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Quello che non sanno
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Quello che non sanno
E-book1.078 pagine16 ore

Quello che non sanno

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Info su questo ebook

Johnny è un pianista carismatico, intraprendente, dissoluto, divora la vita in ogni sua ebbrezza. Heat è un fotografo schivo, introverso, solitario, più impegnato a subire la vita che a viverla. In un caldo pomeriggio d’estate le loro vite si incrociano, e da quel giorno in poi niente sarà più come prima. Le certezze dell’uno vengono smantellate dall’audacia dell’altro, e le convinzioni di una vita vengono messe in discussione dalla nascita di un potente sentimento d’Amore. Troppo uguali per non capirsi, troppo diversi per stare serenamente insieme.
La tormentata e turbolenta storia tra due uomini, che provengono da vite segnate dalle esperienze più dure. Il loro è un Amore attraversato dalle insidie del passato, del presente, dalle conseguenze di traumi passati abbandonati a se stessi e da dinamiche familiari altamente disturbate.
Riusciranno Johnny e Heat a combattere i demoni del loro passato? Saranno in grado di lottare e vivere il loro Amore in un mondo ancora colmo di pregiudizi e omofobia?
La loro non è una storia per cuori fragili, ma è una storia che, anche nel fango della vita, cerca la forza di aggrapparsi per trovare una via d’uscita.
LinguaItaliano
Data di uscita28 dic 2021
ISBN9791220092098
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    Anteprima del libro

    Quello che non sanno - Giulia Jackson

    Quello_che_non_sanno_cover_ebook.jpg

    Prima edizione - Agosto 2021

    Immagine di copertina di Max Menghini

    maxmenghinistudio.it

    Modello dell’immagine Luca Fracasso

    Impaginazione grafica di Riccardo Scarparo

    riccardoscarparo.it

    Giulia Jackson

    Quello che non sanno

    Indice

    1. Notte. 6

    2. Alba. 14

    3. Mattino. 148

    4. Pomeriggio. 326

    5. Tramonto. 382

    6. Crepuscolo. 415

    7. Sera. 436

    8. Notte. 553

    9. Alba. 608

    10. ...e di nuovo Mattino. 629

    Ringraziamenti 636

    Agli uomini che ho Amato,

    alle donne che mi hanno Amata.

    All’Amore, in tutte le sue forme.

    A me stessa, per essere sopravvissuta all’Amore.

    Immersa nella notte, mi son chiesta

    Come si può sopravvivere?

    E il mio cuore ha risposto:

    Scrivilo.

    1. Notte.

    Spesso si vive sentendosi soddisfatti della propria vita, e si pensa che si potrebbe andare avanti così all’infinito. Finché un giorno non accade qualcosa che ci stravolge senza cambiarci, e ci si rende conto che quel qualcosa ci arricchisce così tanto l’esistenza, che non vogliamo rinunciarci più.

    Era quasi notte fonda, una notte qualunque tra un venerdì e un sabato di una qualche settimana d’estate, ma quella non sarebbe mai stata un’estate qualunque.

    Una luce fredda proveniva dalla luna e dai lampioni della città, diffondendosi soffusa nell’appartamento. Nonostante il proprietario guadagnasse molto bene, non era un appartamento molto grande, era abbastanza modesto, ma aveva stile. Entrando dalla porta ci si imbatteva quasi subito sullo schienale di un divano nero in pelle, che guardava un tavolino basso rettangolare, e poco più in là una libreria ricolma di libri, dischi, cd e dvd. Sosteneva anche un televisore ultrapiatto di ultima tecnologia e un buon impianto stereo. L’intero mobilio era nero, le pareti bianche. Il bianco delle pareti aiutava la luce a riempire quei vuoti d’aria, forse anche quei vuoti d’animo che talvolta ci ricordano che siamo soli, anche se siamo in compagnia, soprattutto in compagnia. Il tappeto sotto al tavolino e al divano era grigio e nero. A destra del divano si disponeva una poltrona, alla sua sinistra un pianoforte con sopra un microfono, che si appoggiava al muro, quasi sembrava che lo sostenesse, erano anch’essi naturalmente neri. E sopra al pianoforte, primeggiava nella parete una stampa incorniciata di un quadro di Jackson Pollock, nella quale predominavano il nero e il blu. Nella zona destra della stanza si trovava la cucina, posizionata sul muro in cui sbucava la porta. Una cucina bianca in stile moderno si stendeva su tutta la parete. Nella parete opposta giaceva un mobile che si fermava circa a metà altezza dal soffitto, il colore è risaputo, fungeva da credenza. Sopra ad esso una stampa di un altro pezzo d’arte del Novecento: la Guernica di Pablo Picasso. Tra il mobile-credenza e la libreria, un arco apriva un corridoio, il quale conduceva alla camera da letto sulla destra, al bagno sulla sinistra e un’altra cameretta in fondo. Tra il Picasso e la cucina un tavolo abbastanza grande si offriva per ogni tipologia di uso, con le gambe nere e il resto di vetro. C’era della cocaina su quel tavolo quella notte, una riga mezza sniffata e mezza avanzata, con vari residui di polvere sparsi intorno qua e là. Un posacenere pieno, una banconota da cinquanta euro un po’ arrotolata, due bicchieri vuoti e una bottiglia di Jack Daniel’s incorniciavano il tutto.

    Johnny era lì: appoggiato sulla portafinestra aperta che conduceva al terrazzo, all’estremità del tavolo. Stava fumando una sigaretta, lì in piedi, con addosso solo i suoi boxer neri e il sale del sudore rimasto sulla pelle tatuata. Aveva parecchi tatuaggi: un teschio con la bandana da pirata e la scritta Rock ‘n’ Roll sul braccio destro in stile ritratto, e nell’avambraccio interno la scritta If I can dream it, I can do it di Walt Disney. Un cuore rosso trafitto nell’altro braccio, in stile Old School, con attorno una sottile pergamena contenente un nome: Anna. Poi, il Joker nella zona interna dell’avambraccio con la celebre frase Ciò che non uccide rende più strani, e un gabbiano in volo stilizzato nella zona posteriore, sotto al gomito. Nella schiena una croce celtica riempiva metà di quella distesa così liscia, ma non aveva significati politici per lui. Per Johnny rappresentava solo l’antico simbolo originario di collegamento tra cielo e terra, tra ciò che stavano toccando i suoi piedi e ciò verso cui erano rivolti i suoi occhi. Infine, nel pettorale sinistro, all’altezza del cuore, altri due nomi: Irene e Ryan.

    Johnny era lì: fumava. Fumava e guardava il cielo, la luna. La sua cara, vecchia amica luna. Si girò lentamente verso la stanza, guardò per qualche istante il pianoforte. Avrebbe voluto suonare, ma non poteva, era tardi e il mondo stava dormendo da un pezzo. Ripose i suoi occhi al cielo, alla luna, pallida luna. Le tende blu danzavano un poco ai soffi di quell’aria calda, di quel tempo immobile. Anche i suoi capelli svolazzavano svogliati sulle sue spalle, sulle sue labbra a cuore, sui suoi occhi profondi, sulla barba del mento e i baffi corti da poco sistemati. L’aria smuoveva quell’atmosfera placida, ma era calda, faceva caldo.

    - Tra quanto vieni a letto?

    La voce di una bionda con grandi occhi verdi irruppe in quel silenzio. Si chiamava Elena o Elisa, un nome che iniziava con la E. Si era trascinata assonnata fino al tavolo, era molto carina. I lunghi capelli biondi scivolavano su un corpo dalle forme dolci, ma toniche. Era completamente nuda, ancora completamente nuda. La luna spandeva il suo chiarore su quella pelle candida, di seta quasi. Johnny voltò la testa verso di lei, ma non la guardò, tenne uno sguardo di striscio, che si esauriva altrove nella stanza.

    - Forse ora dovresti andare - le comunicò con la sua voce calda. Lei rimase piuttosto incredule a quella sgradita affermazione.

    - Cosa hai detto?

    I suoi occhi guardarono quelli verdi di lei.

    - Quello che ho detto.

    Con uno stupore mescolato ad irritazione Elena, o Elisa, tornò offesa nella camera da letto. Si rimise addosso quei pochi capi d’abbigliamento che aveva lasciato sparsi sul pavimento, sfilò i capelli dalla canotta aderente e tornò in cucina. Johnny aveva gettato la sigaretta dal terrazzo ed era già sulla porta, pronto per aprirgliela.

    - Mi avevano detto che eri uno stronzo, ma non pensavo così tanto!

    La ragazza si chiuse la porta alle spalle sbattendola, noncurante che fosse ora notte fonda. Johnny, ancora davanti alla porta chiusa, fece un mezzo sorriso, quasi di compiacimento.

    - È stato un piacere anche per me conoscerti.

    Ormai era abituato a quelle reazioni, scene analoghe si ripetevano più o meno ogni fine settimana. Non se ne curava, a lui piaceva dormire da solo. E non si trattava solo di questo: considerava il dormire con qualcuno un gesto molto intimo, troppo intimo per concederlo o condividerlo con una persona appena conosciuta. Una persona appena conosciuta solo per trascorrerci una notte di sensi, di ebbrezza, di scelleratezze insonni. Come direbbe Charles Bukowski di ordinaria follia, di divina follia.

    Chiuse la portafinestra e fece scendere la tapparella, lasciò il tavolo ingombro com’era. Vuotò d’un sorso le poche gocce rimaste di Jack Daniel’s in uno dei due bicchieri e tornò in camera da letto. Si spruzzò nel naso un po’ di spray nasale per liberarlo, prevedendo che probabilmente si sarebbe presto intasato vista la cocaina assunta fino a un’ora prima. Prese numerose gocce di benzodiazepine per assicurarsi di dormire, e si lasciò cadere sulle lenzuola sfatte. Guardò per un po’ le luci che penetravano dalle fessure della tapparella riflettersi sugli specchi delle ante dell’armadio di fronte al letto. Anche sopra il letto, nel soffitto, c’era uno specchio. Sì, a Johnny piaceva guardare i corpi avvinghiati negli specchi, quando aveva rapporti sessuali. Osservarli e ammirarli uniti al suo da più prospettive, anche se non lo faceva così spesso ora in realtà. Quando ad una cosa ci si abitua, non ci si fa più tanto caso, ma ogni tanto lo faceva proprio con gusto. La testiera del letto, indiscutibilmente nera, come le lenzuola e tutto il resto, era incassata in un mobile che si sviluppava in tre mensole su cui giacevano altri libri. I comodini, inseriti nel mobile ad incasso, affiancavano da ambo i lati delle ante chiuse. Un comò si appoggiava nella parete della porta, sopra il quale contrastava la Notte stellata di Vincent Van Gogh. Contrastava con le pareti viola che richiamavano il copriletto, erano di un viola chiaro steso sfumato. Viola e nero regnavano in quella stanza, conferendole un’atmosfera inquietante forse, ma decisamente misteriosa, intrigante.

    Appena sentì l’effetto delle gocce diffondersi in tutto il corpo, Johnny spense la lampada di sale sul comodino, e dopo non molto si addormentò.

    ********

    Era il sabato mattina del fine settimana dopo, un altro fine settimana qualunque. Sul tavolo non c’erano cocaina o gli utensili usati per assumerla, ma c’erano come il weekend prima la bottiglia di Jack e due bicchieri, questa volta mezzi pieni. Nel posacenere c’era anche una canna fumata a metà. La tapparella non era stata abbassata la notte prima, e Johnny stava dormendo profondamente sul divano con il suo cuscino, in mutande, nella piena luce di quella tarda mattinata.

    - Ehi, svegliati!

    La voce di un ragazzo di appena vent’anni lo scosse da quel sonno profondo, aveva solo i boxer addosso pure lui. Johnny aprì pigramente gli occhi, aveva un gran mal di testa e una sete micidiale, la bocca era completamente secca e impastata.

    - Buon giorno John! - sorrideva entusiasta.

    - Uhm - Johnny si stropicciò gli occhi e sbadigliò - buon giorno.

    Il ragazzino si chiamava Simone o Stefano, un qualche nome con la S. Johnny non se lo ricordava, evitò di tentare di chiamarlo per nome per non sbagliare, per non essere troppo brutale in quella brutale verità. Biondo con il frangino, gli occhi verdi, magro, non tanto alto, non raggiungeva il metro e settantotto di Johnny. Si stava accingendo a preparare un caffè, aveva un modo di fare e di parlare molto effeminato. Nonostante l’evidenza dei fatti, voleva chiedere una conferma a Johnny.

    - Non hai dormito a letto stanotte? - mentre riempiva la caffettiera.

    - No, mi piace dormire da solo - facendo scendere pigramente le gambe dal divano.

    Silenzio. Guardò Johnny seduto che si sfregava il viso con le mani, lo guardava con uno sguardo un po’ incrucciato, e leggermente interrogativo.

    - Potevi dirmelo, me ne sarei andato!

    - Beh - guardandolo - ti eri addormentato così profondamente che non volevo svegliarti - non era vero, ci aveva provato eccome a svegliarlo, ma non ci era riuscito - e poi, eri così sbronzo che non ti avrei mai lasciato guidare in quelle condizioni - questo sì era vero.

    Era pure uno stronzo Johnny a volte, ma ce l’aveva un cuore, un grande cuore, da qualche parte.

    Il biondino annuì lentamente lasciando i propri occhi su di lui.

    - Sei stato premuroso, grazie.

    Ormai Johnny si era alzato dal divano, gli si avvicinò sorridendo.

    - Non voglio un bel giovane come te sulla coscienza - dandogli una pacca amichevole sulla spalla. Il disagio del ragazzo traspariva dai suoi respiri, dal suo non saper bene cosa dire, cosa fare.

    - Posso fare colazione qua o è meglio che me ne vada? Visto che ho già abusato del tuo letto stanotte...per dormire.

    Johnny riempì un bicchiere d’acqua, si appoggiò al mobile con la schiena e sciolse la secchezza che aveva in bocca, lo guardava in silenzio.

    - Almeno posso bere solo un caffè? - dubbioso.

    - Senti... - (cercò il nome, ma non lo disse per non sbagliare) - ...puoi pure restare per colazione, non ti preoccupare. L’importante è che tu sappia, che tu capisca, che questa notte è stata solo...

    -...sesso.

    - Sì.

    Il ragazzo annuì guardando in basso, in realtà già sapeva che le cose stavano così, del resto erano passati dalla discoteca alla camera da letto senza troppi complimenti, senza troppe cerimonie.

    - Va bene, non c’è problema - alzando rassegnato le spalle - Basta essere chiari!

    - Basta che tu non ci stia male.

    Il ragazzo scosse piano la testa.

    - Preferisco che queste cose si dicano subito, senza lasciare ad intendere rischiando fraintendimenti - ostentando un sorriso - Ora lo so per certo che le cose stanno in questo modo, e va bene, non mi aspetterò altro da te.

    Johnny annuì sperando che stesse credendo davvero alle parole che aveva appena detto. Prepararono la colazione: thè, caffè, fette biscottate e marmellata di ciliegie.

    Erano seduti l’uno di fronte all’altro. Johnny stava prendendo solo il caffè in una tazza grande, il ragazzo mangiava di gusto invece, e con la bocca mezza piena avanzò una domanda.

    - Quindi tu sei proprio un tipo solo da botta e via?

    Johnny deglutì il caffè bollente e rispose sinceramente.

    - Mi piace la mia libertà.

    Ma il ragazzo non la vedeva esattamente in quel modo.

    - Avere delle relazioni non vuol dire per forza perderla - dando un altro morso alla sua fetta.

    - Sì, vero - appoggiando la tazza sul tavolo - Ma sono cose che devono venire da sole.

    - Sì è vero, concordo - annuendo con la bocca piena.

    In verità Johnny, molto semplicemente, non provava più niente per nessuno. Niente che andasse oltre l’affetto amicale, o l’attrazione sessuale. Niente, niente di più.

    Finita la fetta biscottata, il biondino prese tra le mani la tazza di thè e, prima di avvicinarla alle labbra, a sguardo basso respirò profondamente un paio di volte. Voleva osare un complimento a Johnny, ma un po’ si sentiva imbarazzato ad esporglielo, era un po’ timido. Alla fine decise di dar voce al proprio pensiero, anche se a occhi bassi.

    - Comunque mi è piaciuto stanotte, sei stato molto bravo a...

    - Scoparti? - rise leggermente Johnny.

    - Beh, sì - rialzando lo sguardo su di lui.

    Si misero a ridere. Johnny era molto compiaciuto, sapeva di essere bravo a letto, ma un complimento in più non guastava mai, nemmeno a lui. Comunque sia, riconobbe al ragazzo i suoi meriti.

    - Beh - sorridendogli - tu ti sei lasciato fare molto bene - riavvicinando la tazza alle labbra.

    - Grazie, davvero - ridendo imbarazzato.

    Il biondino divenne quasi paonazzo dall’imbarazzo, anche se gli faceva naturalmente piacere quella considerazione. Dopo un paio di sorsi, Johnny volle argomentare meglio le risposte dategli poco prima.

    - Comunque non è che sono un tipo da solo una notte e via, non conta il numero delle volte che ci si vede - guardandolo - basta che si sappia come stanno le cose. Non ci si faccia illusioni, aspettative, speranze che si ricevano cose che l’altro non può o non vuole dare.

    Il ragazzo annuì, aveva recepito bene il messaggio.

    - Certo, sì - appoggiando la tazza - Quindi può essere che ci rivedremo? Anche se sarà solo...sesso, puro sesso? - speranzoso.

    Ma Johnny non voleva vendergli vane speranze, finì d’un sorso l’ultimo goccio di caffè e rispose con un lieve, ma indecifrabile, sorriso.

    - Può essere, chi lo sa.

    Finita la colazione il biondino si rivestì, Johnny lo aspettava in salotto per salutarlo, ancora con solo le mutande addosso, nell’attesa si era fumato la sigaretta mattutina post-caffè. Il ragazzo raggiunse la porta, guardò prima a terra, poi Johnny, dritto negli occhi. Sospirò.

    - Comunque è meglio se non ci rivedremo più, temo che tu mi possa piacere troppo - sorridendo dispiaciuto - E non riuscirei a controllare ciò che provo, ciò che desidero, ciò che potrei desiderare fuori dalla camera da letto.

    Johnny annuì con il capo, si sentiva sollevato da quelle parole, da quella giovane maturità.

    - È stato bello conoscerti - sorridendo - stammi bene, ragazzo.

    - Anche tu, ciao Johnny!

    - Ciao!

    La porta si chiuse serena dietro al dispiacere sorridente di Simone, o Stefano. Sorrideva amarezza, un sorriso dispiaciuto, uno come Johnny avrebbe potuto fargli perdere la testa.

    Ma pazienza, sarà per la prossima volta, in un’altra notte della vita.

    ********

    Ci sono dei momenti in cui si pensa, si pensa e si cerca di tirare le somme della propria vita. E quella sera Johnny stava facendo proprio questo: seduto in una sedia nel terrazzo del suo appartamento, fumando una sigaretta dopo l’altra, pensava. Contemplando la chiara luce della luna attorniata dalle tenere stelle, rifletteva. E che pensare? Da pochi giorni trentenne, aveva un grande Amore finito alle spalle, due figli avuti da un’altra relazione, finita anch’essa, un buon lavoro che lo gratificava, un appartamento e il resto della propria vita davanti. Il vento pigro e l’aria calda di metà giugno lo rilassavano in quella terrazza del secondo piano, dell’ultimo piano. Aveva scelto apposta un appartamento a quell’altezza: a lui piaceva essere vicino al cielo. Quel cielo lo confortava ogni volta che la solitudine, sua fedele compagna, lo tradiva un pochino facendogli provare una vaga amarezza, una lieve nostalgia, una pesante leggerezza sulla quale aveva fatto posare lo scorrere della propria vita. Una vita che dopotutto considerava niente male. Il suo vivere si trastullava tra l’essere un padre e un single libertino, che nei fine settimana svolazzava recandosi in locali notturni immerso nella sua fresca libertà. Johnny non si rammaricava di essere solo, nemmeno quando la solitudine lo faceva sentire meno cullato nella sua mai noiosa esistenza. Ma volgendo un occhio sincero verso il passato, Johnny ricordava il suo primo e unico Amore, Sara, il quale gli aveva lasciato la sconfortante convinzione che non avrebbe mai Amato nessun’altra persona nella vita. Lei era stata tutto, era stata più di tutto. La dolcezza, la passione, e le risate, e la tenerezza, la sicurezza, e poi più nulla. Sara aveva avuto anche nella sua semplicità qualche pizzico di follia, e l’aveva spruzzata adagio nei loro grandi giorni, senza rimanere risucchiata da quella insaziabile di Johnny. Ma il tempo del primo Amore non era stato risparmiato dalle infamie del tempo stesso. In ogni caso, quella ferita non doleva più da molti anni ormai, Johnny la ricordava con tanta dolcezza, sorrideva sempre quando la pensava. Tuttavia, era convinto che nessuna persona l’avrebbe mai più rapito sentimentalmente in quel modo. Persona sì, non donna. Johnny era bisessuale, un bisessuale convinto, sebbene avesse Amato solo una donna da ragazzo, e più nessun altro. Alcune persone si definiscono eterosessuali o omosessuali in base a chi si sentono attratte sessualmente o, molto più profondamente, a seconda di chi puntualmente si Innamorano. Riguardo il desiderio carnale, Johnny si sentiva attratto da ambo i generi alla stessa identica maniera, lo attraevano cose diverse dell’uno e dell’altro, ma pur sempre di attrazione trattasi. Ed essendosi Innamorato una volta sola nella vita, non poteva certo utilizzare l’Amore come parametro attraverso il quale categorizzarsi, non poteva appunto contare sulla frequenza dei propri Innamoramenti. Dunque si affidava all’aspetto sessuale, anche se in verità, poco gli interessavano le categorie e le etichette, ma quando qualcuno gli faceva domande così rispondeva. Johnny si definiva bisessuale perché così sentiva di essere, perché quello era il termine attraverso il quale gli altri avrebbero compreso il suo mondo sessuale, ammesso che ci fosse stata una vera comprensione. Intimamente Johnny riteneva di essere solo una persona attratta da altre persone, indipendentemente dal genere. Gli piaceva andare in locali affollati, etero o gay, per rimorchiare, preferibilmente ragazze o ragazzi più giovani di lui. Si potrebbe affermare che i suoi appetiti sessuali fossero in definitiva indiscriminati, a patto che si trattasse di individui belli e giovani, o belli e basta. Di ciò non ne provava vergogna, per lui era una condizione normale della sua esistenza. Era sempre stato così e l’aveva accettato quasi serenamente fin dall’adolescenza. Non vergognarti mai di quello che sei, questo gli ripeteva sempre sua madre quando era un ragazzino, e lui così crebbe: accettando quello che era, un uomo attratto sia dalle donne, sia dagli uomini. Era bisessuale, era se stesso. In ogni caso, negli ultimi anni Johnny non cercava niente a livello sentimentale, forse mai l’aveva cercato nella vita. Riteneva che quelle fossero cose che sarebbero state vissute solo se fosse stato destino viverle. Attualmente, l’Amore che provava per i suoi figli, Irene e Ryan, gli bastava, lo riempiva.

    E volgendo al termine i propri sguardi a quell’incanto stellato, spegnendo la sigaretta, fissò per un altro istante la luna piena, sua cara amica insieme alla compagna solitudine.

    E serenamente andò a dormire, da solo.

    Sempre e indiscutibilmente solo.

    ********

    2. Alba.

    Quella mattina Johnny aveva dormito fino a tardi, come quasi sempre. Era un caldo giovedì di fine giugno, il 28 giugno per l’esattezza. Nel tardo pomeriggio sarebbe dovuto andare ad un evento culturale durante il quale sarebbero state recitate delle poesie in un castello medievale. Era localizzato in mezzo al verde risonante nella periferia della bella Roma, città nella quale viveva da un po’ di anni. Avrebbe suonato il pianoforte durante le letture. Sì, Johnny era un pianista e Amava il suo lavoro, lo Amava follemente, avrebbe fatto di tutto pur di continuare a farlo, in un modo o nell’altro, a costo di fare la fame come in passato. Quel pomeriggio, prima di uscire di casa, si stava sistemando i capelli di fronte allo specchio del bagno piastrellato di verde, stava pensando a quali occhiali da sole sarebbero stati meglio con il suo nuovo cappello beige. I capelli castani e leggermente ondulati gli arrivavano ormai quasi fino alle spalle, non era proprio una grande idea decidere di lasciarli sciolti con quel caldo, ma per essere più sexy avrebbe sopportato il sudore scorrere dietro la nuca. Johnny era un tipo carismatico e affascinante e, come la maggior parte degli artisti, adorava presentarsi con un aspetto da artista dannato, oscuro e dannato. Il suo vestiario parlava di lui, del suo modo di essere, anche quando stava in silenzio. Sebbene il suo vero nome fosse Jonathan e non John Christopher, ci teneva ad essere chiamato Johnny e ricordare il famoso Johnny Depp nell’aspetto. Aveva infatti i capelli, i baffi e il pizzo sul mento come lui. La carnagione ambrata, gli occhi scuri e il suo sguardo intenso non potevano che coronare il tutto: aveva molto successo con donne e uomini anche per questo. I suoi tratti italo-americani gli conferivano un fascino maledetto, aveva origini americane da parte di padre. Johnny era infatti bilingue, conosceva alla perfezione l’inglese americano, ma non gli piaceva parlarlo, evitava di doverlo fare, lo detestava. Quella lingua gli ricordava inevitabilmente l’America, luogo nel quale aveva vissuto le vicende più buie della sua storia, della sua esistenza. Giorni fatti di tenebre che ancora si trascinavano nel lato più oscuro della sua vita. Jonathan Stone si chiamava, ed era molto fiero di avere un cognome così importante, deciso e d’impatto, proprio come il secondo termine di uno dei suoi gruppi preferiti, i Rolling Stones. Ma al di là del suo aspetto fisico, del suo viso colmo di sensualità e del suo corpo scolpito al punto giusto, un altro era il suo punto forte. Ciò che più poteva imprimersi nella mente di chi si imbatteva in lui, erano le vibrazioni che potevano uscire dalle sue labbra. Era la sua voce la sua arma d’eccellenza: calda e seducente, così profonda che avrebbe potuto far affondare dentro di sé anche l’animo più distante. Johnny era consapevole del suo fascino e sempre lo utilizzava per ammaliare la sua prossima preda. Quel pomeriggio sarebbe potuta essere una buona occasione per cacciare, anche se vi ci si stava recando per lavorare. Solitamente in quel genere di eventi trovava sempre qualche ragazza da affascinare, da affascinare per una notte.

    Mise il gilet marrone in ecopelle, lasciandolo aperto sopra la maglietta bianca, cappello abbinato, occhiali da sole a goccia sfumati, numerose collane e anelli, e si diresse al castello nella sua fiammante Giulietta Alfa Romeo rossa.

    Era la prima volta che andava in quel castello, appena arrivato gli piacque molto. Gli piacevano i castelli, Johnny era stato molto romantico, un tempo. Forse lo era ancora nel profondo, ma era una vita che quel lato di sé era stato sepolto. Il giardino interno dove si sarebbe svolto l’evento era abbastanza grande, ma non troppo, non era dispersivo. Il prato era naturalmente colorato da aiuole e rosai rossi ben curati, l’ombra concessa dalle mura regalava una leggera frescura in quel caldo afoso. Considerando la collina boscosa che si inerpicava al di fuori delle mura e gli alberi che si disponevano nelle zone estreme del giardino quadrato, si poteva considerare quel luogo molto suggestivo, romantico, sognante. In quel pacifico incanto, Johnny era tranquillo, ma sperava che i suoi sensi lo sarebbero stati ancora per poco, era pieno di persone e sicuramente ce ne sarebbe stata almeno una degna delle sue attenzioni erotiche. Si mosse con passo rilassato verso il tavolo del buffet, lui era come un felino in queste occasioni, si muoveva silenzioso scrutando gli altri. Gli piaceva stare in mezzo alla gente, ma quando non era fuori con i propri amici, limitava gli atteggiamenti estroversi ed esuberanti, e osservava gli altri avvolto nel proprio mantello di misteriosa oscurità.

    Stava sorseggiando un calice di vino bianco in mezzo a quei brusii, all’aria pigra, al canto ripetitivo delle cicale. Si guardava intorno come se stesse valutando una ad una le donne per farne considerazioni mentali riguardo al loro essere belle o brutte, e cercava di intuire quali tra loro sarebbero potute essere interessate a lasciarsi ammaliare da lui, per una volta. Stava guardando solo le ragazze quel giorno, era odore di femmina ciò che avrebbe gradito tra le lenzuola. E poi, solitamente, quando aveva voglia di portarsi a casa qualche ragazzo si recava nei locali gay, per fare meno fatica e andare sul sicuro. Nel lento scorrere dei suoi sguardi e del vino che oltrepassava le sue labbra, ad un certo punto Johnny vide qualcosa: vide da lontano un sorriso, un sorriso agghiacciante.

    Il suo respiro di fermò, il suo cuore pure. Aveva ora gli occhi incastrati nella scia che li collegavano a quella visione. Si tolse gli occhiali per poterla vedere meglio nel suo splendore.

    Era un sorriso agghiacciante in senso buono, nel senso che colpisce e non lascia più. Erano denti bianchi sgargianti da delle labbra sottili, ma ben disegnate, naso dolce un po’ largo, occhi neri e piccolini, penetranti, capelli dorati naturali un po’ spettinati, non troppo corti. Luminoso, splendente, incastonato in un viso che per lui era pura poesia. Era il sorriso più bello che avesse mai visto. Johnny dovette appoggiare il bicchiere sul tavolo del buffet quando vide questa composizione da lontano, senza distogliersi da essa, composizione che rideva con altre persone intorno. Sentì come un brivido inspiegabile infondersi nella sua pelle, percepì un richiamo che lo spinse a riprendere il bicchiere, svuotarlo d’un fiato e dirigersi verso quell’estremità della lunga tavolata dove stava quel sorriso meraviglioso. Doveva avvicinarsi a quella luminosità, sentiva di doverlo fare. Cominciò a camminare, ma a metà strada si fermò. L’unico motivo per cui avrebbe potuto avvicinarsi era il fatto di doversi riempire nuovamente il calice. Controllò dunque con lo sguardo che ci fosse effettivamente una bottiglia di vino nel punto in cui si stava dirigendo, e c’era. Guardò meglio il gruppetto di persone che attorniavano quel sorriso e riconobbe una ragazza, una bella ragazza mulatta di origini brasiliane, alta, magra, pelle carioca e capelli corti sbarazzini, labbra abbastanza carnose, notoriamente dissoluta. Indossava un vestitino morbido allacciato dietro al collo, bianco con delle stampe a fiori verde smeraldo, era molto attraente. Si trattava di una tipa con cui aveva fatto sesso qualche tempo prima. Vedendola gli venne in mente che era molto dinamica e poco dedita ai preliminari a letto, da quel che gli risultava dalle sue memorie. Riusciva a ricordare anche di averla conosciuta in Piazza di Spagna durante delle sfilate, lei era una delle modelle che aveva sfilato. Rammentava pure di averle offerto un aperitivo quella volta, prima di offrirle il proprio corpo, da lei così gentilmente accettato la sera stessa. Johnny riusciva a richiamare tutto questo alla memoria, ma non ricordava assolutamente il suo nome! Maledizione, il nome! Era sempre stato un suo problema tentare di non dimenticare i nomi di coloro di cui non gli interessava niente. Tentò di scavare nella memoria ancora, ma nessun nome si associò a quel viso, nella mente vedeva solo le immagini della loro euforica notte di follia. Johnny comunque decise che avrebbe agito lo stesso, ma si sarebbe avvicinato a loro appena le circostanze sarebbero state più a suo favore. Così, rimase lì fermo ad aspettare che il momento giusto giungesse, nel frattempo continuava a osservare, come un giaguaro che scruta le mosse della preda durante il proprio agguato. Ad un certo punto rimasero solo la mulatta e il sorriso luminoso, parlavano tra loro. Allora Johnny si caricò la sua sicurezza sulle spalle, rimboccò il proprio fascino e con passo sicuro e seducente si avvicinò. Quando si ritrovò alle spalle della ragazza, non esitò a sferrare la propria voce calda, in un tono molto pacato, ma suadente.

    - Guarda chi si rivede! - riempiendosi il calice.

    Era forse la frase più stupida e scontata che potesse dire, ma questa scelse quando la raggiunse. Stava puntando più sul modo che sugli effettivi contenuti in quel preciso momento. La tipa comunque si girò immediatamente verso di lui.

    - Johnny ciao! - sorridendo entusiasta - Che ci fai qui?

    Un sorriso seducente invase l’espressione di Johnny.

    - Mi avevano detto che ci sarebbero state delle belle donne qui e allora sono venuto - avvicinandosi il bicchiere alle labbra - vedo che è così - accennando un brindisi che fece da solo.

    - Sei sempre il solito - disse lei ridendo - Ti presento Heat, Heat lui è Johnny.

    Heat, questo era il suo nome: Heat, il sorriso agghiacciante.

    Un ragazzo alto, almeno un metro e ottantacinque, carnagione media, viso pulito senza barba, un corpo muscoloso sotto la camicia bianca e la leggerissima giacca azzurrina di lino. Era bello, agli occhi di Johnny era particolarmente bello, e non lo sapeva il perché. Sapeva che non era il mero desiderio erotico ad averlo condotto verso il suo sorriso, qualcosa l’aveva scosso, anche se non riusciva a capire che cosa, anche se non sapeva niente di lui. Sapeva che voleva conoscerlo, doveva, lo sentiva.

    - Piacere - sorrise Johnny, ma senza esagerare la tiratura degli angoli delle labbra verso le guance.

    - Piacere mio - rispose Heat con molta compostezza.

    In quella stretta l’occhio di Johnny cadde per un attimo sulle mani di quel giovane appena conosciuto, aveva mani grandi e forti, molto ben curate, e la pressione che avvertì in quel contatto ne confermò la forza.

    - E voi che ci fate qui? - abbandonando la sua mano.

    - Verrà letta una poesia di Heat - sorridendo orgogliosa - è stata pubblicata nella raccolta di poeti contemporanei che verrà presentata tra poco!

    Un poeta! Johnny apprezzava molto la poesia, soprattutto quella contemporanea. Quell’informazione stava rendendo quella bellezza ancora più interessante. Il sentire di Johnny non mentiva mai, e lui lo sapeva, per questo lo seguiva sempre.

    - Le mie congratulazioni! - sorridendogli con un elegante cenno del capo.

    - Grazie - rispose Heat con la medesima compostezza di prima - andiamo a prendere i posti Aida?

    Aida, ecco qual’era il suo nome! Aida! Per fortuna quel sorriso l’aveva nominato e, nella sua più totale ingenuità, aveva appena fatto un grande favore a Johnny.

    - Certo - rivolgendosi a Johnny - tra poco cominceranno le letture.

    - Prego - alzando un poco la mano in segno di congedo - buon ascolto!

    Nell’osservare l’andatura decisa di quel ragazzo mentre si allontanava, oltre ad aver notato che aveva dei glutei da centodieci e lode, Johnny si convinse ancora di più che si sarebbe dovuto avvicinare nuovamente a lui prima della fine di quella giornata. Voleva parlargli se possibile, anche se la presenza di Aida era un impedimento da un lato, ma anche un vantaggio dall’altro. Ma Johnny avrebbe escogitato la modalità per renderla a tutti gli effetti un vantaggio. Dalla prima impressione quel bellissimo sorriso gli era sembrato un ragazzo molto introverso, schivo, aveva smesso di sorridere nel preciso istante in cui Johnny aveva cominciato a parlare, sicuramente non gli piacevano gli estranei. Il modo sensuale con cui Johnny si era rivolto a lei non poteva certo averlo fatto entrare nelle sue simpatie, ma non sarebbe stato un problema, Johnny era incredibilmente astuto, gli avrebbe potuto far addirittura comodo risultargli antipatico in quella presentazione, o molto più semplicemente solo sfacciato. Ma doveva conoscerlo e avrebbe trovato il modo, intanto sapeva che Heat era il nome di quel sorriso. E quel sorriso scriveva poesie.

    Heat, invece, nel conoscere Johnny non aveva pensato a niente, niente di niente. L’unico pensiero che formulò fu riguardo al fatto che conciato in quel modo sembrava proprio un pirata dei Caraibi, e aveva provato una vaga sensazione di sospetto e fastidio a causa dei modi seducenti che aveva sferrato nei confronti di Aida, nonostante la sua presenza evidentemente ignorata, almeno così aveva creduto. Heat era contento di essersi allontanato da quel bizzarro soggetto, la prima impressione non era stata tra le migliori.

    Mentre Johnny stava ancora sorseggiando il suo calice, guardando Heat in lontananza, una voce femminile molto stridula gli piombò alle spalle.

    - Johnny! Non ti sei ancora cambiato? - agitata - Va a metterti subito la giacca, stiamo per cominciare! - era l’ansiosa organizzatrice dell’evento.

    - Sì, sì - ancora assorto - vado subito.

    Johnny vuotò il calice e si diresse dietro il paravento posizionato accanto al palco, il suo cambio consistette semplicemente nel togliersi il gilet e nell’infilarsi una giacca beige molto leggera. In realtà passarono altri venti minuti buoni prima che le letture iniziassero. Lui e gli attori erano pronti, ma staccare la gente dal ricco buffet non era stata certo un’impresa facile. Aida e Heat erano in seconda fila, e gli occhi di entrambi si spalancarono stupiti quando videro Johnny in giacca salire sul palco e dirigersi verso il pianoforte a coda. Lui non li vide, non si girò a cercarli con lo sguardo, sentire la loro presenza gli bastava. Gli alberi stavano scrosciando versi con le loro foglie intorno a loro, il prato tenero luccicava alla luce che penetrava dagli alberi, il cielo azzurro soffiava un vento caldo, ma non troppo. Johnny si sedette al piano in quella placida atmosfera arricchita da sensazioni e fronde. Appoggiò uno spartito sul leggio, anche se non l’avrebbe mai guardato, conosceva il pezzo che avrebbe dovuto suonare alla perfezione. L’aveva suonato altre mille volte, ma questa volta sarebbe stata diversa da tutte le altre. Questa avrebbe portato con sé qualcosa di nuovo, qualcosa in più: Heat, quel giorno aveva conosciuto Heat.

    Le dita si posarono sulle note, accarezzarono le soffuse musiche scritte in quei pentagrammi, le quali cominciarono a riempire le parole degli attori che leggevano le poesie. Inizialmente il cuore di Johnny gli stava facendo dei battiti strani, più accelerati al pensiero che gli occhi di quel sorriso fossero ora lì a guardarlo, ad ascoltarlo. Aveva un batticuore che non tamburellava da anni, da una vita quasi, nemmeno se lo ricordava più che cosa fosse il batticuore. Non credeva che il suo cuore fosse ancora vivo da qualche parte, non pensava che si sarebbe potuto rivelare nuovamente in vita. E, soprattutto, farglielo battere senza un vero motivo, senza conoscere minimamente la persona che aveva quel giorno stuzzicato la sua mente molto più dei suoi genitali. Mentre stava suonando quel pezzo che lui stesso adorava, Johnny sentì in lontananza, tra una poesia e l’altra, il nome Heat De Rose, un nome strano, inusuale per essere in Italia, come il suo del resto. Ma poi, il resto non lo ascoltò. Quando suonava il suo Amato pianoforte, Johnny non era più qui, sulla Terra. Viaggiava, andava altrove, si immergeva nel suo emozionante, intricato, eppur rasserenante sentire. E dopo solo un paio di letture, i suoi battiti si sciolsero, il batticuore era svanito. Johnny ora era veramente altrove, era oltre quella mera dimensione reale, era da quel momento smarrito verso l’infinito. Johnny si perse nelle sue stesse note, si smarrì da qualche parte nel tempo indefinito tra il nulla e l’eternità. E in quel dolce smarrimento, Johnny chiuse gli occhi a quella luce ora troppo abbagliante, e viaggiò dentro e oltre di sé.

    Una volta finite le letture il buffet era di nuovo pieno, dopo un lungo applauso tutto il pubblico si alzò dalle sedie per sparpagliarsi nuovamente intorno ad esso. Johnny scese dal palco, Aida gli andò incontro, seguita da Heat.

    - Ma Johnny! - sorridente - Non sapevo fossi qui per suonare, non sapevo nemmeno che suonassi! - esordì.

    (Difficile che sapesse qualcosa di lui, vista la natura della loro conoscenza).

    Lo stupore di Aida non poté che alimentare in Johnny la voglia di essere ancora più misteriosamente sensuale di prima.

    - Sono un uomo pieno di sorprese - compiaciuto.

    - Complimenti, davvero - si inserì Heat con un sorriso appena accennato - Era un pezzo di Einaudi, vero?

    La voce un po’ roca di Heat fece avere un sussulto nel petto di Johnny, il cuore cominciò di nuovo a battergli più forte, anche se non lo lasciò trasparire.

    - Sì, era I giorni - sorridendo quasi dolcemente - Grazie, veramente. Complimenti a te per la poesia, mi è piaciuta molto!

    Non era vero, la poesia non l’aveva sentita affatto, era stato troppo rapito dal suo stesso smarrimento. Tuttavia, era una buona bugia.

    - Grazie - quasi impassibile - vado a salutare gli altri, Aida.

    Nonostante Heat non avesse in alcun modo fatto cenno di un sorriso a Johnny, in verità dopo aver sentito quanto fosse bravo al pianoforte, si era intimamente un po’ sciolto nei suoi confronti, almeno aveva visto che qualcosa di buono ce l’aveva, anche se aveva comunque sgradito la sfacciataggine del suo atteggiamento. Non gli stava risultando certo simpatico, ma nemmeno fastidioso come un’ora prima.

    - Sì, vengo anch’io - lo seguì Aida.

    Johnny pensò che quella di Aida fosse stata una mossa inconsapevolmente stronza, se fosse rimasta lì avrebbe potuto estrapolarle qualche informazione su di lui! Stavano insieme? Come si erano conosciuti? Era una storia d’Amore o di sesso? O forse niente di tutto ciò? Johnny queste cose le voleva indagare, le doveva indagare! Non voleva ignorare e lasciar morire quel brivido che gli si stava ancora infondendo nella pelle. Non si era mai infuso un brivido in lui per un uomo, non quel tipo di brivido.

    Sperò che quei saluti che stavano andando a fare risultassero molto lunghi e dispersivi, per fargli guadagnare tempo ed escogitare bene come agire. Johnny si mise un po’ in disparte con il proprio vino bianco e si accese una sigaretta. Si trastullò all’ombra tra un bicchiere e l’altro, in attesa di un buon momento. E come in tutti gli agguati, quel momento arrivò. Aida si era diretta da sola al tavolo per riempirsi il calice, Heat non era nei paraggi, forse era andato in bagno. Johnny approfittò naturalmente di quell’occasione probabilmente irripetibile. Si avvicinò a lei, notando che in realtà nel suo bicchiere ancora stava giacendo un po’ di vino. Raggiungendola alle spalle, appoggiò il proprio calice pieno accanto a lei, e sguainò la voce più profonda che aveva, emettendola nel modo più suadente possibile.

    - Questo lo devi finire prima di riempirlo di nuovo - prendendole lentamente il calice dalle dita.

    Aida girò la testa verso di lui alla propria sinistra e lo guardò. Osservò il suo muoversi lento e inaspettato. Johnny appoggiò lentamente il vetro sulle proprie labbra, bevendo piano, senza distogliere il proprio sguardo dal suo. Esaurite le ultime gocce, allontanò il bicchiere dalle labbra inumidite. Aida, guardandole, si ricordò di quanto fossero belle, a cuore, morbide, attraenti. Era una donna che comunque sapeva stare al suo gioco, senza crollare imbambolata come un’adolescente svampita. Rispose al suo gesto con un’ espressione divertita, ma un po’ snob.

    - E lo vuoi riempire tu ora? - sorridendogli.

    Johnny afferrò la bottiglia e cominciò a versare il vino nel calice inclinato.

    - Fino in fondo - guardandola intensamente negli occhi.

    Aida fece simpaticamente la saccente.

    - Forse volevi dire fino all’orlo!

    - No - appoggiando la bottiglia sul tavolo - volevo dire proprio quello che ho detto - ponendole il bicchiere.

    Aida prese il proprio vino e Johnny alzò la mano in segno di brindisi.

    - E a cosa brindiamo?

    Il sorriso malizioso di Johnny stava dicendo tutto.

    - A questo attimo - avvicinandosi il calice alle labbra, guardandola.

    Aida rise leggermente, era molto divertita dalla scena, sapeva benissimo dove voleva arrivare Johnny: alla camera da letto, o forse nemmeno a quella, qualunque posto sarebbe andato bene purché non ci fossero stati i vestiti addosso. Nel silenzio di quei sorsi, e non vedendo ancora Heat arrivare da nessuna parte, Johnny proseguì il suo falso interessamento nei suoi confronti.

    - Come stai Aida? - sempre molto suadente.

    - Bene, grazie per avermelo chiesto solo adesso! - palesemente ironica.

    Johnny non disse niente, sorrise. La guardava negli occhi con il suo sguardo intenso. Entrambi sapevano bene che lui era andato a parlarle di nuovo proprio perché era sola in quel momento. Non ricevendo alcuna risposta da Johnny, e sentendo l’effetto scottante del suo fare seducente sulla propria pelle, Aida cercò di prendere le redini della conversazione.

    - Che cosa vuoi esattamente, Johnny? - sorridendogli lievemente.

    Johnny aspettava una domanda del genere, così da arrivare elegantemente al dunque senza attendere oltre, anche se era consapevole che lei aveva già inteso bene tutto da un pezzo. In ogni caso, si avvicinò a lei di un passo, i loro visi erano molto vicini, i loro occhi ancora di più. Aida sentì il forte profumo di Dior provenire dal collo di Johnny, lui la guardava intensamente.

    - Ricordarti che i momenti insieme sono stati ardenti come i soli d’agosto.

    Sì, Johnny era un grande seduttore. Sapeva come ammaliare le donne, anche se con Aida non ne avrebbe avuto bisogno, lei aveva le gambe già mentalmente aperte fin dal riempimento del calice mezzo vuoto. La voce di Johnny la faceva impazzire, e anche tutto il resto. Ma a tutti e due piaceva giocare, anche se Johnny mai si dimenticò in quei momenti che lei era solo un mezzo per arrivare a Heat. E in quel gioco, infatti, Aida si finse ingenua, ingenua ma divertita.

    - E quindi?

    Johnny inclinò leggermente la testa da un lato, avvicinandosi ancora di più con il viso. Sorridendo smaliziato, quasi le sussurrò.

    - E quindi ora non fa abbastanza caldo.

    Nemmeno Johnny credeva alle stronzate che diceva quando voleva sedurre, ma le diceva in un modo così sicuro e convincente, che tutte lo ascoltavano, anche coloro che non avrebbero necessitato di cotanta poetica per restare ammaliate, poiché si sarebbero concesse anche senza scambi di parole. A quel punto comunque, Aida cercò di riportare Johnny alla realtà.

    - Forse non te ne sei accorto, ma non sono venuta da sola.

    - Nemmeno con me eri venuta da sola - presuntuosamente compiaciuto.

    Aida un po’ sbuffò al doppio senso interpretato, non gliel’aveva indotto apposta.

    - Intendevo dire che sono accompagnata - avvicinandosi il calice alle labbra.

    Johnny guardò svogliato verso il resto del giardino.

    - Ah sì, il tipo - falsamente disinteressato - Chi è quello che stava con te? - riportando gli occhi a lei.

    - Quello è Heat, un amico - estraendo una sigaretta dalla borsa.

    Johnny non perse l’occasione per accendergliela seduttivamente.

    - Amico?

    Una boccata di fumo bastò affinché Johnny avesse le informazioni che voleva.

    - Stiamo uscendo insieme, ma è solo sesso per ora - Johnny sentì una stretta allo stomaco a quelle parole - Ma è anche un tipo interessante, quindi vediamo che succede.

    Aida bevve un sorso dal suo calice, appena lo scostò dalla bocca, Johnny portò la propria mano sulla sua guancia.

    - Capisco - asciugandole piano le labbra con il pollice - allora non è un problema.

    Un brivido percorse la libido di Aida a quel gesto sfrontatamente sexy di Johnny.

    - Cosa non è un problema?

    Johnny appoggiò il calice e si accese anche lui una sigaretta. Espirando il primo fumo, sensualmente le rispose.

    - Finire un bicchiere, iniziarne un altro - sempre guardandola intensamente - poi un altro ancora, magari finire la bottiglia intera, insieme.

    Lei era veramente troppo divertita ed eccitata per smettere di dare corda a Johnny, incrociò le braccia tenendo la sigaretta alta.

    - Mi vuoi portare nelle vie della perdizione? - sorridendo sagacemente

    - Oh, io ci sguazzo divinamente nella perdizione, che noia altrimenti la vita! - malizioso.

    Ci fu qualche istante di silenzio tra i loro sguardi eloquenti. Ma poi, lei avvertì qualche scrupolo.

    - Non lo so Johnny, Heat è così carino, non so se lo voglio prendere in giro - girandosi con il corpo verso il tavolo imbandito, appoggiando le mani su di esso.

    - Se è una storia di solo sesso la fedeltà non dovrebbe essere rispettata.

    Lei si girò nuovamente verso di lui, mantenendo una mano sul tavolo e portando l’altra sul fianco.

    - In una storia di solo sesso non si va insieme alla lettura di un libro di poesie - sostenuta.

    Johnny non era certo il tipo che si lascia scoraggiare, anzi.

    - Ma non state ancora insieme - avvicinandosi con il volto a lei.

    - No, non ancora - presuntuosa.

    - Non ancora - annuì Johnny senza preoccupazioni.

    Ancora Johnny stava conservando il suo solito sorriso a mezza luna, sornione nel suo sguardo seducente. Si stavano guardando, poi lui intravide in lontananza Heat che si stava dirigendo verso di loro.

    - Sta tornando il tuo amichetto - quasi deridendolo.

    Aida rimase immobile, non guardò indietro per vedere se Heat stava veramente arrivando, sarebbe giunto alle sue spalle. Adesso era nuovamente divertita come prima, in quei brevi silenzi aveva preso la sua decisione riguardo il da farsi, se mantenere la monogamia con Heat, oppure cedere alle audaci seduzioni di Johnny.

    - Non credo che gli starai simpatico dopo la tua battuta di prima e la tua presenza qui ora.

    - E come potrei, bramiamo la stessa donna - bevendo - Ma non mi preoccupa - snobbandolo.

    - Cosa ti fa pensare che sceglierò te? - molto pungente.

    Johnny le fumò in viso una boccata di fumo.

    - Lui non sa farti ardere come so fare io - seduttivamente arrogante.

    Quasi Aida gli rise in faccia, molto altezzosa.

    - Ti sbagli, è una fiamma anche lui.

    Molto bene, buono a sapersi!, fu il pensiero di Johnny, completamente illeso dalla sua risata.

    - Non saprà farti incendiare così tanto da impedirti di chiamarmi - estremamente sicuro di sé - È quasi qui - alzando per un momento gli occhi verso la sua sagoma che si stava avvicinando.

    Se lei voleva dirgli qualcosa era quindi il caso che si desse una mossa. Aida confermò la convinzione di Johnny.

    - Chiamami tu, Johnny - provocatoriamente - se hai ancora il mio numero!

    Era fatta: l’aveva sedotta, di nuovo.

    - Contaci - facendole l’occhiolino.

    E uno sguardo stipulò tra loro quel tacito accordo di cedere alle divine tentazioni. Heat era arrivato alle spalle di lei, le mise la mano sul fianco.

    - Andiamo Aida?

    Johnny sentì il battito più forte nel rivederlo così vicino, lei si voltò leggermente verso di lui.

    - Sì, certo - riportando gli occhi divertiti su quelli di Johnny - magari qualcosa sta prendendo fuoco a casa!

    Johnny sbuffò un sorriso alla sua allusione provocatoria, Heat non si accorse di nulla invece, porse la mano a lui.

    - Ciao, è stato un piacere - la mano di Heat strette quella malandrina di Johnny, il quale, nel risentire quel contatto, ancora percepì un dolce brivido penetrare sotto la pelle.

    - Piacere mio, buona serata ragazzi!

    - A te!

    Johnny rimase vicino al tavolo a finire il proprio vino, li guardava allontanarsi degustando già gli avvenimenti che avrebbe fatto accadere nei prossimi giorni. Dopo qualche metro, mentre si stavano incamminando verso l’uscita dalle mura, Heat chiese delucidazioni riguardo quel singolare personaggio.

    - Che voleva ancora quello?

    Aida rispose sorridendo sotto i baffi, continuando a camminare senza guardarlo.

    - Farmi notare che ad agosto fa più caldo!

    Lei stava già immaginando allegramente la testa di Johnny tuffata tra le sue cosce accaldate.

    Quella sera Johnny pensò a lungo a ciò che avrebbe fatto l’indomani, ma soprattutto, immerse i propri pensieri in quello che era successo in quel pomeriggio. Forse quella stretta di mano, quel sussurro nella sua mente, quel tocco al cuore, l’avrebbero portato a vivere cose che non avrebbe mai immaginato. Forse ciò che era successo in quel paio d’ore al castello, avrebbe cambiato la sua vita per sempre. Dolcemente in balia di quelle sensazioni evocate dalle immagini di quei recenti ricordi, Johnny dopo cena suonò nuovamente I giorni di Einaudi nel suo salotto. Si prese insulti e colpi di scopa contro le pareti da parte degli altri condomini, ma lui li ignorò. Stava risentendo la presenza di quel sorriso attraverso l’aria di quelle note, stava rivivendo quei momenti.

    Momenti che con sé avevano portato un sapore strano, già vissuto un tempo, ma nuovo.

    Quella notte, prima di addormentarsi, Johnny pensò profondamente

    al sorriso agghiacciante di Heat.

    ********

    Quella stessa notte, Heat si svegliò di soprassalto nel letto. Aveva sentito delle grida, delle grida allucinanti, nel sonno. Con gli occhi sbarrati, la pelle sudata e il fiatone, se ne stava lì seduto sul letto dopo lo squarcio che quelle urla avevano lasciato nella sua mente. Non era stato proprio un incubo, non era stato un vero sogno, semplicemente aveva udito delle grida, grida che invocavano il suo nome, forse un paio di volte appena, e quel richiamo lo aveva angosciato molto. Heat rimase lì seduto nel letto per un po’, si guardò intorno nella penombra della sua camera, le luci filtravano dalla finestra andando a rischiarare un po’ il mobilio in ciliegio e le pareti blu sfumate. C’era Aida al suo fianco, alla sua sinistra, bella e nuda che stava con addosso i piaceri che avevano consumato fino a poco prima. Heat guardò la sua schiena, pensò che il rapporto che avevano avuto quella sera fosse stato molto bello, più dei precedenti. Ogni volta che lo facevano entravano sempre più in intimità e lei stava sognando serena, anche se ad ogni modo era una tipa strana. Quei pensieri erotici però durarono pochi secondi, la tachicardia e l’affanno erano ancora troppo forti, cercare di distrarsi subito indirizzando il pensiero su altro non stava funzionando, non in quel preciso momento. Il suo stato emotivo aveva arrestato quel fragile tentativo. Distolse così gli occhi da quella pelle mulatta e guardò la sveglia sul comodino alla sua destra, erano solo le due e mezza di notte, aveva praticamente dormito mezz’ora appena! Era inutile, Heat proprio non ce la faceva a dormire con qualcuno, non ci riusciva. Spostò dunque il lenzuolo bianco e il copriletto blu oltremare che lo coprivano, si alzò lentamente per non svegliare Aida, andò in cucina senza accendere le luci. Arrivato alla finestra sollevò pianissimo la tapparella e aprì l’anta, si sedette al tavolo posizionato sotto di essa, appoggiato con uno dei lati corti, e cercò di tranquillizzarsi. Guardò il cielo stellato là fuori, intravide la luna bianca. Si fermò un po’ a fissare la sua candida luce, e si sentì leggermente più tranquillo. Poi si alzò, andò a prendersi una sigaretta dalla sua borsa appesa alla sedia che stava a capotavola, prese il posacenere e si rimise al posto di prima, l’accese. Nell’accenderla, ripensò per un momento a quelle grida insopportabili che avevano violentato il suo sonno. Espirando la prima boccata di fumo riportò poi il proprio sguardo alla luce bianca della luna, e un po’ di calma gli giungeva, come se fosse la luna stessa a mandargliela. Heat sapeva che anche per quella notte sarebbe andato ad addormentarsi nel divano lì vicino, per rimanerci sicuramente fino a mattina. Ormai era rassegnato, dormire con qualcuno gli era impossibile, anche se si trattava di una bella donna con la quale aveva appena condiviso una piacevole unione carnale. Magari riusciva a prendere sonno, ma poi dopo massimo una mezz’ora si sarebbe svegliato, ed era troppo educato per mandare la partner a casa dopo aver finito le danze. Era consapevole che era lui ad avere un problema, non lei, non loro. Heat sapeva di essere fatto per stare da solo, da solo e nel silenzio. E in quel pacifico silenzio, con la bocca trapassata dal fumo e gli occhi colmi di quella luna piena, si sentì finalmente calmo, ma ancora una volta ripensò a quelle urla.

    A quelle urla così pietrificanti che scalfivano il respiro e azzeravano il cuore,

    urla così assordanti e indimenticabili da fargli quasi odiare il proprio nome.

    Erano urla che apparivano sia quando tentava di dormire con qualcuno,

    sia quando restava da solo nelle propria lenzuola, nel proprio silenzio.

    Erano ormai dieci lunghi anni che quelle urla abitavano le sue notti,

    e lui lo sapeva che, probabilmente, non l’avrebbero lasciato più.

    ********

    La mattina dopo Johnny non perse tempo. Alla luce che entrava dalla portafinestra della sala cucina, cominciò a cercare il numero di Aida nel cellulare, era sicuro di avercelo, ma allo stesso tempo era altrettanto convinto di non averla salvata con il suo nome. Le avventure non le aggiungeva mai alla rubrica con i loro nomi, poiché era consapevole che non si sarebbe mai ricordato il nome di ognuna associandolo al viso giusto. Visto che l’aveva conosciuta in Piazza di Spagna, sicuramente aveva aggiunto il suo contatto con quel nome, e così era. Peccato che, quando Johnny guardò la propria rubrica, di donne salvate con suddetto nominativo ne aveva quattro! Piazza di Spagna 1, Piazza di Spagna 2 e così via fino alla numero quattro! Sì, il giorno in cui l’aveva conosciuta aveva sedotto anche altre tre modelle oltre a lei, e le aveva vissute tutte, in serate differenti. In differenti serate, ma consecutive, così da tenere l’alzabandiera sempre in allenamento, chiaramente. Mentre leggeva quei contatti ripensando alle proprie allegre vicissitudini sessuali, naturalmente Johnny non aveva la minima idea di quale tra quei numeri fosse quello di Aida! Per fortuna di alternative ne aveva solo quattro, pensò. Dando per scontato che avrebbe dovuto chiamarle tutte per capire quale fosse lei, Johnny partì dalla numero uno. Chiamava e riagganciava senza dire una parola appena sentiva che quella che giungeva dall’altra parte non era la voce di Aida (aveva un’ottima memoria per le voci). Dovette chiamarle tutte prima di arrivare a lei, il suo numero era il quarto!

    - Sì, pronto?

    Johnny sferrò un sorriso smaliziato, sapeva che l’avrebbe percepito attraverso la sua voce.

    - Fa caldo a casa tua?

    Aida sorrise, intonando altrettanto maliziosamente

    - Non abbastanza!

    Un ghigno soddisfatto di Johnny andò direttamente al sodo.

    - Quando?

    - Oggi alle 15.00?

    Senza ombra di dubbio, Johnny confermò

    - Oggi alle 15.00.

    Compiaciuto riattaccò il cellulare. Johnny stava considerando il proprio piano assolutamente geniale: voleva andare a letto con lei per avvicinarsi a Heat. Suonava strano, sì, ma lui era convinto che avrebbe funzionato, aveva già pianificato ogni tempistica e ogni dettaglio.

    Al pomeriggio, Johnny arrivò da lei intenzionalmente in anticipo, così da trovarla in condizioni che solitamente, ma non quel giorno, sarebbero state sconvenienti. Per esempio ancora mezza svestita dalla doccia o dalla depilazione appena fatta. Parcheggiò sotto casa sua, si tolse il cappello e gli occhiali da sole lasciandoli sul sedile in parte, prese un preservativo dal cassetto portaoggetti e si diede un’ultima occhiata allo specchietto retrovisore, sentendosi soddisfatto del proprio aspetto bello e dannato. Al campanello di Aida l’attesa fu effimera, suonò e quasi subito il portone si aprì. Salì le scale del condominio, ma non con passo felino, nemmeno con passo entusiasta o bramoso. Erano i passi di una persona che stava andando a fare il proprio dovere, la propria missione segreta. Fece i gradini due a due, e quando lei gli aprì la porta nemmeno ci fu il tempo per un Ciao, come stai? o un Ciao, entra che subito Aida prese tra le mani la faccia di Johnny baciandolo con tutta la lussuria che poteva palpitare nel suo corpo. Johnny si chiuse la porta alle spalle nella voracia di quel bacio e di quelle mani serpentine. Staccandosi solo per un momento, si sfilò la maglietta e la spinse con le spalle al muro. Mentre lui stringeva i suoi seni abbastanza prosperosi, lei non esitò neanche un attimo e, vista l’erezione già evidente sotto i jeans, glieli slacciò quel tanto necessario per cominciare ciò che stavano aspettando di fare. Ma Johnny interruppe la sua azione, prendendola per i polsi e tenendoglieli con forza lungo i fianchi. Stringendola nella foga delle labbra, si era accorto che sotto quella sottoveste leggera che stava indossando Aida era senza reggiseno e senza mutandine. Così, senza perdere tempo, mollò i suoi polsi e scivolò lungo il suo corpo, alzandole quella misera stoffa e immergendo la propria faccia tra le sue gambe nude. Aida cominciò a gemere rumorosamente, mentre affondava le proprie dita tra i capelli di Johnny. Senza soffermarsi troppo in quel preliminare, Johnny continuò a muovere la brama della propria bocca, andando con le mani ad aprirsi del tutto i pantaloni e facendoli scendere un poco insieme ai boxer. Recuperò in fretta il preservativo che aveva in tasca e se lo infilò senza nemmeno guardare. Compiuta quell’operazione, Johnny riemerse dalla sua gonna, la baciò sulle labbra ansimanti, la alzò prendendola per le cosce e la penetrò in piedi contro il muro. I gemiti di Aida aumentarono in maniera esponenziale, Johnny spingeva facendole sentire il proprio respiro sul collo profumato, lei si stringeva a lui completamente abbandonata in quel piacere. Restarono avvinghiati così per un po’, poi Johnny la girò brutalmente con la faccia contro il muro e riprese a penetrarla tenendola per i fianchi. Il rapporto si consumò così in pochi minuti, tra un respiro affannato e un gemito. A Johnny non interessava fare una grande performance sessuale, quello che gli premeva era compiere il fatto. Fortunatamente per lui ad Aida piacque incredibilmente quella voracità e quella cruda animalità sessuale.

    I loro incontri proseguirono così ogni giorno per un’intera settimana e anche oltre, con qualche variante riguardo il luogo, ovvero dal muro, al pavimento, al divano, al letto, ma tutte sveltine, tutte solo puro sesso, con solo ogni tanto qualche scialacquato preliminare formale.

    ********

    Più di una settimana dopo l’inizio delle sessuali sedute lampo tra Johnny e Aida, quel sabato mattina Johnny non era riuscito a sentire la sveglia. Il giorno prima era andato a somministrare la propria dose di animalità ad Aida in piena notte, dopo che Heat era tornato a casa sua.

    Ancora dormiente nel buio della propria camera, Johnny venne svegliato dall’insistente suono del campanello, quello della porta di casa (a quanto pare il portone al piano terra era stato lasciato aperto da qualcuno). L’insistenza degli squilli con l’aggiunta di ripetute bussate non lasciò alcun dubbio a Johnny riguardo a chi stesse sollecitando così tanto il suo arrivo: sicuramente si trattava di Cristina, la madre dei suoi figli. Johnny non si era dimenticato assolutamente che quel fine settimana li avrebbe tenuti lui, era stato solo sbadato nel non sentire il richiamo della sveglia. Si alzò immediatamente dal letto, dandosi del cretino per non essersi svegliato per tempo, voleva abbracciare i propri bambini! Andò alla porta ancora un po’ assonnato con solo le mutande addosso, e appena l’aprì Cristina lo salutò con la sua solita e immancabile gentilezza.

    - Quando mai riuscirai a svegliarti il sabato prima delle 11.00!?! - estremamente acida.

    Aveva la stessa età di Johnny, faceva l’impiegata in un azienda di moda, non aveva fatto l’università dopo il diploma in ragioneria. Era una donna abbastanza alta, un corpo morbido con le curve nei punti giusti, il seno prosperoso e la vita molto stretta. Aveva un viso dai tratti irregolari che non le conferivano una particolare bellezza, ma era molto, molto intrigante. Labbra grandi, enormi occhi scuri e lineamenti un po’ squadrati. I lunghissimi capelli neri mossi e scalati sulla maglia nera e la

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