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Hitchcock: Il prurito della pistola
Hitchcock: Il prurito della pistola
Hitchcock: Il prurito della pistola
E-book325 pagine5 ore

Hitchcock: Il prurito della pistola

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Info su questo ebook

Questo libro rivisita la filmografia di Hitchcock alla luce dei più aggiornati orientamenti critici, ma torna pure a esplorare in dettaglio i meccanismi formali del suo thriller, e ridiscute le strategie ideologiche dovute prima alla paura per il nazismo, poi alla Guerra fredda, che si risolvono in trame nelle quali l’uomo qualunque, scagliato in una vicenda che non lo riguarda, finisce per dare il suo contributo alla difesa della libertà.
Si dice che in Hitchcock un omicidio sembra quasi un rapporto erotico, e proprio dal “prurito” del sesso prende il via il percorso analitico di Franco Marucci, che riesamina le molteplici occasioni hitchcockiane – scenette, gag, pantomime, episodi di voyeurismo e feticismo – in cui l’eros affiora e si manifesta. Un percorso che convoglia l’interesse del regista per la psicanalisi, tante volte utilizzata per elementi portanti della sceneggiatura, nonché il suo cattolicesimo di nascita, che spiega le implicazioni religiose e persino teologiche ricorrenti nel suo cinema. Chiude il volume una specifica analisi di cinque film, visti come emblematici nella carriera di Hitchcock: Number SeventeenSabotageThe Trouble with HarryRear Window e The Birds.
LinguaItaliano
Data di uscita14 lug 2021
ISBN9788887007909
Hitchcock: Il prurito della pistola

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    Anteprima del libro

    Hitchcock - Franco Marucci

    Hitchcock, Il prurito della pistola

    Franco Marucci

    Abbreviazioni

    Rinuncio ad apporre una bibliografia anche selettiva degli studi su Hitchcock, ormai sterminata. Qui sotto sono alcuni titoli di più frequente consultazione, citati nel libro per cognome dell’autore e numero di pagina.

    Ackroyd = P. Ackroyd, Alfred Hitchcock: A Brief Life, New York, London, Toronto, Sidney, Auckland 2015.

    Humphries= P. Humphries, T he Films of Alfred Hitchcock , Greenwich, CT 1986.

    Modleski= T. Modleski, The Women Who Knew Too Much: Hitchcock and Feminist Theory , New York 1988.

    Paglia= C. Paglia, The Birds , London 1998 e (ed. qui citata) 2020.

    Russell Taylor= J. Russell Taylor, The Life and Times of Alfred Hitchcock, New York 1980.

    Spoto= D. Spoto, The Dark Side of Genius: The Life of Alfred Hitchcock, Boston e Toronto 1983.

    Truffaut= F. Truffaut, Hitchcock, New York 1967, trad. inglese di Le cinéma selon Hitchcock, Paris 1966.

    Walker= M. Walker, Hitchcock’s Motifs, Amsterdam 2005.

    Wood= R. Wood, Hitchcock’s Films Revisited, New York 1989

    Filmografia di Hitchcock

    I film di Hitchcock, cui sono stati dati titoli italiani spesso approssimativi, spropositati o anche privi di senso, saranno di seguito citati con il solo titolo inglese, e senza ripeterne le date, secondo la tavola che segue (in parentesi quello italiano corrente). Non vi figurano i film televisivi, che non sono trattati nel presente libro.

    The Pleasure Garden (Il labirinto delle passioni),1927

    The Mountain Eagle (L’aquila della montagna),1927

    The Lodger: A Story of the London Fog

    (Il pensionante: una storia di nebbia londinese), 1927

    Downhill (La caduta), 1927

    Easy Virtue (Facili costumi), 1927

    The Ring (Vinci per me), 1927

    The Farmer’s Wife (La moglie del fattore), 1928

    Champagne (Tabarin di lusso), 1928

    The Manxman (L’isola del peccato), 1929

    Blackmail (Ricatto), 1929

    Juno and the Paycock (Giunone e il pavone), 1930

    Murder! (Assassinio!), 1930

    The Skin Game (Fiamma d’amore), 1931

    Rich and Strange (Ricco e strano), 1932

    Number Seventeen (Numero diciassette), 1932

    Waltzes from Vienna (Vienna di Strauss), 1933

    The Man Who Knew Too Much

    (L’uomo che sapeva troppo), 1934

    The 39 Steps (Il club dei Trentanove), 1935

    Secret Agent (Amore e mistero o L’agente segreto), 1936

    Sabotage (Sabotaggio), 1936

    Young and Innocent (Giovane e innocente), 1938

    The Lady Vanishes (La signora scompare), 1938

    Jamaica Inn (La taverna della Giamaica), 1939

    Rebecca (Rebecca, la prima moglie), 1940

    Foreign Correspondent (Il prigioniero di Amsterdam), 1940

    Mr. and Mrs. Smith (Il signore e la signora Smith), 1941

    Suspicion (Il sospetto), 1941

    Saboteur (Sabotatori o Danger), 1942

    S hadow of a Doubt (L’ombra del dubbio), 1943

    Lifeboat (I prigionieri dell’oceano), 1944

    Spellbound (Io ti salverò), 1945

    Notorious (Notorius, l’amante perduta), 1946

    The Paradine Case (Il caso Paradine), 1947

    Rope (Nodo alla gola o Cocktail per un cadavere), 1948

    Under Capricorn

    (Il peccato di Lady Considine o Sotto il Capricorno), 1949

    Stage Fright (Paura in palcoscenico), 1950

    Strangers on a Train (L’altro uomo o Delitto per delitto), 1951

    I Confess (Io confesso), 1953

    Dial M for Murder (Il delitto perfetto), 1954

    Rear Window (La finestra sul cortile), 1954

    To Catch a Thief (Caccia al ladro),1955

    The Trouble with Harry (La congiura degli innocenti) ,1955

    The Man Who Knew Too Much (L’uomo che sapeva troppo),1956

    The Wrong Man (Il ladro),1956

    Vertigo (La donna che visse due volte), 1958

    North by Northwest (Intrigo internazionale),1959

    Psycho (Psyco), 1960

    The Birds (Gli uccelli), 1963

    Marnie (Marnie), 1964

    Torn Curtain (Il sipario strappato), 1966

    Topaz (Topaz), 1969

    Frenzy (Frenzy), 1972

    Family Plot (Complotto di famiglia), 1976

    1.Itch-cock

    Togliendo la prima lettera al cognome bisillabo Hitchcock, e inserendo una lineetta separatrice fra le due sillabe così ottenute, si arriva a distaccarne due termini che per una inaspettata coincidenza costituiscono due parole chiave – due nomina omina, o una mise en abyme – della filmografia del regista. Hitchcock era chiamato amichevolmente Hitch dai conoscenti, e così anche familiarmente dalle stesse maestranze dei film e dagli attori e dalle attrici, ma questa parola hitch, pur esistente in inglese, non sprigiona suggestioni pertinenti nemmeno secondo le più forzate e remote allusioni. Itch significa invece quasi esclusivamente prurito, e cock ha tre significati basilari molto diversi tra loro ma tutti in vario grado interagenti e allusivi. Il primo per gerarchia semantica è gallo , ed entra in gioco in virtù di sfumature semantiche o antonomasie che indico sotto. Il secondo significato è quello che più designa per sineddoche una qualità precipua del cinema di Hitchcock: il cane, ovvero martelletto o grilletto delle pistole di vecchio tipo. La rosa allusiva di itch-cock si può allargare ricordando il terzo significato del termine cock, la designazione volgare e gergale del membro virile. Ma anche gallo ha una sfumatura sessuale, almeno in italiano. E come spiegherò sotto, Cocky era il soprannome di Hitchcock a scuola, che derivando da gallo nella sua accezione più anodina gli era stato dato dai compagni e significa lo spavaldo, o lo sfacciato. Una delle linee guida della mia ermeneutica nel presente libro è quella appunto del cinema di Hitchcock come prurito: prurito del cane nel senso che i suoi film sono thriller nei quali si preme spesso il grilletto della pistola; ma nei quali, anche e soprattutto, i personaggi provano il prurito del sesso. Naturalmente in questo sottosenso quasi tutto il cinema mondiale è sin dai suoi albori, e per antonomasia, una casistica di premiture del grilletto sessuale. E Hitchcock non sta tutto o solo, sebbene molto, in questo.

    L’opera di ogni grande artista forma solitamente un macrotesto, e quella di Hitchcock, che consta di 53 film in totale, lo è puntualmente. Pochi sono i suoi film di apprendistato, alcuni di essi appartenenti al periodo del muto; e alcuni di essi sono indubbiamente fuori schema o paiono dei vicoli apparentemente ciechi, se non fosse che per qualche elemento si possono poi ricondurre ugualmente dentro all’alveo. Dunque il cinema di Hitchcock è leggibile come un unico, unitario Testo filmico, come una rete di relazioni, una vasta intelaiatura, un sistema di temi e motivi con variazioni. Ciò fa sì che la filmografia hitchcockiana, la cui durata è di mezzo secolo, non registri vere e proprie cesure, e che l’inizio è per così dire la sua fine (come vedremo), e il muto, soprattutto, si ricollega strettamente al sonoro e ne è una preparazione. Affermava Hitchcock a Truffaut, a tal proposito, che i film muti sono la forma più pura di cinema (Truffaut, p. 42), lamentando il cambiamento che il suono ha portato con sé, e che la conseguenza del sonoro fosse stata un impoverimento dell’arte di rappresentare la vita esclusivamente attraverso le immagini ( Alfred Hitchcock on Film Production, articolo di Hitchcock per la xiv edizione della Encyclopædia Britannica). Con l’avvento del dialogo il cinema aveva assunto nottetempo una forma teatrale (Truffaut, p. 43). Hitchcock ha sempre rimpianto che il sonoro avesse causato la fine di un cinema inteso come pura visualità. Il suo cinema si fa esaminare dunque a seconda di una simile tessitura di cellule evenemenziali e come una partitura musicale leitmotivica. Sarà questa la procedura qui adottata, evitando l’invalsa, ma in questo caso assai noiosa e monotona schedatura dei film nella loro successione cronologica, salvo il caso di alcuni film hapax che dovrò esaminare a parte in virtù della straordinaria integrazione dei loro livelli di senso.

    Ciò non toglie l’utilità e la necessità almeno orientativa di periodizzare l’opera di Hitchcock. Un primo e macroscopico spartiacque è dunque quello tra una prima fase di cinema muto che si estende fino alla fine degli anni Venti e una seconda di film sonori. Un secondo è cronologico, adottando la seconda guerra mondiale come linea separatrice. Un terzo è quello dei film in bianco e nero e dei film a colori. Per un breve lasso di tempo i film in bianco e nero si alternarono a quelli a colori; nessun altro in bianco e nero fu girato dopo il 1960. Una quarta distinzione è tra commedie e thriller. Le commedie pure senza elementi thriller sono molto rare, e tuttavia Hitchcock è estremamente abile nel mescolare al thriller sketch umoristici e persino comici che improvvisamente producono nello spettatore un senso di alienazione brechtiana, rendendolo consapevole che dopo tutto quello che guarda è solo un film – una battuta, questa, che spesso Hitchcock rivolgeva agli attori e alle attrici che si angosciavano per non aver recitato abbastanza bene una scena o un ruolo. Tali gag precludono l’immedesimazione dello spettatore nella trama e per un momento diminuiscono la tensione del montaggio, ovverosia la suspense. Oppure questi elementi ludici costituiscono una sorta di contrappunto all’azione principale. Un’ultima scansione possibile è quella tra i rari film storici (ambientati nel passato o in un certo passato), film ambientati nella contemporaneità, film che potrebbero anche essere definiti instant e film addirittura fantascientifici e fantasmagorie del futuro, come The Birds . Notorious inizia inquadrando la data del 24 aprile 1946, lo stesso anno in cui è stato prodotto il film, e in The Paradine Case, del 1947, l’omicidio del colonnello omonimo è avvenuto il 6 maggio 1946. I film politici e spionistici formano a loro volta un reparto a se stante. Inscenano complotti orditi dalle potenze totalitarie e sventati da quelle democratiche, con la celebrazione dell’Inghilterra e soprattutto degli Stati Uniti come baluardi delle libertà, sempre vittoriose sulle forze disgregatrici. Frenzy fu invece definito dai critici al suo apparire, non senza ragione, un film inattuale e anacronistico che metteva in scena una Londra e un’ Inghilterra che non esistevano più: Hitchcock tornava dopo decenni a girare una trama inglese e londinese, ma con l’illusione di trovarsi ancora in quell’ambiente nativo che aveva lasciato decenni prima.

    Questo mio libro si inserisce, ma con radicali distinguo e anzi imprescindibili dissensi, nella linea che va da Demonsablon a Wood, Redottée e Walker. Wood e Walker formano una staffetta e il secondo è una filiazione del primo portandone alle estreme conseguenze i presupposti. Ma i loro libri finiscono per essere ben diversi. Uscito nel 1956 su Cahiers du cinéma, Lexique mythologique pour l’œuvre de Hitchcock di Philippe Demonsablon elenca ed esamina venti motivi nella filmografia hitchcockiana sino alla sua data: i gioielli, i cani e i gatti, le cadute, le chiavi, i coltelli, i lampi di luce, i bambini, i contesti geografici, le bevande, gli occhiali, le mani, le manette, le uova, le ombre, i quadri, i telefoni, il teatro, i treni, i travestimenti. Il tedesco Hartmut W. Redottée è l’autore del saggio Leid-Motive: Das Universum des Alfred Hitchcock, in Obsessionen: Die Alptraum-Fabrik des Alfred Hitchcock, a cura di S. Lenk (Marburg 2000). Altri motivi sono estratti dalla filmografia hitchcockiana da Redottée, come la minaccia dell’abisso, le scale, la casa misteriosa, le ombre delle sbarre, le gabbie, i colori, i baci, le madri, i simboli e i luoghi iconici, gli animali, l’uso delle mappe. Più ampia e analitica è la discussione che in Demonsablon, ma a quella data del 2000 le conclusioni di Redottée erano ormai scontate. Dice per esempio il critico che le case sono protettive ma anche minacciose; o che i baci sono la testimonianza di un bisogno di felicità ma anche tradiscono la precarietà dell’amore. Molto più ampia è la rosa dei motivi elencati e chiosati succintamente nelle enciclopedie hitchcockiane, come in quella a cura di Thomas Leitch, The Encyclopedia of Alfred Hitchcock (New York 2002) alla voce ‘themes, motifs and topics of general interest’. I libri di Wood e Walker sono viceversa due volumi che sfiorano il primo le quattrocento e il secondo le cinquecento pagine.

    Nel 1989 Robin Wood notava orgoglioso che il suo Hitchcock’s Films del 1965 era ancora ritenuto il miglior libro scritto su Hitchcock; ed è infatti unanime il consenso che lo circonda. Il libro dello stesso Wood del 1989 diventa invece uno zibaldone. Unisce due libri, quello intatto del 1965, che esamina solo i film americani fino alla sua data seguendone la cronologia nella forma classica della parafrasi commentata, e un secondo di rivisitazioni, in cui il critico ritorna sui suoi passi e integra o corregge il precedente. Questo libro del 1989 è inoltre aperto da un’introduzione all’introduzione del 1965, e in mezzo sta una retrospettiva del 1977 che chiarisce l’evoluzione del pensiero cinematografico dello studioso sino a quella data. Nel 1965 Wood contempera a grandi linee la procedura motivica con l’analisi a tutto tondo dei film nei quali i motivi trascelti compaiono. La filmografia è suddivisa in storie o generi che corrispondono sostanzialmente alla mia ripartizione del canone hitchockiano (Wood, p. 241). Le schedature del 1965 sono acute e approfondite esegesi condotte con gli strumenti appropriati della psicologia e, dove occorre ed è invocata dai testi filmici, della psicanalisi. La prefazione di apertura del 1989 enuclea dettagliatamente l’estetica filmica di Wood sottolineando il suo netto disaccordo, intervenuto a quel tempo, con le teorie della morte dell’autore e con alcune correnti del poststrutturalismo, anche se non con altre. Sembra di leggere gli assunti di un’estetica di retroguardia quando Wood inneggia al magistero di un critico – letterario, non cinematografico, si badi – usualmente demolito e maltrattato come F. R. Leavis; e Wood si diffonde per varie pagine in un’aspra contestazione di Roland Barthes e mette bene in chiaro, ineccepibilmente, che c’è stato un regista chiamato Alfred Hitchcock che nel corso di una lunga carriera ha esercitato un notevole controllo sui suoi film in tutte le fasi del loro concepimento e della loro realizzazione (Wood, p. 20). Wood afferma perciò energicamente l’unità e l’organicità di un film, film che si può spezzare nei suoi motivi e nelle sue cellule diegetiche ma che va rimontato per vederne la sua unitaria portata estetica ed espressiva e la relazionalità di ogni suo elemento (Wood, p. 64). Come dicevo, con la sua seconda parte il libro risulta una serie di saggi slegati, lievemente prolissi e anche divaganti che non sono più strettamente di analisi di opere di Hitchcock ma di teoria critica filmica, soprattutto freudiana ma con innegabili e riconoscibili venature foucaultiane e di gender e queer studies. Una certa, eclettica e disordinata schizofrenia domina sovrana. Avendo insistito sui limiti della psicanalisi lacaniana e dichiarato costrittivo l’approccio psicanalitico, Wood di fatto rasenta la diserzione nel campo avversario. Si possono appoggiare le teorie femministe respingendo Lacan e Foucault? Nelle ultime pagine del libro Wood si confessa touché dalle critiche rivolte a lui e al suo femminismo maschile nel pur splendido libro di Tania Modleski (Wood, p. 371), intitolato The Women Who Knew Too Much: Hitchcock and Feminist Theory (New York 1988).

    A sua volta splendido, irripetibile, epocale è il libro di Michael Walker del 2005, Hitchcock’s Motifs. Procedere oltre, e dire di più sulla motivica di Hitchcock parrebbe impossibile. Avendo impiegato vari anni per stenderlo, Walker setaccia tutta la bibliografia hitchcockiana disponibile fino ad allora, anche se, come sempre succede nei libri scritti dagli anglofoni, solo quelle francese e tedesca sono vagliate fra le non inglesi, e nessuna voce di quella italiana – poniamo, benché tutto sommato esigua, al confronto, e di non eccelso valore e spessore – è presa in considerazione. Ogni motivo prelevato ed elencato viene localizzato nei singoli film con analisi a tappeto svolte impugnando la lente di ingrandimento e azionando il rallentatore. Esegesi sottili e capillari sviscerano funzioni e suggestioni sotterranee in ciascuna apparizione del motivo in tutta la filmografia. Alcuni limiti finiscono però per ridimensionare l’eccellenza di questo libro di Walker. L’utilissimo smontaggio di tutti i film hitchcockiani in base ai vari motivi, benché poi sempre incompleto, distrugge l’unità espressiva, semantica, simbolica e semiosica del film stesso, e non procede a una verifica dei modi in cui i motivi si coagulano e si fondono – anziché essere motivi isolati e avulsi – con altre componenti non motiviche, e quindi diverse e volta per volta uniche, concorrendo alla semiosi del film stesso. E comunque esaurire tutta la motivica hitchcockiana si dimostra impossibile, perché la definizione di motivo è troppo vaga e bisognerebbe scendere all’identificazione di cellule diegetiche o visuali o oggettuali ancora più piccole. Un dizionario completo dei motivi è insomma di là da venire, perché è alla fin fine soggettivo il concetto di motivo. Walker (p. 17) è giustamente consapevole della differenza sia pure di lana caprina tra tema (un astratto) e motivo (denotato da nomi concreti). Peraltro, non solo Walker non elenca motivi che ad altri possono risultare detentori di senso e costituire un campo semantico, ma sorvola su altri che paiono francamente capitali perché su di essi si imperniano svariati film. Mancano in Walker, per esempio e per fare solo qualche nome, le catene motiviche della frutta (l’uva, le mele), degli utensili femminili come le macchine da cucire, degli sport, dei contesti geografici, del circo e del baraccone. Avendo incluso e discusso ampiamente il motivo dei ritratti e dei pittori (pp. 319-334) Walker salta flagrantemente il motivo della musica e dei musicisti. Pianisti e/o pianisti cantanti sono l’omicida di Alice in Blackmail, il pianista cieco di Saboteur, Maddalena Paradine, Philip di Rope, l’inquilino scapolo di Rear Window, Melanie di The Birds, la figlia di Kusenov in Topaz. Un organista è in Secret Agent, un musicologo in The Lady Vanishes, un contrabbassista in The Wrong Man. Waltzes from Vienna è da cima a fondo su Strauss il giovane. E lo scioglimento nella seconda versione di The Man Who Knew Too Much si deve a Jo McKenna che canta al piano Que sera, sera. In realtà il limite maggiore del libro di Walker è un eccessivo, invadente freudismo. A lungo andare le sue analisi motiviche portano invariabilmente alla luce conflitti edipici, agoni del superio e dell’io, complessi di castrazione, denunce del sistema patriarcale e della soggezione della donna e soprattutto implicazioni omosessuali, come se Hitchcock avesse sempre in testa solo questo. Beninteso svariate esegesi di Walker lasciano folgorati per la loro acuzie, mentre altre sono catene di illazioni che poggiano a loro volta su precedenti, arbitrarie e fantasiose illazioni.

    Camille Paglia ha poi fatto nel 1998 con The Birds lo stesso tipo di lavoro di Walker nel 2005, non citato peraltro nella ristampa del suo libro nel 2020. La medesima, accanita acribia è infatti applicata a un solo film nel quale, confermando implicitamente la costruzione altamente motivica del macrotesto hitchcockiano, quasi tutti i film precedenti e anche successivi convergono e dal quale si diramano per spunti, analogie, echi, presentimenti, associazioni. Paglia scrive di fatto, sorprendentemente, un libro di impostazione non dico arcaica, ma tradizionale e ligia ai canoni della prassi accademica. È come la curatrice dell’edizione critica di un’opera greca o latina, o moderna, che ne necessita. The Birds, lontanamente un titolo aristofanesco, è studiato in un piccolo prologo a partire dalla nascita della sua prima idea, dalla fonte che vi sta dietro, dall’approntamento della sceneggiatura, dalla scelta dell’ambientazione e del casting, dalle circostanze e difficoltà della filmazione, come quelle pratiche incontrate nell’addomesticare uccelli veri, e dal ricorso agli effetti speciali. Esaurita la ricognizione di questa fase istruttoria, seguono una novantina di pagine di fittissima esegesi, le quali sono davvero tante perché le recensioni dei film hitchcockiani anche notevolmente complessi in libri e riviste non superano di norma le dieci-quindici pagine, eccettuati in caso Psycho, Vertigo e Rear Window. Quando Paglia comincia ad affrontare la scena di apertura di The Birds prende proprio il via una tradizionale parafrasi commentata che si chiuderà con l’elencazione dei titoli di coda. La premessa di queste e altre esegesi così capillari e lenticolari dei film di Hitchcock si ricava da una nota a piè di pagina, la 21 alle pagine 102-103, dove viene citata l’affermazione del direttore artistico Robert Boyle: [In Hitchcock] ogni inquadratura ha un significato, e deve esser messa in relazione con tutte le altre, e non ce n’è nessuna che va sprecata. Paglia segue scrupolosamente questa implicita disposizione procedurale in un libro che assomiglia al commento, verso per verso e spesso parola per parola, di una grande opera poetica, prosastica o drammatica come la Divina Commedia o Hamlet di Shakespeare. The Birds è analizzato mentre si dipana, non scena per scena ma addirittura inquadratura per inquadratura, mettendo abilmente in luce come ognuna di esse abbia una precisa necessità semantica o simbolica momentanea interna, e soprattutto sprigioni una rosa di remote, sotterranee, a volte impensabili suggestioni. Hitchcock ci si rivela ancora una volta, con Paglia, un regista che ha un piano diegetico manifesto ma dotato di una segnaletica nascosta. L’obiezione sta proprio qui: il lettore, come nel libro di Walker, complimenta l’esegeta per il suo acume, ma non può non dubitare di alcune speculazioni come dire dietrologiche, peraltro a volte presentate con il punto interrogativo (del tipo: suonano le campane, forse Hitchcock si ricordava di essere stato a scuola dai Gesuiti?). Questa di Paglia si rivela oltretutto una lettura molto personale non solo perché all’analisi critica oggettiva si mescolano di quando in quando commenti parentetici e incidentali. La discussione asettica è spesso interrotta per dirci spontaneamente che la tale o talaltra scena è una o tra le sue preferite, e per indugiare sul ricordo delle sue prime o reiterate esperienze di visione del film. Soprattutto Paglia non fa mistero che questo libro è una specie di prolungata genuflessione laica davanti all’altare di Tippi Hedren. L’adorata attrice è stata non solo intervistata prima del libro da Paglia, ma è seguita passo passo nel film nella sua impersonazione di Melanie Daniels, in tal modo dimostrando il grado della sua (cioè di Paglia) feticistizzazione. Di Melanie-Hedren si commenta con maniacale dettaglio l’abbigliamento prima e dopo la partenza da San Francisco e l’arrivo a Bodega Bay; si passano in rassegna i capi che indossa e che si toglie per indossarne altri, le scarpe con i tacchi e le pantofole, la pelliccia e la camicia da notte; soprattutto le unghie immacolatamente tinte di rosso e quando si screpolano, il trucco e la precisa tonalità del rossetto, il modo con cui tiene fra le dita la sigaretta o impugna il telefono e si rigira nelle mani il filo; l’acconciatura dei capelli e come nei vari momenti del film accavalla le gambe o flette i piedi o pigia l’acceleratore dell’auto; e come la guida e come dirige la barca a motore. (Incidentalmente Hitchcock avrebbe potuto leggere, nei tre saggi freudiani sulla sessualità, che le pellicce sono feticistiche per le loro analogie col pelo del monte di Venere. E che scarpe e pantofole sono simboli degli organi genitali della donna.) Il raro modello della coupé di Melanie è identificato con precisione riportando la lettera di un esperto di automobili e motori. Che Paglia sia l’autrice di un celebre libro su arte e decadenza da Nefertiti a Emily Dickinson lo si verifica dalla frequenza dei rinvii alla storia della rappresentazione delle icone femminili da Omero e dal dramma greco sino ai simulacri della cultura pop. Il libro è un flusso ininterrotto di accostamenti fra i più disparati e un’accumulazione di paragoni ed evocazioni, e i termini like, as e as if potrebbero risultare largamente i più ricorrenti in una statistica di frequenza. L’impressionismo, la gratuità e soprattutto l’inutilità di taluni di questi accostamenti può disturbare un lettore che abbia altri canoni letterari e culturali come punti di riferimento. In realtà Paglia, studiosa che ha tutta una sua propria narrazione culturale sui polpastrelli, scrive poi lodevolmente su The Birds, in quanto film, con una totale astensione da schemi teorici precostituiti. Non lo afferma esplicitamente, non vi polemizza, ma si tiene distante dall’invalsa tendenza odierna, soprattutto americana, a pansessualizzare il cinema di Hitchcock. Questo suo libro non è di critica freudiana, né è tout court femminista e di area queer studies; e come si sa Paglia combatte il poststrutturalismo, e in un paio di note punzecchia la moda di voler tutto ricondurre a Michel Foucault. Cosicché The Birds di Paglia è soprattutto un’accurata, accanita e come dicevo personalissima, arbitraria, a volte fin troppo addobbata, stipata e barocca esegesi del comportamento del quintetto dei personaggi del film sullo sfondo degli assalti degli uccelli a Bodega Bay, e come questi personaggi si allontanino, si avvicinino e maturino durante il suo svolgimento. Il fuoco principale del libro è questo, non la semantica degli uccelli. Proprio perciò Paglia non stranamente evita di prendere una posizione totalizzante sul film, sfumando sulle accanite esegesi della sua allegoria, il che – costruire un’allegoria – non era, per lei, l’obiettivo principale del regista.

    Le radici familiari di Hitchcock non erano apparentemente propizie alla nascita di un grande regista del cinema; ma solo apparentemente. Il padre, un fruttivendolo e ortolano in un sobborgo meridionale di Londra, allargò in seguito il raggio della propria attività commerciale divenendo un mediamente ricco grossista di pesce. In alcune biografie si trova scritto che fosse anche un pollivendolo, notizia che pare grossolanamente infondata sinché non ci si rende conto che, se vera, la pratica di sgozzare galline possa essersi sedimentata nella fantasia del fanciullo, a giudicare dalla frequenza con cui nei film hitchcockiani si uccide per strangolamento. In Rope Philip e Brandon raccontano di aver fatto proprio questo da bambini – strangolare una gallina – con vario coraggio e più che altro una certa paura. L’esercizio del padre era insomma un emporio o un piccolo supermercato rionale, e un suo lontanissimo ricordo può esser stata la bancarella all’aperto di generi vari che è tenuta da Mrs. Wiggs in The Trouble with Harry, benché si possa dubitare che la madre di Hitchcock, di cui erano proverbiali l’eleganza e lo snobismo, stesse in negozio. Lo spirito autopromozionale del padre, che morì prematuramente, fu lo stesso che permise a Hitchcock, al momento giusto, di bruciare le tappe quando si accostò al cinema sui vent’anni. Il cibo e la gastronomia svolgono poi non a caso un ruolo cruciale e primario nel suo cinema (e nella vita, come vedremo). Lo stretto nesso associativo tra frutta e cinema è argutamente esemplificato, e lo si tocca con mano, nel film Sabotage, nel quale il cinema Bijou, gestito dai Verloc, è adiacente a un negozio di frutta. E il penultimo film di Hitchcock è imperniato su un fruttivendolo che è anche un maniaco sessuale. L’unica fotografia esistente del padre di Hitchcock per la verità fuga ogni dubbio che tra Rusk, appunto il fruttivendolo di Frenzy, e il padre ci siano delle somiglianze fisico-somatiche, ciò che rende scettici circa la facilità con cui i critici biografici sono portati a identificare ogni figura paterna e materna dei film con i genitori di Hitchcock – un’operazione legittima, ma caso per caso.

    Alfred era il terzogenito, molto più piccolo del fratello e della sorella, e per questa ragione era cresciuto solitario e introverso, la condizione ideale per fantasticare e sbrigliare l’immaginazione. Non ebbe mai veri amici, solo un mucchio di conoscenti. Aveva presto concepito la passione per le carte geografiche e sapeva a memoria gli orari ferroviari e le rotte dei transatlantici; e da adolescente viaggiava e viaggiava da solo sugli autobus e sui treni metropolitani. Nei primi film muti, e qualche volta anche in quelli sonori come Psycho, è la madre ad avere un ruolo repressivo nei confronti del figlio, mentre il padre è più comprensivo; le cose si fanno gradatamente diverse e i ruoli paterni scompaiono e le donne, pur materne, degli ultimi film – Marnie, o Melanie di The Birds – sono praticamente senza padre. In The Pleasure Garden, il primo film, Patsy è materna con i mocciosi di Como durante la luna di miele, dove per contro il marito Levett è presto annoiato, adocchia sul piroscafo la preda femminile e all’arrivo ai Tropici è subito nelle braccia di un’indigena. La lotta con il padre o anche con il Padre è esemplificata da aneddoti risalenti alla prima infanzia del regista. Una volta Mr. Hitchcock aveva spedito il figlio, per una marachella che aveva commesso, a un posto di polizia, dove fu trattenuto per cinque (o due, tre o dieci) minuti in una cella, e rimandato

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