Il coraggio di vincere
Di Alice Bassi
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Info su questo ebook
Narrativa - racconto lungo (50 pagine) - Due sorelle. Due nazioni divise dal Muro. Amburgo, 22 giugno 1974: il Calcio incontra la Storia.
Sullo sfondo di una Germania divisa, tutti, a est come a ovest, attendono con trepidazione il girone eliminatorio dei mondiali che si svolgerà ad Amburgo il 22 giugno 1974: Germania Ovest contro Germania Est, un incontro pesantissimo dal punto di vista politico. Hanna, una ragazza emarginata di Berlino Ovest, sogna la partita da settimane, nella speranza di incontrare dal vivo Franz Beckenbauer, il suo grande eroe, con cui intrattiene conversazioni immaginarie sul calcio e sulla vita. Anche Uwe, sua sorella maggiore, freme per partire per Amburgo, ma per ben altri motivi: quella è l'unica speranza di incontrare l'uomo che ama, un ragazzo dell'Est che ha sacrificato tutto pur di ottenere un visto speciale per assistere alla partita.
Due realtà e due urgenze che, come le due Germanie, finiscono per scontrarsi, mentre sotto il cielo di Amburgo la nazionale dei campioni affronta la squadra di misconosciuti e semi-dilettanti della DDR in una partita che resterà incisa, indelebile, nella carne e nella pietra della storia del calcio.
Alice Bassi è nata a La Spezia nove mesi dopo l’esplosione della centrale nucleare di Chernobyl e questo spiega gran parte delle sue stranezze. Formatasi nei corsi di editing e scrittura di Francesca de Lena e Michele Vaccari, insegna scrittura creativa e lavora come editor.
Una versione del suo primo romanzo attualmente inedito, W., allora intitolato Il canto delle voci perdute, è stata finalista al Premio Neri Pozza 2015. Ha pubblicato vari racconti in antologie sia di narrativa che di genere (Edizioni della Sera, Watson Edizioni, Delos Books, Moscabianca Edizioni) e su riviste e blog letterari (Il rifugio dell’ircocervo, Split, Crack, Narrandom). Nel 2020, Che Dio vi benedica è stato uno dei racconti segnalati dalla giuria del Premio Robot.
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Anteprima del libro
Il coraggio di vincere - Alice Bassi
1
Aveva già visto quel volto da qualche parte. Capelli taglio mullet, pelle azzurra, occhi bicromi da alieno. E la saetta rossa, quella che gli spaccava la faccia a metà come una cicatrice.
– Piace anche a te? – domandò il medico. – Io non vado pazzo per il genere, ma Space oddity è poesia. Secondo me quel ragazzo farà successo.
Hanna si girò a fissarlo. Quel volto era molto meno interessante. – Chi?
Il dottore inarcò le sopracciglia grigie e spettinate, ma non alzò lo sguardo dal gesso che stava esaminando. – Come, chi? Ziggy. Il Duca bianco. Pensavo fossi una fan.
– Quella è sua sorella – s’intromise suo padre. Hanna lo sentì piazzarle la mano sulla spalla. Era grossa quanto la zampa di un orso. – Qui abbiamo un’appassionata di calcio. Domattina ci sono le selezioni, sai? Hanna sarà la prossima stella dell’Hertha Berlino.
Il medico fece un fischio ammirato e lei sorrise, sentendosi pervadere da un piacevole calore. Ondeggiò con le gambe, guardandosi attorno. Lo studio del dottor Fuchs non somigliava agli altri ambulatori in cui era stata nell’ultimo mese. In genere, in quelli c’era un odore pungente di disinfettante e unguenti grassi che puzzavano di erbe, per non parlare delle pareti di un bianco isterico, stile istituto psichiatrico. Lì, invece, era difficile scorgere un pezzetto di muro immacolato. Fuchs, che sarebbe andato d’accordo con sua sorella, l’aveva tappezzato di poster, fotografie di viaggi esotici, cartoline, quadri chiassosi e locandine d’antan di pellicole di successo. La sua preferita raffigurava una donna egiziana bellissima, con un vestito giallo e gli occhi truccati di nero. Dietro di lei, due cavalieri in armatura la contemplavano con bramosia, ma lei guardava lontano, verso un qualche misterioso altrove.
Hanna cercò d’imitarla, spingendo lo sguardo verso la finestra. Da lì si godeva di una vista a strapiombo sulla Sprea. In lontananza, il blu fondente del fiume rifletteva le torri in mattoni dell’Oberbaumbrücke. Allungando il collo, poté scorgere il rettangolo bianco a lettere nere che segnalava la fine del settore americano.
– Bene, vediamo… – borbottò il dottore, tastandole il gomito, poi la parte superiore del braccio. – Qui senti male?
– No.
Sentì i polpastrelli scendere sopra il bordo del gesso. Hanna resistette all’impulso di grattarsi. Poi, Fuchs infilò un dito tra la pelle e la medicazione e premette. L’urlo fu istintivo, come il calcio destro che tirò in aria. Il medico si scansò appena in tempo.
– Qualcosa non va? – chiese suo padre.
Fuchs si adagiò contro lo schienale, sospirando. Hanna, con il braccio schiacciato contro lo stomaco, vide il suo sguardo mutare in quello con cui i medici ti comunicano qualcosa di brutto, tipo che il braccio che ti sei rotta in uno stupido incidente automobilistico un mese prima delle selezioni più importanti della tua vita non è ancora guarito. Un filo di terrore minacciò di spappolarle gli intestini.
Il medico giunse le mani, riflettendo un momento, poi pronunciò tre parole: – Non ci siamo.
Il filo gelido si strinse. Hanna scosse la testa con forza, spingendo il braccio ingessato verso di lui. – No, riprovi. Non avevo veramente dolore. Era l’effetto del solletico. Il gesso prude.
Fuchs rimase immobile. – Signorina Lorenz…
– Le ho detto che ho finto! Lo giuro. Lo rifaccia. Per favore!
La mano di suo padre le serrò la spalla. Hanna pensò ai cavalieri in armatura dietro Liz Taylor sulla locandina di Cleopatra
e abbassò gli occhi lucidi sul gesso. Puzzava di sudore e le scritte di chi lo aveva firmato avevano iniziato a scrostarsi. La mano che ne usciva era fredda, violacea, come se non appartenesse a lei. Di colpo, si sentì bruttissima.
– Ne sei sicuro, Theodor? – chiese suo padre sopra di lei. – Avevi detto un mese. Domani è una giornata importante per Hanna. Non potresti metterle una fasciatura leggera o roba simile?
L’altro esitò, poi si alzò e si spostò alla scrivania. Hanna lo sentì strappare un foglio dal blocchetto.
– Vorrei, Patrick. Ma, se le bendassi il braccio con roba simile – disse Fuchs, pronunciando quelle parole come avessero un’inclinazione tutta loro – la frattura non si rinsalderebbe a dovere. Ciò significherebbe che, alla prima partita, basterebbe una spallata per mettere Hanna fuori gioco per mesi. Non l’inizio di carriera ideale che desideriamo per lei, non ti sembra?
– Beckenbauer ha giocato anche con la spalla rotta – grugnì Hanna.
– Sì, ma tu non sei Beckenbauer. E una selezione giovanile non è Messico ’70.
Quelle parole rimbombarono dentro di lei in un terremoto, poi le franarono addosso come il Muro di Berlino. E sotto le macerie non c’era ossigeno. Solo dolore. Le voci di suo padre e del medico che discutevano si affievolirono mentre lei, come un automa,