Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Romanzi e racconti
Romanzi e racconti
Romanzi e racconti
E-book674 pagine9 ore

Romanzi e racconti

Valutazione: 4 su 5 stelle

4/5

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Cuore di cane, Romanzo teatrale, Diavoleide, Il numero civico tredici, Le avventure di Čičikov, Le uova fatali, I racconti di un giovane medico

Con una premessa di Eraldo Affinati
Traduzioni di A. Ferrari, V. Melander, C. Spano • Edizioni integrali

«...Una volta, nel 1919, viaggiavo di notte su un treno sgangherato e alla luce di una candela infilata nel collo di una bottiglia scrissi il mio primo racconto». Così Bulgakov disse di aver compiuto il suo esordio in letteratura. Aveva 28 anni ed era medico. Molti episodi della sua vita di allora forniranno lo spunto per I racconti di un giovane medico, qui presentati insieme a romanzi e racconti tra i più celebri dell’autore de Il maestro e Margherita. In alcuni, come in Diavoleide, Le uova fatali, Cuore di cane o Romanzo teatrale, ritroviamo la scrittura graffiante e l’ironica fantasia del Bulgakov più noto; in altri, come appunto ne I racconti di un giovane medico, il grande scrittore rivela, attraverso spunti autobiografici, la profonda umanità e la carica empatica dei suoi incontri con la gente del popolo nella campagna e nelle città russe del primo Novecento.

«Filìpp Filìppovič appoggiò il mento all’orlo del tavolo, alzò con due dita la palpebra destra del cane, guardò l’occhio morente e disse: «Accidenti, non è mica crepato! Ma creperà. Sa, dottor Bormentàl’, mi dispiace per il cane. Era furbo, ma affettuoso».»


Michail A. Bulgakov

nacque nel 1891 a Kiev, dove si laureò in medicina. Dopo la rivoluzione si stabilì a Mosca, collaborando con dei giornali e dedicandosi all’attività letteraria. Nel 1925 la rivista «Rossija» cominciò la pubblicazione del suo primo romanzo, La guardia bianca, presto interrotta. I rapporti dello scrittore con il potere non furono facili e durante gli anni di Stalin le sue opere furono proibite. Bulgakov morì nel 1940. La maggior parte di ciò che scrisse, tra cui Il maestro e Margherita (pubblicato dalla Newton Compton nella collana Grandi Tascabili Economici), fu data alle stampe soltanto dopo il 1965.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854138322
Romanzi e racconti

Leggi altro di Michail A. Bulgakov

Correlato a Romanzi e racconti

Titoli di questa serie (100)

Visualizza altri

Ebook correlati

Classici per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Romanzi e racconti

Valutazione: 4 su 5 stelle
4/5

1 valutazione0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Romanzi e racconti - Michail A. Bulgakov

    Nota biobibliografica

    La vita

    Michail Bulgakov nacque nel 1891 a Kiev, primogenito di una famiglia di intellettuali. Il padre insegnava teologia all’Accademia Ecclesiastica, mentre la madre era una donna colta che non mancò di instradare il figlio verso le buone letture. Bulgakov era un ragazzo vivace, più interessato al mondo femminile che agli studi: ha solo diciassette anni quando conosce Tatiana Lappa, la prima delle sue tre mogli, e se ne innamora. La sposerà nel 1913. Iscrittosi alla facoltà di medicina di Kiev, gli studi universitari non sembrano esaltarlo: dopo un’esperienza come volontario nella Croce rossa, si laurea, in ritardo ma col massimo dei voti, nel 1916. Il giovane medico Bulgakov viene spedito nella Russia rurale, nella provincia di Smolensk, a contatto con l’ingente mole dei contadini poveri. A questo periodo risalgono i suoi primi tentativi letterari, tra i quali una prima bozza di quello che più tardi diventerà Memorie di un giovane medico, composto nel 1926 ma destinato, come gran parte dell’opera di Bulgakov, a una pubblicazione postuma. Sempre in questi anni avviene il suo incontro con la morfina, sostanza da cui per circa un anno sarà dipendente: esperienza ricordata nel racconto Morfina.

    Rientrato a Kiev nel 1918, Bulgakov apre un gabinetto medico specializzato nella cura delle malattie veneree, e, nel frattempo, guarda la sua città natale scivolare nel caos: mentre Kiev è contesa tra i tedeschi, le guardie bianche e i bolscevichi, lo scrittore parteggia inizialmente per i bianchi, ma poi accoglie con favore l’arrivo dei rossi che mettono fine alla girandola di occupazioni. Inviato nel Caucaso come medico militare, Bulgakov continua a dilettarsi con la letteratura, finché un giornale locale pubblica un suo racconto. Pochi mesi più tardi, decide di abbandonare la professione medica per dedicarsi unicamente alla scrittura. Trasferitosi a Mosca nel 1921, Bulgakov vivrà l’esaltazione e la confusione dei primi anni della Russia rivoluzionaria, arrangiandosi tra diversi mestieri e varie collaborazioni con giornali e riviste. Vive in un alloggio modesto, al numero 10 della via Bolšaja Sadovaja: un appartamento che verrà ampiamente descritto ne Il maestro e Margherita. I suoi racconti cominciano a uscire su riviste via via più prestigiose e l’apprendista scrittore diviene un autore stimato e conosciuto: tra il 1923 e il 1925 pubblica Appunti sui polsini, La guardia bianca, Diavoleide, Uova fatali e Appunti di un giovane medico. Il suo nome appare anche sulle riviste letterarie estere: ma in Unione Sovietica c’è già chi lo guarda con sospetto, per le sue origini borghesi e per il sarcasmo che impregna le sue opere. Intanto Bulgakov ha ottenuto il divorzio dalla prima moglie, per risposarsi nel 1924 con la bella Lyubov’ Belozerskaja.

    Ma il clima dell’URSS sta cambiando. Nel 1924 è morto Lenin, e, se ancora non siamo entrati in piena epoca staliniana, la repressione comincia a farsi sentire.

    Tra il gennaio e il marzo del 1925 Bulgakov compone Cuore di cane, un racconto lungo destinato alla rivista «Nedra», sulla quale erano già apparsi Diavoleide e Uova fatali. Il tono satirico e decisamente polemico non manca di farsi notare: la rivista gli chiede numerose revisioni finché, nel 1926, gli comunica che è inutile continuare a lavorarci. Nel maggio del 1926, durante una perquisizione, gli vengono sequestrati i suoi diari e il manoscritto di Cuore di cane. Ma, inizialmente, la cosa non sembra preoccupante: nei mesi seguenti il Teatro d’Arte di Mosca mette in scena I giorni dei Turbin, tratto dal romanzo La guardia bianca, mentre il Teatro Vachtangov allestisce L’appartamento di Zoja, e Bulgakov ottiene un grande successo come autore teatrale. Le difficoltà, però, non si fanno attendere: L’appartamento di Zoja e I giorni del Turbin vengono tolti dal cartellone, La fuga e Molière sono vietate, L’isola purpurea è quasi subito ritirata. Il 18 marzo del 1930 la commissione per il repertorio gli comunica il veto alla rappresentazione di tutte le sue opere: Bulgakov è considerato un autore dalle vene mistiche, incapace di adattarsi al realismo socialista. Dieci giorni dopo avere ricevuto quella comunicazione, Bulgakov decide di compiere un gesto rischioso: invia una lettera al governo sovietico in cui si autodenuncia come scrittore inadatto al clima rivoluzionario. Nella lettera, Bulgakov ammette di sentirsi a disagio in patria, e chiede che lo si lasci andare all’estero e, se questo non fosse possibile, di affidargli quantomeno la direzione di un teatro per dargli di che vivere.

    L’epilogo di questa storia ha dell’incredibile: tre settimane dopo avere spedito la lettera, Bulgakov riceve una telefonata da Stalin in persona. Il dittatore gli comunica che non c’è nessun bisogno che lui vada all’estero, e gli offre un impiego al Teatro d’Arte di Mosca. Pochi giorni prima, Majakovskji si era suicidato e un’enorme folla si era recata al suo funerale: Stalin, evidentemente, non voleva creare un altro martire.

    Qui comincia la grigia esistenza di Bulgakov nella grigia Russia staliniana. Privo della libertà che avrebbe avuto all’estero, l’unica consolazione resta per lui la vita privata: nel 1932, dopo avere divorziato anche dalla seconda moglie, lo scrittore riesce a sposarsi con Elena Sergeevna, una donna con cui da tempo aveva una relazione movimentata, poiché lei era sposata e il marito minacciava di toglierle i figli in caso di separazione. Nel 1932 viene riportato in cartellone I giorni del Turbin e, nello stesso anno, grande successo ha la riduzione teatrale fatta da Bulgakov da Le anime morte di Gogol’. Le avversità però continuano, visto che Adamo ed Eva non viene rappresentato, La vita del Signor de Molière non viene pubblicato e, nel 1936, la commedia Ivàn Vasìl'evič fu allestita al Teatro della Satira di Mosca, e poi proibita dopo la prova generale. Nel settembre del 1936 Bulgakov si dimette dal Teatro d’Arte e si ritira a vita privata, dove, in segreto, scrive Il maestro e Margherita. Il suo ambiguo rapporto con il potere continua: nel 1938 scrive una pièce sulla vita di Stalin destinata ad andare in scena per il sessantesimo compleanno del dittatore. Dopo tanta fatica, l’epilogo è sempre lo stesso: la rappresentazione dell’opera è vietata. Nel 1939 gli viene diagnosticata una malattia incurabile, la sclerosi renale: morirà nel marzo del 1940.

    Sostanzialmente dimenticato fino all’avvento di Kruscev e alla destalinizzazione, il nome di Bulgakov tornerà in auge solo a partire dagli anni Sessanta: alcune sue opere vengono ripubblicate ma, soprattutto, nei circoli culturali si comincia a parlare di un colossale romanzo che lo scrittore avrebbe lasciato inedito. Nel 1966, la prima parte del romanzo viene pubblicata da una rivista letteraria, a cui presto seguiranno la seconda parte e la terza: Il maestro e Margherita è unanimemente acclamato come capolavoro. Tradotto in italiano (e in numerose altre lingue) nel 1967, nello stesso anno appare nel nostro paese anche Cuore di cane: opera che, invece, in Russia resterà inedita fino al 1987.

    Opere di Bulgakov in originale

    Zapìski na manžètach, (Appunti sui polsini), prima parte, su «Nakanune», novembre 1922; seconda parte su «Rossija», 1923; D’javoljàda, (Diavoleide), su «Almanach Nedra», n.4, 1924; Bèlaja Gvàrdija (La guardia bianca), prima parte su «Rossija», 4, 1924, seconda parte su «Rossija», 5, 1925; Rokovye Jàjca (Uova fatali), su «Almanach Nedra», n.6, 1925; Zapìski jùnogo Vračà (Appunti di un giovane medico), su «Krasnaja Panorama» e «Medicinskij Rabotnik», 1925-1926; Pochoždènija Čičikova (Le avventure di Chichikov), su «Almanach Nedra», n. 13, 1926.

    Principali edizioni postume in originale

    P’esy (Commedie), Mosca 1962; Žizn’gospodina Mol’era (Vita del signor di Molière), Mosca 1962; Zapìski jùnogo vračà (Appunti di un giovane medico), Mosca 1963; Dramy i Komedii (Drammi e commedie), Mosca 1965; Izbrannaja proza (Prose scelte), Mosca 1966; Màster i Margaríta (Il maestro e Margherita), su «Moskva», 11, 1966, e 1, 1967; Màster i Margaríta (edizione non censurata), Francoforte sul Meno 1969; Rokovye jàjca (Le uova fatali), Londra 1970; Dni Turbinych (Igiorni del Turbin), Letchworth 1970; Sobač’e serdce (Cuore di cane), Parigi 1970; D’javoljàda (Diavoleide), Londra 1970; Kabala svjatos (La cabala dei devoti), Letchworth 1971; Don Kichot (Don Chiosciotte), Letchworth 1971; Teatral’nyj roman (Il romanzo teatrale), Letchworth 1972; Romany (Romanzi), Mosca 1973; Màster i Margaríta, Rasskazy (Il maestro e Margherita, racconti), Mosca 1980; Sobač’e serdce (Cuore di cane), su «Znamjia», 1987; Izbrannye proizvedenija (Opere scelte), in due volumi, Kiev 1989; Sobač’e serdce, Povesti i rasskazi (Cuore di cane, Romanzi e racconti), Mosca 1990.

    Principali traduzioni italiane

    La guardia bianca, Anonima Romana editoriale, Roma 1929, traduzione e introduzione di E. Lo Gatto; Le uova fatali, Carabba, Lanciano 1931, trad. di U. Barbaro e L. Uspienscaia; Il romanzo teatrale, Einaudi, Torino 1966, trad. di V. Dridso; La guardia bianca, Einaudi, Torino 1967, trad. di E. Lo Gatto; Il maestro e Margherita, Einaudi, Torino 1967, trad. di V. Dridso, prefazione di V. Strada; Il maestro e Margherita, De Donato, Bari 1967, trad. di M. Olsoufieva; Cuore di cane, De Donato, Bari 1967, trad. di M. Olsoufieva; Uova fatali e altri racconti, De Donato, Bari 1967, trad. di M. Olsoufieva; Teatro, De Donato, Bari 1968, trad. di M. Olsoufieva; L’isola purpurea, De Donato, Bari 1968, trad. di A.M. Carpi; I giorni del Turbin. Ivan Vasil’evič. La corsa, Bompiani, Milano 1968, trad. di M. Monticelli e G. Buttafava; Vita del signor di Molière, Mondadori, Milano 1969, trad. di E. Piersigilli; Racconti, Einaudi, Torino 1970, trad. di C. Coisson, V. Drisdo; Cuore di cane, Garzanti, Milano 1970, trad. di M. Olsoufieva; L’appartamento di Zoja. Adamo ed Eva, De Donato, Bari 1971, trad. di C. Di Paola, S. Leone; Tutto il teatro, Newton Compton, Roma 1973, trad. di vari, introd. di V. Strada; Il maestro e Margherita, Garzanti, Milano 1973, trad. di V. Drisdo, pref. di V. Strada; Racconti di un giovane medico, Newton Compton, Roma 1974, trad. di C. Spano; Il maestro e Margherita, La nuova Italia, Firenze 1974, trad. di M. Visani; Cuore di cane, Rizzoli, Milano 1975, trad di G. Crino, introd. di A. M. Ripellino; Cuore di cane, Newton Comtpon, Roma 1975, trad. di V. Melander; Il maestro e Margherita, Rizzoli, Milano 1975, trad. di M. Olsoufieva; Diavoleria, Newton Compton, Roma 1976, trad. di C. Spano; Il maestro e Margherita, Rizzoli, Milano 1977, trad. di M. De Monticelli, pref. di E. Bazzarelli; Appunti sui polsini, Editori Riuniti, Roma 1978, trad. di E. Bazzarelli; Cuore di cane, Sansoni, Firenze 1979, trad. di G. Albertocchi; Feuilletons, Editori Riuniti, Roma 1980, trad di M. Cudakova; La vita del signor de Molière, Studio Tesi, Pordenone 1985, trad. di L. Aviroc Rupeni; Romanzi, Einaudi, Torino 1988, trad. di vari, introd. di V. Strada; Morfina, Il Melangolo, Genova 1988, trad. di M.A. Curletto; Diaboliade, Interno Giallo, Milano 1990, trad. di P. Ferrari; Appunti di un giovane medico, Rizzoli, Milano 1990, trad. di E. Guercetti, introd. di M. Martinelli; Ho ucciso e altri racconti, Guanda, Parma 1990, trad. di B. Osimo; Lettere a Stalin, Enukidze e Gorkji, Il Melangolo, Genova 1990, trad. di M.A. Curletto; I giorni del Turbin, Einaudi, Torino 1991, a cura di G. Gandolfo; Il maestro e Margherita, Newton Compton, Roma 1992, trad. di S. Arcella; Romanzo teatrale, Rizzoli, Milano 1992, trad. di M. Martinelli; Mosca dalle pietre rosse, Studio Tesi, Pordenone 1993, trad. di E. Bazzarelli, A. D’Amelia, G. Spendel; Racconti, Mondadori, Milano 1993, a cura di G. Spendel; Cuore di cane, Mondadori, Milano 1994, trad. di N. Cicognini; Morfina e altri racconti, Mondadori, Milano 1994, trad. di N. Cicognini, S. Lega, C. Moroni; L’appartamento di Zoja: una farsa tragica in tre atti, Sovrin, Roma 1995, trad. di G. Spaghetti; Cuore di cane, Einaudi, Torino 2001, trad. di C. Coisson, S. Leone, V. Dridzo; I manoscritti non bruciano: lettere scelte 1927-1940, Archinto, Milano 2002, a cura di S. Pavan; Romanzi e racconti, Mondadori, Milano 2003, a cura di S. Vitale.

    Principali studi critici in italiano

    L. Lombardo Radice, Gli accusati: Franz Kafka, Michail Bulgakov, Aleksandr Solzenytsin, Milan Kundera, De Donato, Bari 1972; E. Bazzarelli, Invito alla lettura di Michail Bulgakov, Mursia, Milano 1976; A.M. Ripellino, Saggio su Bulgakov, in Saggi in forma di ballate, Einaudi, Torino 1978; R. Giuliano Di Meo, Michail Bulgakov, La Nuova Italia, Firenze 1981; Atti del convegno Michail Bulgakov: Gargnano del Garda, 17-22 settembre 1984, Università degli Studi di Milano, Milano 1985; J.A.E. Curtis, I manoscritti non bruciano. Michail Bulgakov: una vita in lettere e diari, Rizzoli, Milano 1992; V. Sacharov, L’addio e il volo: biografia letteraria di Michail Bulgakov, Il Cardo, Venezia 1995.

    SILVIA DAI PRA’

    Stile e lingua di Bulgakov

    Pochi scrittori come Bulgakov rifiutano un’etichetta. Se si racchiudono le sue opere in una sorta di contenitore universale, l’eccentricità dell’autore russo deborda dalla capsula sia pure vasta in cui si è tentato di circoscriverlo e l’una definizione annulla l’altra. Il realismo grottesco dei primi lavori è subito smentito dallo psicologismo di vecchio dramma à la russe di un testo come La guardia bianca (Belaja gvardija) o de I giorni del Turbin (Dni Turbynych), che del romanzo è la trasposizione teatrale. Se poi La corsa (Beg) si allinea ai Turbin, composizioni drammatiche come L’appartamento di Zoja (Zojkina Kvartira), L’isola purpurea (Bogrovyj ostrov), Ivan Vasìl’evič coprono, invece, un settore di satira politica che ha pochi riscontri nella storia letteraria russa, malgrado le filiazioni da Gogol’ e da Saltykov-Scedrìn. La satira è in queste commedie - non a caso proibite o osteggiate dalla censura sovietica - così virulenta nei confronti di un sistema di capovolgimento sociale troppo affrettato o semplicemente imperfetto per Bulgakov, che gli esempi recenti di critica politica mossi al regime sovietico risultano al confronto scialbe esercitazioni o astiose recriminazioni prive del respiro e della comicità propri della satira.

    Il Maestro e Margherita (Màster i Margarita), composto su due livelli diversificati ma armonici - da un lato il romanzo storico di Pilato, dall’altro la magica avventura del Maestro - si presenta come opera totale, confluenza delle più disparate esperienze, in breve come una summa di Bulgakov. Le uova fatali (Rockovya jajca) e Cuore di cane (Sobač’e serdce), infine, stanno tra la fantascienza fredda e il simbolismo pamphlettario e rappresentano un altro approdo dell’arte bulgakoviana.

    Opera complessa, dunque, quella dello scrittore di Kiev, ove satira e simbolismo, magismo e misticismo, criptocritica politica e grottesca fiction affluiscono nel grande fiume della storia, di cui rappresentano una torbida allegoria.

    In questo magma cosmico, risaltano con esemplare chiarezza le strisce incandescenti di uno stile pregnante degno della migliore tradizione russa. Abbiamo già parlato di Gogol’ e di Saltykov-Scedrìn - due maestri della satira russa - come ascendenti bulgakoviani: se del secondo Bulgakov ricorda l’acre umorismo, al primo - e anche a Hoffman - possono essere ricondotti un certo tono romantico di fondo e quel riconoscimento dei diritti dell’uomo contro l’aridità del burocrate che sono tipici di Bulgakov. Ma l’albero genealogico-stilistico dello scrittore non sarebbe completo senza un richiamo all’epoca rovente del futurismo, con le sue diverse ramificazioni, e al suo cantore per eccellenza, Majakovskij. L’esasperazione, la tensione, la sovreccitazione narrativa, la dilatazione dello spazio in dimensione infinita, la dinamica aerea, l’attenzione per le macchine, per il jazz, per il neon - «La strada rombava; una motocicletta passò con un trillo di usignolo. Una bara fasciata in un sudario giallo, con gli sportelli di cristallo (autobus!)», (da Uova fatali e altri racconti) - sono caratteristiche decisamente futuriste.

    Inoltre come in Gogol’, ritroviamo in Bulgakov l’animazione oggettuale; occhiali che parlano, vestiti che significano: «La bufera, vecchia strega, fece sbattere il portone e galoppando sulla scopa, ferì l’orecchio della ragazza», (Cuore di cane). Questa, insieme alla tendenza a distinguere i personaggi con denominazioni significanti - Preobražénskij significa colui che trasfigura - è motivo ricorrente nella letteratura russa. Talvolta l’oggettivazione è così persuasiva che i personaggi si concentrano davanti ai nostri occhi in un paio di baffi estremamente eloquenti (il professore) o in una barbetta a punta (il dottor Bormental’), oppure in «un grembiulino bianco e una crestina di pizzo» (Zina) - tutti oggetti parlanti di Cuore di cane.

    In comune con alcuni scrittori di fantascienza - i Bradbury, i Brown - la satira di Bulgakov ha infine assai spesso toni scientifici che ne illustrano il meccanismo, a nudo, con perfetta esattezza: servendosi della sua esperienza di medico, Bulgakov rende credibile l’assurdo (la macchina del tempo; la proliferazione di mostri nelle uova; la trasformazione cane-uomo e uomo-cane) mediante una terminologia tecnica di prodigiosa aderenza, che conferisce al suo stile un’asciuttezza da manuale terapeutico.

    Se ci concentriamo ora sulla lingua di Cuore di cane, preso come specimen semantico, all’analisi strutturale saranno evidenti le stratificazioni sociali che rappresentano i segnali-spia di una differenziazione classistica. Ecco quindi, partendo dal basso sottoproletario, il monologo interiore del cane Pallino: un fluido parlato tutto coloriture gergali, espressioni familiari - i «mascalzoni», i «maiali», quel «beccarsi una mattonata» - e suoni onomatopeici di canina estrazione quando il cane bastonato si abbandona all’urlo e le parole non bastano più. Il linguaggio del bastardo Pallino si tinge di trivialità paraproletaria e da cantina dell’ homunculus Pallinov, già suonatore di balalaika e frequentatore di osterie (almeno nell’altra vita ipofisaria): ed ecco le imprecazioni, i turpi soliloqui, i gesti osceni, curiosamente frammisti alle nuove acquisizioni linguistiche della semiologia burocratica («vogliate avere la compiacenza di prenderne atto»). A questo va aggiunto un eloquio non di rado politico-dogmatico, da testo marxista, e non sarà azzardato definire la lingua e i latrati del signor Pallinov, come dice l’assistente Bormental’, una sorta di Babele nel bel mezzo della Repubblica federale russa.

    Continuando la nostra indagine linguistica, ci imbattiamo nel parlato semplice, privo di autonomia, servile di Zina, di Fёdor, di Darja Petrovna: una lingua piena di ossequio, di deferenza domestica, di accondiscendenza secolare, oltre che di abbandono all’uso quotidiano (fioccano i «Mamma mia!», i «Signore Iddio!», ecc.).

    Diversi, ovviamente, i pazienti: un campionario gerontologico da belle époque, curiosi resti dell’era zarista, buffi manichini tardoromantici e operettistici. La signora ultracinquantenne: «Quel Moritz... corre dietro a tutte quelle ignobili modiste, non se ne perde una! Ma è giovane, così diabolicamente giovane!», oppure il paziente verde: «Ogni notte fanciulle nude a frotte. Lei è uno stregone! Mi ha incantato».

    Ai compagni Schwonder, Petruschin, Vjaszemskaja, Bulgakov attribuisce con sottile perfidia un linguaggio rigido e burocratizzato, ligio ai parametri del regime, anonimo come il verbale d’una seduta d’assemblea. Abbondano dunque gli «in primo luogo», i «per sua norma», i «per disciplina proletaria», mentre Schwonder usa addirittura un linguaggio da relazione di partito, con sottolineature solidamente riferite a commi e paragrafi, ma piuttosto traballanti su piano sintattico.

    La scala sociale quindi culmina con quella che, se non è più la classe dominante, è da questa protetta scandalosamente. Come dice Vjazemskaja, nell’unico scatto di tensione umana che distingue la scena dei compagni: «Se certe persone non intercedessero per lei nella maniera più scandalosa.». Il dottor Bormental’, rappresentante di secondo piano dell’intellighenzia di formazione borghese, adopera moduli di riporto, cercando di imitare il suo idolo, il professor Preobražénskij: tutto questo non senza mantenere le debite distanze semantiche, limitandosi spesso a un interessato e non compromettente «Hmmm...».

    Il professor Preobražénskij si colloca infine al gradino più alto dello scalone, o anche più su, in una sorta di Olimpo da cui lascia cadere parole come Giove i tuoni. Ma Preobražzénskij non è una divinità greca dalla maschera impassibile; quando la tracotanza di Pallinov lo scompone, anche il suo linguaggio si altera, rovina giù tra le macerie delle convenienze abbattute, scende negli angiporti del turpiloquio: «Insomma, [Klim era] un porco e una canaglia.».

    Altrove, specie nella prima parte, quando le acque sono ancora calme, il professore raggiunge l’apogeo della classe, del bello stile forbito. Ironico, scintillante, paradossale, egli cita Faust, Lomonosov, Spinoza, Robinson Crusoe, usa termini scientifici da iniziati, parla tedesco per non essere compreso da Pallinov, canticchia arie di opere famose. Il suo linguaggio si accompagna bene a un Saint-Julien di buona annata, accompagnato da anguilla marinata e da fette di salmone e caviale. Con Preobražénskij, anzi, con Filìpp Filìppovič Preobražénskij, ché lui ci tiene a essere chiamato per nome e patronimico, siamo all’aristocrazia della lingua, alla nobiltà semiologica, alla sublimazione del parlato.

    I personaggi della commedia endocrinologica cui Bulgakov ci fa assistere sono incasellati nei loro diversi habitat sociali proprio in virtù di una lingua estremamente diversificata: questa cura linguistica, la cura della caratterizzazione a oltranza, è propria degli autori di teatro, e viene spontaneo concludere che la prosa di Bulgakov, così piena, carica, essenziale, tutta animata, è la base di un edificio fondamentalmente drammaturgico. «La bufera gli sparò una fucilata sopra la testa, agitando le enormi lettere di uno striscione di tela: È POSSIBILE RINGIOVANIRE?»; «Le fisarmoniche grigie (i termosifoni, n.d.t.) sotto i davanzali delle finestre si riempivano due volte al giorno di un calore che si diffondeva a ondate per tutto l’appartamento»: la tangibilità di queste immagini prese da Cuore di cane - ma gli esempi potrebbero essere infiniti - e la loro immediatezza visiva, rivelano un autore teso alla rappresentazione diretta della vita colta nel suo movimento, nei suoi valori isocronici, nel suo formicolante dinamismo. «Egli fu un drammaturgo non solo perché scriveva lavori per il teatro, conosceva bene gli attori e amava il palcoscenico», disse A.M. Fajko ai funerali di Bulgakov, «ma perché egli percepiva la vita come azione. Per lui la vita fu sempre un atto, un qualche inatteso mutamento, una qualche scoperta».

    VIVECA MELANDER, 1975

    Cuore di cane

    Cuore di cane, cervello di uomo

    Questa è la storia di un cane che diventa uomo ma invece di salire verso le più alte virtù, in un trono aureo di perfezione, com’erano gli auspici del suo artefice, precipita nel fondo del sottoscala, là dove albergano i nostri peggiori istinti e i vizi meno confessabili. Tutto ciò accade in un momento storico preciso, nella Mosca indimenticabile e travolgente del 1925, quando l’uomo nuovo che i bolscevichi presentavano alla ribalta del mondo intero, dopo aver massacrato quello vecchio, poteva apparire ad alcuni smaliziati osservatori, assai poco inclini a qualsiasi illusione palingenetica, una specie di mostro costruito in provetta.

    Michail Bulgakov, nato a Kiev nel 1891, dottore in medicina, era giunto nella capitale russa all’indomani della rivoluzione, reduce da un’esperienza ambulatoriale in diverse cittadine del Caucaso, che gli aveva fatto conoscere lo sconfinato repertorio delle fragilità che da sempre ci caratterizzano: nello scrutinare i peccati, le debolezze e i difetti, insieme ai battiti del polso e ai gradi della pressione, con attenzione superiore rispetto a quella cui avrebbe potuto attenersi un semplice medico, aveva provato un sentimento misto di rabbia e compassione senza riuscire a trattenere, per l’una e per l’altra, una fragorosa risata, la cui eco ancora oggi risuona fra le pagine dei suoi libri. Dopo aver gettato via il camice bianco, alla maniera del grande maestro Čechov, si era stabilito in certe misere stanzette del centro urbano cominciando a collaborare alle riviste dei ferrovieri (una si chiamava proprio «Il fischietto»), oppure a fogli giornalistici letti da emigranti russi, tipo «Alla vigilia» che veniva stampata e diffusa a Berlino.

    Erano i tanto celebrati anni Venti: il tempo dei furori ma anche dei sorrisi, delle requisizioni e dei suicidi, non meno che dei compromessi, delle nuove acquisizioni di potere, sullo sfondo della grandiosa ristrutturazione avviata dai comunisti dopo la fine del regime zarista. L’epoca dei futurismi, degli imagismi, dei formalismi critici. La stagione della Nuova Politica Economica voluta da Lenin nella primavera del 1921. Bulgakov si forma come scrittore nel fragore di questo motore rombante e le sue prime opere brevi, dalle note comprese in Appunti sui polsini (1923) ai racconti intitolati Diavoleide (1925), sembrano davvero il frutto di una stagione infuocata e scintillante. L’alacrità produttiva dello scrittore non conosce soste: basti pensare che alla metà di quel fatidico decennio risalgono i ricordi della professione precedente, Memorie di un giovane medico, numerosi altri testi narrativi brevi, come il formidabile Morfina, la stesura del capolavoro romanzesco, La guardia bianca, presto trasformato in spettacolo teatrale (I giorni di Turbini) e la coppia fantascientifica, chiamiamola così, composta da Uova fatali e, per l’appunto, Cuore di cane.

    In entrambe le opere è di scena uno scienziato che supera il limite della sua disciplina: nel primo caso provoca l’invasione urbana di giganteschi rettili che seminano il panico in città e finisce linciato dalla folla; nel secondo, trasferendo ipofisi e ghiandole seminali di un alcolizzato appena deceduto nel corpo di un cane vagabondo, crea di fatto un ibrido, ma alla fine riesce a salvarsi dalla denuncia penale ripristinando con un nuovo trapianto, effettuato all’ultimo momento, la condizione originaria dell’animale.

    Il destino editoriale di Cuore di cane è leggendario e, in quanto italiani, ci riguarda direttamente: il racconto fu composto nel 1925 per la rivista «Nedra» e immediatamente confiscato. I censori collocarono il testo nei fondi di conservazione speciale, i cosiddetti specchrany. L’anno seguente la casa di Bulgakov venne perquisita. Ma il 18 aprile 1930 Stalin in persona telefonò allo scrittore assicurandogli un posto di lavoro come aiuto regista presso il Teatro d’Arte di Mosca. Quattro giorni prima si era ucciso Vladimir Majakovski. E lecito supporre che il famigerato Koba, come lo chiamavano gli amici, temesse uno sfoltimento troppo rapido dei ranghi letterari sovietici. Il racconto restò inedito fino al 1967 quando comparve in Italia presso l’editore De Donato. Dieci anni prima, come sappiamo, era accaduta la stessa cosa con Il dottor Zivago di Boris Pasternak. Per veder pubblicato in Urss Cuore di cane, il cui testo circolava clandestinamente nei samizdat, dobbiamo aspettare il 1987, complice la perestrojka L’anno seguente viene trasmesso alla televisione, in prima serata, il film di Vladimir Bortko, ispirato al libro, uno splendido bianco e nero prodotto dalla Lenfilm. Ma cos’ha di tanto straordinario quest’opera?

    Il prodigio di Cuore di cane consiste innanzitutto nella raggiunta simbiosi tra fantastico e quotidiano e poi nella modernissima prospettiva strutturale: non è tanto il povero quadrupede che parla. Grazie a lui lo scrittore conquista una straordinaria libertà di azione, in barba alla verosimiglianza naturalistica, ma anche rispetto alla convenzione favolistica. Pallino, questo il nome del protagonista, non pensa da cane, bensì da uomo ridotto in schiavitù: sa che il salame venduto al dottor Filìpp Filìppovič Preobražénskij non è sano, al punto di pretenderlo piuttosto per sé; conosce l’amore alla francese e perfino la biancheria intima di una signorina che gli passa davanti. Un cane che sa leggere le insegne pubblicitarie è davvero qualcosa di molto speciale!

    Intendiamoci: il Michail Bulgakov di Cuore di cane non possiede ancora il supremo dominio sinfonico del suo capolavoro assoluto, Il maestro e Margherita, tuttavia con la descrizione del dottor Filìppovič, che fa da controcanto a quella di Pallino, si conquista sul campo i gradi di generale. Questo dottore dai modi sofisticati che, in tempi rivoluzionari, veste abiti eleganti, fischietta arie dell’Aida, dispone di un’infermiera e di una cuoca e ama pasteggiare con vodka e caviale in compagnia del suo fidato collaboratore, Ivan Arnol’dovic Bormental’, è un personaggio che non si dimentica. Egli ha visibilmente in spregio i responsabili del caseggiato, fra i quali primeggia il famigerato Schwonder, campioni fin troppo fedeli del nuovo potere politico, al punto che quando essi si presentano chiedendogli di rinunciare a qualcuna delle sette stanze in cui vive e lavora, non esita a telefonare a un pezzo grosso, suo paziente, facendo battere in precipitosa ritirata gli improvvisati giustizieri.

    I clienti che si rivolgono a Filìpp Filìppovič hanno esigenze e problemi d’ogni tipo: chi vuole a tutti i costi ringiovanire, chi confessa certe sue pericolose inclinazioni, chi addirittura chiede l’innesto di ovaie scimmiesche. È una sfilata di vanità, perversioni e narcisismi degna del miglior ritratto tragicomico. Inoltre, come risulta evidente, appare densa di inquietanti presagi sul nostro mondo. Le visite dei pazienti avvengono sotto gli occhi di Pallino, appena sottratto alla fame nera e agli indicibili stenti del marciapiede, prima dell’incredibile trapianto. Che puntualmente arriva. Il cane viene addormentato e posto sul tavolo operatorio. Gli aprono il ventre, gli trapanano il cranio. Filìpp Filìppovič, sudato e ansante, non fa che gorgheggiare: «Alle sacre rive del Nilo... Da Siviglia a Granada...».

    Preobražénskij, in lingua russa, possiede una risonanza lessicale interna: trasfigurazione. Inoltre il duplice innesto avviene alla vigilia di Natale. Ce n’è quanto basta per integrare la qualifica di chirurgo con quella di demiurgo. Nel momento in cui Michail Bulgakov sembra imbattibile (molti altri scrittori avrebbero proseguito così per innumerevoli pagine; non lui, perché il ritmo possiede una legge da rispettare), ecco, in quel preciso istante, verifichiamo il cambio di registro. Una variazione mirata del punto di vista.

    Compaiono infatti alcuni brani tratti dal quaderno di Bormental’. Al riferimento in terza persona, orientata prima sul cane e poi sul professore, subentrano le note diaristiche dell’assistente con la trascrizione di un foglio di giornale in cui apprendiamo le notizie biografiche dell’involontario donatore: Klim Grigòr’evič Čugunkin, di anni 25, celibe, col fegato ingrossato dal troppo bere, tre processi, una condanna a quindici anni di galera, ladro matricolato, suonatore di balalaika nelle osterie, accoltellato durante una rissa. Il lettore comincia a collegare i pezzi del mosaico e partecipa attivamente alla suggestiva ideazione.

    Di racconti con cani se ne conoscono molti, a partire dalla tradizione antica: il vecchio Argo che chiude gli occhi appena rivede Ulisse; il cane di Fedro, ingordo e stupido; il Cerbero di Virgilio, pronto ad azzannare le frittelle; quello dantesco, posto a guardia all’ingresso del girone dei golosi. La letteratura moderna offre esempi ulteriori: da Buck e Zanna Bianca di Jack London a Pallino e Mimì nell’omonimo racconto di Luigi Pirandello, da Flush di Virginia Woolf a Cane e padrone di Thomas Mann.

    Čechov compose Kastanka nel 1887: la vicenda di una cagnetta soprannominata zietta, che percepisce la morte dell’oca sentendola estranea. Eppure questi modelli, fra i tanti possibili, non aggiungono legna al fuoco dell’interpretazione. Quando Pallino diventa Poligraf Poligrafovič e si presenta a Filìpp Filìppovič chiamandolo paparino, nel momento in cui lo vediamo seduto in poltrona davanti a lui, con la cravatta celeste, la sigaretta accesa, le scarpe di coppale e le pulci in testa, dobbiamo concedere a Bulgakov il massimo dell’originalità. Cuore di cane, a quel punto, diventa unico ed esilarante.

    Povero dottor Preobražénskij! E povero dottor Bormental’! Loro che avrebbero voluto emancipare la specie animale, si ritrovano di fronte un caratteriale che dà la caccia ai gatti, a tavola non usa il tovagliolo, insidia l’infermiera, seduce una dattilografa, alza troppo il gomito e addirittura fa combutta con Schwonder! Nel colloquio costernato cui si riducono il professore e il suo assistente misuriamo quanto l’esperimento sia loro sfuggito di mano.

    Eppure la sconfitta non è sufficiente a frenare gli ardori dello scienziato. La brama di ricerca che anima Filìpp Filìppovič lo spingerà verso chissà quali altri azzardi: nell’ultima scena lo sorprendiamo a immergere le mani in un recipiente in cui naviga un’indistinta materia cerebrale, mentre accanto a lui, Pallino, ancora incerottato, sogna cose terribili. Incorreggibile dottor Preobražénskij! Non ti è servito scoprire, a tue spese, che il cuore di un cane potrebbe essere migliore del cervello di certi uomini.

    ERALDO AFFINATI

    Capitolo primo

    "Uuuuhhh! Guardatemi sto morendo. La bufera nel portone mi urla il de profundis e io ululo con lei. Sono finito, finito. Un delinquente col berretto sporco, il cuoco della mensa degli impiegati del Consiglio Centrale dell’Economia Nazionale, mi ha rovesciato addosso dell’acqua bollente e mi ha bruciato il fianco sinistro. Che bestia! E sì che è un proletario! Signore santissimo, che dolore! Quella maledetta acqua bollente mi ha ustionato fino alle ossa e adesso ululo, ululo, ululo, ma serve forse a qualcosa?

    Che fastidio gli davo? Non mando certo sul lastrico il Consiglio dell’Economia Nazionale se frugo un po’ col muso nella pattumiera, no? Che tirchio, quella carogna! Se vi capita l’occasione, date un po’ un’occhiata al suo grugno: è più largo che lungo. Un ladro con la faccia di bronzo. Ah, gli umani, gli umani! A mezzogiorno, quel porco col berretto mi ha riempito d’acqua bollente, e adesso è buio, dovrebbero essere le quattro del pomeriggio, a giudicare dall’odore di cipolla che viene dalla caserma dei pompieri sulla Prečìst’enka. Come sapete, i pompieri a cena mangiano kaša, una schifezza che è anche peggio dei funghi. Del resto, alcuni cani amici miei raccontano che in via Neglìnnaja, al ristorante Bar, il menù del giorno comprende funghi con salsa piccante a tre rubli e settantacinque copechi la porzione. Sarà anche un piatto per intenditori, ma per me sarebbe come leccare una galoscia... Uuuuhhh...!

    Il fianco mi fa un male insopportabile e vedo assai chiaramente come finirà la mia carriera: domani mi verranno le piaghe e io con che cosa le curerò, secondo voi? D’estate basta un salto al parco Sokòl’niki, dove cresce un’erba speciale, davvero buona, e inoltre ci si abbuffa gratis di fondi di salame. I nostri concittadini poi buttano un sacco di cartacce così unte e bisunte che c’è da leccare per ore e ore. E se non fosse per un tale pedante che si sbraca sul prato e al chiaro di luna si mette a cantare Celeste Aida in un modo che ti fa torcere le budella, sarebbe niente male. Ma adesso, dove si può andare? Vi hanno mai colpito con uno stivale? A me sì. Vi siete mai beccati una mattonata tra le costole? Io di mattonate ne ho rimediate abbastanza. Ho provato di tutto, accetto la mia sorte, e se ora piango è soltanto per il dolore fisico e per il freddo, perché il mio spirito non si è ancora spento... è tenace, lo spirito di un cane.

    Il mio povero corpo, invece, questo corpo, ammaccato e bastonato, gli uomini lo hanno deriso anche troppo. La fregatura è che l’acqua bollente mi ha bruciato tutto il pelo del fianco sinistro, che adesso è indifeso e a fior di pelle. Un nonnulla può farmi venire una bella polmonite e allora, cittadini, quando me la sarò beccata, creperò di fame come un cane. Sapete, quando uno ha la polmonite, se ne deve stare buono buono nel sottoscala; e allora chi ci andrà nelle pattumiere, a cercare il cibo per me, povero cane malato e scapolo? Un polmone si ammalerà, mi toccherà strisciare sul ventre, e diventerò così fiacco che un operaio qualsiasi potrà farmi fuori a bastonate. Poi, per finire, verranno gli spazzini con tanto di distintivo, mi prenderanno per le zampe e mi butteranno sul carro della spazzatura.

    Gli spazzini, fra tutti i proletari, sono i più vigliacchi; sono canaglie, feccia dell’umanità, sono la categoria più bassa. Per i cuochi, be’, per i cuochi è un altro paio di maniche; prendi, per esempio, la buonanima di Vlas di via Prečìst’enka. Ha salvato la vita a un sacco di cani! Perché quando un cane è malato quello che conta è mangiare un boccone. Ed ecco, dicono i vecchi cani, che Vlas ti poteva gettare un osso magari con qualche avanzo di carne sopra. Gli auguro un bel posto in paradiso. Vlas era un grand’uomo, un cuoco da signori: il cuoco dei conti Tolstoj! Niente a che vedere con quei dannati cuochi del Consiglio dell’Alimentazione Normale. Cosa ci mettono nel cibo, quelli lì... roba che il cervello d’un cane non l’arriva a capire. Quei criminali fanno il minestrone di cavolo con carne salata e fetida, e i poveri impiegati non ne sanno niente. Arrivano di gran carriera, s’abbuffano e leccano pure i piatti!

    Una dattilografa di nona categoria guadagna quarantacinque rubli. Le calze di seta, d’accordo, gliele regala l’amante; ma quante umiliazioni deve ingoiare, per quel filo di seta! Perché lui non fa le cose normalmente, no, lui vuole l’amore alla francese. Davvero dei porci questi francesi, detto tra noi! Anche se mangiano abbondantemente e bevono vino rosso. Sì. verrà di corsa la povera dattilografa perché con quarantacinque rubli al mese, al Bar non ci si va di certo. Non le bastano nemmeno per il cinema, e il cinema per le donne è l’unica consolazione nella vita. La poverina trema, aggrotta la fronte, ma manda giù. Ci pensate? Quaranta copechi per due portate che messe insieme non ne valgono neanche quindici: gli altri venticinque, è chiaro, se li è intascati l’amministratore. E poi, in fin dei conti, credete veramente che sia questa l’alimentazione di cui ha bisogno? Ha qualcosa all’apice del polmone destro, e una malattia femminile di origine francese; e poi le fanno le ritenute sullo stipendio, e alla mensa le danno da mangiare cibo avariato. Eccola, eccola: corre nel portone con le calze dell’amante, con i piedi freddi e con la pancia mezza scoperta, perché la maglietta di lana che porta è rada come il mio pelo e ci passa il vento. E le mutandine. le mutandine sono un velo di pizzo, non le tengono affatto caldo. Sono un gingilletto, come piace all’amante. Se le mettesse di flanella, lui comincerebbe a strepitare: ‘Come sei sciatta! Non basta la mia Matrena, con i suoi mutandoni di flanella, anche tu ti ci metti! Adesso è venuto il mio turno. Sono diventato Presidente, e tutto quello che rubo voglio spendermelo in donne, code di gamberi e champagne. Quand’ero giovane ho fatto la fame, anche troppo; adesso basta! Tanto la vita ultraterrena non esiste’.

    Mi fa una pena, la ragazza. Ma io mi faccio ancora più pena. Non parlo per egoismo, questo no, ma effettivamente c’è una bella differenza, tra lei e me. Lei perlomeno a casa se ne sta al caldo e io invece, dove vado, io? Uuuuhhh...!".

    «Ehi, Pallino, ehi. Che hai da guaire, poverino? Chi è che ti ha fatto del male? Ah!».

    La bufera, vecchia strega, fece sbattere il portone e, galoppando sulla scopa, ferì l’orecchio della ragazza. Le sollevò la gonna fin sopra le ginocchia, le scoprì le calze color carne e una striscia sottile di pizzo mal lavata. Soffocò le sue parole e travolse il cane.

    «Dio mio. che tempo! Mi fa anche male la pancia! È quella carne, quella maledetta carne salata! Ma quando finirà tutto questo?».

    A capo chino la signorina si lanciò all’attacco, si riversò fuori dal portone e sfidò la tormenta; in strada il vento la ghermì, la fece girare come una trottola, poi la risucchiò in un turbinio sfavillante di neve. Il cane restò invece nel portone, col suo fianco malandato, e si rannicchiò contro la parete fredda; sentendosi soffocare decise fermamente che non si sarebbe mosso da là, anche a costo di crepare. Lo colse la disperazione. Aveva il cuore così colmo di dolore e amarezza e si sentiva così solo e spaurito, che piccole lacrime canine, come bollicine, gli uscivano dagli occhi e subito si asciugavano. Dal fianco ferito sporgevano ciuffi di pelo incrostati di ghiaccio, in mezzo ai quali si intravedevano le sinistre chiazze della bruciatura.

    Ah, i cuochi! Come sono ottusi, sciocchi e crudeli! E quella ragazza. Mi ha chiamato Pallino! Pallino un corno! Pallino significa rotondo e ben nutrito, stupido, che mangia polenta d’avena ed è figlio di nobili genitori; io invece sono uno spilungone irsuto e spelacchiato, e per giunta vagabondo senza fissa dimora. Comunque, grazie per le buone parole.

    Dall’altra parte della strada sbattè la porta di un negozio tutto illuminato, e ne uscì un cittadino.

    Be’, sì: si tratta proprio d’un cittadino, non certo d’un compagno; anzi, questo qui è addirittura un signore. Da vicino è ancora più evidente. È proprio un signore. E non che giudichi dal cappotto - non sono così sciocco. Oggi il cappotto ce l’hanno anche i proletari, o almeno molti di loro. È vero che i proletari non portano colli come quello del cittadino, questo proprio no, però da lontano ci si può anche confondere. Ma l’espressione degli occhi, lì non si sbaglia, che li guardi da vicino o da lontano. Eh sì, sono assai importanti gli occhi, sono una specie di barometro. Vedi chi ha una grande aridità nell’anima, chi senza una ragione può schiaffarti la punta dello stivale nelle costole, e chi invece ha paura di tutto e di tutti. Ecco, proprio un lacchè come questo qui mi divertirebbe prendere a morsi nelle caviglie. Hai fifa, eh? Se ce l’hai vuol dire che te la meriti. Tie’. grr. rrr. bau, bau!.

    Avvolto in un turbine di neve, il signore attraversò la strada con passo sicuro e andò verso il portone.

    "Be’, è chiarissimo. Questo è un tipo che non mangia carne avariata: se gliela servissero farebbe un chiasso d’inferno e scriverebbe pure ai giornali: ‘M’hanno avvelenato! Hanno fatto una cosa simile a me. Filìpp Filìppovič!’.

    Eccolo che s’avvicina sempre di più. Questo è uno che mangia a sazietà e non ruba; non prende a calci ma non ha paura di nessuno, e non ha paura perché è sempre sazio, lui. È un signore che fa un lavoro intellettuale, con il pizzetto alla francese, baffi brizzolati, folti e spavaldi come quelli dei cavalieri, ma il suo odore, portato dalla tormenta, è orribile, sa di ospedale e di sigaro. Perché diavolo è venuto alla Cooperativa Centrale, uno così? Eccolo qui. Che cosa aspetta? Uuuuhh...

    Cosa avrà comprato in quella lurida botteguccia? La famosa Ochotnyj rjad¹ non gli basta più, adesso? Che cos’è? Salame! Ah, caro signore, se avesse visto come lo fanno, quel salame, non si sarebbe neanche avvicinato al negozio. Via, lo dia a me!".

    Il cane raccolse le sue ultime forze e con folle determinazione uscì dal portone e strisciò sul marciapiede. La bufera gli sparò una fucilata sopra la testa, agitando le enormi lettere di uno striscione di tela: È POSSIBILE RINGIOVANIRE?

    Ma certo che è possibile! L’odore mi ha ringiovanito, mi ha rimesso in piedi, mi ha preso lo stomaco vuoto da due giorni come in una morsa. È un odore più forte di quello dell’ospedale, un odore paradisiaco di carne di cavallo tritata con aglio e pepe. Lo sento, lo so: ha il salame nella tasca destra del cappotto foderato di pelliccia! Ora è qui, sopra di me. Oh mio signore! Degnami di uno sguardo, io sto morendo. Oh che anima servile la nostra, e che destino infame!.

    Come un serpente, il cane strisciò sulla pancia, il muso inondato di lacrime.

    "Guardi come mi ha conciato il cuoco! Ma lei non me lo darà quel salame, per niente al mondo. Eh, li conosco bene i ricchi, io! Però lei, in fondo in fondo, che se ne fa? A che le serve un pezzo di cavallo marcio? In nessun altro posto potrà trovare un veleno come questo. Salvo che al Mossel’pròm². E poi lei oggi ha già fatto colazione. Lei, che è una celebrità mondiale, grazie alle ghiandole genitali maschili. Uuuuhhh. Come è strano il mondo! Si vede che è ancora presto per morire, e disperare è davvero un peccato mortale. Gli leccherò le mani, non mi resta altro da fare".

    Il misterioso signore si chinò sul cane facendo sfavillare la montatura d’oro dei suoi occhiali ed estrasse dalla tasca destra un cartoccio bianco e lungo. Senza sfilarsi i guanti marroni, tolse la carta, che la tempesta prese al volo, e diede al cane un pezzo di salame del tipo speciale di Cracovia.

    Oh altruista! Uuuh!.

    «Pfiu! Pfiu!», fischiò il signore. Poi aggiunse con voce severa: «Prendi, Pallino!».

    E ancora con questo ‘Pallino’! Ormai mi hanno battezzato! Lei però può chiamarmi come vuole, dopo questo gesto straordinario!.

    Il cane strappò la buccia in quattro e quattr’otto e con un singulto azzannò il Cracovia facendolo sparire in un baleno. Poiché a causa della sua ingordigia stava per inghiottire anche lo spago, salame e neve gli andarono di traverso e gli vennero le lacrime agli occhi.

    Ah, Dio, mio benefattore, come le lecco le mani, come le bacio i pantaloni!.

    «Ora basta.».

    Il signore parlava a scatti, proprio come se stesse dando degli ordini. Si chinò sul cane, lo scrutò con occhio indagatore, poi, improvvisamente, tastò con la mano guantata il basso ventre di Pallino.

    «Ah», disse significativamente, «non porti il collare, eh? Splendido. Ho bisogno proprio di un cane come te. Vieni con me».

    Schioccò le dita ed emise un fischio: «Pfiu, pfiu!».

    Con lei? Anche in capo al mondo verrei con lei. Mi prenda pure a calci con i suoi stivaletti di feltro, non aprirò bocca. Lungo tutta la via Prečìst’enka i lampioni brillavano. Al fianco aveva un dolore insopportabile, ma Pallino se ne dimenticava di tanto in tanto; era tutto preso da un’idea fissa, non voleva perdere nella folla la splendida visione impellicciata, e voleva al tempo stesso esprimere a ogni costo il suo amore e la sua devozione. E nel tratto di strada che va dalla Prečìst’enka al vicolo Òbuchov glieli espresse circa sette volte.

    Nei pressi del vicolo Mërtvyj baciò la galoscia del suo benefattore; gli fece largo con un selvaggio ululato e spaventò una signora al punto da farla finire seduta su un paracarro, poi guai un paio di volte tanto per tenere in vita la pena che aveva suscitato.

    Un gatto randagio falso siberiano, un vero mascalzone, saltò giù da una grondaia e, malgrado la tormenta, fiutò il Cracovia. Pallino si sentì venire meno all’idea che il suo eccentrico mecenate, che raccattava cani feriti nei portoni, potesse prendere con sé anche quel gattaccio ladro, e che gli toccasse quindi dividere con lui i prodotti del Mossel’pròm. Digrignò allora i denti in modo tale che il gatto, con un sibilo simile a quello di un tubo di gomma bucato, s’arrampicò su per la grondaia fino al primo piano.

    Grrr... grrr... bau, bau! Via! Mica si può sfamare con la roba del Mossel’pròm tutte le canaglie che gironzolano sulla Prečìst’enka!.

    Il signore parve apprezzare la sua devozione e proprio vicino alla caserma dei pompieri, all’altezza di una finestra da cui veniva il piacevole borbottio di un corno da caccia, premiò il cane con un secondo pezzo, più piccolo del primo, una ventina di grammi circa.

    Però, il signore vuole tenermi buono! Be’, non si preoccupi, non ho nessuna intenzione di andarmene. Le verrò dietro dovunque lei comandi.

    «Pfiu, pfiu! Vieni qua!».

    Andiamo al vicolo Òbuchov? Come no! Lo conosco bene!.

    «Su, Pallino!».

    Qui? Beniss... Un momento. Qui no! C’è il portiere. È molto più pericoloso di uno spazzino, è quanto di peggio ci sia al mondo. Una razza assolutamente odiosa, più repellente dei gatti. I portieri sono scorticatori gallonati.

    «Vieni, vieni, non aver paura».

    «I miei ossequi, Filìpp Filìppovič».

    «Salve Fёdor».

    "Che uomo! Dio mio, chi mi hai fatto incontrare? Chi mai può essere questo signore che passa davanti al portiere e si permette il lusso di far entrare nel condominio un cane preso dalla strada? E questo vigliacco di un portiere, non ha battuto ciglio, né ha proferito una sola parola! Gli occhi foschi ce l’ha, sicuro, però fa finta di niente sotto i galloni dorati della visiera. Come se fosse una cosa del tutto normale. Gli porta rispetto, amici miei, e che rispetto! Eh, io sono con lui, vado con lui. Ti ho urtato, eh? Arrangiati. Ah,

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1