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尼基托,離家十萬里
尼基托,離家十萬里
尼基托,離家十萬里
E-book401 pagine5 ore

尼基托,離家十萬里

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Info su questo ebook

這是一則美麗的故事,描述在街頭迷路的小狗。

尼基托在這場新冒險中出門散步,發現獨自外出可能會遭遇巨大危險。我們的毛朋友會迷路,也會發現並不是每個人都有顆善良的心,而且在街上生活需要非常小心。不過,尼基托也會交到好朋友,比如喬希,他是一隻充滿活力的小狗,幫助迷路的狗兒找到他們的家。和他的新朋友一起,他會遇到一位善良的老太太,為迷路和飢餓的動物提供食物。她是位天使讓他相信有許多好心人,隨時準備拯救身陷危險的動物。
LinguaItaliano
EditoreTektime
Data di uscita24 giu 2022
ISBN9788835439622
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    Anteprima del libro

    尼基托,離家十萬里 - Dill Ferreira

    Capitolo uno

    Parker

    PRO:

    Non è il mio tipo

    Alto

    Sexy

    Di Bliss

    Rudy gli voleva bene

    Sa cucinare (probabilmente)

    Ha una sua attività

    Negozio di torte


    CONTRO:

    Scontroso.


    Ava alzò lo sguardo quando Parker Blake varcò la porta a battente che separava la parte anteriore della sua tavola calda dalla cucina. Sottolineò alto nella sua lista. Era alto più di un metro e novanta e questo significava che quando era con lui, Ava poteva indossare senza problemi tutti i tacchi alti del suo guardaroba. Questo andava decisamente in suo favore.

    Lo vide portare una caffettiera all’unico altro tavolo occupato della tavola calda. Lo osservò, notando il modo in cui i jeans gli sottolineavano il sedere, poi si costrinse a notare invece il modo in cui interagiva con i clienti. Quello era molto più importante per il piano che lei aveva in mente. Aveva bisogno di Parker, ma la vestibilità dei suoi pantaloni non c’entrava niente. Forse.

    Lui si avvicinò a uno degli uomini al tavolo e raccolse il piatto che aveva davanti.

    «Ehi! Dai…» gli urlò dietro il tizio mentre Parker girava e si dirigeva verso la cucina.

    «Non si mette il ketchup sulla bistecca. E tu ce lo hai versato di nascosto.» Parker non si guardò nemmeno indietro.

    «Era per le patatine!» protestò l’uomo. «Deve essere colato sulla bistecca.»

    Parker si fermò e si voltò. Infilzò la bistecca con la forchetta che era in equilibrio sul piatto e sollevò il pezzo di carne. «Qui ce n’è colato un sacco» disse.

    L’uomo sospirò. «È solo ketchup.»

    «Non ti piace come preparo la bistecca? Mangia da qualche altra parte» gli disse Parker. Poi entrò in cucina con il piatto.

    Ava sapeva che i suoi occhi non avrebbero dovuto essere così spalancati come erano. Lo aveva visto togliere un bicchiere di tè freddo a qualcuno che ci aveva aggiunto zucchero e allontanare un piatto di nachos da qualcun altro che aveva osato raschiare via la panna acida. Ma quel modo di fare non mancava mai di stupirla. Non solo Parker si comportava così, ma riusciva a farla franca. Non conosceva il nome del cliente, ma l’aveva già visto lì dentro e sapeva che sarebbe tornato. Tornavano sempre, tutti quanti. E quel tutti comprendeva l’intera città di Bliss e un’enorme area circostante.

    Abbassò gli occhi sulla sua lista e sottolineò scontroso due volte.

    Quello era l’unico contro che era riuscita a inventarsi, ed era un problema, ma non era del tutto sicura che fosse un problema così grave. Aveva bisogno di uscire con lui. Non aveva bisogno di farselo piacere.

    Ma le piacevano le cose che sapeva di lui. Era tutto alla luce del sole, con Parker Blake. Non gli piaceva che le persone si fermassero troppo nella sua tavola calda. Se ne lamentava tutto il tempo. Aveva anche opinioni molto specifiche sul cibo. Se ordinavi un jalapeño burger, facevi meglio, per Dio, a mangiare i jalapeño. Non mangiavi una bistecca con sopra del ketchup, a quanto pareva. Le patate, di qualche tipo, erano comprese in ogni piatto. No, non potevi chiedere di non portarle.

    Non era un segreto che lui vivesse quel lavoro come qualcosa di molto semplice e intuitivo. Era lì per servire cibo alle persone affamate in cambio di denaro. Il cibo che era disposto a servire era chiaramente indicato nel menù, così come il prezzo per averlo. Se ordinavi un hamburger con patatine fritte, era quello che ti veniva portato. Niente sostituzioni. Niente a parte. Sul menù c’era scritto hamburger con patatine fritte, quindi al cliente venivano portati hamburger e patatine fritte. Punto. E dopo che il cliente aveva mangiato, riteneva che non avesse più fame e che quindi potesse andarsene.

    Ava doveva ammettere che il comportamento di quell’uomo la affascinava. Era un modo strano di fare affari. Da un lato, sembrava logico assecondare i clienti e renderli felici dando loro ciò che volevano. Soprattutto se si trattava di qualcosa di semplice come non servire loro patatine fritte o lasciare che mettessero il ketchup sulla bistecca. Dall’altro, i suoi metodi gli risparmiavano molti mal di testa e, onestamente, mantenevano l’intera interazione semplice.

    Inoltre le persone di Bliss lo sopportavano perché era l’unico ristorante in città. Lei infatti non considerava il suo negozio un ristorante. Serviva torte. E caffè. Punto. Anche quello avrebbe dovuto essere diretto e semplice, ora che ci pensava. Eppure quel piccolo locale sembrava aver complicato la sua vita più di quanto avesse mai fatto qualsiasi fusione o nuovo contratto per la Carmichael Enterprises.

    Parker era rimasto in attività nonostante la sua posizione fosse chiara: il cliente non aveva sempre ragione perché il suo cibo era davvero buono e la tavola calda era un pilastro della città da oltre un decennio. Quelle regole erano sempre state in vigore. Quando varcavi quelle porte, sapevi cosa ti aspettava.

    In realtà lo invidiava. Lei era un’abile negoziatrice, con la reputazione meritata di essere onesta ma dura nei rapporti d’affari. Ma non era mai entrata in una riunione sapendo esattamente cosa sarebbe successo. Era tutto una trattativa, e lei doveva dare per prendere. Era per quello che controllava tutto il resto della sua vita il più fermamente possibile. L’azienda era il fulcro della sicurezza della sua famiglia, quindi lei faceva quello che doveva per andare avanti. Ma il fatto che la vittoria non fosse sempre certa la portava ad aggrapparsi con entrambe le mani a programmi, elenchi e piani ogni volta che poteva. Le piaceva il controllo. Quindi, sì, invidiava che Parker Blake potesse dire è così, prendere o lasciare con i suoi affari. E avere comunque successo.

    Ava studiò l’elenco degli altri pro e contro nel suo taccuino. C’era un altro uomo sulla sua pagina.

    Noah

    PRO:

    Non è il mio tipo

    Alto (abbastanza)

    Sexy

    Di Bliss

    Rudy gli voleva bene

    Ha una sua attività


    Aggiunse NON scontroso alla lista dei pro di Noah. Poi sospirò. L’ex marine ne aveva ancora solo sette a confronto degli otto di Parker. E poi c’era l’unico contro di Noah.

    CONTRO:

    Brynn.

    Ava disegnò un cuoricino accanto al nome di sua sorella. C’era qualcosa tra Brynn e Noah e Ava non sapeva per certo se la loro relazione fosse romantica o solo amicale, ma quando erano insieme sprigionavano quel non so che in grado di far sentire una ragazza l’ultima ruota del carro. Lei non capiva cosa fosse, ma c’era una connessione tra quei due, e l’idea di uscire con Noah la faceva sentire un po’ a disagio.

    Tuttavia, doveva uscire con qualcuno. Qualcuno di Bliss. Per sei mesi. C’erano dodici miliardi e mezzo di dollari in gioco.

    Beh, più o meno. L’azienda di suo padre valeva dodici miliardi e mezzo e la possibilità che lei mantenesse la sua posizione de facto di amministratrice delegata dipendeva dal fatto che uscisse con qualcuno di quella cittadina per sei mesi. Insieme ad alcune altre disposizioni che suo padre aveva messo nel testamento. Come vivere lì per un anno e gestire il negozio di torte assieme alle sue sorelle.

    Ava colorò il cuoricino che aveva disegnato mentre pensava alle sue opzioni.

    Era una follia. Ovviamente. Chi scopriva di avere il cancro e decideva di usare le sue ultime volontà per influenzare la vita amorosa delle sue figlie? Ma Rudy Carmichael non era mai stato un padre come gli altri. E sapeva che Ava avrebbe fatto qualsiasi cosa per essere a capo della Carmichael Enterprises. Era tutto ciò a cui aveva sempre aspirato. L’unica cosa in cui era brava. Ed era l’unico modo che conosceva per prendersi cura di sua madre e delle sue sorelle. La filantropa che prendeva a cuore tutto e tutti, dalle donne maltrattate alle biblioteche locali, lo spirito libero che faceva sorridere e sentire le persone un po’ più leggere e la scienziata geniale che lavorava per liberare il mondo dalle malattie. Il lavoro di Ava permetteva a loro tre di rendere il mondo un posto migliore senza preoccuparsi di denaro o sicurezza. Era il suo modo di rendere il mondo un posto migliore. Indirettamente.

    Aveva pensato che succedere a suo padre fosse un dato di fatto. Negli ultimi cinque anni era già stata l’amministratrice delegata della Carmichael Enterprises, da quando Rudy aveva deciso di trasferirsi in Kansas. Quando aveva scoperto che suo padre era morto, aveva pianto, poi aveva fatto un respiro profondo, calmato le farfalle nello stomaco e si era diretta all’incontro con l’avvocato. Solo per scoprire che c’erano degli ostacoli da superare prima di poter incidere ufficialmente il suo nome sul vetro della porta dell’ufficio del capo.

    Tanti ostacoli.

    Ma la parte più folle di tutte? Capiva perché suo padre l’aveva fatto.

    Non all’inizio, ovviamente. All’inizio era stata confusa, incazzata e ferita. Si era fatta il culo per l’azienda. Anche la sua vita sociale aveva a che fare con il lavoro nove volte su dieci. Okay, dieci volte su dieci. Lei sarebbe riuscita a trasformare qualunque evento in un’opportunità di collaborazione. Era sempre uscita con uomini che erano molto simili a suo padre. Uomini che capivano che lei metteva, e che avrebbe sempre messo, la compagnia al primo posto. Che il più delle volte sarebbe arrivata in ritardo a cena. Che avrebbe risposto alle telefonate nel bel mezzo di una conversazione. Che sarebbe andata via per giorni, a volte anche settimane, alla volta. Era, prima di tutto, sposata con il suo lavoro e usciva con uomini che erano in grado di capirlo. E che avevano importanti contatti d’affari da portare in dote alla loro relazione.

    Era stato romantico? No. Sexy ed eccitante? Nemmeno. E a lei era andato bene. Le piacevano le cose prevedibili. Quelle scritte in anticipo. Le piaceva sapere in cosa si stava cacciando e cosa ci si aspettava da lei.

    «Non riesci a mangiare nemmeno un’intera insalata?»

    Alzò lo sguardo al suono della voce profonda di Parker. E coprì rapidamente la pagina del suo taccuino con la mano. «Ehm, non ho ancora finito.»

    Lui alzò un sopracciglio e prese il suo piatto. Lo inclinò e vuotò il resto della sua insalata in una scatola da asporto. Lei se lo aspettava. A Parker non piaceva che le persone stessero lì a perdere tempo. Alla tavola calda si andava per mangiare. Non per parlare al telefono, leggere, o lavorare al computer. E non per fare liste dei pro e dei contro. Entravi, mangiavi, pagavi e uscivi. Tutti sapevano che era così che funzionava il locale di Parker. E poi, o mangiavi tutto quello che avevi nel piatto, o te lo portavi a casa. L’unica cosa cattiva, lì, era il caffè. E Parker lo faceva apposta. In teoria avrebbe dovuto evitare che le persone stessero lì a perdere tempo. Non funzionava.

    «Ehi, non ho nemmeno portato dei condimenti di contrabbando» gli disse lei. «Puoi controllare, se vuoi.»

    Da dove si trovava, Parker poteva vedere il suo intero fianco destro, e mentre con lo sguardo la percorreva dalla testa ai piedi, Ava sentì un formicolio lungo tutto quel percorso.

    «Non sono preoccupato. Sotto quelle gonne strette che indossi non riusciresti a nascondere niente.»

    Ava sentì il corpo scaldarsi. Amava le sue gonne a tubino e sì, erano aderenti. Ma sapeva che Parker stava solo cercando di farla agitare. E lei non si agitava facilmente. In effetti, Parker Blake era il primo uomo da molto tempo che fosse riuscito a farla sentire anche solo minimamente turbata. Cosa che probabilmente doveva finire nella lista dei contro, a pensarci bene. Ma c’era anche un pro molto importante che doveva essere aggiunto.

    Parker Blake era un’ottima scelta per un fidanzato temporaneo nonostante le voci sulla lista dei contro, perché avevano già trascorso tre mesi insieme. Più o meno. Ciò significava che avrebbe dovuto impegnarsi con lui solo per altri tre per raggiungere la sua quota di sei. Certo, avevano passato gli ultimi tre andando avanti e indietro dalle rispettive cucine – quando lei andava a prendere in prestito burro e uova, e lui arrivava nella sua cucina a lamentarsi, ad esempio. Ma avevano anche passato alcune serate in compagnia delle sue sorelle e dei due migliori amici di lui, Noah ed Evan. Quel particolare stiracchiava un po’ la definizione di appuntamento – soprattutto considerando che teoricamente lei usciva con Evan... anche se quella era un’altra storia – ma era comunque un modo per socializzare diverso da qualsiasi altra cosa che lei avesse mai fatto con gli uomini a New York. Doveva contare. Non avrebbe ricominciato il periodo di sei mesi stabilito nel testamento se poteva farne a meno.

    Inoltre, c’era una certa chimica tra lei e Parker, che rendeva l’idea di trascorrere alcuni mesi in intimità con lui molto più allettante.

    «Ma perché la scatola da asporto?» chiese, resistendo all’impulso di incrociare e distendere le gambe sotto il tavolo. Le gambe su cui lo sguardo di lui era rimasto per qualche secondo più del necessario.

    Parker posò la scatola sul tavolo insieme al conto. «È l’una» le disse.

    Giusto. Ora di chiudere. Parker era aperto per colazione dalle sei del mattino alle nove, chiuso dalle nove alle undici, aperto di nuovo a pranzo dalle undici all’una e poi chiuso di nuovo fino alle quattro quando iniziava a servire la cena. Il turno serale andava dalle quattro alle sei. E che il cielo aiutasse chi provava a ordinare le uova dopo le nove o un sandwich dopo le quattro. C’era un menù specifico per la colazione, il pranzo e la cena, e Parker era Dio quando si trattava di decidere cosa le persone avrebbero dovuto mangiare per ciascuno di quei pasti. Ma, ancora una volta, se venivi a pranzo sapevi che i waffle non erano un’opzione.

    «In realtà è l’una e dieci» gli disse. «E sono arrivata vicino all’orario di chiusura perché speravo di parlarti di qualcosa in privato.»

    Qualcosa tremolò nell’espressione di Parker. Sorpresa? Curiosità? Irritazione, più probabilmente.

    «Ma chiudo all’una.»

    Non lo faceva mai. Sì, il cartello sulla sua porta diceva così, ma la gente rimaneva sempre nella tavola calda almeno fino all’una e mezza. Nonostante tutto quell’essere scontroso e rigido, l’unica cosa che non faceva era buttare fuori le persone che stavano lì a perdere tempo. Era strano. E affascinante. Ava si ritrovò a interrogarsi su Parker Blake e sulle sue abitudini molto più di quanto avrebbe dovuto.

    «Non sono l’unica ancora qui» disse, guardando esplicitamente l’altro tavolo ancora occupato.

    «Ma tu hai finito.»

    Beh, la sua insalata a quel punto era in una scatola. Ma aveva scoperto che il cibo della tavola calda era buono anche se mangiato dopo qualche ora, quindi l’avrebbe portata a casa e mangiata più tardi. «Sì, ho finito di mangiare» disse.

    Lui la guardò per un momento, aspettando chiaramente che proseguisse.

    Ava combatté un sorriso mentre aggiungeva: «Devo solo esaminare alcune cose su questo... rapportoO meglio sull’elenco dei motivi per cui sei l’uomo perfetto per me, pensò. Per i prossimi tre mesi e a causa del testamento, aggiunse velocemente. Anche se quella lista era solo a suo uso e consumo, doveva stare attenta a pensare a Parker come a qualcuno di diverso da... Parker. L’uomo che avrebbe potuto aiutarla a soddisfare le disposizioni testamentarie di suo padre e a entrare nell’ufficio dell’amministratore delegato a New York. «Per me non è un problema aspettare che tutti se ne vadano, così possiamo parlare.» Lottò contro un sorriso, sapendo che lui avrebbe odiato l’idea che lei stesse semplicemente lì a passare il tempo.

    «Quindi il fatto che la tavola calda chiuda all’una a te non interessa?»

    «Certo che sì. È il momento perfetto per parlare con te senza nessun altro intorno.»

    «C’è un motivo per cui chiudo all’una» disse lui.

    «E quale sarebbe?» gli chiese. In realtà voleva davvero saperlo. Naturalmente Parker trascorreva parte del tempo tra un turno e l’altro a preparare quello successivo. Ma lasciava l’edificio tra le nove e le dieci del mattino e poi di nuovo tra le due e le tre. E, suo malgrado, Ava era curiosa di sapere dove andasse e cosa facesse. Non capiva l’origine di quella curiosità, e non le importava più di tanto. Ma lui era un uomo così disciplinato che secondo lei quegli schemi e orari avevano uno scopo.

    Quella cosa le piaceva in un’altra persona.

    Alcuni aspetti di Parker non le piacevano, ovviamente. Come il fatto che lui fosse tragicamente scortese con lei ogni volta che andava lì a prendere in prestito le uova. Che la chiamasse capo con un tono di voce davvero sarcastico. Che sembrasse pensare che i suoi tristi fallimenti culinari fossero divertenti. E che, ogni volta che la guardava, sembrasse sapere più di quanto lei volesse.

    Oh, e il fatto che lei sentisse la faccia avvampare ogni volta che lo beccava a chinarsi nella sua cucina. Quell’uomo aveva un effetto sulla sua libido a cui non si era ancora abituata. Lei usciva con uomini belli, che sapevano vestirsi e avevano sempre un buon profumo. Il che rendeva particolarmente strana la sua reazione a un uomo che indossava blue jeans e magliette il più delle volte sporche, che si radeva ogni tre giorni circa e che odorava di bacon e sciroppo d’acero. Ma non poteva negare che ci fosse qualcosa in Parker Blake che le faceva accelerare il battito cardiaco di un bel po’.

    E le piaceva che lui non le avesse mai fatto un complimento.

    Quasi si accigliò quando quel pensiero le passò per la mente. Suonava strano. Ma era vero. Era abituata ai complimenti degli uomini. Quelli con cui usciva e quelli con cui faceva affari. Ma non si era mai fidata completamente di ciò che dicevano. C’erano dei motivi per cui quegli uomini si complimentavano con lei che andavano ben oltre la semplice cortesia o il desiderio di compiacerla. Volevano tutti entrare nelle sue grazie.

    A Parker non importava delle sue grazie. E non le aveva mai detto niente di carino.

    E per questo Ava si fidava di lui.

    «Ho una vita al di fuori di questa tavola calda» le disse Parker, in risposta alla sua domanda su come trascorreva il tempo tra un turno e l’altro. «Ho delle cose da fare.»

    «Quali cose?»

    Lui la guardò accigliato. «Perché non mi dici di cosa pensi che dobbiamo discutere?» le chiese.

    «Bene. Dobbiamo parlare del tuo lavoro a Sfornato con Estasi.» Riuscì a malapena a non sussultare mentre pronunciava il nome del suo negozio di torte. Non le importava cosa sostenessero gli altri, sembrava il nome di un posto dove comprare erba.

    «Non puoi licenziarmi, capo» disse Parker. «E lo sai.»

    Lei lo sapeva. Il contratto di lavoro che lui aveva firmato con Rudy diceva che l’unico modo in cui poteva essere rimosso dal libro paga del negozio di torte era che si licenziasse, morisse o andasse in prigione. Era stato messo lì per aiutare nella transizione tra la morte di Rudy e il loro arrivo a Bliss, ma l’intenzione era che lui rilevasse il locale dopo che lei e le sue sorelle avessero adempiuto ai loro obblighi e fossero, presumibilmente, tornate a New York.

    «Oh, beh, non voglio licenziarti» gli disse. In effetti, se si fosse dimesso, tutto il piano di Ava sarebbe andato all’inferno. «È proprio il contrario, in realtà.»

    «Cosa vuoi dire?» Sembrava molto sospettoso.

    «Voglio che tu ti faccia avanti e inizi davvero a fare il lavoro per cui sei stato assunto.»

    Lui guardò l’altro tavolo, poi si girò di nuovo verso di lei. «Ho dei clienti. Non posso parlare in questo momento. Di qualsiasi cosa si tratti.»

    Anche Ava lanciò un’occhiata all’altro tavolo, poi tornò a guardare Parker. «Quante sono le possibilità che io accetti questa debole scusa e ti lasci in pace, secondo te?»

    Lui sospirò. Lo faceva spesso con lei. «Poche.»

    «Esatto.» Scivolò fuori dal separé e si alzò. Si lisciò la gonna e gli girò intorno.

    «Cosa stai facendo?» le chiese. Non cercò di fermarla, ma sembrava diffidente e curioso.

    Ava trattenne un sorriso. «Ti do una mano.»

    Parker osservò Ava avvicinarsi al tavolo dove i Wilson stavano finendo il loro pranzo, con i tacchi che sbattevano sul pavimento di piastrelle. Quelle maledette scarpe lo facevano impazzire. E non solo quelle nere con i tacchi da otto centimetri che indossava quel giorno. Quelle che metteva ogni dannato giorno. Sempre con i tacchi, qualunque cosa stesse facendo. E nemmeno un paio di quelle scarpe era funzionale a ciò che si doveva fare a Bliss. Tranne attirare l’attenzione. Cosa per la quale funzionavano egregiamente.

    Ma lui non voleva che se le togliesse.

    Dannazione, non era mai stato un tipo da scarpe, prima. Era abbastanza certo di non aver mai notato cosa portassero ai piedi le donne con cui usciva. Ma i tacchi erano una parte di Ava Carmichael tanto quanto i lunghi capelli biondi e l’atteggiamento da sono fuori dalla tua portata.

    «Salve» disse lei ai Wilson, sorridendo. «Mi chiamo Ava. Sono una delle proprietarie del negozio di torte qui vicino.»

    Parker non aveva idea di cosa lei stesse combinando. Dare una mano era una cosa piuttosto vaga e lo rendeva decisamente sospettoso. Ma non si mosse per fermarla. Aveva la sensazione di voler vedere cosa stava per combinare. E poi c’era la storia del farsi avanti per lavorare nel negozio di torte lì accanto… Di cosa stava parlando Ava? Era curioso, e non solo perché era impossibile che lei lasciasse perdere. Voleva sapere cosa lei pensasse esattamente del suo lavoro laggiù.

    «Certo. Buongiorno» disse Cindy Wilson. «Abbiamo intenzione di farci un salto.»

    Oh, oh. Non erano molte le persone a Bliss che si fermavano al negozio di torte. Le ragazze avevano ospitato un grande evento pubblico appena due settimane prima per presentare la loro nuova attività a tutti. L’affluenza era stata discreta. Ma le tre gemelle Carmichael erano nuove in città e avevano rinnovato il negozio di torte, e una cosa di cui la gente di Bliss non era entusiasta erano i cambiamenti.

    «Sarebbe favoloso» disse loro Ava gentilmente. «Chiedete di me e vi farò uno sconto sulla prima fetta di torta.»

    «È molto carino da parte sua» disse Cindy, lanciando un’occhiata a suo marito, Brandon, e al loro figlio, Kyle, che ora aveva finito la bistecca.

    «Allora spero di vedervi presto» disse Ava a tutti loro. «Ma in questo momento devo chiedervi di andarvene.»

    Parker sentì le sopracciglia alzarsi e incrociò le braccia, aspettando di vedere come sarebbe andata a finire.

    «Come... come ha detto?» chiese Cindy rivolgendole uno sguardo perplesso.

    «È l’una passata» disse Ava, guardando l’orologio. «La tavola calda chiude il pomeriggio dall’una alle quattro. E anche se Parker è sempre stato molto indulgente riguardo a questa regola, io devo insistere sul fatto che venga osservata con più attenzione, perché da adesso in poi lavorerà per me al negozio di torte durante quelle ore.»

    Parker resistette all’impulso di ridere a quelle parole. Beh, quello era un modo per informarlo sul suo piano. E facendo in modo che lui non potesse urlarle contro subito.

    Lei non guardava nemmeno nella sua direzione.

    «Oh. Davvero?» chiese Cindy. Lei sì che lo guardò.

    «Sono sicura che avete sentito dire che cucinare non è il mio forte» riprese Ava con un sorriso sorprendentemente autoironico. E tutti i Wilson sorrisero con lei. Parker alzò gli occhi al cielo. Quella donna poteva essere affascinante, doveva dargliene atto.

    «Quindi ho un disperato bisogno di aiuto» proseguì Ava. «E presto quello sarà il negozio di torte di Parker.»

    Beh, era così che diceva il testamento di Rudy. Ma Parker si era chiesto cosa sarebbe successo al negozio di torte ora che la sorella di Ava, Cori, si era innamorata di Evan e aveva deciso di restare a Bliss. Ava era un totale fallimento in cucina – e lui aveva una serie di teorie sul perché – ma Cori era magica quando usava il forno. Se sua sorella avesse deciso di cucinare torte per vivere, avrebbe avuto un gran successo.

    «Quindi useremo le sue ricette e tecniche di cottura, aggiorneremo il menù e daremo al locale il tocco di Parker» continuò a spiegare Ava.

    «Beh, allora ci togliamo di mezzo.» Cindy guardò Parker. «Sei stato davvero dolce a permetterci di fare con comodo, ma hai del lavoro da fare.»

    «Eh, perché di solito non è così...» borbottò lui. Sapeva che Ava era stata l’unica a sentirlo.

    I Wilson scivolarono tutti fuori dal separé e Kyle si diresse verso la cassa per pagare.

    Parker si unì a lui, negando ad Ava la soddisfazione di mostrare alcuna reazione all’annuncio sui suoi nuovi doveri nel negozio della porta accanto.

    «Non sapevo che cucinassi torte» disse Kyle mentre riponeva il portafoglio in tasca.

    «Quel negozio di torte è stata una sorpresa dopo l’altra per tutti» rispose Parker, chiudendo il registratore di cassa.

    Kyle annuì. «Non vedo l’ora di sapere cosa cucinerai.»

    «Davvero?» Parker ne fu sorpreso.

    «Certo. Non hai mai fatto dei dolci, qui, ma sei un cuoco formidabile. Immagino che le tue torte saranno fantastiche.»

    Eh. Era bravissimo a farle, in effetti. Ma nessuno tranne sua madre lo sapeva.

    Ava seguì i Wilson fino alla porta e quando si richiuse alle loro spalle girò la serratura e voltò il cartello su CHIUSO.

    Capitolo due

    «E cco.» Rivolse lo sguardo a Parker. «Ora, per quanto riguarda il tuo lavoro al negozio di torte. Vorrei che i tuoi nuovi doveri iniziassero oggi.»

    «Tu sei...»

    Ava sollevò un sopracciglio.

    «Qualcosa» finì lui. Poi si allontanò, chiuse la caffettiera e iniziò a pulire il bancone.

    Sapeva che lei stava aspettando che esplodesse, o si mettesse a discutere, o dicesse almeno un di che diavolo stai parlando?. E sapeva che l’avrebbe fatta impazzire se non le avesse dato niente di tutto ciò.

    Ava tornò al tavolo e prese il suo taccuino, poi si issò su uno degli sgabelli del bancone e disse: «Sorvolerò sugli ultimi tre mesi in cui ti ho pagato per non fare nulla. Cominceremo da oggi.»

    Lei era sicuramente un tipo. Solo che lui non aveva una parola per descriverla. Non aveva mai incontrato una donna come Ava Carmichael. La maggior parte delle donne a Bliss e dintorni erano dolci e accomodanti e sembravano volere che lui fosse felice e di buon umore quando era con loro. Ad Ava non importava un cazzo se lui era felice o se era di buon umore. Come evidenziato dal fatto che faceva continuamente cose che lo facevano imbronciare e brontolare.

    «O potremmo dire che quelle buste paga hanno coperto tutta la roba che mi hai rubato negli ultimi tre mesi e mezzo» disse lui.

    Lei sgranò gli occhi. «Preso in prestito

    «Preso in prestito?» ripeté lui. «Non ho visto nessun pagamento o articoli sugli scaffali in sostituzione di quelli sgraffignati.»

    «Ti comprerò una dozzina di uova e un pacco di zucchero al prossimo salto in drogheria.»

    «Primo, tu non vai in drogheria. Secondo, non si avvicina neanche lontanamente a quello che mi devi.»

    «Beh, non è che ho contato tutte le uova.»

    Okay, allora. Parker si diresse verso la cucina e la lavagna di sughero che aveva sul muro accanto alla dispensa.

    Lei continuava a parlare. «E come fai a sapere che non vado a fare la spesa lì?»

    Lui rientrò dalla porta e le porse un pezzo di carta. «Perché il signor Tomkins ha notato che stavo comprando molte più uova e burro del solito e ha intuito che erano per te. Mi ha anche detto che ti hanno preso in giro quando sei entrata lì tre volte in un giorno e che da allora non ti ha più visto.»

    Ava sospirò mentre guardava il foglio. «Non avrebbero dovuto farlo. Non fa bene agli affari prendere in giro i propri clienti.»

    Parker sorrise. Era sicuro che Ava non solo non fosse abituata a essere presa in giro, ma anche al fatto che un’intera città conoscesse – e fosse interessata – a ogni mossa che faceva. Lui non poteva negare che gli piaceva guardare quel meraviglioso pesce fuor d’acqua. Non sapeva perché, a parte il fatto che era divertente vedere una donna così sicura di sé e composta, e che ovviamente a New York City prendeva a calci nel sedere tutti quelli che non erano d’accordo con lei, scossa da una semplice cittadina che aveva tre semafori e la cui più grande novità era la riapertura di un locale che aveva quattro prodotti sul menù.

    Ava guardò il foglio che le aveva passato e lui la osservò spalancare gli occhi. Era un elenco dettagliato del cibo che lei aveva preso in prestito dalla sua cucina.

    In realtà non gli importava del burro e delle uova. Ciò che lo infastidiva di quei furtarelli era il modo in cui lei entrava nella sua cucina a orari casuali e gli rendeva impossibile non guardarla mentre si chinava a frugare nel suo frigorifero. Se le scarpe che indossava lo facevano impazzire, il sedere di Ava inguainato in quelle gonne attillate gli faceva salire la pressione sanguigna a livelli pericolosi.

    Ava alzò di nuovo lo sguardo. «Va bene, quindi siamo pari per gli ultimi tre mesi?»

    «Va bene.» Iniziò a raccogliere le saliere e le pepiere da tutto il ristorante, sapendo che il fatto che lei non avesse la sua piena attenzione l’avrebbe infastidita.

    Ma la verità era che Ava ce l’aveva tutta. Parker riempì meccanicamente i barattolini di sale e pepe, conscio che Ava non poteva trovarsi a meno di tre metri da lui senza che il suo intero sistema entrasse in allerta.

    Era fastidioso da morire.

    «Le entrate del negozio di torte stanno salendo un po’» gli disse. «Dopo l’evento al parco organizzato da Cori, abbiamo ripagato il prestito bancario. Ma sai che secondo il testamento di Rudy dobbiamo realizzare un profitto entro la fine dei nostri primi dodici mesi qui. Per farlo abbiamo bisogno di un prodotto migliore, quindi, ho bisogno che

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