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Dolci seduzioni
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E-book239 pagine3 ore

Dolci seduzioni

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Info su questo ebook

Daisy Sinclair sa come far gemere di piacere un uomo. O almeno dovrebbe, visto che è la proprietaria della bakery più rinomata di Chicago. Certo, stare in piedi di fronte al critico gastronomico più influente e sexy! della città con indosso solo boxer e canottiera non è molto professionale, ma ha in mente un piano per farsi perdonare.



Quando Jamie Forsythe viene scambiato per il suo fratello gemello, famoso critico gastronomico, non ha il coraggio di rivelare la verità. È stata sufficiente infatti una sola occhiata alle curve mozzafiato di Daisy per sapere che l'unica cosa che desidera in quel momento è gustare il proprio dessert, in un modo o nell'altro. Miscelare attrazione e inganno è la ricetta perfetta per un disastro annunciato, ma quando gli ingredienti sono dolci come le labbra di Daisy... può dare vita alla più eccitante delle tentazioni.
LinguaItaliano
Data di uscita21 mag 2018
ISBN9788858982785
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    Anteprima del libro

    Dolci seduzioni - Daire St. denis

    successivo.

    1

    Il cellulare sembrò animarsi sulla scrivania facendo echeggiare il suo trillo acuto. Concentrata a scribacchiare sul registro delle uscite, Daisy sobbalzò sulla sedia.

    «Che altro c'è?» borbottò a nessuno in particolare, prima di leggere il messaggio apparso sullo schermo. Un promemoria impostato quattro settimane prima. Quattro settimane d'inferno. E ora, ventotto, interminabili giorni più tardi, era arrivato il momento della verità. Il momento di capire se era valsa la pena di sottoporsi a quell'estenuante tortura.

    Recuperò la bilancia che teneva sotto la scrivania e andò a chiudere la porta, quindi rimirò con occhio critico l'immagine riflessa nello specchio che vi era appeso. Aveva della farina su una guancia, che ripulì col dorso della mano. E il grembiule che indossava... be', era annodato troppo stretto intorno al girovita.

    Se lo slacciò e lo gettò via.

    I jeans sdruciti e l'ampia T-shirt certo non la slanciavano, perciò tolse anche quelli e li lasciò ammonticchiati per terra.

    E ora, il verdetto.

    Aveva evitato lo specchio in quelle ultime quattro settimane con questo obiettivo in mente.

    Il gala per il quale sua madre era riuscita a procurarle un biglietto era fissato per quel sabato, cioè di lì a cinque giorni, e Daisy era decisa a fare un figurone con indosso il vestito rosso lacca che aveva acquistato per l'occasione. Si girò da un lato all'altro, davanti allo specchio, e aguzzò la vista cercando di scorgere i cambiamenti che si augurava di vedere.

    Fianchi generosi.

    Si girò su se stessa: fondoschiena arrotondato.

    Mettendosi di profilo, richiuse la mano su un seno. Pienotto, come al solito.

    Sospirò, constatando che non sembrava cambiato niente. Le curve c'erano tutte. Accentuate come quando da ragazzina la definivano Miss Paffutella.

    Morbida al punto giusto. Le pareva di sentire la voce di sua nonna, come se fosse stata proprio lì, al suo fianco, con un vassoio di dolcetti alle nocciole appena sfornati.

    Stupida cicciona era invece il simpatico appellativo col quale le si rivolgeva il suo ex-marito. Del resto, gliene aveva affibbiati anche lei di nomignoli, nel corso del loro breve – quanto burrascoso – matrimonio. Il divorzio sarebbe stato già pronunciato da un pezzo, se non fosse stato per I Peccatucci della Nonna.

    Già, la sua pasticceria...

    Daisy chiuse gli occhi e respirò a fondo. I saccottini dovevano essere usciti dal forno, perché un delizioso odore di cannella e di zucchero di canna cominciava a diffondersi nell'aria.

    Sì, era così che si immaginava l'odore del Paradiso!

    Bene. Oggi se ne sarebbe concesso uno. Se l'era meritato.

    Trattenendo il fiato, salì sulla bilancia e sbirciò timorosa in direzione del display a cristalli liquidi che sfiorava con le unghie laccate di uno sgargiante rosa confetto.

    Sbatté le palpebre. Più volte.

    Poi sgranò gli occhi, incredula.

    Non era possibile.

    Scese dalla bilancia e controllò di nuovo il display. Che però era perfettamente tarato sullo zero. Provò a resettare le impostazioni, dando una bella scrollata all'infernale aggeggio, lo rimise per terra e tornò a salirci, cauta.

    Provò persino a scacciare via ogni pensiero per svuotare la mente, come se in quel modo potesse risultare più leggera.

    Ma il numero che apparve sul display era lo stesso di prima!

    No, maledizione, no!

    Quattro, interminabili settimane di dieta ferrea e non solo non aveva perso nemmeno cento grammi, ma aveva messo su mezzo chilo!

    Come era possibile?

    Per quattro settimane non aveva assaggiato una fetta di torta o un pasticcino, per ventotto lunghissimi giorni si era vista sfilare sotto il naso decine e decine di cupcakes decorati con soffice crema al burro e bignè rivestiti di caramello senza assaporarne uno; niente cioccolatini, niente bavaresi, niente mousse ai frutti di bosco, niente biscottini glassati, niente strudel, niente crostatine alla frutta... e per ottenere cosa?

    Cominciò a misurare a grandi passi il suo ufficio chiedendosi cosa avesse fatto di male per meritare un simile scherzo del destino. Non era giusto. Era stata una santa a stare alla larga da qualsiasi dolce, impresa tutt'altro che facile per la proprietaria di una pasticceria! E mica di una pasticceria qualunque! Modestamente, I Peccatucci della Nonna era la più rinomata pasticceria di Bucktown. Anzi, di tutta Chicago, se non addirittura di tutto l'Illinois! Perché no? Forse di tutto il continente!

    Certo, non poteva dimostrarlo... Comunque la questione era un'altra, e cioè: come diavolo aveva fatto a mettere su mezzo chilo senza aver praticamente toccato un grammo di zucchero in ventotto giorni?

    E che diamine!

    Sferrò un calcio alla bilancia, di impulso.

    Ma nel farlo, prese una bella botta sull'alluce, che cominciò a pulsarle violentemente. Se lo massaggiò per qualche secondo, poi afferrò la bilancia decisa a scaraventarla contro il muro. «Stai ridendo di me, vero? Ma hai fatto male i conti, sai? Eh no, non ti darò la soddisfazione di mettermi a piangere. Ci vuole ben altro, per piegarmi. Non sono una che molla, io...»

    Con la bilancia sollevata sopra la testa, pronta a volare per aria, vide la porta dell'ufficio che si apriva. E un istante più tardi, un uomo entrava nello studio.

    Un bel tizio, ben piantato. E soprattutto vestito.

    Subito dietro c'era Lizzie, la sua aiutante, che andò a sbattergli contro quando lui si arrestò di botto, con gli occhi sbarrati.

    «Capo!» esclamò Lizzie. «Ma che...?»

    Il cuore le si arrestò nel petto, mentre il viso le si coloriva di un'intensa tonalità di rosso.

    «Oh...» fece l'uomo, restando impalato dov'era.

    Daisy cercò invano di coprirsi con la bilancia. «Fuori!» urlò. Quando lo sconosciuto non si mosse, ripeté:«Toglietevi dai piedi!».

    Lizzie sparì all'istante, ma l'uomo non accennò a muoversi. Era come incollato al pavimento.

    «Non sarà mica sordo!»

    Lui scosse il capo, l'espressione sorpresa, ma non sembrava minimamente imbarazzato. Aprì la bocca come per dire qualcosa, ma poi ci ripensò, la richiuse e si decise a uscire. Senza dare a Daisy il tempo di alzare gli occhi al cielo per darsi della stupida, la porta tornò ad aprirsi di uno spiraglio e lo sconosciuto fece capolino. «Sì, brava, si sfoghi e la butti via.»

    «Se ne va o no!?»

    La porta venne richiusa e Daisy mollò senza troppi complimenti la bilancia, per recuperare i vestiti. Se li infilò in fretta e si diede una controllatina allo specchio, per sistemarsi meglio: le guance in fiamme erano l'innegabile prova dal suo imbarazzo. Ma ormai era fatta, quindi...

    Un altro colpetto alla porta. Andò ad aprire e trovò Lizzie sulla soglia, intimorita.

    «Ah, allora la conosci la buona educazione.»

    «Scusami. Io...»

    «E prima? Perché non hai bussato?»

    «Certo che ho bussato» si difese Lizzie. «E mi hai detto di entrare. O almeno, così mi è sembrato. Parlavi da sola e dicevi un sacco di cose. Conti fatti male... o qualcosa del genere.»

    Daisy si massaggiò l'attaccatura del naso. «Sciocchezze. Non ha alcun senso.»

    «Lo so. Ma non è la prima volta che parli da sola e dici cose senza senso. Ero convinta che mi avessi detto di entrare.»

    Inutile stare a discutere. Daisy cadde a sedere sulla sedia. «Allora? Chi sarebbe quel tizio che mi ha vista mezza nuda?»

    Lizzie si schiarì la voce. «Colin Forsythe.»

    Quel nome la fece drizzare sulla sedia. «Dimmi che non è vero.»

    «Invece sì, purtroppo.»

    «Ma parliamo del Colin Forsythe che ha una rubrica di recensioni culinarie sul Tribune?»

    «Proprio lui.»

    «No!» Daisy si sentì crollare il mondo addosso. Avrebbe voluto sprofondare in un buco nero e sparire dalla faccia della terra.

    Un altro colpetto la indusse a girarsi verso la porta, che fissò inorridita.

    «È ancora lì fuori» spiegò Lizzie.

    «Digli di andarsene! Digli che sono Maisy, la sorella gemella di Daisy, quella schizzata. Digli che la vera Daisy è in vacanza e rientra la settimana prossima.»

    «Ecco, vedi? Mi riferivo a questo: a volte parti in quarta, cominci a farneticare... e vallo a capire cosa vuoi dire! Ho pensato che mi dicessi di entrare e invece eri qui a ballare da sola in reggiseno e mutandine. Si può sapere che diavolo stavi facendo?»

    «Lasciamo perdere, che è meglio.»

    Lizzie raggiunse la scrivania e le batté su un braccio. «Sai che ti dico? Questo è il tuo ufficio e puoi farci quello che vuoi, anche restare qui mezza nuda. Chi se ne frega! Sei tu il capo. Non devi rendere conto a nessuno. Perciò ora stampati un bel sorriso in faccia e accogli il tuo ospite come se niente fosse» concluse, allargando le braccia.

    Non funzionò più di tanto.

    Non per Daisy.

    Per Lizzie era facile dirle di affrontare a testa alta un emerito sconosciuto che l'aveva appena sorpresa a dar fuori di matto in slip e reggiseno. Sbirciò all'interno della scollatura della T-shirt, cercando di ricordare quale avesse scelto quella mattina. Oh, be', per lo meno era il nuovo completo di Victoria's Secret, quello di seta color avorio.

    Ebbene sì, lo ammetteva: aveva da sempre un debole per la lingerie... un suo piccolo vezzo.

    Una ben magra consolazione, certo.

    «Signora Sinclair?»

    Si girò verso l'uomo che era appena apparso sulla soglia dell'ufficio. Sì, era proprio Colin Forsythe. I capelli castani chiari erano un po' più lunghi rispetto a come li portava nella fotografia che affiancava la sua rubrica, ma aveva lo stesso mento volitivo, lo stesso naso e le stesse labbra piene.

    A guardarlo dal vivo però doveva ammettere che la foto non gli rendeva giustizia.

    In quell'immagine aveva un'aria severa, appena corrucciata, quasi da intellettuale. Poteva sembrare un tipo altezzoso, un tantino troppo pieno di sé.

    Di persona invece non dava la stessa impressione: gli occhi scintillavano – di malizia o di divertimento? – e un risolino contenuto a stento aleggiava sulle sue labbra. Inoltre era... imponente: poteva sembrare un campione sportivo più che un rinomato, temutissimo critico gastronomico.

    Lui inarcò un sopracciglio, sentendosi squadrare da capo a piedi. «Superato l'esame?»

    Belloccio, certo. Consapevole di piacere. E con un ego grande quanto una casa, dedusse Daisy. Le avrebbe fatto vedere i sorci verdi. Ma quello era Colin Forsythe, ed erano tre anni che aspettava di incontrarlo, cioè da quando aveva rilevato la pasticceria. Certo, il signor Forsythe non avrebbe potuto scegliere momento peggiore per presentarsi: la sua solita sfortuna!

    Sospirò e inclinò il capo su un lato, socchiudendo appena gli occhi. Strano. Eppure a volte le sembrava quasi di sentire sua nonna che ridacchiava alle sue spalle, quando il destino le faceva quel genere di scherzi.

    «Tutto bene?»

    Strabuzzò gli occhi prima di rispondere. «Mi sta prendendo in giro?»

    «Non deve sentirsi in imbarazzo.»

    «Allora facciamo finta che sia appena arrivato, le dispiace?» Daisy trasse un lungo respiro, sollevò le spalle e si alzò. «Signor Forsythe.» Girò intorno alla scrivania e gli porse la mano. «Daisy Sinclair, molto lieta. Benvenuto a I Peccatucci della Nonna.»

    Lui si fregò una mascella nel tentativo di assumere un'espressione seria, che però fallì miseramente. Le avvolse la mano in una stretta decisa. «Mi chiami pure Colin.»

    «Colin.» Con un sorriso forzato, Daisy lo oltrepassò e raggiunse la porta. Si girò. Forsythe non si era mosso. «Non vuole seguirmi?»

    «Dove?»

    Daisy indicò la cucina con un gesto del capo. «Non è qui per visitare la pasticceria?»

    Con un'unica falcata, Colin la affiancò e la guardò dall'alto del suo metro e... novanta? Come minimo. Era davvero altissimo! E ora perché le scoccava quel sorriso malandrino? «Ho già visto tutto.»

    Lei si accigliò.

    E Forsythe sostenne il suo sguardo senza vacillare. «Mi riferivo alla pasticceria, è chiaro. Sono stato di là per almeno mezz'ora a parlare con i clienti e col personale.»

    «Ah, sì?»

    «Sì. I clienti chiedono tutti di lei. E la chiamano per nome.»

    Daisy fece spallucce. «Siamo qui da moltissimi anni. Sono clienti affezionati.»

    «Solo quando hanno motivo di esserlo.»

    «Immagino di sì.»

    Lui le si avvicinò e la sua voce si ammorbidì. «Ora mi piacerebbe assaggiare qualcosa.»

    Da come la guardava, sembrava quasi che avesse voglia di assaggiare lei! No, dico, tra tutte le idee ridicole o imbarazzanti che potessero attraversare la mente di Daisy, questa era di sicuro la più assurda!

    Giratasi di scatto, si diresse a passo di marcia in cucina e ignorò la risatina con la quale lui la seguì. Si divertiva, il suo spiritoso ospite!

    Trovò Lizzie che lavorava energicamente un impasto. «È l'ora di punta» le disse. «Julia non ce la fa da sola, alla cassa.»

    «Ma questo impasto...»

    «Ci penso io.»

    Lizzie corse alla doppia porta che separava il retrobottega dal negozio, lasciando Daisy col suo avvenente visitatore. Sistemata sulla testa un'orrenda cuffietta a retina – tanto non aveva intenzione di fare colpo su nessuno – si lavò le mani e cominciò a prendere a pugni l'impasto con un'energia quasi esagerata.

    «Ci va di mano pesante, eh?»

    «Ci sono impasti che richiedono una lavorazione più delicata e altri che hanno bisogno di una bella sculacciata.» Si pentì di aver usato quelle parole nell'attimo in cui le furono uscite di bocca. «Questa naturalmente non la riporti.»

    «Peccato. Era un'uscita simpatica» fece Colin, ridacchiando. «Pensavo che in pasticceria le preparazioni si infornassero nelle prime ore del mattino.»

    Daisy si grattò appena il mento con una spalla e sferrò un altro pugno all'impasto, senza tuttavia provare la solita soddisfazione che provava nell'annusare la nuvoletta di farina e il profumo di lievito che si levava nell'aria. La presenza di Forsythe nel suo regno la innervosiva, perché negarlo?

    Però stavolta la domanda era professionale, perciò non poté non rispondere. «È uno dei motivi per cui ci distinguiamo dalla concorrenza: sforniamo più volte al giorno per offrire prodotti sempre caldi e fragranti. Ogni giorno della settimana, una specialità diversa: il martedì è il giorno dei fagottini alla cannella. Questi saranno pronti a pranzo, ma ci sarà un'altra infornata in concomitanza con l'orario di chiusura degli uffici.»

    «In pratica, le vostre giornate di lavoro non finiscono mai.»

    «Diciamo di sì.»

    «E quante persone lavorano qui?»

    «Due ragazze a tempo pieno al banco, anche se oggi Crissy è malata, e Lizzie e Bruce mi danno una grossa mano in cucina. Ci sono poi cinque ragazzi part-time che vengono di sera e durante i weekend.» Solo adesso Daisy si accorse che Forsythe non aveva una penna, né un taccuino. Non stava nemmeno registrando l'intervista. «Non prende appunti?»

    Lui si batté su una tempia. «Ho già annotato tutto qui dentro.»

    Soddisfatta della elasticità dell'impasto, Daisy ricoprì la coppa con una canovaccio pulito e lo sistemò al caldo, per favorire la lievitazione. Prese quindi a lavorare un secondo impasto. Scoprì che era molto più facile parlare con Colin se aveva le mani impegnate e non era costretta a guardarlo. Non doveva assolutamente pensare che il suo ospite l'aveva vista come nessun altro uomo aveva fatto da tanto, tantissimo tempo a quella parte.

    Colin afferrò uno sgabello e si mise a sedere, continuando a osservarla mentre lavorava. «Come fa a reggere certi ritmi?»

    «È facile. Mi piace quello che faccio: per me questo non è un lavoro. E il personale... be', siamo come una grande famiglia.»

    «Sotto l'insegna c'è scritto che siete aperti da cinquant'anni. Quindi non può essere stata lei ad avviare l'attività.»

    «La pasticceria apparteneva a mia nonna. Io sono subentrata dopo la sua morte.» E ora l'attività apparteneva a lei, per quanto gli avvocati di Alan si ostinassero a sostenere il contrario. La faccia del suo ex-marito le si materializzò davanti e instintivamente Daisy sferrò un pugno deciso all'impasto.

    «E da quanto lavora qui?»

    «Non saprei dirglielo. Ci sono cresciuta, in questa pasticceria.» Daisy guardò l'ampia cucina. Negli ultimi tre anni aveva apportato qualche cambiamento, ma quella cucina evocava ancora i bei ricordi di una volta. Gli odori erano gli stessi: lievito, zucchero di canna, cannella, vaniglia. Tutto le ricordava nonna Martha. E la nonna era sinonimo di casa, di sicurezza. Di calore.

    «Mi dica, Daisy... posso chiamarla Daisy, vero?»

    «Be', penso che abbiamo già superato certe formalità.»

    Colin soffocò una risatina. «Quando potrò assaggiare qualcosa?»

    Lei sbatté più volte le palpebre. Lo aveva soltanto immaginato, o c'era qualcosa di allusivo in quella richiesta? Perché Colin Forsythe sembrava voler assaggiare qualcosa di molto più... intimo di un fagottino alla cannella. La sua bocca. La sua pelle, per esempio...

    Piantala, Daisy. Ti ha vista mezza nuda, ma questo

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