ricordò quella di una iena. Era una bellissima donna, non come quelle signore in cui s’intravede che forse un tempo dovevano esserlo state; no, no, notava lui, è una bella donna adesso. Sarebbe stato un piacere conversare con lei in una situazione diversa. Non che ora non lo fosse, a suo modo. Ma era sempre lo stesso, unico diletto che gli riservava la vita: cercare di capirci qualcosa in più, di avere qualche elemento che si aggiungesse a quelli che aveva in mano.

    Vede, sospirò Oriana, "mi trovavo a un provino per il ruolo da protagonista nell’Uccello di Fuoco di Strawinskij. Avevo già fatto delle cosine notevoli, ma non la tedierò col mio vecchio curriculum – o, come si dice adesso, c v", disse, trascinando le due consonanti senza pronunciare la vocale finale che normalmente si aggiunge quando si menziona il nome proprio della lettera, col mio vecchio curriculum da ballerina. Diciamo che eravamo in ballo… oh, perdoni il gioco di parole. Era del tutto involontario, mi creda, non sono così stupida. Insomma lei capisce, quelle che si stavano facendo strada in quell’ambiente non erano moltissime, a Milano… ci conoscevamo un po’ tutte. Magari non sapevo chi fosse la ragazzina impaurita che era appena stata scelta per mera casualità per fare la piccola parte, questo sì, ma in ogni caso generalmente la conoscevo di vista. Così quella volta per il ruolo da protagonista le uniche papabili eravamo io e Livia. Era la mia migliore amica.

    Il suo viso si contrasse ancora. La sua smorfia di dolore lo fece pensare a un dolore fisico, a uno di quei malesseri che coinvolgono gli organi interni come l’ulcera e portano chi ne soffre a fare queste insolite espressioni mentre stanno parlando. La sua pena, si disse Caracciolo, è così reale che appariva in tutto e per tutto come una sofferenza corporea. Era così tangibile che avresti potuto toccarla. No, pensò, facendo questo lavoro di merda ne ho viste tante di donne distrutte in vita mia, ma come questa poche, pochissime. E il bello è che non ha fatto niente per meritare tutto questo. O almeno credo, aggiunse fra sé e sé.

    Livia e io non eravamo mai gelose l’una dell’altra, la competizione per noi era un gioco. Andavamo insieme ai provini e festeggiavamo allo stesso modo sia che la parte fosse toccata a me sia che fosse toccata a lei… e se nessuna delle due veniva scelta, andavamo insieme a ballare… eravamo così giovani, sembrava tutto un sogno allora… Fece una pausa per pochi istanti. Bevve ancora un sorso di caffè, accese un’altra sigaretta; sbuffò il fumo, la guardò come sono soliti fare alcuni fumatori quando ne hanno appena iniziata una, poi con gesto automatico abbassò la mano e rimase intenta a guardare la finestra. Per un attimo a lui sembrò che avesse notato qualcosa. Invece non c’era niente, solo un passero sui rami secchi che volò via appena lo vide. Oriana riprese: Ad ogni modo. Mi scusi, ispettore, le faccio perdere tempo. Caracciolo fece per protestare e dire che no, non gli stava… ma lei ricominciò tutto d’un fiato: "Insomma eravamo io e Livia, al provino, come ogni volta; le altre erano state scartate. Tutte tranne una. C’era una sconosciuta, con i capelli rosso fuoco. Mai vista. Tutte ci stavamo chiedendo chi fosse, specialmente noi più grandicelle, che avevamo una certa dimestichezza dell’ambiente – come le dicevo, ci conoscevamo un po’ tutte tra noi. Si aggirava senza espressione. Era di una bellezza incredibile, anzi devo dirle che non avevo mai visto una ragazza così attraente. Ma aveva qualcosa di sinistro, che non le so spiegare. Un che di sbagliato nei denti, o nella postura curva in modo leggerissimo, quasi impercettibile. Sa quando si dice che una donna ha un’aria da strega? Superstizione, certo, sciocchezze, lo so da sola – ma lei ce l’aveva. Un’aura inquietante, che si andava a sommare allo sguardo totalmente freddo, inespressivo. Quando ballava, sembrava una statua che avesse preso vita: era in tutto e per tutto una bambolina da carillon. Era spaventoso. Una danzatrice senz’anima! Se la immagina una così a fare Sheherazade? Ricordo che dissi a Livia: dovrebbe stare su un comodino, non su un palcoscenico. La ragazza non badava a noi. Non si era presentata, non aveva rivolto la parola a nessuno, neanche un sorriso o un’espressione qualunque. Era lì per la parte. E poco prima che toccasse a me, vidi qualcosa nel suo sguardo: una specie di… come faccio a dire? Di determinazione malevola, ecco. A volte serve a qualcosa aver fatto il classico, almeno ho un po’ di proprietà di linguaggio. Morirò sola, ma circondata di tante splendide parole. Onore al beau mot. Tornando a noi, ispettore – mi scusi se le faccio perdere tempo, mi creda – toccava a me. Dopo aver incontrato i suoi occhi, mi sentivo… tesa, agitata, non mi era mai capitato di provare un’impressione simile… Un senso di freddo, una via di mezzo fra un presentimento e una specie d’angoscia. Spiccai il salto e la mia gamba destra si spezzò. Ricordo che inizialmente non avvertii alcuna pena. Sentii il suono: crack! Caracciolo ebbe un brivido. E rimasi stordita a guardare l’osso che fuoriusciva dalla carne. Poi arrivò il dolore. Lancinante, non ho mai provato una simile sofferenza fisica né prima né poi, mi creda. E niente, alla fine sono svenuta, è arrivata l’ambulanza eccetera eccetera."

    E poi? Cos’è successo?

    Oriana si alzò e si diresse verso il termosifone, evidentemente per alzare il riscaldamento. La stanza era un po’ fredda, se ne accorgeva anche senza essersi tolto il cappotto. Per la prima volta notò che l’andatura di lei era leggermente claudicante. I suoi movimenti, nonostante l’età, erano tanto aggraziati e leggeri da mascherare questo difetto. Porca puttana doveva essersi fatta una bella frattura, concluse Caracciolo, per zoppicare più di vent’anni dopo. Ecco perché ha lasciato la danza. Oriana girò la manopola del calorifero, si strinse nello scialle e lentamente tornò a sedersi.

    Quindi era esclusa dal ruolo, disse Caracciolo. Si sentì un coglione dopo averlo detto. Non riusciva a immaginare nulla di più consequenziale né di più indelicato; peraltro, lei aveva già detto che non avrebbe ballato mai più. Ho detto una cazzata, concluse. Ma lei non parve accorgersene.

    Sì. Quel pomeriggio, i provini furono sospesi in seguito all’incidente. Poi, qualche giorno dopo, mentre ero in ospedale con la gamba ingessata, i tiranti e tutto, mi chiamò Livia…

    La sua amica?

    Di nuovo quella smorfia di sofferenza. Proprio come un dolore fisico, pensò ancora Caracciolo.

    , disse lentamente, era la mia amica…

    Ops. È morta. Giornata nazionale delle gaffe, oggi, si disse l’ispettore. Non sarei dovuto venire qui, rifletté: troppo stanco. Ma quando lo muoveva la curiosità, Caracciolo non sapeva trattenersi; e in tutta questa storia, dal momento stesso in cui era cominciata, nella camera di quel ragazzino, aveva percepito qualcosa d’inedito, di sinistro. Un buon ispettore di polizia deve avere un certo fiuto: lui ce l’aveva, non glielo si poteva negare. Si tolse il cappotto. Oriana aveva alzato il riscaldamento da pochi istanti, eppure la camera gli sembrava già più calda. Forse è psicologico, pensò.

    Aveva un certo fiuto e aveva captato un odore che non conosceva. Si sentiva come quei cani che non hanno mai sentito il fetore della morte e quando si avvicinano a un cadavere uggiolano, si spaventano, si ritraggono e cominciano a girare su se stessi. Da quanto tempo aveva quella sensazione?

    Mi chiamò Livia. Voleva sapere come stavo, ovviamente… Parlammo un po’. Non ricordo cosa le dissi, non ero ancora depressa, no, come mi sarei sentita dopo… Ero più che altro stordita dagli antidolorifici. Ad esempio ricordo che la stanza intorno a me era sfocata e la voce di Livia in questa luce bianca, come se provenisse da un vetro appannato, sa com’è quando nevica?, la voce di Livia che mi dice: ‘Ho avuto la parte’. Sono certa di aver sorriso, le ho detto: ‘Puttana’… Come al solito, le dicevo sempre così quando era lei a venire scelta in un’audizione… Era uno scherzo tra amiche. Lei allora si mise a piangere, si scusava… Non gliene importava niente del ruolo, voleva solo sapere quando poteva venirmi a trovare. Ma io non sapevo cosa dirle, mi creda ispettore, fino a quel momento non avevo neppure pensato a quale fosse l’orario di visita. Era venuta solo mia madre. Era arrivata subito dopo l’ambulanza, poi aveva passato la notte con me e al mattino era andata a riposarsi; nei giorni successivi era tornata, compatibilmente con gli orari di lavoro…

    Cosa è successo dopo?

    Oriana si fece di nuovo scura.

    Dopo… È difficile da raccontare.

    Si alzò. Aveva un corpo snello, da ragazzina, pensò Caracciolo. Si vedeva che aveva ballato per tanti anni. Le gambe tornite, sode, facevano pensare più a una ventenne che a una donna di mezza età. Novantadue… Che età avrà avuto nel Novantadue? Se adesso è tra i cinquanta e i sessanta, calcolò, doveva avere non più di trent’anni. Che storia di merda, si disse. Quelli sono gli anni in cui si decide se diventi qualcuno o non diventi un cazzo. Lui era stato nominato ispettore – qualcosa nel mezzo. Sì, era diventato qualcosa, non qualcuno, ma nemmeno un cazzo, osservò mentre prendeva il bicchiere ancora mezzo pieno d’acqua ed estraeva la pillola per la pressione dalla tasca del cappotto. Oriana non lo notò, stava guardando fuori dalla finestra. Caracciolo buttò giù la pasticca con un gesto meccanico.

    Brutta storia. Scosse la testa. Ritrovarsi a trent’anni così… Per fortuna poi ha avuto le palle di fare la coreografa, pensò. Doveva essere una donna molto determinata. Invece adesso sembra così fragile…

    Dopo io non c’ero, capisce ispettore, ero sempre in ospedale, poi a casa. La trafila è durata parecchio, tra medici, lastre, controlli, antidolorifici. Sa, ho rischiato di perdere l’uso della gamba.

    Si fermò di nuovo a guardare la punta della sigaretta, stavolta come se non ne avesse mai vista una. Trattenne il fumo, poi lo fece uscire lentamente e si voltò verso l’ispettore. Era la prima volta che lo fissava da quando aveva messo piede nella stanza. Fino ad allora sembrava che stesse sempre inseguendo qualcosa con lo sguardo, al di là dei vetri, lungo le pareti, perfino sulla manopola del termosifone.

    Livia era andata a festeggiare con le nostre amiche. Di solito uscivamo la sera stessa, quando avevamo ottenuto una parte – io o lei, non faceva differenza, andavamo a bere qualcosa. Sa, era veramente importante. Non eravamo più due ragazzine, ogni volta che eravamo selezionate per un ruolo di primo piano iniziavamo a fantasticare di diventare indipendenti, vivere per conto nostro… Prenderci un appartamento insieme dividendo l’affitto e cose del genere. In realtà i soldi non bastavano, non eravamo ancora pronte per vivere di danza. Però ogni ruolo, capisce ispettore?, ogni ruolo era un passo in più, no? E così andavamo a festeggiare, con le solite amiche… Era una specie di rituale, mettiamola così. Andavamo sempre allo stesso pub, il Fairy Tale. Adesso non c’è più, prima stava in zona Lambrate…

    Lei non è di Milano, però. Non ha l’accento…

    Io? No, no! Io sono nata in Molise, ci ho vissuto soltanto per tre anni, poi ho abitato a Roma e mi sono trasferita a Milano per la danza. Mia madre è venuta a stare con me dopo che è morto mio padre. Alla fine siamo ritornate a Roma, quando ho iniziato a lavorare davvero come coreografa.

    Mi scusi, l’ho interrotta. Eravamo al pub.

    Al pub, sì, certo. Livia era giù, poverina, io ero in ospedale, non voleva festeggiare senza di me ma le altre insistevano per portarla fuori, perché l’aveva presa peggio di me. Mi creda ispettore, ci volevamo un bene… Eravamo più che sorelle. Mi chiamò la sera prima, si lamentava, diceva che volevano portarla fuori e aveva staccato il telefono. Mi ricordo ancora – qui Oriana s’interruppe quasi scoppiando nervosamente a ridere, poi la pausa si risolse in un sorriso triste che piegò rapidamente verso la smorfia di dolore che Caracciolo riconobbe ancor prima che fosse assunta dalle sue labbra – "Mi ricordo ancora cosa mi disse: ‘Ho staccato il telefono e sto guardando La cosa da un altro mondo."

    Splendido, un capolavoro.

    Sì? Pensi, io non l’ho mai visto, mi ricordo solo che lei disse così… Fu l’ultima volta che ci parlai. Le dissi: ‘Vai, esci, svagati, che senso ha restare a casa anche domani a guardare un altro di questi horror disgustosi che piacciono a te? Oltretutto sono vecchi, guardassi almeno quelli recenti andresti al cinema, potresti trovare un malato di mente come te e iniziare a uscire con lui’. Qualcosa del genere. Insomma alla fine la convinsi ad andar fuori e non me lo perdonerò mai. Seppi dopo com’era morta… Un camion, dissero, lei stava attraversando la strada… Era appena uscita dal locale, stava tornando alla macchina. Un lampione era saltato e non si vedeva bene… La prese in pieno, morta sul colpo. La mia Livia, morì sul colpo, almeno non ha sofferto. E già allora tutta la mia vita era andata in frantumi. Adesso…

    Si guardò intorno. Allargò le braccia e indicò istintivamente lo spazio che la circondava, proprio come se una bomba nucleare avesse raso al suolo l’intero paese, pensò l’ispettore. Provava una sorta di strana empatia per lei. Veniamo al dunque, si disse grattandosi la barba, altrimenti qui non ne usciamo. Anche perché gli stava salendo di nuovo quella sensazione sinistra. Stai lavorando, cazzo, pensò, se t’immedesimi è finita, lei ti racconterà ogni dettaglio della storia della sua vita e uscirai di qui che ne sai meno di prima. Perciò, ricapitoliamo.

    Ricapitoliamo. Lei ha avuto l’incidente. La sua amica – mi dispiace moltissimo, mi creda – ha perso la vita in modo… tragico, ecco. Del tutto imprevisto. Si sentì a disagio, ma proseguì. Quello che non ho capito è cosa c’entra… cioè, come si collega a…

    Per quello ci vorrà tempo, ispettore, si metta comodo.

    Oriana lo aveva interrotto in modo secco. Aveva smesso di guardarlo. Sembrava aver capito perfettamente le sue esigenze senza però poterle soddisfare.

    C’è una ragione, sa, se le racconto tutto questo. Le ho già detto che è una storia a cui lei non avrebbe creduto; l’ho invitata a non perdere tempo: lei ha insistito ed è voluto venire – non fraintenda, non mi dispiace affatto che lei sia qui, ora. Ma se pensa che abbia bisogno di sfogarmi e tirare fuori tutto perché sono una povera donna sola, si sbaglia. Io non vorrei dirle proprio niente. Odio sentire la mia voce ripercorrere tutta questa vicenda dall’inizio: non l’ho mai fatto e speravo che non mi sarebbe mai toccato farlo.

    Se l’ho messa a disagio, mi scuso, io…

    No, no, non mi fraintenda ispettore, capisco che è un bene, so che è un bene per me. E chissà, visto che ne è così convinto, forse potrà essere utile anche a lei. A rintracciarla, quantomeno, a darle la pena che merita. E a ritrovare lui… Scosse la testa, come scacciando un pensiero. Cambiò improvvisamente tono, mutando voce al punto che Caracciolo quasi ebbe un sussulto. Mi fa male, ispettore, sentire questa storia che esce dalla mia bocca, perché quando ne parlo so che è reale. Nella mia testa, nella mia… mente, i pensieri la formano, sì, ma in modo talmente… – si fermò a cercare la parola – "…talmente ondivago, che è sempre a metà fra realtà e immaginazione."

    Oriana fece un sospiro profondo.

    Quello che è, ad ogni modo… pertinente, ciò che ha a che fare con questa maledetta storia, è che fu lei ad avere la parte.

    Come sarebbe? Non ha appena detto che era stata investita?

    No. Non mi ha capito.

    Caracciolo non riusciva a intuire dove volesse arrivare, né se facesse fatica a ricostruire per via della complessità del racconto o della sofferenza che provava nel rievocarlo. Ad ogni modo, era venuto lì per apprendere di più e per ora stava comprendendo meno. Siamo al Novantadue, porca miseria, di questo passo avrebbe saputo qualcosa sugli omicidi nell’arco di tre giorni di conversazione. Era stanco. Si erano fatte quasi le sette. Fuori si era appena messo a piovere, e doveva ripassare in ufficio prima di poter finalmente tornare a casa, togliersi i calzini umidi e cenare. Sentì un brontolio nello stomaco: aveva fame. Okay, si disse, cerchiamo di vedere dove vuole andare a parare questa donna.

    No, infatti. Non credo di aver capito. Dalla posizione in cui era seduto sulla poltrona, anche lui dritto senza appoggiarsi allo schienale, si protrasse in direzione di lei, come faceva quando voleva tirar fuori da qualcuno una informazione o una confessione. Si avvicinava, così, guardandolo negli occhi. Normalmente aiutava. Lei mi ha detto che la sua amica è stata investita, giusto? E ora mi ha detto che quello che ha a che fare col caso è il fatto che lei abbia avuto la parte. Come si spiega?

    Eravamo tre, ispettore, gliel’ho già detto. Io, Livia. E l’altra.

    L’altra? Già, è vero, l’altra! Caracciolo se n’era dimenticato.

    Intende dire la sconosciuta?

    Esattamente. Me la ricordo come fosse ora. Alta, slanciata, i capelli rosso fuoco, gli occhi verdi, gli zigomi alti, le labbra grandi. Inespressiva.

    Sì, me l’ha descritta sommariamente. Adesso ricordo.

    Fu lei ad avere la parte. Una strana coincidenza, non le pare?

    L’ispettore ebbe un brivido. Aveva capito, ora stava ricollegando. Quello che gli sfuggiva era cosa avesse a che fare con il caso. Ma obbedì e si mise comodo: ci sarebbe voluto tempo.

    "Effettivamente

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