Sessant'anni sul set: Vita professionale e filmografia ragionata di Guido Celano
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Sessant'anni sul set - Fernando Silori
Brevi note biografiche
Guido Celano nacque a Francavilla a Mare, in provincia di Chieti, il 19 aprile del 1904, anche se alcune biografie posticipano erroneamente la sua nascita al 1905. Suo padre, Giuseppe, era un Ingegnere delle Ferrovie; sua madre, Virginia Barbella, era sorella dello scultore Costantino, che, con il poeta Gabriele D’Annunzio, il pittore Francesco Paolo Michetti e il musicista Francesco Paolo Tosti, costituì un importante cenacolo intellettuale abruzzese, detto il Conventino di Michetti
, poiché si riuniva nel convento francescano di Santa Maria del Gesù a Francavilla a Mare. Giuseppe e Virginia Celano ebbero otto figli, (in ordine cronologico di nascita: Giacinto, Felicetta, Mario, Antonia, Carlo, Bianca, Guido e Giorgio), molti dei quali furono longevi.
Guido, sin da ragazzo, manifestò una gran passione per la recitazione frequentando assiduamente le filodrammatiche. Dotato di un fisico atletico, praticò molto sport e divenne particolarmente bravo nell’equitazione, nella scherma, nel nuoto e nel canottaggio. Trasferitosi a Roma nel 1917 con la famiglia, frequentò l’istituto Duca degli Abruzzi
, dove si diplomò in Ragioneria. Successivamente, iniziò l’Università, frequentando i corsi di Economia e Commercio, ma dopo qualche tempo comprese che quella non era la sua strada e lasciò gli studi. Il fratello maggiore Giacinto, dirigente dell’organizzazione arbitrale italiana, lo spinse sulla via del calcio semi-professionistico e il giovane Guido giocò tra il ’25 e il ‘26 come centrattacco nella Roman, una delle tre squadre che, nel 1927, fondendosi tra loro, dettero vita alla A.S. Roma attuale. Purtroppo, dopo poco più di un anno, un infortunio a un ginocchio lo costrinse a smettere. In seguito, contro il parere della famiglia, seguendo la propria indole ribelle, lavorò per alcuni mesi in un circo come acrobata.³
Nel frattempo, aveva fatto la comparsa in alcuni film muti, tra cui Quo Vadis
del 1924, diretto da Gabriellino D’Annunzio (figlio del grande poeta), e Ben Hur
, diretto da Fred Niblo, che la Metro Goldwyn Mayer volle girare in parte a Roma. Nel 1929 fu notato da un già affermato regista del cinema muto, Mario Camerini, che, dopo averlo sottoposto a un provino, lo utilizzò in una brevissima sequenza nel film Rotaie
. L’anno dopo, Celano fu chiamato dal regista Neroni per il film muto (successivamente sonorizzato) Terra d’incanti
, girato in Abruzzo, accanto a Leda Gloria; ma fu Blasetti che lanciò il giovane Celano nel nascente cinema sonoro, dapprima affidandogli nel 1931 un ruolo non marginale nel film Terra madre
e, soprattutto, chiamandolo nel ‘32 a ricoprire la parte di Zarre, il protagonista del film Palio
. Questo film segnò per Celano la svolta decisiva verso la carriera professionistica di attore, che sarebbe durata per tutta la sua vita. Accanto all’attività sullo schermo, Celano svolse con continuità quella di doppiatore. Recitò anche come attore radiofonico dell’EIAR e, dal 1954, prese parte a numerosi sceneggiati e altre opere televisive della RAI. Occasionalmente, fu chiamato anche a ricoprire ruoli nel teatro leggero di prosa.
Nel 1935, mentre era al culmine della notorietà, sposò una ex attrice del muto, nota con il nome d’arte di Tina Xeo, vedova, con tre figli⁴. Da questo matrimonio nacquero altri due figli, Virginia e Ruggero. Guido Celano, allevando, da padre severo ma esemplare, i cinque ragazzi della famiglia - nessuno dei quali si dedicò alla recitazione - restò per tutta la vita accanto alla moglie. A metà degli anni ’60, Celano avviò anche un negozio di antiquariato nel quartiere romano dell’EUR, in viale Beethoven, che sarebbe andato avanti – tra alterne fortune – per una quindicina di anni. Appassionato cacciatore, si dedicò anche al tiro a volo fino in tarda età. Morì a 84 anni, il 7 marzo del 1988, per le complicanze di una peritonite acuta.
Alcuni eventi significativi
1933: a Roma, verso la fine della lavorazione del film Piccola mia
, Celano subì un grave incidente, cadendo da un albero. Lui stesso, in un’intervista di molti anni dopo, avrebbe raccontato: «(…) caddi da un’altezza di undici metri e mi ruppi la colonna, terza e quarta vertebra lombare; stetti quasi due anni col busto di gesso di 12 chili. La fortuna fu che non subentrò la paralisi e mi ripresi piano piano. E persi anche la causa in tribunale per l’incidente, perché l’avvocato che avevo contro - pensi che strane cose della vita - era Scelba, il futuro ministro. Mi ha fatto cambiare otto avvocati ma non riuscii a vincere la causa. Non mi avevano assicurato, quindi non presi nemmeno un soldo, neppure i soldi del mio lavoro in Piccola mia
, anche perché De Liguoro (il regista, ndA) era pure socio della casa di produzione»⁵. L’infortunio, oltre a causargli una riduzione definitiva della statura di alcuni centimetri, gli impedì di recitare per un anno e mezzo. La brusca e lunga interruzione del suo lavoro danneggiò sensibilmente lo sviluppo della sua carriera, proprio nel momento di massimo successo, ottenuto dopo quattro opere consecutive, uscite tra il 1932 e il 1933, come Palio
, L’armata azzurra
, Acqua cheta
e lo stesso Piccola mia
, dove Celano ricopriva ruoli di protagonista, e che avevano ricevuto un’ottima risposta del pubblico e un quasi unanime consenso della critica.
Guido Celano (a dx) da poco uscito dall’ospedale, che, oltre alla fasciatura del braccio, indossa un busto gessato molto pesante e conversa con il regista De Liguoro⁶, in una foto del 1933
1953: alla vigilia di Pasqua, sulla spiaggia di Capocotta (vicino Torvajanica) venne trovato senza vita il corpo di una giovane donna, Wilma Montesi, scalza ma vestita e senza tracce di violenza. Dopo qualche settimana di attività giudiziaria, la morte fu attribuita ad annegamento per un probabile malore e la vicenda sembrò chiarita. Ma dopo sei mesi, inaspettatamente, un giornale scandalistico formulò una serie di sospetti e di accuse che, pare, si erano formate nelle redazioni di alcuni quotidiani di Roma. Alla fine, soprattutto a causa della deposizione di una donna milanese⁷ legata sentimentalmente al marchese Ugo Montagna, amministratore della tenuta di Capocotta, si materializzò l’ipotesi che la ragazza ritrovata fosse morta per un’overdose di qualche sostanza durante un festino nella casa del Montagna, a cui aveva partecipato anche il musicista Piero Piccioni, figlio dell’ex vicepresidente del Consiglio, il democristiano Attilio Piccioni, in quel periodo candidato ad assumere la guida della DC che De Gasperi, dopo la sconfitta elettorale di qualche mese prima, aveva appena lasciato. Da quel momento, sui giornali e nell’opinione pubblica, si scatenò una campagna mediatica senza precedenti per il nostro paese, che terminò solo con la fine del processo che il 27 maggio del 1957 portò all’assoluzione con formula piena di Montagna e Piccioni. Sul caso Montesi sono stati scritti libri⁸,⁹, fatte inchieste televisive¹⁰, composte canzoni e girati film (perfino ne La dolce vita
di Fellini, del 1960, si trovano riferimenti al caso Montesi). Celano fu coinvolto come testimone già in fase istruttoria (Giudice Istruttore: Raffaele Sepe) perché, come appassionato cacciatore, era un abituale frequentatore della tenuta di Capocotta, che era riserva di caccia, e aveva ricevuto le confidenze di uno dei guardiani della tenuta in merito alle frequentazioni di Wilma Montesi. Inoltre, Celano, nei giorni immediatamente successivi al ritrovamento del cadavere della ragazza a Capocotta, si trovava a Venezia con Alida Valli¹¹ e una denuncia anonima sosteneva che egli per caso avesse assistito a una telefonata tra la grande attrice e Piero Piccioni, suo fidanzato dell’epoca, in cui sembrava che i due avessero parlato della vicenda Montesi. Celano smentì, ma le sue deposizioni suscitarono comunque grande interesse e furono riportate per molti giorni, talvolta in prima pagina, dai principali quotidiani nazionali.¹²,¹³,¹⁴,¹⁵.
L’Unità del 6 agosto 1954
Alida Valli e Guido Celano (dal settimanale Oggi del 9 settembre 1953)
Intervista a Guido Celano sul caso Montesi (Nuova Panoramica del 19 settembre 1954)
Guido Celano in un articolo de La Stampa del 2 settembre 1954
1956: durante le lunghe e difficili riprese invernali del film Uomini e lupi
di Giuseppe De Santis, con Silvana Mangano, Yves Montand e Guido Celano, si verificò un episodio che ebbe enorme risalto sulla stampa italiana ed estera dell’epoca. La troupe si trovava a Scanno, in Abruzzo, durante uno degli inverni più rigidi del secolo, quello del 1956. Nel pomeriggio di domenica 11 marzo, mentre la Mangano e Celano stavano preparandosi per un ciak all’aperto, uno dei sette lupi fatti arrivare dalla Jugoslavia per il film riuscì a spezzare il guinzaglio che lo tratteneva e a dirigersi verso l’attrice che, presa dal panico, iniziò a correre sulla neve. Celano, prima ancora che il domatore e i vari addetti della troupe si rendessero conto di cosa stesse accadendo, inseguì il lupo, lo raggiunse e, dopo una lotta durissima, riuscì a lanciare il lupo a una distanza da sé tale che un cacciatore poté sparare e uccidere l’animale. Celano si ferì in gran parte del corpo e l’accaduto – per la notorietà internazionale di Silvana Mangano - ebbe enorme risonanza sui media di tutto il mondo, anche se la notizia fu pubblicata solo la mattina del 14, tre giorni dopo l’evento; ciò a testimoniare la ridotta velocità dell’informazione di sessant’anni fa, soprattutto qualora i fatti fossero avvenuti, come in questo caso, in un piccolo centro circondato dalla neve.
Dal periodico Epoca del 19 marzo 1956: si riconosce Silvana Mangano
Un’immagine tratta da Life magazine del 26 marzo 1956
Immagini tratte dal periodico Epoca del 19 marzo 1956
1976: il 19 settembre un Boeing 727, volo 452, della compagnia di bandiera turca, oggi Turkish Airlines, decollò da Istanbul alle ore 22.45 diretto ad Antalya, centro turistico e balneare dell’Anatolia. A bordo si trovavano 146 passeggeri, 84 dei quali italiani, e 8 membri dell’equipaggio. Gli italiani, quasi tutti giovani e molti in viaggio di nozze, erano partiti dall’aeroporto di Fiumicino e da quello di Linate nel tardo pomeriggio di quella domenica di fine estate, con destinazione finale i villaggi turistici di Antalya. La prima tratta fino a Istanbul non creò problemi. Il volo da Istanbul ad Antalya, invece, si concluse tragicamente alle ore 23.45 di quel fatale 19 settembre, su una collina vicino alla cittadina di Isparta, a pochissimi minuti dall’aeroporto di destinazione, dove l’aereo si schiantò, distruggendosi, causando la morte dell’intero equipaggio e di tutti i passeggeri, tra i quali si trovava il trentaquattrenne Ruggero, figlio ultimogenito di Guido Celano. L’incidente fu poi attribuito ad un grave errore del pilota che scambiò le luci di una strada di Isparta per quelle della pista dell’aeroporto di Antalya e iniziò troppo presto la discesa; quando si rese conto dell’errore, tentò tardivamente una impossibile cabrata, ma non fece in tempo e il Boeing 727 andò a sbattere sulla collina, esplodendo.
Ruggero aveva deciso di trascorrere una settimana al sole, in un villaggio Valtur, poiché aveva appena finito un periodo di duro lavoro da subacqueo nelle acque freddissime di Aberdeen, in Scozia, e con due amici coetanei si era imbarcato su quel volo maledetto. Era un ragazzo straordinariamente vitale, bellissimo, pieno di salute e grande sportivo, che tutta la famiglia amava teneramente e che si spense prima ancora che una sola ruga gli segnasse il volto. I funerali si tennero a Roma, all’Istituto Santa Maria (dove Ruggero aveva frequentato le scuole), senza la salma, per riottenere la quale ci vollero alcune settimane, durante le quali Celano stesso - dimostrando una forza d’animo inaudita - si occupò personalmente della questione, recandosi in Germania, a Baden-Baden, dove recuperò il corpo del figlio pazientemente ricomposto da una squadra medico-legale della polizia scientifica tedesca, intervenuta sul luogo dell’incidente poiché tra le vittime c’erano una ventina di cittadini della Germania.
La scomparsa di Ruggero causò nell’anziano padre un inconsolabile dolore, segnandone in profondità il carattere e trascinandolo, nell’ultimo decennio di vita, verso una insolita cupezza e un rassegnato fatalismo. Credo che Guido Celano non si sia mai più del tutto ripreso.
Dal Corriere della Sera del 21 settembre 1976: al centro con i baffi, si riconosce Ruggero Celano
Alcuni titoli di quotidiani italiani del 21 settembre 1976
Hanno detto o scritto di lui
«Fuori, nel viale dei Tigli, incontro Guido Celano, un attore che ha già dato la più piena dimostrazione di come suol dirsi saperci fare
. Palio
, Acqua cheta
, L’armata azzurra
, Amore
, Squadrone bianco
, Dottor Antonio
, Pietro Micca
sono pagine che interessano la sua fama, ma egli può salire e salirà ancora più in alto. Il suo temperamento, la sua sensibilità e le sue qualità non comuni sono maturi per la grande rivelazione. I produttori, che piangono sempre miseria non di quattrini ma di vigorose figure interpretative, sanno a chi rivolgersi per trovare la vena del successo tanto più che Celano ha nel pubblico la più simpatica e vasta popolarità. Ci avviamo insieme con l’attore, che lavorerà prossimamente in un film diretto da Gambino (Arditi civili
, ndA), verso la stanza ove la bionda (…) Vivi Gioi, la nuova stella dello schermo italiano, è stata chiusa sottochiave per consentirle di provare gli indumenti (scena del film Bionda sottochiave
di Camillo Mastrocinque, ndA) …»¹⁶
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«Guido Celano debuttò sullo schermo in Palio
nel 1932. Apparve in seguito in numerosi film (soprattutto di genere storico o avventuroso), anche come protagonista. Le sue interpretazioni, sorrette dal mestiere e dalla presenza, non sono prive di accenti retorici.»¹⁷
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«Guido Celano, attraverso un centinaio e più di film, sviluppa il personaggio dell’attore autorevole, compassato, sovente connotato come cattivo o rivale del protagonista. Nel corso di una filmografia molto fitta, Celano ha spesso l’occasione di rivestire ruoli da protagonista (Palio
, 1932, di Blasetti, fu la prima volta), ma la sua recitazione compassata, unita a un fisico nobile e sostanzialmente generico, lo destina spesso a ruoli importanti di caratterista, interpretati sotto la direzione di registi come Brignone, Bragaglia, Mattoli, Camerini, Palermi, Gallone, Chiarini e altri, che gli conferiscono una solida reputazione e una sicura garanzia di grande professionalità.»¹⁸
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«Trasferitosi definitivamente a Roma nel 1929 (in realtà, fu nel 1917, ndA), Guido Celano, di aspetto prestante e dall’aria sportiva del giovanotto pieno di salute, ottiene una scrittura dalla Cines. Viene però inizialmente utilizzato in piccoli ruoli, finché Blasetti, che lo ha già diretto in Terra madre
(1931), non gli offre il ruolo del protagonista, il fantino Zarre, nel film Palio
(1932), girato in gran parte in esterni a Siena. Da quel momento, Celano gira una notevole quantità di film, qualcuno da protagonista, ma la maggior parte in ruoli di secondo piano e infine di carattere, senza mai diventare un divo.»¹⁹
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«Per mia madre (Silvana Mangano, ndA), come per gran parte della sua classe sociale, gli attori erano una casta poco rispettabile. Guido Celano, un attore amico di Amedeo (il padre di Silvana Mangano, ndA), ricorda che una sera andò a trovare i Mangano ancora vestito da cacciatore, costume con cui durante il giorno aveva recitato. Mia madre aveva otto anni. Rimase affascinata dall’abbigliamento di Guido, soprattutto dal fucile; lo supplicò di insegnarle a tenerlo in mano, a usarlo. Si mise a chiamarlo zio
, era felice, come sempre, della sua presenza. Poi, di colpo, tempo dopo, non volle più avere a che fare con lui. Guido seppe in seguito che mamma aveva trovato una sua fotografia in una rivista e scoperto la sua colpa: cioè che era un attore!»²⁰
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«... gelido NATALE quell'anno... faceva freddo a Tombstone... ma invece di essere sulle Black Hills nel South Dakota eravamo a Settecamini su ‘a Tibbburtina... e la nostra Calamity Jane era ‘na smandrappona mesciata bionda de Rieti cor pallino der cinema (…) nell’unico Saloon di quel villaggio dannato dove qualche tempo prima era passato anche un tipo vestito tutto di scuro con una sella in spalla, occhi celesti come il cielo, che trascinava una cassa da morto dove dentro non c’era un morto ma la morte (Franco Nero, nel cult-movie di Sergio Corbucci uscito nel 1966 Django
, girava trascinando una cassa da morto, ndA) ... ecco, eravamo lì in quei giorni prima del santo Natale... e io ero in uno stato di forte agitazione, mi tremavano le gambe pensando a quel che mi aspettava di lì a poco... uno, due, tre proiettori, i mitici bruti
, si accesero all’improvviso al comando di Angelo Baistrocchi, direttore della fotografia di The Cold Killer
(in italiano Uccideva a freddo
, film western diretto nel 1966 da Guido Celano, ndA), e la via principale prese forma ai nostri occhi... nitriti di cavalli impazziti dai fasci di luce accecante e ogni nitrito era per me una stilettata al cuore, capirete perché... paesaggio spettrale... angoli bui e inquietanti... finestre appena rischiarate da deboli lucine di mozziconi di candele... altre finestrelle buie come loculi... le insegne cigolavano, le imposte sbatacchiavano... le vezzoche (termine dialettale per ‘bizzoche’, donne nubili bacchettone e ipocritamente devote, ndA) puritane casa-e-chiesa
, rintanate nelle loro casette di legno dagli assi scricchiolanti ad ogni passo, a spiare dietro tendine di mussola, srotolando un rosario dai grani grossi come acini d’uva nera, mentre mariti codardi si nascondevano dietro le loro folte barbe da padri pellegrini... i quattro cavalli pronti per noi erano incazzati abbestia
, sculettando e scalciando senza grazia ed ebbi un primo mancamento quando uno di loro rivolse lo sguardo equino su di me, minaccioso… lui era il mio cavallo, quello che avrei dovuto montare, mi riconobbe... ecco perché mi tremavano le gambe... finsi disinvoltura, fischiettando Blowing Wild
dal film Ballata Selvaggia, continuava a fissarmi sospettoso, ripiegai sulla più orecchiabile My darling Clementine
, lui era lì che mi fissava brutto, avevo fatto peggio... eppure non avrei dovuto aver paura stando al mio personaggio, ero uno dei 4 malviventi, con due Colt 45 ai fianchi, incazzati neri contro il mondo al comando di Dan Harrison, al secolo Bruno Piergentili, che arrivava alla Elios col suo spiderino e grandi gnocche al fianco, ogni giorno ne cambiava una, come lo invidiavamo... oggi lavora come portiere in uno stabile di lusso dalle parti di casa mia, lui non mi ha mai riconosciuto né io mi sono mai fatto riconoscere, ma sapendo della mia professione più di una volta mi ha fermato per chiedermi di farlo rientrare nel magico e rutilante mondo del cinema, cercando d’impietosirmi raccontando di quando era giovane e bello come un dio azteco... allora non ci pensava al futuro e sperperava tutto, tutto quel che guadagnava, ogni sera a Via Veneto, donne e champagne, in qualche locale dove Armandino e la sua orchestrina suonavano canzoni ammiccanti e divertenti, e poi aperitivo ar Cafè de Paris o da Rosati dove in piazza del Popolo una giovanissima Gabriella Ferri, vestita da gitana, stazionava sul sagrato di Santa Maria del Popolo cantando Ma che ce frega, ma che c’emporta se l’oste ar vino c’ha messo l’acqua...
, che bella Gabriella con la sua amica Luisella De Santis, e poi l’azteco Dan Harrison si spostava alle Grotte del Piccione, al Florida, spendendo e spandendo, sicuro che il futuro per lui sarebbe stato un eterno presente, e invece... anch’io andavo a via Veneto a quel tempo, uscivamo in gruppo da quella pensioncina in via degli Artisti 23, dove all'ultimo piano abitava Paola Borboni, con gli amici universitari e andavamo alla ricerca della dolce vita, ma niente, per noi la dolce vita non c'era... (…)tornando a Deadwood de più
due pompieri continuavano a pompare acqua in ogni dove rendendo il percorso un acquitrino melmoso e impercorribile... il regista William First (pseudonimo di Guido Celano, ndA) voleva il peggio del peggio, Deadwood de più
appunto, lui - William First - che recitava anche in un ruolo col nome di Guy W. Ceylon... i 4 cavalli smusavano irrequieti, a scatti, volgendo il muso al cielo nero come la pece i primi tre, ma il quarto, il mio, ce l’aveva proprio con me, sbuffava fissandomi con i suoi occhioni incattiviti da luci accecanti e dalla sella pesante sul groppone... anche gli stunt cavallari facevano fatica a tenerli a freno ed erano provetti cavallerizzi, figuriamoci io... fino ad allora avevo vissuto nella speranza che quella scena saltasse e invece... era arrivato il momento tanto temuto, il momento della verità, il momento che mi avrebbe smascherato... ero alla terza lezione di equitazione ma nessuno neanche lo sospettava... (…)ma il burbero William First, il regista che si muoveva sul set senza pace, destra sinistra, che rimbrottava tutto e tutti, mi terrorizzava più del cavallo... intanto l’assistente operatore, il giovanissimo Nino Celeste, posizionava lo sgabellino sotto la macchina da presa per il pingue operatore Santoni jr... all’epoca, quando non c’erano ancora i monitor, l’operatore alla macchina era l’occhio del regista così come il capo macchinista era la mano, il braccio del regista, soprattutto per i carrelli e i dolly... (…)intanto un macchinista ossuto e malfermo sulle gambe con un mozzicone di sigaretta che gli penzolava dal labbro stava azionando la ventola, quella grande, troppo grande per lui e gli sfuggì di mano avvitandosi su se stessa e scarrocciando come un elicottero che precipita senza più guida seminando il panico tutt’intorno... in un attimo fu inferno a Deadwood de più
, tutto all'aria, polverone sabbioso sterpaglie parrucchini costumi cantinelle, beauty case per il trucco, figuranti che morivano di fame e per questo leggeri come piume... 'na vecchina la ritrovarono il giorno dopo in un altro stabilimento, alla De Paolis, col capello ancora dritto per la paura, su un set di 007 all’italiana... i cavalli che ve ‘o dico a fa’, nitrivano impazziti, quello che toccava a me prese l’abbrivio e je corsero dietro in 4 per riacciuffarlo... (…)Fermi tutti!!
tuonò William First rivolgendosi al povero disgraziato dalla presa malferma Come ti chiami tu?
– Il poveretto pelle e ossa, dopo un’altra boccata a pieni polmoni, scatarrò Giovanni Proietti, ma mi chiamano tutti Fraschetta... non so perchè...
– Il regista gli si avvicinò col sorriso della conciliazione E lo so io perchè... caro signor Fraschetta, ora dovresti farmi una cortesia... prendere le tue cose e andartene...
. Il malcapitato sgranò gli occhi e scatarrò di nuovo Andarmene?!... ma... e ‘ndò vado? dottor First, ma che poco poco me state a caccià?
Non la devi prendere così, solo che non ti voglio più vedere qui sul mio set... ciao e grazie di tutto...
(…)eravamo pronti davanti alla macchina da presa, il pingue Santoni l’occhio alla loupe (è un termine gergale del mondo del cinema, che descrive una sorta di mirino tipo reflex, che consente la visione diretta dell’immagine prodotta dall’obiettivo, ndA), William First pronto a dare il via, il ciakkista mordeva il freno... era un momento magico... io mi facevo forza sorridendo a Giorgio Bandiera per tentare ancora una volta di farmelo amico, di creare una simpatia, (…)ma lui, attore di teatro dalla dizione roboante, se ne fregava di me, annuiva ma pensava ad altro, al suo futuro pieno di successi, di riconoscimenti internazionali, forse in quel momento stava pensando anche all’Oscar, chissà... (…)silenzio improvviso, irreale... aspettare un regista che dà l’azione è un’emozione unica, come lo sparo nei centometri
... tensione a mille... sudavo a pisciarella... intanto a cavallo c’ero salito, mò m’aspettava il resto, ma questa idea mi diede sollievo solo per una manciata di secondi... improvvisamente la situazione