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Parapsiche
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E-book177 pagine2 ore

Parapsiche

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Fantascienza - romanzo (132 pagine) - Il viaggio questa volta non è nello spazio, tra mondi e pianeti, ma nell'inconscio collettivo della specie umana.


Per una volta niente mondi alieni, niente società esotiche, niente viaggi nello spazio. Jack Vance si avventura nel mondo del soprannaturale, ma lo fa in modo rigorosamente scientifico. Spettri, contatti con i morti, persino Dio stesso vengono spiegati con razionalità e con teorie psicanalitiche, mentre Vance va all’attacco del bigottismo e del fanatismo religioso. Non manca l’avventura e non mancano scenari affascinanti – non sarebbe Vance – come non mancano i suoi personaggi strampalati e indimenticabili. Ma questa volta all’avventura Vance unisce una ricerca, un’analisi dell’umano, dell’inconscio e dell’inconscio collettivo, degli archetipi. Un Vance particolare da non perdere.


Jack Vance (1916-2013) è stato uno dei più grandi autori di fantascienza e fantasy, e certamente tra i più amati dal pubblico. Dopo una serie di lavori di ogni genere, durante la Seconda guerra mondiale si arruola nella marina mercantile e gira il mondo. In questo periodo comincia a scrivere il ciclo della Terra Morente. Tra gli Anni cinquanta e settanta viaggia, in Europa e nel resto del mondo, traendo da queste esperienze esotiche gli spunti per i suoi romanzi: Il pianeta giganteI linguaggi di Pao, il ciclo di Durdane. Nella sua carriera ha scritto decine di romanzi di fantascienza, fantasy e gialli, per un totale di oltre sessanta libri; tra i titoli più famosi ricordiamo i cicli di Tschai, di Lyonesse, dei Principi demoni, di Alastor. Storie ricche di fascino, di personaggi indimenticabili, narrate con uno stile elegante e immaginifico.

Delos Digital in collaborazione con Spatterlight si è data l'impegno di riportare sul mercato le opere di questo grande autore.

LinguaItaliano
Data di uscita29 giu 2021
ISBN9788825416534
Parapsiche
Autore

Jack Vance

Jack Vance (richtiger Name: John Holbrook Vance) wurde am 28. August 1916 in San Francisco geboren. Er war eines der fünf Kinder von Charles Albert und Edith (Hoefler) Vance. Vance wuchs in Kalifornien auf und besuchte dort die University of California in Berkeley, wo er Bergbau, Physik und Journalismus studierte. Während des 2. Weltkriegs befuhr er die See als Matrose der US-Handelsmarine. 1946 heiratete er Norma Ingold; 1961 wurde ihr Sohn John geboren. Er arbeitete in vielen Berufen und Aushilfsjobs, bevor er Ende der 1960er Jahre hauptberuflich Schriftsteller wurde. Seine erste Kurzgeschichte, »The World-Thinker« (»Der Welten-Denker«) erschien 1945. Sein erstes Buch, »The Dying Earth« (»Die sterbende Erde«), wurde 1950 veröffentlicht. Zu Vances Hobbys gehörten Reisen, Musik und Töpferei – Themen, die sich mehr oder weniger ausgeprägt in seinen Geschichten finden. Seine Autobiografie, »This Is Me, Jack Vance! (»Gestatten, Jack Vance!«), von 2009 war das letzte von ihm geschriebene Buch. Jack Vance starb am 26. Mai 2013 in Oakland.

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    Anteprima del libro

    Parapsiche - Jack Vance

    Nota del traduttore

    Alcune righe per i doverosi ringraziamenti.

    Per prima cosa un grazie a Jack Vance e a sua moglie Norma, per aver dato a tutti noi questo stupendo racconto lungo.

    Un grazie a Koen Vyverman della casa editrice Spatterlight per avermi accordato la sua fiducia per questa traduzione.

    I più sentiti ringraziamenti a Silvio Sosio della casa editrice Delos Digital per un controllo finale in vista della pubblicazione in formato digitale e cartaceo.

    Marco Riva, Milano, 2020

    I

    – Buh! – gridò Jean Marsile, una ragazza bionda e carina di quindici anni, avvicinatasi di nascosto alla sedia dove sedeva suo padre.

    Art Marsile girò la testa con calma: – Pensavo che uscissi per un appuntamento.

    Jean lisciò le pieghe dai suoi blu jeans e accarezzò le cuciture del suo maglione azzurro:

    – Sto uscendo proprio ora.

    – Dove vai?

    – A una grigliata. Oggi è Halloween e andiamo su alla casa stregata.

    Dall'altra parte della stanza venne uno sbuffo di derisione e disprezzo, ma Jean lo ignorò.

    Art Marsile era alto, di fisico robusto come cuoio, asciutto e abbronzato dopo tanti anni passati alla luce del sole della California meridionale: guardava Jean dall’alto in basso con una severità poco convincente.

    – Quale casa stregata? – Le chiese incuriosito, mentre Jean finiva di prepararsi.

    – La vecchia casa dei Freelock.

    – E dici che è infestata.

    – Lo dicono tutti. Da quando Benjamin Freelock ha ucciso sua moglie.

    – Davvero lo dicono tutti? Qualcuno ha visto qualcosa?

    Jean annuì. – Molte persone. E i messicani che vivono in fondo alla collina dicono che ci sono luci e rumori.

    Dall'altra parte della stanza giunse una risata derisoria. – Sono uno stupido gruppo di cacasotto.

    Art Marsile rivolse una breve occhiata a Hugh, il figlio della sua prima moglie, poi guardò di nuovo Jean. – Non hai paura?

    Jean scosse la testa con calma. – Non credo a queste cose.

    – Capisco. – Art Marsile annuì pensieroso. – Con chi vai?

    – Don Berwick e… – Jean nominò le altre persone che avrebbero partecipato.

    Dall'altra parte della stanza Hugh fece di nuovo udire la sua voce piena di disgusto.

    – La chiamano una grigliata. Tutto quello che fanno è salire lassù a sbaciucchiarsi.

    Jean eseguì un impudente passo di danza. – Dobbiamo pure pomiciare da qualche parte.

    Art Marsile grugnì: – Non metterti nei guai.

    – Babbo!

    – Sei un essere umano, o no?

    – Sì, ma io, be’…

    Hugh disse: – Vanno in campagna e bevono birra.¹

    – Io no!

    – I ragazzi lo fanno.

    – Lo so che lo fanno – ringhiò Art Marsile. – E sai perché? Facevo anch’io lo stesso, e lo farei di nuovo se potessi convincere una ragazza carina a venire con me.

    – Babbo! – Gridò Jean. – Sei impertinente!

    – Probabilmente non sono peggio di Don Berwick. Quindi stai attenta.

    – Sì, papà!

    Il campanello suonò: Don Berwick, un ragazzo di diciassette anni, robusto e con le spalle quadrate entrò e trascorse alcuni minuti chiacchierando cortesemente con Art Marsile e Hugh, poi lui e Jean uscirono. Art li seguì sulla veranda. – Ascolta bene Don: niente alcolici. Non quando guidi un'auto e porti Jean in giro. Capito?

    – Sì signore.

    – Va bene. Divertitevi. – E rientrò in casa.

    Hugh era in piedi vicino alla porta, a diciotto anni era già più alto di suo padre: esile e snodato, le mani grandi come bistecche, la lunga faccia ossuta aspra e cocciuta. – Non capisco perché l'hai lasciata andare.

    – Si è giovani una volta soltanto – disse Art Marsile monotono. – Lasciamo che si diverta… Dovresti andare in giro anche tu, invece di restare in casa a lamentarti degli altri.

    – Non mi sto lamentando. Sto dicendo la verità.

    – Che cosa dovrebbe fare? – Chiese Art con voce asciutta.

    – Ha i compiti scolastici.

    – Prende sempre il massimo, non potrebbe avere voti migliori, Hugh.

    – Stasera c’è un incontro per il Rinnovamento della Fede Religiosa.

    – E tu ci vai?

    – Sì. Ci sarà il sermone di Walter Mott. È un caposcuola esemplare.

    Art Marsile tornò a sfogliare la sua rivista. – Walter Mott, l’Acchiappa-demoni.

    – Lo chiamano anche così.

    – Se ti piacciono il fuoco infernale e la dannazione – disse Art Marsile – sono affari tuoi. Io non ci andrei, e non ci lascerei andare Jean.

    – Per conto mio dovrebbe andarci, e le piacerebbe. Le farebbe del bene.

    Art Marsile guardò Hugh con stupore, una preoccupazione che era man mano aumentata nel corso degli anni. – Anche a te farebbe bene bere birra e sbaciucchiare qualche ragazza, ma non ti posso costringere. Che io sia dannato se costringo qualcuno a fare qualcosa per il suo bene.

    Hugh lasciò la stanza, ma riapparve un attimo dopo indossando dei flosci pantaloni grigi e un maglione nero con impresse delle lettere a stampatello, un ricordo di quando aveva vinto il torneo di basket. – Esco – Confermò.

    Art Marsile annuì e Hugh se ne andò. Art continuò a sfogliare la rivista, poi accese la televisione per guardare un film in differita, ma la sua mente si perdeva più sui figli che su quelle visioni passate di moda. Hugh poteva o meno essere la sua carne e il suo sangue; Jean era la figlia della sua seconda moglie. La prima se l’era filata con un musicista zoticone, poco dopo la nascita di Hugh. Art pensava che il figlio somigliasse più al musicista che a lui, ma non ne era sicuro; non aveva prove, ma aveva cercato di dare a Hugh il beneficio del dubbio. La seconda moglie era morta in un incidente automobilistico mentre tornava dal Rose Parade di Capodanno a Pasadena. Nessuno sapeva se Art avesse provato dolore. Continuò a lavorare nel suo aranceto con divorante intensità; prosperò e comprò dell’altro terreno, fece molti soldi che non si decise mai a spendere. Durante la loro adolescenza, Art li aveva trattati entrambi con estrema correttezza, anche se non riusciva a mostrare affetto per Hugh. Così aveva cercato di nascondere il suo attaccamento per Jean, che però non si era lasciata ingannare: abbracciava e baciava suo padre, gli arruffava i capelli e per lui non aveva segreti.

    Hugh viveva in un mondo diverso. Aveva giocato a basket con grande zelo, si era unito a tutte le organizzazioni della scuola, diventando un esponente di punta nella maggior parte di esse. Aveva comprato un manuale di procedure parlamentari, studiandolo con molta più diligenza dei suoi testi di matematica. A sedici anni Hugh era andato a un raduno evangelista all’aperto, e da quel momento in poi si era spento qualsiasi vincolo sentimentale con Art Marsile.

    Durante le estati Hugh lavorava nell'aranceto, dove Art gli pagava a cottimo qualsiasi lavoro, cosa che gli permetteva di guadagnare abbastanza bene perché era un lavoratore instancabile. Con quei soldi comprò un'auto e poi un altoparlante portatile: uno strumento a forma di megafono, alimentato a batteria. – Cosa diavolo ci vuoi fare con quello? – Chiese Art. Hugh guardò lo strumento come se lo vedesse per la prima volta. Fece un elenco dei possibili usi ai quali sarebbe stato destinato: chiamate dall’aranceto, emergenze e soccorsi, annunci alle partite di basket, parlare con le persone in generale. Art gli chiese che l'attrezzo non fosse impiegato per rivolgersi a lui, né tanto meno usato a tavola per le parole di ringraziamento, un'innovazione che Hugh aveva recentemente introdotto e che Art tollerava con poca pazienza. Jean era meno condiscendente e prendeva in giro Hugh senza pietà, finché Art non la tranquillizzò. – Se sente di voler ringraziare per il cibo, sono affari suoi.

    – Perché allora non può ringraziare se stesso? Dio non ha bisogno di essere ringraziato ogni volta che mangiamo.

    – Sei irriverente – Osservò Hugh.

    – Non è vero. Ha senso, invece. Se Dio non ci avesse creato come animali affamati, non avremmo bisogno di mangiare. Perché dovremmo esprimere gratitudine per qualcosa necessaria a farci rimanere in vita? Non diciamo grazie ogni volta che respiriamo.

    Art li lasciava litigare: perché interrompere una pacifica discussione? Era convinto che ognuno dovesse imparare a sbrigarsela da solo. Ogni tanto quell’argomento veniva ripreso e la crescente religiosità di Hugh si scontrò con lo scetticismo di Jean. Art teneva per sé le sue idee, intervenendo solo quando la discussione minacciava di degenerare in insulti. E oggi era Halloween: Hugh era andato a un convegno religioso e Jean a una grigliata in una casa stregata.

    Art si aspettava che Jean tornasse a casa verso mezzanotte, ma lei irruppe in casa alle undici, con gli occhi che le brillavano per l'eccitazione. – Papà! Abbiamo visto un fantasma!

    Art spense la televisione e si alzò in piedi.

    – Non pensare che ti stia prendendo in giro! L'abbiamo visto davvero! Tanto da vicino quanto lo siamo io e te adesso!

    Don Berwick si fece avanti. – È vero, signor Marsile!

    – Ragazzi avete bevuto? – Domandò Art sospettoso.

    – Nossignore! – Disse Don. – Le avevo promesso che non lo avremmo fatto.

    – Vi credo. Ma allora cosa è successo?

    Jean spiegò che avevano guidato su per Indian Hill fino alla casa dei Freelock, una desolata catapecchia logorata dal tempo, racchiusa tra cipressi e cedri trascurati, con le porte pendenti dai cardini e le finestre rotte. La prima idea era stata di accendere un fuoco nel camino, ma l'interno della casa era così sporco e sgradevole che tutte le ragazze si erano opposte. Il fuoco era stato acceso nel cortile della casa, sull’unica zona di ghiaia spoglia di erbacce. Le provviste erano state scaricate, le ragazze avevano steso le coperte ed erano iniziati i preparativi per la grigliata.

    Jean ricordò le circostanze dell’omicidio di allora: un crimine orribile oltre ogni dubbio. Benjamin Freelock, un vecchio di sessant'anni, sospettava che la giovane moglie ventottenne se la facesse con suo nipote. Così l’aveva imbavagliata e appesa per i polsi a una trave nel soggiorno, poi aveva portato lì anche il cadavere del nipote, appendendolo a due metri di fronte a lei. Li aveva denudati entrambi e poi era uscito per svolgere il proprio lavoro come agente immobiliare. Dopo due giorni aveva rianimato la moglie a malapena cosciente, chiedendole se fosse pronta a confessare, ma lei non era in grado di parlare in modo coerente. Così le aveva versato addosso del cherosene, le aveva dato fuoco e se ne era uscito di nuovo.

    La casa fumava e bruciava, ma senza incendiarsi. Un messicano che viveva in una baracca a cento metri lungo la strada aveva chiamato i pompieri. Freelock era stato arrestato, aveva confessato in modo lucido e dettagliato, e in seguito era morto in un manicomio per pazzi criminali.

    Il fatto era avvenuto cinque anni prima. La casa era poi stata abbandonata e, di fatto, la gente la considerava infestata. Jean aveva descritto tutti i resoconti con molta precisione. Il gruppo era allegro e faceva baldoria invitando i fantasmi alla festa: a prima vista sembravano tutti incuranti e disattenti, ma psicologicamente elettrizzati dall'aspetto spettrale della casa e dal ricordo del macabro omicidio. Jean aveva poi notato lo sfarfallio di una luce rossastra alla finestra del soggiorno. Aveva supposto che fosse un riflesso del fuoco, e quindi aveva osservato con più attenzione, ma non c'erano vetri alle finestre. Anche gli altri se ne erano accorti e le ragazze avevano cominciato a strillare e gridare. Si erano alzati tutti in piedi. All'interno del soggiorno, ben visibile e avvolto dalle fiamme, pendeva un corpo che si contorceva e si dimenava. E si sentivano dei singhiozzi angosciati e strazianti provenire dall’interno.

    A quel punto Art sbuffò. – Qualcuno vi stava facendo uno scherzo.

    – No, no! – Protestarono Jean e Don.

    – Non siamo così stupidi – disse Jean indignata. – Ammetto che Betty Hall e Peggy erano isteriche, e Johnny Palgrave non

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