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Sa crai
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E-book203 pagine2 ore

Sa crai

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Info su questo ebook

Giginu Buttinu è un uomo di settant’anni, con una forza e un temperamento invidiabili e, soprattutto, ha un conto in sospeso da risolvere. Vive in una località, Su Stiddiu, nel comune di Sanrocco, in Sardegna, dove è incastonato l’ovile, quasi invisibile, immerso nella valle del gigante Monte Nieddu. Tziu Giginu, così lo chiamano, ha un grande rispetto per quel territorio diventato alla fine degli anni sessanta il fulcro della produzione bellica di tutto il Mediterraneo; rispetto che manifesta cercando la verità in quel benessere creato dalla fabbrica a dispetto della salute dell’ambiente e dei cittadini. Un romanzo che ci fa riflettere, attraverso l’onestà e la perseveranza di un uomo che non si arrende, nonostante le tante difficoltà e i rischi che dovrà correre. Giustizia, rispetto, amicizia e lealtà sono l’amalgama di questa storia raccontata da Igor Melis, con tutto l’amore che può per la sua terra.

In copertina: Mistero a Sanrocco di Andrea Lai - olio su cartone telato - cm. 30x40 Link https://www.sardegnacultura.it/j/v/253?s=35844&v=2&c=2472&c1=2818&visb=&t=1

Igor Melis nasce a Cagliari il 7 ottobre del 1974. Da sempre risiede nella borgata Santa Barbara di Sarroch, dove ha imparato, grazie alla sua famiglia, l’amore per la terra e le tradizioni. Appassionato di siti paesaggistici e archeologici del territorio sardo nonché delle storie, leggende e dicisu tramandate da generazioni. “Sa crai” è il suo romanzo d’esordio
LinguaItaliano
Data di uscita15 giu 2022
ISBN9791221355451
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    Anteprima del libro

    Sa crai - Igor Melis

    L’AUTORE

    Igor Melis nasce a Cagliari il 7 ottobre del 1974.

    Da sempre risiede nella borgata Santa Barbara di Sarroch, dove ha imparato, grazie alla sua famiglia, l’amore per la terra e le tradizioni.

    Appassionato di siti paesaggistici e archeologici del territorio sardo nonché delle storie, leggende e dicisu tramandate da generazioni.

    Sa crai è il suo romanzo d’esordio

    PREFAZIONE

    Giginu Buttinu è un uomo di settant’anni, con una forza e un temperamento invidiabili e, soprattutto, ha un conto in sospeso da risolvere.

    Vive in una località, Su Stiddiu, nel comune di Sanrocco, in Sardegna, dove è incastonato l’ovile, quasi invisibile, immerso nella valle del gigante Monte Nieddu.

    Tziu Giginu, così lo chiamano, ha un grande rispetto per quel territorio diventato alla fine degli anni sessanta il fulcro della produzione bellica di tutto il Mediterraneo; rispetto che manifesta cercando la verità in quel benessere creato dalla fabbrica a dispetto della salute dell’ambiente e dei cittadini.

    Un romanzo che ci fa riflettere, attraverso l’onestà e la perseveranza di un uomo che non si arrende, nonostante le tante difficoltà e i rischi che dovrà correre.

    Giustizia, rispetto, amicizia e lealtà sono l’amalgama di questa storia raccontata da Igor Melis, con tutto l’amore che può per la sua terra.

    Carmen Salis

    1 - SU STIDDIU

    Era una mattina di ottobre, tra i monti, una piccola brezza accompagnava la nascita del giorno, come Il cigolio della vecchia branda militare accompagnava i risvegli di tziu Giginu, all’anagrafe Luigino Buttinu.

    Da vent’anni quel cigolio sordo era la prova che si svegliava e si alzava sempre alla stessa ora: alle cinque del mattino. La sua dimora era diventata quel luogo che aveva scelto per vivere, dove aveva riposto pensieri e ricordi e dove aveva scelto di cambiare per sempre la sua vita. Almeno fino a quel giorno.

    Sa lolla che tziu Giginu aveva trasformato nel suo regno lo ospitava senza chiedere niente in cambio; Su Stiddiu (goccia), la località dove era incastonato l’ovile, quasi invisibile, restava immerso nella valle del gigante Monte Nieddu. Prendeva il nome dalle omonime e spettacolari pareti di roccia che sgocciolavano tutto l’anno, trasformandosi spesso in spettacolari cascate. Su Stiddiu era anche conosciuto per le sue grotte e dirupi, che la forza dell’acqua aveva scavato e modellato nel tempo.

    Giginu restò seduto sul suo letto militare a fissare la piccola finestrella verde e il paesaggio che l’aveva adottato per tutti quegli anni, in silenzio, senza quasi respirare: pensava come non mai alla sua vita trascorsa tra quelle montagne con il suo bestiame.

    Una tempesta di ricordi gli riempiva la mente, senza lasciargli neanche il tempo per scacciarli, sparivano e tornavano senza che lui potesse fare nulla per evitarlo.

    La struttura dell’ovile comprendeva una sala da pranzo con al centro un tavolo lungo e stretto e delle panche al posto delle sedie; sull’angolo sinistro un maestoso caminetto con accanto due sedie a dondolo, posizionate ai due lati del focolare con al centro un piccolo tavolino. Sulle pareti erano stati appesi dei quadri e delle cornici con alcune fotografie per lo più in bianco e nero. Sul lato destro una parete interamente adibita a dispensa con dei pensili e un grosso armadio ad ante, all’interno degli scaffali utilizzati per le provviste.

    Alla fine della sala da pranzo erano posizionate tre porte, ai lati due camere da letto e al centro una porta, che dava a un bagno all’esterno della struttura.

    Giginu si alzò e si diresse verso un angolo che nascondeva una piccola cucina a legna e alcuni fornelli a gas, con dei ripiani in alto, vecchi ma ben tenuti e ordinati: decise di mettere la caffettiera sul fornello della cucina, non prima di aver alimentato con un po’ di legna la brace che giaceva nello scomparto della stufa dalla sera prima. Chiuse lo sportello e la legna, arse immediatamente, propagando il suo calore in tutto l’ambiente.

    Si affacciò fuori dalla porta e tirando una piccola fune fece suonare una campana, posizionata nel lato sinistro della porta d’entrata, poi si diresse verso il bagno che era l’unica stanza esterna alla sala che inglobava tutta la dimora.

    Nonostante fosse esterno alla struttura, il bagno risultava grande e confortevole: le pareti erano state rivestite da pannelli di sughero e il pavimento era ornato da diverse tipologie di mattonelle sia come forma sia come colore, recuperate chissà dove e incollate alla rinfusa, davano alla stanza un tocco di originalità.

    Un bidone da cinquanta litri, posizionato su una mensola proprio sopra il lavandino, approvvigionava l’acqua corrente; dallo stesso si diramavano i tubi che portavano l’acqua per caduta al water posizionato in fondo alla stanza e a una doccia incastonata in un incavo del muro e al lavandino, che sembrava la parte più curata di tutto il complesso. Uno specchio con una cornice rossa invecchiata e scrostata era stato appeso proprio sopra il lavabo, a sinistra dello specchio due piccoli mobiletti custodivano gli effetti personali dei due abitanti.

    Giginu fece scendere l’acqua nel lavandino e riempì per metà il contenitore e restò immobile a specchiarsi. Nel frattempo la sua mente andava altrove.

    L’odore del caffè lo destò finalmente dai suoi pensieri.

    Uscì dal bagno, si avvicinò alla cucina e versò il caffè in due tazze: Sarà una giornata molto lunga, Pisitta. Furono le prime parole che Giginu Buttinu pronunciò quella mattina del 7 ottobre dell’anno 2001 alla sua gatta, un bellissimo soriano tigrato che gli era stato regalato qualche anno prima.

    Nello stesso momento in cui il principe dei monti Giginu dialogava con la sua gatta, Angiuleddu, all’anagrafe Angelo Peddes, aprì la porta della sala, in mano un piccolo secchiello pieno di latte appena munto.

    Angiuleddu aveva accudito il bestiame, così come era solito fare da quando tziu Giginu l’aveva accolto nell’ovile a Su Stiddiu tanti anni prima, quando era rimasto solo nel suo ovile a monti Arrubiu, poco distante dal paese. Aveva compiuto cinquantuno anni il 15 settembre, ma il fisico magro e asciutto e l’altezza di un metro e ottantacinque, lo facevano sembrare più giovane di almeno cinque anni; quella mattina entrò nella casetta con più pensieri del solito, versò il latte nelle tazze che Giginu aveva preparato e riempito per un quarto con il caffè.

    Da quasi vent’anni anni, i due condividevano quel mondo e Ziu Giginu rappresentava un padre per Angiuleddu.

    Angiuleddu, io scenderò in paese questa mattina, proclamò Giginu.

    Erano le sei di quella mattina di ottobre a Su Stiddiu, nel comune di Sanrocco, piccolo paese di provincia, diventato alla fine degli anni sessanta il fulcro della produzione bellica di tutto il Mediterraneo, con la presenza di una fabbrica di esplosivi tra le più grandi d’Europa che aveva dato lavoro a migliaia di persone.

    Da oltre trent’anni, la produzione degli esplosivi spaziava dagli usi bellici a quelli puramente spettacolari come i fuochi d’artificio. Il complesso aveva creato benessere ma anche molto inquinamento, che in alcuni periodi storici aveva visto la nascita di comitati popolari per la tutela della salute pubblica e dell’ambiente; non sempre queste proteste erano andate a buon fine e i comitati di volta in volta si erano sciolti.

    Giginu in passato era parte attiva di uno di questi comitati e non aveva un bel ricordo di quel periodo, anzi, aveva cercato di dimenticare quei fatti.

    Non possiamo nasconderci per sempre, gli diceva spesso la sorella Anna ogni volta che dal paese andava all’ovile per trovarlo. Quella frase gliel’aveva detta anche qualche giorno prima durante una delle sue ultime visite, mentre gli raccontava della nascita di un nuovo comitato ambientale, con persone motivate e agguerrite.

    Giginu ci pensò intensamente per giorni, poi decise di recarsi in paese spinto più che altro dalla curiosità, anche se dentro di sé covava un senso di rivalsa.

    Angiuleddu continuò a sorseggiare il caffelatte e disse con il suo solito modo sicuro ma educato, Non c’è problema Gigì, vai tranquillo, qui sto io. Domani scenderò anche io in paese per fare l’ordine del gasolio.

    Non disse altro, quella mattina avrebbe continuato a spostare il foraggio per far posto all’imminente arrivo delle nuove balle di fieno per fronteggiare l’inverno, ma in cuor suo Angiuleddu aveva la stessa voglia di rivalsa del suo amico. Era pronto alla battaglia da tanti anni e non avrebbe di certo lasciato solo Giginu. Con questo pensiero si mise all’opera dentro la grande stalla.

    Giginu decise di raggiungere il paese a piedi, avrebbe preso la scorciatoia de Is Canalis Mannus e sarebbe uscito nella valle de Flumini De Binu: da lì avrebbe costeggiato il rio Is Cannas fino ad arrivare in paese dalla parte dei Seddas Antigas.

    Si incamminò prima delle sette, salutando Angiuleddu che gli ricordò della riunione: La riunione sarà all’oratorio, mi raccomando Gigì, prudenza.

    Giginu Buttinu aveva compiuto settant’anni, nonostante non fosse più un ragazzino aveva una forza e un temperamento invidiabili, con una stazza notevole: era alto un metro e novanta e pesava quasi cento chili e nonostante ciò era agilissimo. Negli ultimi anni si era fatto crescere la barba che aveva tagliato proprio il giorno prima, per essere presentabile.

    Mentre seguiva il vecchio sentiero, pensò che sarebbe stato meglio non dare nell’occhio.

    Era convinto che Angiuleddu avesse già capito tutto come suo solito; quel ragazzo piombato nella più grande sfortuna era diventato per lui un inseparabile amico fidato, un figlio.

    Gli giunse il ricordo di quei giorni infausti di ventidue anni prima… cercò di scacciarli dalla mente, ma invano.

    Angelo Giosuè Peddes, noto Angiuleddu era l’unico figlio della famiglia Peddes. Una sera di marzo, trovò i genitori agonizzanti nella piccola casa con i mattoni in paglia e fango, sita nella zona conosciuta come Sriboneddu. Avvelenati dagli asparagi, fu la tesi sostenuta da lui e da tziu Giginu; intossicati a morte dal monossido di carbonio della piccola stufa a legna per il medico del paese e ufficialmente scritto nel referto.

    Angelo Giosuè Peddes fu il primo a trovarli riversi a terra nel pavimento, uno di fronte all’altro, alle nove di sera, al rientro dal bar dove aveva giocato a carte con gli amici di sempre. In quei concitati momenti chiamò il suo vicino di casa, tziu Giginu Buttinu, che accorse sul posto e capendo subito che la situazione era drammatica chiamò i soccorsi.

    L’ambulanza arrivò da lì a poco e cercò di rianimare i due sfortunati, il medico del paese fece uscire tutti dalla piccola sala da pranzo e ne constatò il decesso. Nel momento in cui fu permesso ai familiari di entrare per ricomporre i corpi, la tavola che fino a una mezz’ora prima era imbandita di una cena povera ma dignitosa, era tornata incredibilmente vuota, pulita e sbarazzata. Nessuna traccia dei piatti, né di cibo. Nonostante Angiuleddu e Giginu avessero notato la presenza degli asparagi nei piatti, non venne neanche menzionato nel referto medico.

    Il dott. Beniamino Tomaselli aveva stilato un referto a tempo di record dove veniva attribuita la morte per avvelenamento da monossido di carbonio.

    Nel referto successivo dei carabinieri, capitanati dal maresciallo Carmelo Caprera, non veniva menzionato il fatto che i due sfortunati coniugi Peddes nel momento dell’evento stessero cenando con gli asparagi che tziu Arduinu Peddes aveva sicuramente raccolto vicino al famoso campo base: un terreno adiacente l’arsenale della fabbrica di esplosivi, dove in passato si estendeva la discarica degli scarti di lavorazione, che era stata chiusa e bonificata in parte alla fine degli anni settanta.

    Quella fu la battaglia che Giginu Buttinu e altri ambientalisti portavano avanti in quell’infausto periodo.

    Gli ambientalisti rimasero sempre convinti che quella discarica non fosse stata mai bonificata del tutto: fu semplicemente piantumata di alberi di eucalipti e abbandonata. Dopo quel fattaccio tutta la zona venne interdetta e poi recintata con un muraglione di cemento armato.

    Angelo Peddes e Giginu Buttinu non si perdonarono mai il fatto di non essere riusciti a scoprire la verità, nonostante fossero andati a fondo in quella vicenda.

    Lui sapeva che qualcuno in paese aveva sempre boicottato gli ambientalisti per interessi personali, creando tensioni e faide che si erano concluse con repressioni e sparizioni.

    Ormai vicino al paese, mentre si accingeva a percorrere il valico di Flumini de Binu intravedeva già i grandi capannoni dismessi che col tempo erano diventati pericolanti; quella parte della vecchia fabbrica era stata abbandonata da molti anni, ma rimaneva la solita puzza di sostanze chimiche, e a Giginu cominciò a invadergli le narici. Con tono severo pronunciò una mezza frase che usava ogni qualvolta tornava in paese dalla sorella: Benvenuto a casa, Giginu!

    2 - SANROCCO

    Sanrocco agli albori sorgeva in due distinti e separati villaggi. Il primo, a circa tre chilometri dal mare, in una località denominata Baracca de Susu, era un villaggio di contadini e allevatori; il secondo, che sorgeva nella piana che portava al mare e veniva chiamato Baracca de Basciu, era un villaggio di pescatori.

    Le divisioni, anche religiose, tra i fedeli praticanti delle chiese di Santa Vittoria a Baracca de Basciu e quella di San Giorgio a Baracca de Susu, sfociate più di una volta in liti e faide, trovarono finalmente la pace con il matrimonio tra figli dei capi villaggio, con la conseguente unificazione del paese e il trasferimento dello stesso esattamente a metà tra i due. Le misurazioni vennero eseguite personalmente dalle mogli dei capi villaggio, che percorsero le distanze calcolando le misure con i passi.

    Il paese all’inizio prese

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