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Tredici giorni a Natale: Torino 1990-2016
Tredici giorni a Natale: Torino 1990-2016
Tredici giorni a Natale: Torino 1990-2016
E-book237 pagine2 ore

Tredici giorni a Natale: Torino 1990-2016

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Info su questo ebook

Il Natale è ormai alle porte quando il commissario Crema viene convocato d’urgenza al capezzale di una donna che lo invita, poco prima di morire, a riaprire il caso dell’omicidio della figlia avvenuto ventisei anni prima. Si tratta del “celebre” delitto di Palazzo Nuovo di cui anche il presunto colpevole è passato a miglior vita. Il poliziotto, alle prese con l’indagine sull’assassinio di uno spacciatore avvenuto qualche giorno prima, non riesce a ignorare il proprio istinto che lo spinge a confrontarsi con i protagonisti di quella vicenda ormai accantonata da tutti. Il commissario proverà a scoprire la verità su quanto accaduto quel giorno all’interno dell’Università, nonostante la diffidenza dei colleghi, dell’affascinante dottoressa Bonamico e del suo compagno di indagini Mario Bernardini, anche lui coinvolto in quel processo in qualità di testimone. Sergio, ostaggio della propria ostinazione, vivrà, insieme ai suoi cari, una vigilia di Natale che non potrà dimenticare. Nulla, dopo quella maledetta sera, sarà come prima...

Rocco Ballacchino, laureato in Scienze della comunicazione, ha curato la sceneggiatura dei cortometraggi Poison (2009) e Doppio Inganno (2010). E' autore dei gialli, editi da Il Punto - Piemonte in Bancarella, Crisantemi a Ferragosto (2009), Appello mortale (2010) e Favola Nera (2012), quest'ultimo scritto a quattro mani con il giornalista Andrea Monticone. Dopo Trappola a Porta Nuova, edito dai Fratelli Frilli Editori, ha pubblicato Scena del crimine-Torino piazza Vittorio, Trama imperfetta-Torino piazza Carlo Alberto e Torino Obiettivo Finale, in cui al centro della scena c'è il duo investigativo composto dal commissario Sergio Crema e dal critico cinematografico Mario Bernardini (Fratelli Frilli Editori 2013-2016). È tra i fondatori del collettivo di scrittori ToriNoir.
LinguaItaliano
Data di uscita29 ott 2017
ISBN9788869432354
Tredici giorni a Natale: Torino 1990-2016

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    Tredici giorni a Natale - Rocco Ballacchino

    Due uomini e due donne...

    L’uomo è sdraiato sul letto ormai da ore.

    La morte non è poi così lontana.

    C’è un silenzio quasi surreale in terapia intensiva, riempito solo dalle parole dei medici, dall’andirivieni degli infermieri, dal suono proveniente dal saturimetro che registra le attività vitali di colui che giace su quel materasso.

    Pochi metri più in là, in sala d’attesa, si è radunata una piccola folla, che aspetta notizie, pronta ad aggrapparsi a ogni singola parola.

    Tutti quelli che lavorano là dentro sanno come funziona.

    Quando un codice rosso, viola in quel caso, arriva a sirene spiegate non c’è quasi nessuno ad accompagnarlo.

    Poi la voce si sparge...

    Di bocca in bocca.

    Da un telefonino all’altro, anche tramite WhatsApp.

    L’uomo, nonostante la forte sedazione, si lamenta producendo un suono in cui nemmeno lui, da lucido, si riconoscerebbe.

    Ma lì tutto è diverso.

    La persona perde la sua autonomia motoria, decisionale e, persino, intellettiva.

    I farmaci tengono il paziente bloccato nel mondo dei sogni in attesa di attenuare le dosi e condurlo al risveglio.

    Ha subito un intervento d’urgenza per debellare quel maledetto corpo estraneo.

    Prova a dire qualcosa...

    Un infermiere si avvicina, ma si tratta di un falso allarme.

    L’uomo, in divisa verde, pensa ai suoi figli che lo stanno aspettando, quando terminerà il suo turno, per festeggiare insieme il Natale.

    Speriamo non scoprano dove sono i regali prima del mio arrivo, pensa mentre monitora l’andamento della flebo che è collegata al corpo del paziente che sta assistendo.

    Come da tradizione, poco prima della mezzanotte, si travestirà da Babbo Natale, uscirà dall’appartamento e suonerà alla porta con un sacco pieno di regali di ogni forma e colore.

    I suoi figli staranno al gioco e cercheranno di non smascherarlo, anche se l’avranno riconosciuto, come spesso capita agli improvvisati Santa Claus, dagli occhi e dalle scarpe.

    Sempre che riesca a tornare a casa con questo tempaccio, aggiunge, mentalmente, qualche attimo dopo.

    Nel frattempo, in sala d’attesa, un secondo uomo viene circondato da un capannello di persone.

    È stanco e ha lo sguardo spento.

    Ha fatto qualcosa che mai gli era capitato in passato. Roba forte, che lascia il segno.

    In diversi gli pongono una raffica di domande a cui cerca di rispondere mantenendo la calma.

    Prova a ricostruire come sono andati i fatti e a esporli, ma fatica.

    Alcuni scenari, nella sua mente, si sovrappongono, prendendo in ostaggio la verità. La ragione è sabotata dall’emotività.

    Non doveva andare così, non doveva andare..., ripete scuotendo il capo.

    Qualcuno prova a consolarlo, qualcun altro lo ignora, una donna, in particolare, è arrabbiata.

    Se ne sta in un angolo di quella sala e non sa cosa dire.

    È il dolore a paralizzarla.

    Un’altra donna è rassegnata. Si immaginava un Natale totalmente diverso e invece...

    Sa benissimo con chi prendersela, ma non vuole infierire. Prima o poi parlerà e i muri tremeranno come è già capitato in passato.

    Prima o poi, ma non ora.

    Due uomini...

    Due donne...

    Una città senza memoria...

    E una storia da raccontare...

    Dall’inizio...

    I

    Erano le 19 e 10 di una giornata da dimenticare.

    Dopo aver affrontato una serie di casi, che non sarebbero passati alla storia del crimine in terra subalpina, il commissario Crema provò a mettere una distanza, almeno mentale, tra sé e tutte quelle scartoffie accatastate sulla sua scrivania concedendosi una partita a scopa contro il PC.

    Aveva un arretrato, almeno da un punto di vista burocratico, pazzesco che decise di annientare in un solo giorno, isolandosi dal resto della sua squadra investigativa.

    L’ispettore Quadrini, il sovrintendente Ansaldi e l’agente Marini avevano avuto disposizione di non palesarsi tra i suoi coglioni per qualche ora, ordine che avevano rispettato sino alle 19 e 13 di quello stesso giorno.

    Fu Quadrini, e non poteva essere altrimenti quando si trattava di sabotare la pace del commissario, a entrare con passo spedito nell’ufficio che condivideva con Crema e da cui si era allontanato con una scusa vista l’aria che tirava.

    Aveva in mano un cordless e appariva agitato.

    Sergio è per te.

    Spero sia qualcosa di importante.

    Dal Mauriziano.

    Un brivido di terrore assediò le ossa del commissario. Quell’ospedale si trovava a cinque minuti da casa sua.

    Mi auguro non sia successo nulla ai miei bimbi, pensò il poliziotto mentre afferrava il portatile.

    Pronto?.

    Il commissario Crema?.

    Sì?.

    Sono il primario di terapia intensiva del Mauriziano.

    Mi dica, le gambe del commissario cedettero, per fortuna era già seduto.

    Avrei bisogno che venisse subito qui.

    È successo qualcosa ai miei famigliari?.

    Andò subito al dunque. Meglio togliersi il dente subito per poi ritornare a respirare.

    No, no. C’è una nostra paziente in condizioni ormai disperate che ha chiesto di lei.

    Di me?, domandò il poliziotto, dopo aver ripreso il pieno possesso della sua emotività.

    Sì, non penso ci sia un altro commissario Crema a Torino.

    E cosa vuole?.

    Forse lei non ha capito bene, il tono del medico iniziò a manifestare qualche traccia di irritazione, abbiamo i minuti contati. La signora Giraudo potrebbe non arrivare a questa sera.

    Ok, arrivo.

    Grazie, la aspetto. Sono il dottor Corino.

    Sergio Crema non aveva alcuna voglia di affrontare il freddo dicembrino che lo attendeva al di là della soglia della Questura, ma si mosse comunque rapido sino all’appendiabiti, pedinato dallo sguardo del collega.

    Che succede?, domandò l’ispettore.

    C’è una vecchia che sta morendo e chiede di me.

    Sarà per l’eredità, magari era una milf che hai soddisfatto qualche annetto fa e vuole premiarti in qualche modo, commentò, alla sua maniera, Quadrini.

    Preparati anziché dire cazzate!.

    Il commissario indossò un pesante pile che utilizzava soprattutto per potersi permettere di metterci sopra il suo solito giubbotto di seta lavata blu che ne caratterizzava il look da estate a inverno. Era una specie di divisa che vestiva solo in ambito lavorativo, quando da Clark Kent si trasformava in Superman.

    Poi uscì da quella stanza che necessitava di una passata di bianco sempre programmata per l’anno successivo.

    Marco Quadrini, dopo aver scosso il capo senza parlare, lo seguì.

    II

    Durante il tragitto dalla Questura all’ospedale il commissario avvisò sua moglie del ritardo con cui sarebbe rientrato a casa.

    Sai che novità, fu l’ironico commento che fece Maria, prima di attaccargli il telefono in faccia.

    Tutto bene?.

    La domanda di Quadrini era retorica perché aveva già capito tutto.

    Solita solfa. Prima o poi finiamo davanti all’avvocato.

    Esagerato. Pensa che tra meno di un mese è Natale. Potrai trascorrere qualche giorno in famiglia.

    Dobbiamo ancora comprare tutti i regali.

    Classico. Scommetto che tua moglie è già in fibrillazione mentre a te non frega un cazzo.

    Hai colto nel segno. Scommetto anch’io che tua moglie è già in fibrillazione e a te non frega un cazzo.

    Hai colto nel segno.

    I due amici/colleghi iniziarono a ridere sguaiatamente.

    Se non ti dai una mossa Marco, dobbiamo andare a disturbare quella vecchia nell’Aldilà per poterle parlare.

    Ok, tieniti forte!.

    La Grande Punto iniziò ad aggredire l’asfalto con maggiore determinazione. Fuori dall’abitacolo della vettura faceva un freddo fottuto. Quando i due poliziotti giunsero a destinazione indossarono entrambi uno scaldacollo nero prima di uscire da quel guscio. Sembravano due rapinatori.

    Attraversarono in diagonale corso Rosselli, snobbando le strisce pedonali.

    Un paio di vetture li sfiorarono, lasciandoli indifferenti.

    L’ingresso dell’ospedale Mauriziano, collocato all’incrocio tra due strade, sembrava l’angolo smussato di un quadrato.

    Quando i due poliziotti entrarono in quel luogo, si diressero subito verso il gabbiotto destinato allo smistamento delle persone in arrivo. Sergio sapeva che provare a districarsi in quel groviglio di percorsi in maniera autonoma sarebbe stata solo una perdita di tempo. Mostrò quindi il suo tesserino di riconoscimento a uno dei due uomini barricati dietro quel vetro per recuperare minuti preziosi.

    Ci aspetta il dottor Corino, della terapia intensiva.

    Segua la linea verde. Conduce sino al reparto che sta cercando.

    Ok, grazie. Annunci il nostro arrivo se non è di troppa fatica.

    Il commissario era insolitamente nervoso. Il suo istinto gli stava suggerendo che di lì a pochi minuti l’attendeva una gran rottura di coglioni.

    Che succede Sergio?, domandò Quadrini dopo aver notato l’aggressività del collega.

    Nulla, per una volta volevo fare un’entrata in scena alla Montalbano.

    Sergio Crema sono!, sottolineò l’ispettore, sicilianizzando il suo accento.

    Una trentina di secondi e i due poliziotti giunsero di fronte alla porta, in vetro e metallo, della terapia intensiva.

    Suonarono.

    Un infermiere, dai lineamenti provati dalla fatica, si palesò al loro cospetto.

    Sono il commissario Crema. Ci aspetta il dottor Corino.

    Lo so, prego.

    I poliziotti seguirono la loro guida sino alla soglia di un ufficio dove già li attendeva il primario. Corporatura mingherlina, capelli brizzolati e aspetto distinto l’uomo si presentò ai visitatori e li invitò a seguirlo.

    Sembra il prototipo del primario, pensò, ma non disse il commissario accodandosi al medico.

    Di cosa si tratta?.

    La signora Giraudo ha chiesto di parlare urgentemente con lei. Purtroppo il quadro clinico della paziente è ormai irreversibile. Alcune funzioni vitali sono già compromesse. Potrebbe lasciarci da un minuto all’altro.

    Le ha detto perché voleva parlarmi?.

    No, e non gliel’ho nemmeno chiesto. Era meglio che conservasse tutte le energie per il suo ultimo colloquio.

    Quell’espressione fece correre un brivido lungo la schiena del commissario. Non gli era mai capitato, nonostante ne avesse viste di tutti i colori, di essere il destinatario delle ultime parole di un essere umano. Sentiva già il peso di quella responsabilità.

    Ci sono dei parenti?, la domanda partì, questa volta, da Quadrini.

    No, quella donna non ha quasi nessuno. Abbiamo avvisato il marito che sta arrivando. Anche lui ha diversi problemi di salute. Ecco, ci siamo.

    I tre camminatori arrestarono il passo di fronte alla porta della camera che ospitava la signora Giraudo.

    Si concessero, senza pianificarla, una pausa di un paio di secondi prima di varcare quella soglia e circondare il letto che ospitava la donna che li aveva convocati.

    Diversi tubicini trasparenti partivano dal corpo della paziente che respirava grazie all’aiuto di una mascherina.

    Il dottor Corino si chinò e sussurrò poche parole nell’orecchio della signora Giraudo.

    C’è il commissario Crema.

    Qualche attimo dopo la paziente aprì in maniera quasi impercettibile gli occhi.

    Grazie, disse con un filo di voce.

    Il medico invitò il poliziotto ad avvicinarsi.

    Sergio mise la sua mano su quella, ormai scarnificata, della donna, prima di parlare.

    Cosa voleva dirmi, signora Giraudo?.

    Lei provò a parlare, ma non ci riuscì.

    Durante un lungo respiro il suo petto si sollevò di qualche millimetro per poi ritornare piatto.

    Non c’è fretta signora. Sono qui.

    Chissà quando accadrà a mia madre come reagirò?, pensò il poliziotto. La donna che lo aveva consegnato al mondo abitava nel napoletano. Si vedevano, se andava bene, un paio di volte l’anno.

    La signora Giraudo ci riprovò:

    Non è stato..., si fermò.

    Non è stato cosa?, domandò il commissario.

    Lui.

    Lui chi?.

    La donna provò ad aggiungere altro senza riuscirci. Le sue labbra accennarono un movimento non accompagnato dalla fuoriuscita della voce.

    Poi richiuse gli occhi.

    Qualche istante dopo la situazione degenerò. Il saturimetro che registrava i suoi parametri vitali iniziò a emettere un suono incazzato e i due poliziotti vennero allontanati dalla stanza.

    Sergio Crema e Marco Quadrini si ritrovarono nel lungo corridoio su cui si affacciavano le diverse camere di quel reparto. Per qualche minuto non dissero nulla. Persino l’ispettore ebbe il buon senso di non sparare qualche cazzata fuori luogo delle sue.

    Non ci si abitua mai alla morte, fu la prima cosa che proferì il commissario rivolgendosi al collega.

    No, eppure, insieme alla nascita, è l’evento più scontato della nostra esistenza.

    Sergio Crema, stupito per l’impennata filosofica dell’amico, stava per replicare, ma venne interrotto dal sopraggiungere del primario.

    Quindi?, domandò, sospettando la risposta del medico.

    È morta. Mi spiace.

    Quella situazione stava assumendo dei connotati surreali. Il primario, infatti, si stava rivolgendo al poliziotto come se si trovasse di fronte a uno dei parenti della defunta.

    Anche a me, però non ci ho capito molto.

    Cosa ti ha detto esattamente?, lo interrogò Quadrini.

    Non è stato lui, mi pare di aver capito.

    Non lascia presagire nulla di buono, commentò l’ispettore, facendo riferimento a una precedente indagine che li aveva visti coinvolti un anno prima¹.

    Evitiamo di fantasticare senza avere a disposizione fatti concreti, Marco, lo redarguì il commissario.

    Il marito della signora Giraudo sta arrivando, s’inserì il primario.

    Ok, ma non penso sia il momento adatto per sottoporlo a un interrogatorio. Se ci dà il recapito telefonico di quell’uomo lo contatteremo domani.

    Il commissario non vedeva l’ora di andarsene da quel posto.

    Mi sembra una buona idea, commentò il medico prima di comunicare, dopo averlo estrapolato dalla cartella clinica della signora Giraudo, il numero ai poliziotti.

    Quel dialogo finì su un binario morto e si concluse con un formale scambio di saluti.

    Sergio si allontanò da quel reparto alla velocità di un proiettile, seguito da Marco che faticò a tenere il passo indiavolato del suo superiore. Era chiaro che non voleva incrociare il marito della donna e assistere a quei drammatici momenti. La stanchezza stava avendo la meglio sulla curiosità.

    Appena furono in strada, fu l’ispettore il primo a parlare:

    Che ne pensi?.

    Penso che ne sappiamo troppo poco per fasciarci la testa.

    Concordo. Vorrei però capire perché tra i tanti poliziotti che lavorano a Torino ha chiamato proprio te.

    Vorrei saperlo anch’io, ma sono certo che prima o poi lo scopriremo.

    Ti accompagno a casa?, domandò Marco mentre attraversavano la strada.

    Sì, grazie. Mia moglie starà per spiccare un mandato di comparizione.

    Esagerato, Maria è fin troppo comprensiva.

    Vaffanculo, Marco.

    Sempre gentile, commissario.

    Sempre fuori luogo, ispettore.

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