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L'uomo senza qualità
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E-book1.701 pagine30 ore

L'uomo senza qualità

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Info su questo ebook

A cura di Micaela Latini
Traduzione di Irene Castiglia
Versione integrale dell’edizione originale

Robert Musil può essere a giusto titolo considerato il principale romanziere austriaco contemporaneo e L’uomo senza qualità è una pietra miliare nella letteratura europea del Novecento. Questo capolavoro indiscusso della civiltà letteraria di lingua tedesca si propone come un efficace ritratto delle contraddizioni vissute dall’uomo nella modernità, lacerato tra il “mondo di ieri” e i nuovi tempi che avanzano. Il laboratorio di tali sconvolgimenti è per Musil la sua amata-odiata patria: l’Austria d’inizio secolo (la “Kakania”) in cui la monarchia austro-ungarica conosceva l’inizio della fine, esempio significativo di possibilità insite nella storia di tutti i tempi. La caustica penna di Musil analizza con accorata nostalgia e pungente ironia la società asburgica, facendone affiorare il volto nascosto. In alcuni casi però il sarcasmo cede il passo a una dimensione ben più tragica, prefigurando la barbarie del nazismo. La scrittura oscilla tra la visione estatica e gli enunciati delle scienze naturali e subisce una radicale mutazione, superando l’antinomia tra narrazione e descrizione, per approdare alla formula del “romanzo-saggio”: il romanzo si dissolve, o meglio muore, per poi resuscitare dalle sue ceneri nella saggistica. L’opera, rimasta incompiuta, apparve nel 1930 a Berlino, in un’edizione che comprendeva solo il primo libro, mentre gli altri trentotto capitoli del secondo volume furono pubblicati nel 1933; gli abbozzi e i frammenti dell’ultima parte vennero pubblicati postumi dalla moglie. Questo volume propone, in una nuova e aggiornata versione, l’edizione originale dell’Uomo senza qualità curata da Musil stesso.


Robert Musil
nacque nel 1880 a Klagenfurt da un’agiata e colta famiglia austriaca. Dopo gli studi tecnici e la frequentazione del collegio militare, si laureò in ingegneria a Vienna, e poi si specializzò in filosofia a Berlino, discutendo una dissertazione sulle teorie scientifiche di Ernst Mach. Il primo contatto con la letteratura avviene con la stesura dei Turbamenti del giovane Törless (1906). A questa esperienza letteraria seguirono diverse novelle vicine all’espressionismo, nonché alcuni drammi teatrali, tutti anticipazioni del suo romanzo principale, L’uomo senza qualità, cui lavorò infaticabilmente dal 1929 fino alla morte. Negli anni Trenta, con l’ascesa di Hitler al potere, si trasferì da Berlino a Vienna, e poi, dopo l’annessione dell’Austria al Terzo Reich, in Svizzera. Morì in esilio a Ginevra nel 1942.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854148932
L'uomo senza qualità
Autore

Robert Musil

Robert Musil (1880 - 1942) was an Austrian writer. Trained as an engineer, Musil eventually turned to literature. The unfinished Man Without Qualities is considered his greatest work, and earned him a Nobel Prize nomination.

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    An AMAZING book. This is one of the finest novels, of its time, that I've ever come across. You go into depth into the minds of the characters, their philosophies, feelings, and situations. Musil brings Vienna to life, with all its tribulations, mysteries, and intrigues. Furthermore, he establishes the characters with such a strong base that they are vivid and lifelike. A truly magnificent novel that touches on so much and that I believe is still highly relevant today. This is not one to be missed.4.5 stars- and FULLY deserved.
  • Valutazione: 3 su 5 stelle
    3/5
    I finished 2021 annual read for Reading 1001. It took me 11 months though I did finish on December 1st. I found this book difficult to engage and I generally read it at the end of each month if I finished other books more to my liking. This is a lot of philosophy with a bit of a story to it. I would classify it maybe as satire of political systems. It is also unfinished which I really dislike reading unfinished novels, often finished by family members. Its also called a modernist novel. From wiki; the plot often veers into allegorical digressions on a wide range of existential themes concerning humanity and feelings. It has a particular concern with the values of truth and opinion and how society organizes ideas about life and society, though the book is well over a thousand pages long in its entirety, and so no one single theme dominates." Here are my highlights;1. We have gained in terms of reality and lost in terms of the dream2. mathematics is the source of a wicked intellect that, while making man the lord of the earth, also makes him the slave of the machine.3. he felt like some noxious little worm that was being attentively scrutinised by a large hen.4. it could not ward off the realisation that in its main outlines life at such posts remains the life one has brought out from home with the rest of one’s luggage.5. And as he advances through life, leaving behind him what he has lived through, a wall is formed by what is still to be lived and what has been lived, and in the end his path resembles that of a worm in the wood, which can twist any way it likes, even turning backwards, but always leaves an empty space behind it. And this dreadful feeling of a blind space, a space cut off behind all the fullness, this half that is always still lacking even although everything has become a whole, is what finally causes one to notice what one calls the soul.6. In youth it is a distinct feeling of uncertainty, in everything one does, as to whether whatever it is is really the right thing. In old age it is amazement at how little one has done of all that one actually intended.7. how science came to have its present-day aspect (which is in itself important, since after all it dominates us, not even an illiterate being safe from8. primal Evil, as it might be called, is something they do not lose even in undergoing this trans formation. It is apparently indestructible and eternal, or at least as eternal as everything humanly sublime, since it consists in nothing less, nothing other, than the pleasure of tripping that sublimity up and watching it fall flat on its face.9. awareness of the greater evil, a readiness to riot, a mistrust of everything one respects. There are people who complain about youth’s lack of ideals, but who, in the moment when they must act, automatically come to the same decision as anyone who, from a very healthy mistrust of ideas, reinforces their gentle power with a blackjack.There you have it. Wiki sums it up well. This will never be a reread. Too much scrawl, failed to be succinct, failed to complete, some plot, some characters which both are a plus, poor kindle quality, Rating 2.6.

Anteprima del libro

L'uomo senza qualità - Robert Musil

418

Titolo originale: Der Mann ohne Eigenschaften

Traduzione dal tedesco di Irene Castiglia

Prima edizione ebook: gennaio 2013

© 2013 Newton Compton editori s.r.l.

Roma, Casella postale 6214

ISBN 978-88-541-4893-2

www.newtoncompton.com

Edizione digitale a cura di geco srl

Robert Musil

L’uomo senza qualità

Cura e introduzione di Micaela Latini

Traduzione di Irene Castiglia

Versione integrale dell’edizione curata dall’autore

Robert Musil: romanzo e utopia

Il ponte interrotto

Il romanzo L’uomo senza qualità, capolavoro indiscusso dello scrittore austriaco Robert Musil (1880-1942), costituisce una pietra miliare nella letteratura europea del Novecento, nonché una rappresentazione vivida – e provocatoriamente attuale – di tutte le contraddizioni della modernità. La genesi di questo libro sterminato, pervenutoci in forma di colossale torso incompiuto, è articolata, e la sua storia editoriale è significativamente travagliata. Alle pagine private dei Diari Musil affida il suo sconforto: «Lavoro al mio romanzo con la meticolosità di un tarlo nella cornice di un quadro, in una casa già in fiamme», o ancora: «Mi sento come un uomo che cammina su un ponte interrotto». Queste frasi testimoniano la difficoltà radicale incontrata dallo scrittore nel redigere la sua opera.

Il lavoro di Musil sui temi dell’Uomo senza qualità coinvolge l’intero arco temporale della sua attività creativa, dalla pubblicazione del racconto I turbamenti del giovane Törless nel 1906 fino alla morte avvenuta improvvisamente il 15 aprile 1942. A causa dell’intrico della sua storia editoriale, nonché delle drammatiche vicende personali, è difficile stabilire con certezza le fasi iniziali di stesura dell’Uomo senza qualità. Per alcuni critici una prima cellula germinale del romanzo si può forse rintracciare già nel racconto giovanile del 1898 Monsieur le vivisecteur. Certo è che le novelle cronologicamente successive a I turbamenti del giovane Törless, pubblicate nella raccolta dal titolo Congiungimenti, del 1911, contengono già alcuni snodi tematici dell’Uomo senza qualità. Lo stesso può dirsi del dramma del 1921, I fanatici, dove i fanatici sono gli uomini della possibilità, che sanno quello che potrebbe essere, in opposizione agli uomini della realtà che sanno solo quello che è: «Non accoglievano nulla se non con riserva, né un sentimento, né una legge, né una grandezza. Tutto era collegato con tutto e poteva divenire tutto; riempivamo gli abissi tra cose opposte, e li aprivamo tra cose affini. L’immane, intatto, eterno potere creativo dell’uomo che era in noi». Ma, al di là di queste anticipazioni – tra le quali si succedono come spezzoni del romanzo i testi dal titolo Lo spione, Il diavolo, Il redentore, La sorella gemella – è a inizio gennaio del 1929 che comincia la vera e propria stesura del primo volume dell’Uomo senza qualità.

La prima parte dell’opera, che appare il 26 agosto 1930 per la casa editrice Rowohlt, riscuote l’approvazione dell’editore che chiede a Musil una prosecuzione del lavoro. Nell’anno cruciale 1933 escono a Berlino i primi trentotto capitoli del secondo volume. Nel frattempo la marcia trionfale del nazismo sconvolge la vita dello scrittore austriaco, che, sposato con una donna di origine ebraica, Martha Heimann Marcovaldi, abbandona la Germania per rientrare in Austria. Corre l’infausto anno 1938, quando consegna all’editore la terza parte del romanzo. In quello stesso anno l’annessione dell’Austria da parte dei nazisti del Terzo Reich costringe Musil all’esilio. Insieme alla moglie, lo scrittore ripara in Svizzera, nei pressi di Zurigo e poi in un sobborgo di Ginevra, dove resterà per tre anni – sostenuto economicamente da alcune associazioni –, fino alla fine dei suoi giorni. In questo periodo lavora ininterrottamente all’ultima parte del romanzo, provando a comporre le diverse tessere di questo mosaico che è il suo Uomo senza qualità, e ricercandone inutilmente un finale. Secondo una nota intervista, Musil aveva inizialmente previsto come evento conclusivo del romanzo lo scoppio della prima guerra mondiale. Non diversamente da quel che accade nella Montagna incantata (1924) del suo antipodo Thomas Mann, anche nell’Uomo senza qualità lo storico colpo di tuono avrebbe rappresentato un avvenimento sovrapersonale, l’unico capace di estrapolare i suoi personaggi dall’impasse in cui sono asserragliati. Ma niente di tutto questo viene messo su carta da Musil e il suo capolavoro ci è pervenuto siglato dalla mancanza di una fine e di un centro. Il 15 aprile del 1942, in seguito a un itinerario di sofferenze e di esilio, lo scrittore viene colpito da un’inarrestabile emorragia cerebrale. Per un amaro scherzo del destino, proprio lui che si era ripromesso apertamente di non avere alcun’opera postuma, al momento della morte lascia dietro di sé un enorme canovaccio di pagine inedite. Gli sopravvive infatti un ampio lascito, variegato come stadio di elaborazione, con alcuni capitoli in stesura definitiva e altri ancora in fase di riscrittura, e con diversi progetti del finale. Si è convenuto di considerare questa eredità, che costituisce gli ultimi sedici capitoli dell’Uomo senza qualità, come parte autentica del romanzo. Questo materiale in forma di frammento e di bozze non è presente in questa edizione perché si è deciso di pubblicare solo quanto è stato dato alle stampe dallo stesso Musil in vita. Del resto la sistemazione del Nachlass è stata problematica. Il lascito è stato ordinato dalla moglie Martha Heimann e predisposto in edizione prima, nel 1952, da un amico di Musil, il critico letterario Adolf Frisé, poi, in un diverso assetto più attendibile (questa volta cronologico), dai coniugi letterati, gli studiosi Eithne Wilkins ed Ernst Kaiser. È in questa nuova configurazione che gli inediti sono stati pubblicati in edizione italiana nel 1962, come terzo volume dell’Uomo senza qualità per i tipi della Einaudi. Alla edizione Wilkins e Kaiser segue, come risposta di Frisé, un nuovo riordinamento dell’opera postuma, in una versione uscita nel 1978 per la Rowohlt (e in italiano per i Meridiani della Mondadori).

L’uomo senza qualità di Musil ottiene sin dall’uscita l’approvazione della critica, ma non incontra il tanto anelato successo di pubblico. A differenza delle opere di Mann (l’altro grande protagonista – insieme a Kafka – del firmamento letterario tedesco del Novecento), il romanzo musiliano non vende molte copie. Anche per questo motivo, Musil è costretto a vivere in condizioni di indigenza, supportato dalla generosità di alcune associazioni di estimatori. Il suo nome viene coronato dal successo e dall’approvazione unanime solo a partire dagli anni Cinquanta, e da questo momento lo scrittore viene considerato alla stessa stregua di Joyce e di Proust.

Ironia-saggio e senso di possibilità

Tanto la tormentata vicenda editoriale, quanto le vicissitudini legate alla sistemazione degli inediti dimostrano come L’uomo senza qualità sia un romanzo aperto, sospeso. Se per alcune interpretazioni non sussiste un finale, altre letture scorgono nell’opera tre possibili chiusure, di cui due sono quelle pubblicate dallo scrittore come conclusione del primo e del secondo volume, mentre una, la terza, è solo abbozzata. In ogni caso, la causa della incompiutezza del romanzo non può essere affidata esclusivamente alla biografia degli ultimi anni di vita di Musil. Se la difficoltà legata alla tragedia dell’esilio ha sicuramente svolto un ruolo predominante nel rallentare la creatività dello scrittore austriaco, non bisogna dimenticare il vero significato che questi affida alla non chiusura come sigla necessaria della letteratura contemporanea. Come potrebbe infatti essere considerata compiuta un’opera che si propone di rappresentare la realtà nel suo continuo divenire?

La sofferta gestazione di questo sviluppo che è l’Uomo senza qualità ci appare in tutta la sua pregnanza se la si legge alla luce del tentativo da parte dell’autore di avvicinarsi quanto più possibile allo stadio utopico della esattezza, al sapere enciclopedico in cui confluisce sia la forma sia il contenuto. Robert Musil, che a giusto titolo è stato definito «maestro insuperato di contrasti», si è infatti laureato prima a Vienna in ingegneria e poi a Berlino in filosofia. Razionalismo ingegneristico e cultura umanistica: nella densità dell’Uomo senza qualità precipita la complessità personale dello scrittore austriaco, che tende a unificare le aporie dei due mondi. In una sorta di passo incrociato, il letterato Musil – che vanta una solida preparazione scientifica – anela a conquistare una scrittura che abbia la stessa precisione della formulazione scientifica, ma che al contempo sia in grado di restituire lo stesso grado di densità significativa proprio della visione mistica. Come osserva altrove: «Ogni arditezza intellettuale si basa oggi sulle scienze esatte» (1912). Il programma ambiziosissimo del romanzo è allora quello di trovare la sintesi tra il freddo intelletto, matematicamente addestrato, e l’abissale apertura alla costellazione mistica. È questo il terreno utopico su cui s’incontrano anima ed esattezza, o anche la precisione della passione e la passione della precisione. Aleggia fin dalle prime pagine del romanzo lo spettro della ricerca di un ordine, dell’aspirazione a una perfezione, della tensione sempre irrisolta verso una totalità assente. Nella sua feconda oscillazione tra i due poli della mentalità scientifica e della creazione artistica, la scrittura letteraria di Musil si tramuta nella dimensione saggistica. Per questo motivo il romanzo L’uomo senza qualità può essere considerato non solo come il più bello dei lavori incompiuti della letteratura europea contemporanea, ma come uno dei più complessi esperimenti letterari del nostro tempo, come un’opera laboratorio aperta e d’avanguardia. Con il suo sforzo creativo mai pago di sé, Musil crea una nuova forma letteraria: un romanzo che supera dialetticamente se stesso, che si fa saggio, o meglio che rivela – in una sorta di azione parallela – il suo essere anche saggio.

L’opera musiliana diventa così un’opera narrativa che, ben lungi dal dimenticare la crisi del segno e della parola, se ne fa carico, e anzi accoglie come suo principio costitutivo il disordine, l’incessante metamorfosi e la necessaria incompiutezza del presente, cercando continuamente di ricreare un ordine sulle basi delle affascinanti leggi della matematica e delle teorie probabilistiche. Non bisogna infatti dimenticare che l’epoca di Musil è segnata dalla crisi di un tipo di razionalità (ad esempio della immagine meccanicistica del mondo), e che assiste all’affermarsi di nuovi e diversi nuclei psichici, di nuovi soggetti. Lo scienziato Ernst Mach, al quale Musil aveva dedicato la sua tesi nel 1908, aveva postulato il concetto di Io insalvabile: non ci sarebbe un Io centrale e autoreferenziale, ma diverse sensazioni costituite in un insieme organico. Come per Musil non c’è un io «sovrano che compie atti di governo», ma una «costellazione di cellule» priva di un centro, così il romanzo deve qui farsi romanzo di possibili romanzi. Innegabile è il debito contratto da Musil con la lezione del fisico austriaco Ernst Mach, per il quale il mondo è in continuo divenire. Altrettanto evidente è la presenza nell’opera musiliana della psicologia della Gestalt di Wolfgang Köhler e del suo maestro Carl Stumpf. Secondo la teoria gestaltica, in questo universo pulviscolare noi percepiamo delle forme, ovvero entità che si collocano – come spiega lo stesso Musil nel saggio Il letterato e la letteratura (1931) – tra corporeità e spirito, ossia a metà strada tra l’impressione sensoriale e il concetto trasparente. È in questa tensione fra il fluire della vita (di Mach) e la cristallizzazione delle Gestalten (della psicologia della forma) che si costituisce la scrittura di Musil.

Ma al di là di questa polarità, diversi sono i riferimenti letterari, filosofici, scientifici che sottendono, in una rete stratificata, le pagine del romanzo musiliano: Dostoevskij, Eckhart, Emerson, Fichte, Goethe, Hamsun, Hegel, Husserl, Klages, Maeterlinck, Nietzsche, Novalis, Platone, Schiller, Schlegel, Schopenhauer, Spengler, Wittgenstein da un lato, ma anche Boltzmann, Einstein, Freud, Hilbert, Maxwell, Planck, Schrödinger, Stern. Sono tutti nomi, tratti dall’enciclopedia dell’anima e da quella dell’esattezza, che si aggirano come spettri nell’edificio musiliano, e che sicuramente hanno svolto un ruolo determinante nella sua apertura. Certo, né l’incompiutezza, né la sperimentazione rientravano nel disegno originale del romanzo. Intenzione originaria di Musil era da un lato quella di offrire con quest’opera una risposta alla sua generazione, smarrita tra le guerre, e alle prese con un vuoto di valori, e dall’altro di recuperare – in antitesi con il caso letterario dell’Ulisse (1922) di Joyce – il valore del romanzo tradizionale, dotato di intelletto, ma anche di un’azione, di un narratore, di un eroe, di una trama. Ma l’esito è altro. Nel suo tormentato percorso di concentrazione sulla scrittura, Musil prende coscienza del paradosso di voler «scrivere un romanzo che non si può scrivere», sicché «la storia di questo romanzo sta a significare che la storia che in esso si doveva raccontare non viene raccontata». Abbandonata ogni finalità rappresentativa, la narrazione di Musil si fa allora narrazione della sua struttura interna, del suo stesso farsi. Si volge cioè a rendere visibile la sua tecnica, tematizzando i suoi mezzi di rappresentazione e mostrando in filigrana la genesi dell’opera nel romanzo stesso, il suo scheletro nascosto. Non solo, ma il suo romanzo, ben lungi dal rappresentare solo il mero reale, s’impegna di qui in poi a presentare il possibile, come dimensione utopica staccata dalla lacerazione del mondo. Come lo stesso Musil non tarda a riconoscere: «Il romanzo della formazione di una persona è un genere di romanzo. Il romanzo della formazione di un’idea è il romanzo per eccellenza». Quel che accade al suo romanzo è una sorta di metamorfosi: il plot, la fabula tende ad assottigliarsi, e lascia spazio al momento riflessivo o saggistico. Sul piano narrativo questo comporta un venir meno dello sviluppo del racconto, che procede a spezzoni con interruzioni e riprese. La cifra del romanzo di Musil è il prevalere della dimensione della riflessione, che pervade ogni ambito del romanzo, utilizzando i dialoghi dei personaggi, i momenti di riflessione degli eroi, le loro apparenti azioni. L’Uomo senza qualità si può così assimilare a un edificio con molte entrate, che sembrano non fare parte della struttura principale. Parallelamente alla sfera saggistica, si afferma con il romanzo di Musil l’importanza dell’ironia, da intendersi come uno dei poli del romanzo. La meditazione si declina, cioè, in una connotazione ironica nei confronti del racconto tradizionale, e questo anche al prezzo di rinunciare alla verità di una risposta. Così il romanzo-saggio di Musil, nella sua riflessione su se stesso, giunge a mettere in gioco lo stesso statuto dell’opera creativa come conoscenza. La forma musiliana non cede alla dissoluzione, ma, pur arroccandosi su posizioni conservatrici, si confronta con la sua trasformazione: con il divenire, con il formarsi della realtà, con la pressione dell’irrealtà, con l’incessante metamorfosi e la necessaria incompiutezza del presente. Il saggio entra in un indissolubile intreccio con il romanzo, e lo commenta costantemente, come un controcanto. La dimensione saggistica permette di sfuggire alla visione univoca della realtà, alla compiutezza, per cogliere aspetti sempre diversi delle cose, per far balenare il possibile nel reale. In questo senso la dimensione utopica fa tutt’uno con la possibilità, nel comune progetto di realizzare un nuovo modo di vivere che si ponga in antitesi rispetto a una realtà disgregata e frantumata. Un noto passo del romanzo definisce, o meglio co-definisce il senso di possibilità rispetto a quello della realtà:

Per riuscire a varcare porte aperte, si deve badare al fatto che gli stipiti sono duri: questo principio che il vecchio professore aveva seguito per tutta la vita, è semplicemente un postulato del senso di realtà. Ma se c’è il senso di realtà, e di questo nessuno dubiterà, poiché è legittimo che esista, allora deve esistere anche qualcosa che si può chiamare senso di possibilità. Chi lo possiede, non dice ad esempio: «Qui è accaduto, accadrà, o deve accadere questo o quello», ma dirà: «Qui potrebbe, o dovrebbe accadere questo»; e se di qualcosa gli si spiega che è come è, allora penserà: «Certo, ma potrebbe anche essere diversamente». Quindi, il senso di possibilità può essere definito addirittura come la capacità di pensare a tutto ciò che potrebbe essere e di non considerare ciò che è più importante di ciò che non è (p. 42).

Per Musil non esiste infatti la riduzione a una direzione, da intendersi come un filo del racconto di cui è intessuta anche la vita, ma piuttosto una scrittura aperta nella sua paradossale proposta, che porta avanti la sua narrazione da molteplici prospettive, fino a perdere l’ univocità. Il reale allora viene analizzato rompendone la sua pretesa necessità, e la letteratura viene concepita come produzione o analisi di possibilità alternative, come sguardo sull’incompiuto. Nelle parole che Musil mette in bocca al suo protagonista Ulrich, l’uomo senza qualità, si riassume uno dei motivi più importanti del romanzo: «un uomo che vuole la verità diventa scienziato; un uomo che vuole sfogare la propria soggettività diventa forse scrittore; ma che cosa deve fare un uomo che vuole qualcosa di intermedio?» (p. 298). Lungo questo solco di mezzo (che poi è la dimensione utopica in cui si collocano le pagine dell’Uomo senza qualità) Musil cala il personaggio principale, Ulrich; in questo stesso interregno utopico abita il saggismo, come luogo di conciliazione e di superamento dell’antinomia tra anima ed esattezza, tra invenzione e interpretazione, tra arte e scienza. In altre parole, per Musil chi vive saggisticamente non si colloca al di fuori del mondo per descriverlo, ma piuttosto sulla soglia, vive nel mondo, e di qui tenta di scorgere quelle possibilità che sono nel mondo senza essere del mondo (per dirla con Ernst Bloch). È in gioco con Musil uno stare a ridosso delle cose, in quel luogo-non luogo (appunto l’utopia) dal quale si può agire su di esse con spregiudicatezza, con ironia, senza soccombere agli eventi, ma tracciando le connessioni possibili.

Un Paese senza qualità

Altissimo laboratorio del possibile in cui nessuna ipotesi viene superata è, per il Musil dell’Uomo senza qualità, la sua amata e odiata patria: l’Austria imperialregia d’inizio secolo, o meglio la monarchia austro-ungarica (1867-1918) alla vigilia del suo tramonto. Il Paese viene definito nel romanzo Kakania (Kakanien), termine ormai famoso che viene coniato da Musil usando la pronuncia ka-ka delle due lettere iniziali, k.k., dell’aggettivo tedesco più abusato dell’epoca, ovvero kaiserlich e königlich, imperiale e regio, ma anche, in alcuni casi, kaiserlich-königlich, ovvero imperial-regio. Nella prima o nella seconda forma, questo titolo, cui Musil allude ironicamente, era premesso regolarmente alla designazione delle istituzioni danubiane e riferito all’insieme dell’impero asburgico e della monarchia ungherese. La parola Kakania, che anche in tedesco dà luogo a doppi sensi, sorge così da un sadico gioco semantico e sonoro ed è generata dall’incontro tra la rigida burocrazia della monarchia danubiana e lo spirito ironico dei suoi abitanti. Musil ci restituisce una immagine sfaccettata della Vienna d’inizio secolo, descritta in tutte le sue realtà, con spiccata (e amara) ironia, ma anche in una prospettiva colorata di nostalgia. La fisionomia che ne esce è tutt’altro che nitida, ma sfuggente, enigmatica e intrigante: se per alcuni versi la Kakania musiliana s’identifica con la realtà geopolitica imperial-regia – e allora si palesa una rete stratificata di rinvii ad eventi storici – per altri tratti invece se ne distacca, attingendo al serbatoio della fantasia e della immaginazione. Come se non bastasse Musil, in un gioco di anacronismi, sovrappone l’immagine della Vienna del 1912 e 1914 al volto della città a lui contemporanea, che è spostato di oltre dieci anni. Dal corto circuito di queste immagini si profila un quadro spirituale mosso e geniale della Kakania, come Paese dai confini ondeggianti, afferente più che alla geopolitica a un ideale atlante geo-letterario. Certo è che la vecchia Austria è per Musil soltanto un esempio, particolarmente significativo, di possibilità insite nella storia di tutti i tempi. Come mostra un noto passo del romanzo, era per Musil particolarmente difficile stabilire le coordinate della compagine asburgica e i connotati dei suoi abitanti:

Per iscritto si chiamava monarchia austro-ungarica, ma a voce si chiamava Austria; con un nome dunque a cui il Paese aveva abdicato con solenne giuramento statale ma che conservava in tutte le questioni sentimentali, a prova che i sentimenti sono importanti quanto il diritto costituzionale e che le norme di legge non sono la cosa più seria del mondo. Era uno stato liberale secondo la costituzione, ma aveva un governo clericale. Aveva un governo clericale, ma si viveva secondo uno spirito liberale. Tutti i cittadini erano uguali davanti alla legge, ma non tutti erano cittadini. C’era un Parlamento, il quale faceva un uso così eccessivo della propria libertà che lo si teneva per lo più chiuso; ma c’era anche un paragrafo per gli stati di emergenza che serviva a fare a meno del Parlamento, e ogni volta che tutti si rallegravano per il ritorno dell’assolutismo, la corona ordinava che si ricominciasse a governare democraticamente… «È capitato che…», si diceva in Kakania, mentre altra gente in altri luoghi credeva che fosse accaduto qualcosa di prodigioso; era un’espressione tipica, presente solo in tedesco e in nessun’altra lingua, un’espressione al cui soffio eventi e colpi del destino diventavano leggeri come piume e pensieri. Sì, sebbene molte cose sembrino indicare il contrario, la Kakania era forse un Paese di geni e probabilmente è per questo che andò in rovina (p. 60).

Come emerge da queste celebri righe, la Kakania dell’Uomo senza qualità è un amalgama di molteplici, variopinte e contraddittorie proprietà cui manca tragicamente il centro. Nessuna cultura unitaria si può rintracciare, ma piuttosto una mescolanza astratta, posticcia e artificiale, una simbiosi difettosa e sperimentale, ma reale ed efficiente, di nazionalità diversissime tra loro. Nel suo «c’era una volta la Kakania…», Musil definisce il Paese come l’impero di Austria-Ungheria, in cui gli ungheresi erano ungheresi e gli austriaci austro-ungheresi meno ungheresi. Alleata con la Germania, la Kakania vuole mantenere la sua impostazione asburgica, ma al contempo mira a far valere il suo sovranazionalismo come ingrediente nobile, vantando la varietà dei suoi colori geografici e politici e la coesistenza, senza particolari contrasti, di molte e diversissime nazioni (boema, croata, polacca, italiana, magiara, praghese, rumena, rutena, slovena, slovacca, tedesca), lingue, religioni, culture e usanze. Proprio su questa base si è formato il fascino, irresistibile e insidioso, del mito asburgico (secondo la nota definizione di Claudio Magris), un modello – ora rivisitato – che L’uomo senza qualità ha contribuito a creare. Come sfogliando una collezione di vecchie cartoline dalla Kakania, Musil ne ricorda con manifesta nostalgia la varietà paesaggistica:

Là, in Kakania […] C’erano mari e ghiacciai, il Carso e i campi di grano della Boemia, notti sull’Adriatico con stridio di grilli inquieti, e villaggi slovacchi dove il fumo usciva dai camini come dalle narici di un naso camuso e il villaggio stava accovacciato tra due piccole colline come se la terra avesse dischiuso un po’ le labbra per riscaldare la sua creatura (p. 59).

La caustica penna di Musil analizza da diversi punti di vista, con un’accorata nostalgia e pungente ironia, ma anche con un sarcastico intento dissolutorio, la società asburgica, facendone così affiorare il volto nascosto. Le pagine del romanzo – oggi riconosciute come il più noto documento letterario sulla dissoluzione dell’impero – sono una critica alla modernità, all’epoca dell’americanizzazione e della parcellizzazione integrale. Non bisogna dimenticare che l’Austria grottesca che esce dall’Uomo senza qualità è per Musil un caso particolarmente evidente del mondo moderno, modello di una realtà comune e serpeggiante di violenza e degenerazione intellettuale, prima e dopo la guerra.

Al centro del «Paese senza qualità» – come lo ha definito lo scrittore austriaco Robert Menasse – è Vienna, capitale d’inizio secolo, protagonista nascosta del romanzo musiliano, e introdotta già nel famoso incipit. La città danubiana, immortalata prima del naufragio dell’impero, viene descritta e raffigurata in tutte le sue sfaccettature, nelle sue più minuziose particolarità e qualità, ma soprattutto nelle sue irriducibili contraddizioni, nei suoi inconciliabili paradossi, nelle sue profonde antinomie. Interpretando quel senso della fine che attraversa come un filo sotterraneo tutto il romanzo, Musil ci offre l’affresco di una metropoli dal doppio volto, ambigua come del resto i suoi abitanti. La sua Vienna è al contempo il laboratorio della fine del mondo e un esperimento scientifico del mondo, o ancora un Paese in agonia, e un organismo capace di risorgere dalle sue ceneri, come l’araba fenice. L’impero austro-ungarico – che di lì a breve sarà inghiottito dalle fauci della storia per essere poi ricordato come stereotipo – si fregia ancora di essere il centro d’Europa, il Paese dei genii. Si tratta della Vienna primonovecentesca, quella «Grande Vienna» (per usare la celebre definizione di Janik e Toulmin) che è paragonabile, come stagione di fermenti e di rinnovamento, al Rinascimento italiano. La capitale dell’impero era infatti allora palcoscenico, se non culla, di una straordinaria eredità culturale, lasciata da alcuni tra i massimi animatori della cultura della modernità: dell’empiriocriticismo di Ernst Mach, della filosofia del linguaggio di Wittgenstein e del circolo di Vienna, della psicoanalisi di Freud, della letteratura con Hofmannstahl, con Kraus e Roth, delle riflessioni di critica economica di Kelsen, delle innovazioni musicali di Schönberg, Mahler, Webern, Alban Berg, della pittura con Klimt, Schiele, Kokoschka, dell’architettura con Loos, dell’austromarxismo di Adler e Hilferding.

Ma, al di sotto di questa patina d’oro del mito danubiano, la cosiddetta Austria felix è il luogo per antonomasia dell’eterogeneo, del caos e dell’ambiguità. Come in un fenomeno carsico la città cova un sottostrato di nazismo, di virulento antisemitismo, d’intolleranza, di violenza. Quelli narrati da Musil sono gli ultimi anni della plurisecolare dinastia asburgica, che dopo un lungo periodo di unità storica, politica, economica, si trova attanagliata da una multiforme e irreversibile crisi spirituale. In questa fase finale all’accentuarsi dei nazionalismi si accompagna un’irrefrenabile corrosione interiore che, come nel lavoro delle tarme, intacca alla base la struttura del mondo di ieri. L’impero austro-ungarico sparirà tra le rovine della modernità: Musil sa che il processo di caduta è ormai irreversibile e – non diversamente da Broch e da Schnitzler – sottolinea il motivo del vuoto di valori dell’età della tecnica, la percezione sempre più incalzante che al presagio delle fine si accompagna una progressiva desertificazione spirituale. La Kakania è allora un luogo simbolo di una polveriera in cui muore la totalità della tradizione e nasce la dispersione contemporanea. Come Hermann Broch nei Sonnambuli (1931), o Heimito von Doderer nei Demoni (1956), così anche Musil restituisce alla Vienna dell’Uomo senza qualità una tonalità cupa, di rassegnazione. Non a caso – come le pagine del romanzo sottolineano – in Kakania non si agisce, ma all’azione si sostituisce un «è capitato che…», un processo anonimo che non conosce più il soggetto. In quest’atmosfera ovattata, ma carica di tensioni, della Vienna alla vigilia del tracollo, Musil immerge il protagonista del romanzo, un matematico trentaduenne di nome Ulrich che non sa che cosa fare della propria esistenza. Per questo decide di «prendersi un anno di vacanza dalla vita», e abbraccia, su consiglio paterno, la causa nazionalista dell’Azione parallela progettata da zelanti sudditi dell’impero. Intorno a questo movimento – che è poi il cuore della trama narrativa, il perno satirico del romanzo – s’incontrano una serie di persone alla ricerca di valori spirituali. E già in questo accenno a improbabili cacciatori di spirito s’intravede l’ironia di Musil che si andrà accentuando nel prosieguo del romanzo.

Caleidoscopio asburgico

Il significato dell’Azione parallela è il seguente: un grande comitato si riunisce per i festeggiamenti in occasione del settantesimo anniversario dell’ascesa al trono di Francesco Giuseppe, che sarebbe dovuta cadere il 2 dicembre 1918. Chiaramente la storia si è incaricata di registrare questo anno per una ricorrenza ben diversa, ossia come data di chiusura della prima guerra mondiale, e quindi come epoca del collasso dell’impero austro-ungarico. Il tratto sarcastico e ironico è accentuato dal fatto che quest’azione è appunto parallela perché si snoda in concorrenza ai preparativi avviati dai fratelli rivali tedeschi per festeggiare, in quella stessa fatidica data, i trent’anni di regno di Guglielmo ii. Il motore immobile (in realtà molto mobile) dell’intera trama del romanzo è quindi la ricerca di una grande trovata, dell’idea brillante (e austriaca) capace di azionare quella struttura della Parallelaktion. In una girandola di «non abbastanza», il progetto impreciso chiamato per convenzione Azione parallela, e che copre l’arco di una buona parte del romanzo, è destinato al fallimento. Nella Parallelaktion tutto potrebbe accadere e proprio per questo non accade mai nulla, quasi in consonanza con l’immobilismo politico austriaco. L’Azione parallela, una ruota che gira a vuoto come l’immobile burocrazia asburgica, simboleggia proprio questa ricerca di un centro, e il suo scacco deve essere letto in assonanza con il crollo dell’impero e della vecchia Europa aristocratica. Pervaso di ironia è anche l’intento ulrichiano di prendersi una «vacanza dalla vita». Se infatti con questa decisione Ulrich intendeva rifiutare quella logica della reificazione che stabilisce le qualità degli «uomini di realtà», ecco che la soluzione dell’Azione parallela non può che rivelarsi fallimentare. Il salotto aristocratico-borghese della famiglia Tuzzi, dove si svolgono le riunioni e le sedute plenarie, è chiaramente ancora un retaggio dell’universo semifeudale-aristocratico, ben diverso dal percorso utopico che Ulrich aveva ipotizzato prendendosi una vacanza dalla vita. Rispondendo a una vocazione quasi naturale, Ulrich si fa eleggere segretario del gruppo patriottico dell’Azione parallela. Intorno alla sua figura ruotano una serie di personaggi che si alternano e sfilano, come in uno schnitzleriano girotondo, in un intrico di fatti e di riflessioni. In casa Tuzzi, che poi è metafora di casa d’Asburgo, si raduna la commissione provvisoria dell’Azione parallela, si stringono nuove alleanze e si testano nuove (e pericolose) visioni del mondo. Da quest’osservatorio privilegiato, Musil, che è un acuto osservatore e un preciso descrittore di rapporti sociali, tratteggia, filtrandolo attraverso la visione sarcastica del suo mondo, lo scenario di una comunità attraversata da contraddizioni e antinomie. In una sorta di parodistico caleidoscopio sociale, le pagine spesso esilaranti dell’Uomo senza qualità non mancano di registrare le ultime e diversissime voci prima del silenzio: la cerimoniale pomposità, lo zelo dei sudditi, i vezzi linguistici viennesi, le caricature patetiche, gli atteggiamenti tipici della società austroungarica, gli stereotipi e le rigidità della burocrazia imperial-regia, i fedeli servitori, gli attempati e parsimoniosi burocrati, i pignoli funzionari, i ligi ufficiali. La descrizione di Musil rivela una forte capacità di analisi introspettiva e d’indagine psicologica, insomma di scandaglio dell’anima. A differenza dello scrittore Arthur Schnitzler, tuttavia, il suo scavo nell’interiorità dei personaggi non si serve di un bisturi asettico, da sala operatoria, quanto piuttosto della vite a doppia filettatura dell’ironia. Ad affollare questo peculiare interno di Casa d’Austria è, in primis, l’ospite ospitante, il caposezione Tuzzi, che rappresenta l’anima burocratica dell’impero. Al suo fianco la bella moglie, Diotima Tuzzi, la donna che gestisce gli incontri mondani dell’Azione parallela come un salone di bellezza dell’anima e che cita a ripetizione le parole dello scrittore belga Maurice Maeterlinck. Come su una piattaforma girevole ci vengono presentati l’alto funzionario, conte Leinsdorf, lo stupido generale, difensore dell’ordine, Stumm von Bordwehr, l’ipocrita Bonadea, i servitori Rachel e Soliman, il direttore di banca ebreo Leo Fischel. Intorno a quest’ultimo si stringe un gruppo di persone, tra cui la moglie Ermelinda, la figlia Gerda, e il suo amico-fidanzato Hans Sepp, giovane protonazista fervente. Nel ventaglio dei personaggi del salotto spicca la figura dell’industriale Paul Arnheim. Disegnato sulla falsariga dell’affermato industriale e uomo politico tedesco Walther Rathenau, questo magnate dell’industria metallurgica tedesca è per Musil l’incarnazione dello spirito prussiano, un uomo dalle tante qualità cui si contrappone il protagonista, l’uomo senza qualità. Se Arnheim corrisponde all’attivismo sociale del neoromanticismo, Ulrich è invece alle prese con il suo (e della sua generazione) vuoto di poter essere, con un’apatica rassegnazione. La polarità tra i due viene anche sottolineata dalla rivalità che si crea nel comune invaghimento per la bella Diotima.

Gelosie e rivalità minano anche la relazione coniugale tra Clarisse e Walter, o meglio il triangolo amoroso Clarisse, Walter e Ulrich, che Musil progetta sulla scia dell’intricato rapporto di Nietzsche contra Wagner. Clarisse, innamorata di Ulrich, è una fanatica nietzscheana, e mette in opposizione il suo filosofo prediletto al marito Walter. Questi, dal canto suo, adora suonare Wagner, il celebre musicista amico e poi nemico di Nietzsche, e così, con le sue esecuzioni wagneriane, irrita ogni volta la delicatissima suscettibilità della moglie, che per dispetto gli si nega sessualmente. Tra l’altro Clarisse, che è ossessionata dal culto del genio, non riesce a tollerare il dilettantismo del marito Walter. Sulla scorta della vicenda biografica Nietzsche-Wagner, si profila anche il legame di amicizia e rivalità tra Ulrich e Walter. Se i due avevano vissuto gli stessi ideali giovanili di creatività e rinnovamento culturale, Walter si è poi distaccato da questa temperie, inaridito dalla crisi dei tempi. Per questo non sopporta più Ulrich, che gli ricorda le aspettative giovanili fallite. È proprio lui, l’uomo completo che, per screditare l’amico d’infanzia Ulrich agli occhi di Clarisse, lo definirà un «individuo senza ideali», o meglio un «uomo senza qualità».

Ma quali sono i tratti che identificano le qualità rispetto alle non-qualità? Come in una sala degli specchi, in casa Tuzzi – e in genere nell’opera di Musil – ogni personaggio è replicato diverse volte e ogni volta in maniera diversa a seconda dell’angolazione prospettica. Non è un caso che tutti i personaggi dell’Uomo senza qualità appaiano, attraverso il canocchiale prismatico di Musil, come sfaccettati, ambigui, doppi. Prendiamo ad esempio Paul Arnheim, che per un verso è veramente innamorato della sublime Diotima, ma la cui purezza del sentimento è anche inquinata dal suo interesse economico per i pozzi petroliferi che l’Austria ha in Galizia. Un altro caso esemplare è il generale von Stumm. Nella logica dell’imperialismo questi sarebbe un uomo di qualità. S’immola infatti all’intelletto tecnologico e pianificatore e impone, seguendo i dettami del profitto e della massima funzionalità, il suo crudele fanatismo disciplinare. Con la sua spiccata ironia, Musil sottolinea nei suoi personaggi la coesistenza di conformazioni mentali opposte e di valori incompatibili. Altrove troviamo le polarità anima e politica (Diotima), genio e conformismo (Walter), trasgressione e moralismo (Bonadea), in un campionario che segna di grottesco le ambivalenze della società kakanica. In altri casi però l’ironia cede il passo a una dimensione ben più tragica, prefigurando la barbarie del nazismo. Le anticipazioni del male a venire assumono un profilo drammatico soprattutto nel personaggio di Hans Sepp, il fidanzato della giovane ebrea Gerda Fischel. Il giovane, che è il sinistro portavoce ante litteram di discorsi intrisi di antisemitismo e di retorica nazista, rappresenta una gioventù malata: a difesa della Germania, della sua ideale purezza di razza, si dichiara contrario all’Azione parallela perché austro-ungarica e quindi anti-tedesca. La sensibililità di Musil ha avvertito la violenza che covava sotto l’aulica rispettabilità della società danubiana. Come un rabdomante, Musil non solo ha individuato le più impercettibili variazioni dell’atmosfera del tempo, ma ha captato e registrato la preistoria dell’aggressività e della follia sommersa. Oltre al generale von Stumm e a Hans Sepp le figure patologiche, che maggiormente incarnano il malessere della società, sono Clarisse e Moosbrugger. Non è un caso se la folle Clarisse s’infatuerà dell’assassino Moosbrugger, il falegname apparentemente bonario che nella trama dell’opera si è imposto all’attenzione della cronaca come un efferato killer di prostitute. In questa sorta di patografia letteraria è ancora significativo il fatto che il matematico Ulrich, il vivisettore delle anime, s’interessi a Moosbrugger, il vivisettore dei corpi, e che dichiari persino di riconoscersi in questa figura simbolica estrema dell’irrazionalismo di stampo nietzscheano (così commenta Cesare Cases). Questo perché nel falegname assassino Musil radicalizza in eccesso quella dimensione della metafora che intesse la stessa figura di Ulrich. Un passo dell’Uomo senza qualità si dimostra particolarmente eloquente:

[…] in vita sua gli era già accaduto anche di dire a una ragazza «Cara bocca di rosa!», ma improvvisamente la parola si scuciva, e ne usciva fuori qualcosa di molto penoso: il viso diventava grigio come la terra immersa nella nebbia, e da un lungo stelo spuntava una rosa; allora la tentazione di prendere un coltello per tagliarla o ferirla con un colpo perché tornasse in mezzo al viso era incredibilmente grande» (p. 281).

Alla complessa personalità, al contempo enigmatica e abissale, di Moosbrugger, Musil affida la violenza nascosta dell’umano, la banalità del male, o anche quel morbo che la scrittrice Ingeborg Bachmann (compaesana di Musil), in riferimento al nazismo, chiamerà il virus del crimine. Musil non ha dubbi: le radici del nazismo sono sicuramente da cercare nell’impoverimento del suolo sociale d’inizio Novecento. Come si legge nei Diari: «molto prima dei dittatori la nostra epoca ha prodotto la venerazione spirituale dei dittatori». Anche quel che accade alla fine del primo volume dell’Uomo senza qualità ricalca le dinamiche degli eventi storici. Si accende una disputa tra i partecipanti all’Azione parallela, e il clima teso provoca un arresto dell’azione stessa. La macchina del movimento s’inceppa, registrando il fallimento da parte della intellighenzia locale nel tentativo di mobilitare le energie e le idee migliori per la causa della Parallelaktion. La eco della domanda che fare? rimbomba tra le pareti del salotto di Tuzzi, ma resta senza una risposta. E questo silenzio decreta la chiusura del ciclo d’incontri, ovvero la liquidazione del passato (della Mitteleuropa).

L’altro stato

Sul paesaggio di macerie dell’Azione parallela, si apre il secondo libro (o terza parte) dell’Uomo senza qualità dal titolo Verso il Regno millenario. L’ouverture di questa sezione coincide, proprio per ribadire la tonalità luttuosa, con la morte del padre di Ulrich, e con il relativo funerale. La celebrazione solenne ricorda da vicino le esequie funebri per Francesco Giuseppe, che si stagliano proprio nell’orizzonte della fine dell’impero austro-ungarico e che sono rappresentate in modo ineguagliabile, in campo letterario, dalla Marcia di Radetzsky (1932) di Joseph Roth. Rispetto alle prime due parti dell’Uomo senza qualità il respiro della terza sezione è sensibilmente diverso. Da questo momento in poi alla pulsione all’attivismo che aveva segnato la prima parte segue un tentativo da parte di Ulrich di prescindere dalla realtà per spingersi lungo i sentieri della mistica. Con lui, la protagonista di questa svolta è Agathe, la cosiddetta sorella gemella, in realtà sorella e anima gemella, o forse ancora meglio proiezione del proprio sé, ritrovamento dell’amor proprio. La donna, più giovane di cinque anni, compare sulla scena del romanzo in occasione delle esequie per il padre di Ulrich, dopo un lungo periodo di latitanza. Agathe decide, dopo il funerale del padre, di non fare più ritorno nella casa coniugale, dal marito professor Hagauer, e di restare tra le mura della dimora familiare. Inizia così per Agathe e Ulrich una convivenza in simbiosi intellettuale che Musil presenta come un’utopica unione mistica, come un auspicato altro stato vicino all’estasi religiosa. La nascita della comunità dei fratelli viene considerata dallo scrittore come l’unica possibile chance di superamento del disagio in cui si è avviluppata la società moderna. Il sodalizio dei due consanguinei – o forse anche il loro congiungimento (e qui si intravede il motivo wagneriano della Walkyria con l’incesto tra Siegmund e Sieglinde) – allude a una fusione amorosa delle due metà separate, e quindi si presenta come stadio della contemplazione, alternativo alla precedente dinamica statica dell’Azione parallela. Si tratta di una relazione mistica nella quale Musil simbolizza il desiderio di totalità, di raggiungimento di un’unità originaria dell’altro stato: una unificazione a venire, che sta alla vita reale «come la luna davanti alla finestra della camera da letto» (p. 986). L’altro stato è, insieme allo stato normale, uno dei due poli su cui si fonda dichiaratamente la poetica musiliana (Spunti per una nuova estetica). A partire da questa dimensione alternativa a quella reale, s’intende la vera qualità di Ulrich, l’uomo senza qualità, che vive nella dimensione del possibile. Non è un caso se in una precedente versione del romanzo il suo nome era addirittura Anders, ovvero diversamente. Musil descrive il suo protagonista come un uomo che cerca forma e decisione, che vuole conferire un ordine al flusso dei casi e decidersi nella configurazione di un pensiero capace di esprimere la totalità. E infatti fa di Ulrich un matematico, un uomo cioè che cerca la costruzione di mondi altri. Come si legge nel saggio musiliano del 1913 L’uomo matematico: «Si può definire la matematica come una meravigliosa strumentazione spirituale fatta per anticipare nel pensiero tutti i casi possibili». Nella sperimentazione matematica della vita si provano tutti i modi migliori di essere uomo, e si cerca di trovarne di nuovi. In quella utopia concreta cui allude Musil attraverso Ulrich, occorre trattare la realtà come un compito e un’invenzione, impadronirsi della irrealtà per fare affiorare l’incompiutezza della realtà, per offrirle un ordine altro e diverse connessioni. In un importante capitolo del romanzo l’utopia viene definita come «un esperimento nel quale si osserva la possibile mutazione di un elemento e gli effetti che produrrebbe in quel fenomeno complesso che noi chiamiamo vita» (p. 288).

Ulrich è un uomo della possibilità, ma proprio per questo anche un uomo dell’utopia, e un uomo senza qualità. Il concetto di mancanza di qualità, che Musil prende in prestito dalla tradizione mistica e in particolare da Meister Eckhart, è il perno del romanzo. Ulrich è un uomo senza qualità, ma in un mondo in cui le qualità sono tutte da stabilire, da rintracciare in un orizzonte svuotato di senso. Se il protagonista del romanzo è un uomo senza qualità, è perché la qualità comunemente intesa s’inquadra nel contesto del reale, nella prospettiva di un’accettazione della realtà in quanto tale. In altre parole le qualità (o anche proprietà) che mancano a Ulrich sono quelle proprie di un mondo meccanicizzato, massificato; sono allora elementi impersonali, non qualità. Di qui può considerarsi a giusto titolo uomo senza qualità chi non s’identifica con queste caratteristiche, o meglio le considera come possibilità, e non come realtà incontrovertibili su cui fondare la realtà della propria persona. Si potrebbe anche dire che un uomo della possibilità è l’individuo capace di vedere con occhi nuovi, di mantenersi indipendente dalle vecchie correlazioni, dalle rigide valutazioni e dai clichés stabiliti. Con le parole di Musil:

All’incirca come in un saggio in cui nella sequenza dei capitoli un oggetto viene considerato da molti punti di vista senza focalizzarlo nel suo insieme – in quanto un oggetto esaminato nel suo insieme perde improvvisamente la sua massa e si riduce a un concetto – così Ulrich credeva di poter considerare e affrontare nel modo migliore il mondo e la propria vita (p. 292).

Le non qualità invece rappresentano l’altro della realtà, la dimensione metaforica. Se Ulrich si definisce uomo senza qualità è proprio perché la sua forma di esistenza s’incentra sulla volontà di «costruire la sua vita su metafore». Di qui Musil afferma che il senso di possibilità significa vivere la storia delle idee invece che quella del mondo, o anche vivere come se non si fosse un uomo ma soltanto il personaggio di un libro. È questa la forma di esistenza di chi vuole uscire dal mondo nella sua unilateralità, dalla realtà quotidiana e operare una similitudine. Il motivo della metafora, che sola unifica ciò che per la razionalità univoca è la molteplicità e la frammentarietà, è per Musil strettamente imparentato con il concetto della possibilità. È il contrassegno di chi non crede nei legami, di chi si rifiuta d’incasellare tutto in formule rigide. Per chi si affida alla metafora la parola è come un involucro vuoto, «un sostantivo nudo, spoglio come un fantasma al quale si vorrebbe prestare un lenzuolo» (I, 1, 40). Raccogliendo un’eredità dello scrittore austriaco Hugo von Hofmannstahl, anche Musil riconosce, attraverso il suo protagonista, i limiti del linguaggio: «Ulrich non trovava parole per esprimersi. Le parole saltano da un albero all’altro come scimmie» (I, 1: 40). Nella grande fabbrica delle alternative, Musil scorge nella metafora - che rinnega gli schemi fissi e invariabili dell’esperienza, e che segue l’impulso ad associare e dissociare – la risposta al mondo moderno della civilizzazione. In questo senso Ulrich, uomo delle metafore, deve collocarsi in una posizione non centralissima, o meglio accettare - in linea con la sorte della sua amata-odiata patria - la perdita del centro. Vivere ipoteticamente significa accogliere l’incompletezza, l’insensatezza, la marginalità, la precarietà della vita stessa. È quanto sottolinea lo stesso Musil in una bozza preparata per la prefazione all’Uomo senza qualità:

Dedico questo romanzo alla gioventù tedesca […] a quella che verrà tra qualche tempo e che dovrà necessariamente riprendere le mosse dal punto esatto in cui noi […] ci siamo fermati […] Questo romanzo è ambientato negli anni che precedono il 1914, in un’era dunque che i giovani non hanno conosciuto. E quest’era non vi è descritta così come è stata veramente, in modo che possano farsene un’idea. Vi è descritta, piuttosto, nel suo riflettersi in una persona non particolarmente autorevole.

Almeno nella letteratura una persona non particolarmente autorevole rappresenta il rispecchiamento di un’intera epoca, e anche il protagonista incontrastato di uno dei romanzi più belli della narrativa del Novecento. Non solo la gioventù tedesca, quella che probabilmente deve ancora venire, ma le nuove generazioni in genere dovrebbero accogliere il messaggio e l’attualissima lezione dell’Uomo senza qualità di Robert Musil, e ricominciare dai puntini di sospensione con cui si chiude (e si apre) il romanzo. Per fare questo, bisogna prima leggerlo.

MICAELA LATINI

Nota biobibliografica

CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE

Robert Musil nasce il 6 novembre 1880 a Klagenfurt (in Carinzia), allora periferia sud dell’impero austro-ungarico, dall’ingegnere Alfred Musil e da sua moglie Hermine Bergauer. La famiglia si trasferisce a Komotau (Boemia), dove il padre, abbandonata la professione di ingegnere, dirige il locale liceo scientifico, e poi in Stiria (Alta Austria). Qui Musil frequenta la scuola elementare e la prima classe del liceo scientifico, ma dopo tre anni la famiglia si sposta a Brünn (Brno). La crisi del matrimonio dei genitori, seguita alla presenza in casa dell’amico di famiglia, l’amante della madre Heinrich Reiter, inquieta il ragazzo, che soffre di una lunga malattia di nervi.

Nel 1892, con sollievo della famiglia, decide di frequentare il collegio militare di Eisenstadt, nel Burgenland. Due anni dopo lascia Eisenstadt, per proseguire gli studi al collegio militare di Mährisch-Weißkirchen (Hranice), alla periferia dell’impero. È il posto infernale dove si svolgono i fatti che verranno narrati nel racconto I turbamenti del giovane Törless (1906).

Nel 1897 inizia l’addestramento di ufficiale d’artiglieria all’Accademia militare di Vienna, che però abbandona nel dicembre dello stesso anno per iscriversi a ingegneria meccanica al Politecnico di Brünn (Brno), di cui suo padre era rettore. In questa città riprende i contatti con l’amico di infanzia Gustav Donath e fonda con lui una sorta di cenacolo letterario. Tra le sue letture di questo periodo: Hamsun, Nietzsche, Maeterlinck, D’Annunzio e Dostoevskij.

Finiti gli studi, supera l’esame di ingegneria nel luglio 1901, e consegue il titolo di ingegnere, con il quale continuerà a firmarsi vita natural durante. La stessa estate conosce la fidanzata di gioventù, una ragazza semplice che lavora come commessa in un negozio di stoffe di Brünn (Brno), Herma Dietz, e che sarà il modello per la novella Tonka. Da ottobre lo scrittore presta un anno di servizio militare volontario in fanteria. Nel 1902 ricopre il ruolo di assistente al Politecnico di Stoccarda, e inizia la stesura del racconto I turbamenti del giovane Törless.

Nel 1903, dopo un anno di servizio militare come sottotenente, decide di studiare filosofia, psicologia, matematica e fisica all’università Friedrich Wilhelm di Berlino. Legge le Ricerche logiche di Husserl. Nel 1905 finisce di scrivere I turbamenti del giovane Törless, che appare a Vienna nel 1906, e che riscuote un enorme successo di critica. Si laurea nel 1908 in filosofia, con una tesi sulle teorie del fisico Ernst Mach e molti contrasti con il relatore Carl Stumpf. Viene invitato da Alexius Meinong a intraprendere la carriera accademica in psicologia sperimentale all’Università di Graz, ma rifiuta. Pubblica la novella La casa incantata sulla rivista «Hyperion» di Franz Blei, e redige una prima stesura dei racconti La tentazione della silenziosa Veronika e Il compimento dell’amore che usciranno nel volume Congiungimenti.

Fino al 1910 è editore della rivista di letteratura e arte «Pan», fondata a Berlino nel 1895. Dal 1911 al 1913 lavora come bibliotecario al Politecnico di Vienna, e nella stessa città sposa la pittrice berlinese ebrea Martha Heimann Marcovaldi il 14 aprile 1911. Nel 1913 esce il primo saggio importante di Musil, L’uomo matematico. In questo stesso anno abbozza La carta moschicida e compone il diario romano. Nel 1914 si dimette dal posto di bibliotecario a Vienna e, trasferitosi in Germania, diventa redattore della «Neue Rundschau» a Berlino. Collabora con diverse riviste, legge con entusiasmo Henri Bergson, e conosce personalmente Rilke e Walther Rathenau.

Allo scoppio della prima guerra mondiale si presenta all’ambasciata austriaca di Berlino per arruolarsi come volontario. Viene assegnato al fronte sudtirolese per la sicurezza dei confini contro l’Italia.

Nel 1915 si sposta in varie località del Sud Tirolo e del Trentino, e conosce la contadina Lene Maria Lenzi, poi ritratta nella novella Grigia. Viene nominato ufficiale al fronte. Partecipa alla quarta battaglia dell’Isonzo.

Nel marzo 1916, per ripetuti attacchi di stomatite ulcerosa, viene ricoverato negli ospedali di Brunico, Innsbruck e Praga, quindi rientra a Bolzano. Durante la permanenza al fronte sud-tirolese, viene insignito della medaglia di bronzo al valor militare. Da questo stesso anno è direttore della «Tiroler Soldaten-Zeitung», rivista di propaganda pubblicata a Bolzano, per la quale pubblica diversi contributi anonimi. Ad aprile del 1917 viene chiusa la redazione della rivista. Sempre nel 1917 il padre di Robert riceve il titolo nobiliare von, di cui Musil farà scarsamente uso. Nello stesso anno Musil viene trasferito a Marburg/Drau, al comando del fronte orientale. Il primo novembre viene promosso capitano.

Nel 1918 viene fondato un nuovo giornale propagandistico, «Heimat», di cui gli viene affidata la direzione. Pubblica sulla rivista di Franz Werfel, «Summa», il saggio dal titolo Schizzo della conoscenza del poeta. Il 15 dicembre lascia l’esercito. Riprende il lavoro I Fanatici.

Dopo la guerra, Musil lavora fino al 1920 per il ministero degli Esteri austriaco a Vienna. Inizia la redazione dei testi narrativi che poi rifluiranno nell’Uomo senza qualità.

Nel 1921 pubblica su «Der neue Merkur» il saggio Spirito ed esperienza, e in agosto il dramma I fanatici (al quale lavorava dal 1908). Scrive recensioni teatrali per la «Neue Rundschau». Esce la novella Grigia.

Nel 1922, nel contesto della sua attività al ministero della Guerra, tiene la conferenza La psicotecnica e la sua possibilità di applicazione nell’esercito. A Berlino entra in contatto con la casa editrice Rowohlt. A giugno esce il saggio Sintomi-Teatro i per «Der neue Merkur». Ha contatti con György Lukács, e legge L’eros cosmogonico di Ludwig Klages. A novembre, a causa dei tagli sul bilancio, cessa l’attività al ministero.

Nel 1923 escono Le due amanti, Tonka, La portoghese e la farsa Vincenz e l’amica degli uomini importanti, rappresentata con successo il 4 dicembre. Su suggerimento di Alfred Döblin gli viene conferito il premio Kleist.

Negli anni seguenti escono Tre donne (1924), la poesia Iside e Osiride (1924), e i saggi Il tramonto del teatro su «Der Neue Merkur» (1924) e Come si aiutano i poeti? su «Künstlerhilfe Almanach» (1925) e lavora intensamente a un rifacimento del romanzo che avrà per titolo Il redentore. Aderisce al Gruppo 1925, un movimento letterario cui partecipano tra gli altri anche Brecht, Becher, Döblin, Piscator.

Il 16 gennaio del 1927 tiene il discorso commemorativo per Rilke, morto il 29 dicembre. Progetta di istituire un’associazione rilkiana (con Alfred Döblin, Gerhart Hauptmann, von Hofmannsthal e Alfred Kerr). In riferimento alle elezioni di marzo in Austria, sottoscrive un appello a favore del partito socialdemocratico. Nel 1928 esce il racconto Il merlo.

Il 4 gennaio 1929 comincia la stesura definitiva del suo romanzo L’uomo senza qualità, ma la tensione era molto alta e il lavoro procede a fatica tra un’operazione alla cistifellea e un esaurimento nervoso. Il 3 aprile a Berlino ha luogo la prima dei Fanatici, che viene accolta negativamente dal pubblico. In questo stesso anno Musil viene premiato con il Gerhart-Hauptmann-Preis.

Nel novembre 1930 esce per la Rowohlt il primo volume di Der Mann ohne Eigenschaften (L’uomo senza qualità) che ottiene ottime recensioni critiche ma che non riscuote un buon successo di vendita.

A marzo del 1931 pubblica il saggio Il letterato e la letteratura.

Nel 1931 Musil si sposta nuovamente a Berlino, dove nel 1932 viene fondata una società musiliana che assicura allo scrittore un sostegno economico mensile. A marzo del 1933 esce il secondo volume dell’Uomo senza qualità. Subito dopo Hitler sale al potere, e Musil fugge a Vienna. Anche nella capitale austriaca nasce una società Musil.

Nel 1935, con il nazismo ormai al potere dilagante, partecipa a Parigi al convegno sulla difesa della cultura in Europa, patrocinato dal partito comunista francese. In questa occasione è l’unico fra gli scrittori a prendere una posizione molto forte, additando come pericolo per la democrazia non solo il nazismo tedesco, ma anche i sovietici in Russia. Escono le prose di Pagine postume pubblicate in vita.

Nel 1937, malgrado le difficoltà di salute, tiene la famosa conferenza Sulla stupidità presso l’Associazione artigiana austriaca.

Nel 1937 escono undici aforismi con il titolo Da un brogliaccio sulla rivista «Die Rappen». Chiede al nuovo editore Rowohlt (subentrato a Fischer) una proroga per la consegna della continuazione dell’Uomo senza qualità. Dopo l’annessione dell’Austria al Terzo Reich nel 1938, le autorità naziste vietano la pubblicazione e la vendita dell’Uomo senza qualità. Musil emigra con sua moglie, attraverso l’Italia e Roma, in Svizzera. Si stabiliscono a Zurigo, e vivono grazie ai sussidi erogati da amici e da fondazioni. Musil lavora in modo compulsivo alla conclusione del romanzo, in un sovrapporsi di stesure, abbozzi, frammenti.

Nel 1941 si stabilisce a Champel, sobborgo di Ginevra. A gennaio del 1942 elabora l’ultimo progetto del romanzo Poscritto. Conclusione. Il 15 aprile 1942, mentre ancora lavorava alle bozze del terzo volume dell’opera, viene colpito dall’apoplessia cerebrale. Il suo corpo viene cremato e le ceneri disperse, come da sua volontà, in un bosco delle vicinanze. Vengono pubblicati post mortem i quattordici capitoli dell’Uomo senza qualità che Musil non riuscì a dare alle stampe, e che si è convenuto di considerare parte autentica del romanzo.

BIBLIOGRAFIA

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L’uomo senza qualità, nuova edizione italiana a cura di Adolf Frisé, traduzione di Anita Rho, Gabriella Benedetti e Laura Castoldi, 2 voll., introduzione di Bianca Cetti Marinoni, Einaudi, Torino 1996 (coll. NUE); 1997, 2005 (coll. ET).

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