Memorie Illustrate dal XX Secolo (di un boomer)
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Anteprima del libro
Memorie Illustrate dal XX Secolo (di un boomer) - Roberto Molteni
2.
Memorie di mio nonno, sergente telefonista
A dire il vero è improprio parlare di mie memorie del nonno materno, Tommaso Romildo Paterna (n. 1895.09.07 Livorno – m. 1937.05.21 Milano) detto Maso, giacché morì tredici anni prima che io nascessi, dunque non posso averne memorie dirette.
Questi aneddoti si basano sui racconti di mia nonna e di mia mamma, e sui numerosi documenti che ho trovato, soprattutto lettere inviategli da sua mamma, da suo padre, dalla sua fidanzata (mia nonna), da amici, e perfino da sua nonna.
Maso, circa 1900, e con la nonna Giustina Pisani, 1897
Era uomo di vasto e multiforme ingegno e interessi; ritengo ci fossero molte affinità tra il mio e il suo carattere, e che, anche molti anni dopo la morte, abbia avuto influenza su di me. Per esempio, da bambino iniziai le prime delle mie poi molte collezioni a partire da qualche busta di francobolli e da un po’ di vecchie monete che lui aveva raccolto. Giocava a scacchi al Circolo Filologico di Milano, e io ho appreso i rudimenti del Nobile Gioco leggendo un opuscoletto e giocando coi pezzi ereditati da lui (l’opuscoletto e i pezzi in legno, torniti o intagliati a mano secondo lo stile diffuso all’epoca, li ho ancora).
Figlio unico, nacque a Livorno fuori dal vincolo matrimoniale
(cioè due anni prima che i genitori Concetto Paterna e Argia Biolchi si sposassero a Porto Empedocle); d’altra parte i genitori erano entrambi cantanti d’opera alquanto famosi (soprattutto il padre, basso comico), forse in quanto artisti non ci si aspettava che si conformassero troppo alle rigide convenzioni morali dell’epoca.
Maso con la mamma Argia Biolchi, 1900
Concetto Paterna, celebre cantante d’opera basso comico
Da piccolo crebbe a Firenze, poi quando aveva sette anni (1902) la famiglia si trasferì a Milano, dove frequentò parte della scuola elementare e i primi anni di scuola media tecnica. In seguito tornò a Firenze dove completò la scuola tecnica e poi frequentò dei corsi di stenografia, di telegrafia e di elettrotecnica (ricordo a casa dei componenti per assemblare radio a galena, poi andati dispersi).
Da sue lettere molto successive si intuisce che non fosse molto felice nell’infanzia e adolescenza, forse per le lunghe e ripetute assenze del padre in tournee per l’Italia e all’estero (infatti in particolare negli anni dell’adolescenza di Maso, suo padre era quasi continuamente a esibirsi nelle Lontane Americhe), e magari anche per i rapporti non ideali tra i genitori, che andarono sempre più deteriorandosi negli anni successivi, fino alla separazione.
Con l’entrata dell’Italia nella Grande Guerra nel 1915, a maggio si presentò come volontario (con la dispensa del padre perché era ancora minorenne), e venne arruolato come telegrafista nel 3° reggimento Genio Telegrafisti, VI corpo d’armata, IV armata.
Tommaso Paterna, telegrafista / telefonista nel VI corpo d’armata
Fu mandato al fronte in uno dei settori più roventi, il Carso Friulano, e in seguito sul Monte Grappa.
Nell’aprile 1916 venne ferito al volto e alla mano da una granata nemica, e mandato in cura e convalescenza a Mantova. Venne insignito con un sacco di onorificenze militari: Croce al Merito di Guerra, due Medaglie di Bronzo al Valor Militare, e Medaglia dell’Ordine della Stella dei Karageorgević per Soldati con Spade d’Argento (Serbia). Fu promosso dapprima caporale maggiore nel 1917, poi sergente nel 1918. Fu congedato nel novembre 1919. Dopo il conflitto ottenne una piccola pensione di guerra quale decorato al valor militare e registrato all’Istituto del Nastro Azzurro.
Queste alcune delle menzioni d’onore ufficiali:
Comandato quale telegrafista ad un osservatorio d’artiglieria situato nelle posizioni più avanzate della fanteria, continuò il suo servizio per 12 giorni consecutivi, mantenendo la calma anche sotto il tiro aggiustato dell’artiglieria nemica, rendendo possibile alle nostre artiglierie, dipendenti da quell’osservatorio, un tiro efficace – Monte San Michele, 16-28 Novembre 1915.
Telefonista di un osservatorio, stette fermo al suo posto sotto violento e preciso fuoco di artiglieria nemica. Invitato ad abbandonare la posizione insostenibile, rispondeva:
Non posso muovermi, il mio posto è qui, e continuò impavido il suo servizio, finché una granata distruggendo la cabina telefonica lo ferì gravemente – Podgora, 10 Aprile 1916
.
Capo centro in un punto importantissimo della rete, rimaneva l’intera giornata sotto il fuoco nemico per mantenere le comunicazioni telefoniche. Nobile esempio di sacrificio e di dovere – Monte Grappa 15 giugno 1917
.
Diploma di concessione di Croce di Guerra a mio nonno Tommaso Paterna, sergente del Genio Trasmissioni.
Alcune delle medaglie conferite a Tommaso Paterna
Sergente Tommaso Paterna del Genio Telefonisti, 1918
Non ho significativi ricordi della Grande Guerra scritti direttamente da lui, ma molte lettere mandategli da parenti e amici, soprattutto dalla madre Argia. Molto toccante è quella con cui lei racconta gli eventi della notte del 6 novembre 1918, quando si diffuse la notizia che era stato firmato l’armistizio con le potenze dell’Asse, di cui riporto qui uno stralcio:
Per la grande vittoria riportata da voi valorosi soldati la popolazione ha provato una gioia pazza, l'entusiasmo non ha avuto più limiti, figurati che la notizia della presa di Trieste arrivò la sera alle 10 circa, in teatro si rappresentava La Boheme, figurati appena il pubblico seppe della grande vittoria scattò in urla deliranti, l'orchestra suonava marce Italiane, Francesi, Inglesi, chi cantava, ma più si gridava
evviva i nostri valorosi soldati, fu una nottata indimenticabile, il giorno dopo tutta la città [era] imbandierata e infiorata, e nessuno lavorò sai? Tutti per le strade a gridare
Evviva Trento e Trieste, evviva i combattenti
, le campane tutte suonavano a distesa, le chiese illuminate, saranno giorni indimenticabili per noi, e per voi più di tutti, cari e santi ragazzi che tanto soffriste e oggi provate la più grande delle soddisfazioni."
Non meno interessante è una lettera di qualche giorno prima, il 1918 ottobre 19, da una sua amica e ammiratrice (e probabilmente spasimante), tale Antonietta, ove si parla sia della guerra che dell’epidemia di influenza Spagnola che allora infuriava:
"… abbiamo speranza di passare questo tempo d’epidemia illesi; sarà forse difficile perché ora i casi di malattia son molti, in tutte le famiglie v’è ammalati, e a dire il vero ciò che fa maggior impressione sono i morti. Hanno proibito i funerali, ci sono dei carri grandi chiusi, che possono contenere una decina di casse, e se si muore bisogna andar dentro lì. Sono tutti molto impressionati, ora si osserva le regole d’igiene scrupolosamente e si spera di poter presto combattere la triste malattia.
A Milano, malgrado tutto, si è sempre tali e quali, pensa Maso che quando la Germania mandò la domanda di armistizio a Wilson, venne pubblicata alla sera della prima domenica d'ottobre, noi per combinazione siamo andati a letto presto senza sapere niente. Alla 1 di notte ci siamo svegliati, rumori di ogni sorta, gridi, canti, le campane suonavano a festa, un inno insomma, di una moltitudine di gente, alla pace. Non sono ancora riuscita a sapere perché in molti alla lettura di quella nota hanno creduto che la pace fosse già firmata. Fu una notte di solenne baldoria; hanno fatto la fiaccolata, e i soldati sono tutti scappati dalle caserme, le chiese tutte aperte e si celebravano gli uffici sacri per ringraziare, e lunedì fu idem. Se era un gioco tedesco pareva riuscito a pennello, ma poi fu chiarita la cosa, si sono calmati, e ora prosegue tutto con calma e speranza."
Mentre Maso era sotto le armi, il 29 settembre 1917 i genitori s’erano trasferiti da Firenze a Milano, in affitto in un appartamentino di tre locali più servizi in Via Crema 11. Trovo toccanti gli accenti con cui la mamma, in una lettera, gli descrive il nuovo alloggio bello e comodo
, diceva vedrai la camerina [a te destinata], ti piacerà, è tappezzata rosso e oro, che lusso! Vedrai come ti piacerà questa casa, non manchi che tu a renderla più bella, ma quando tornerai? [dal fronte di guerra]
. (Probabilmente a Firenze genitori e figlio dormivano tutti in una camera comune, come fu pure il caso per mio padre, per mia madre, e per me). Ogni tanto però quando lui era al fronte, per integrare le magre finanze, la camera era subaffittata a qualche povero diavolo bisognoso di un letto. Scriveva l’unico inconveniente è che non vi è impianto di luce elettrica, però si sta vedendo se potremo farlo fare a nostre spese, adesso adoperiamo una lampada a petrolio
; infatti ho reperito una fattura del 1920, intestata a Maso, per la fornitura del materiale e la messa in opera di un impianto con quattro lampade elettriche – da parte della rinomata azienda milanese Marcucci Pio & figli, dove (allo stesso indirizzo) molti decenni più tardi mio padre prima e io poi andavamo a rifornirci di componentistica elettronica.
Dopo il congedo Maso fu molto alacre nella ricerca d’impiego e di miglioramento professionale, e anche in vari impegni sociali; per esempio, fu assiduo attore in una compagnia teatrale amatoriale e per tale ruolo nel 1925 venne insignito di medaglia d’argento nazionale di prima classe
. Era anche socio attivo di Società Escursionistica Milanese, Circolo Filologico, Circolo Sacro Cuore.
Cartoline in franchigia militare dal fronte della Grande Guerra, a mio nonno Maso
Come dissi, in guerra Maso era stato alcune volte ferito e ospedalizzato. Credo che in tali circostanze fosse stato coinvolto in un giro di crocerossine, angeli delle corsie, e altre fanciulle che si prodigavano per alleviare le sofferenze psicologiche degli eroi. Alla conclusione del conflitto presumo che ciò confluisse in un’associazione ricreativa in qualche modo collegata con l’Ospedale Maggiore di Milano, la Filera. Tale associazione era dedita anche e soprattutto a organizzare oceaniche escursioni sulle Prealpi Lombarde, e Maso ne era un socio fondatore e benemerito, e un attivo volontario.
In quel contesto conobbe tale Carlotta Pavia (mia nonna); dopo pochi mesi si fidanzarono, e il 1924.11.05 si sposarono; la loro unica figlia, mia mamma, nacque Il 1925.9.26. Suo padre Concetto non fu presente alle nozze perché in lunga tournée artistica in Estremo Oriente.
Da sempre in casa abbiamo un dipinto a olio, un paesaggio di montagna, di cui solo a un certo momento ho scoperto il significato: fu il regalo di nozze a Maso e Carlotta di un amico pittore, Ferrari (molto probabilmente anch’egli della Filera), raffigurante le Grigne dove i due futuri sposi s’erano conosciuti, datato nel giorno del loro matrimonio.
Andarono a vivere in Via Marcona 34, poi in Via Monte Bianco 38. Dal 1923 Maso fu impiegato al Consorzio Fabbricanti Italiani per l’Esportazione S.A. (che si occupava soprattutto di importazione-esportazione di tessuti col Sud America), come corrispondente commerciale capo-ufficio; era poliglotta, sicuramente parlava e scriveva in francese e in spagnolo, forse anche un po’ in inglese e portoghese. Nel giugno 1932 acquistò e ottenne una licenza per gestire una latteria-gelateria in Via Falterona 1, in cui praticamente lavorava Carlotta, fino ad aprile 1935.
Era un uomo molto amato da moglie e figlia, rigoroso e prudente, non avaro ma attento alle finanze. Una volta, nel lavare le tazzine del servizio da caffe a mia nonna ne cadde di mano una, e il manico si ruppe. Timorosa di rampogne dal marito, lo incollò con una colla qualunque (allora non c’era il cianoacrililato), e la mattina seguente la usò per servire il caffè a letto a Maso. Al momento di sollevare la tazzina per il manico, il calore squagliò la colla e il caffè si rovesciò su di lui e sulle lenzuola. Imperturbato, lui commentò solo Caspita, non sapevo che ora le tazzine le fanno coi manici incollati!
A soli 41 anni venne colpito da una malattia infettiva ai polmoni che lo portò via in pochi mesi, lasciando una figlia dodicenne e una vedova quasi priva di mezzi. Forse gli stenti della guerra ne avevano minato il fisico, aveva già un aspetto invecchiato.
Tommaso Paterna, in un ritratto a matita fattone da mia moglie Ornella in base a una fotografia
3. Memorie di mio suocero
Mia moglie Ornella dice di avere attraversato molte epoche nella vita, dall’Età del Bronzo alla nascita (infatti fa Bronzo di cognome!) fino all’attuale Età della Intelligenza Artificiale digitale su dispositivi mobili
in modalità G5.
Nella fattoria di Caprino Veronese in cui crebbe, da bambina l’erba e il grano si mietevano ancora con la falce; per il grano si ripassava poi col falcetto per spigolare, ed esso andava raccolto e legato a mano in covoni. L’aratura dei campi avveniva aggiogando i buoi all’aratro. Le olive andavano raccolte sugli alberi ad una ad una, a mano, riponendole in una sacchetta alla cintura chiamata gremal
, poi si portavano a frangere a un molino con ruota di pietra azionata da un somaro. Ricordo l’eccitazione in casa sua quando, alla fine degli anni ’60, venne acquistato il primo trattore, un piccolo modello di fabbricazione polacca, di marca sconosciuta ma il più economico disponibile. In casa non c’era riscaldamento centralizzato, c’era la stufa della cucina economica, o il camino a legna (da racimolare in giro alla fine della giornata di lavoro). Nelle camere da letto al piano superiore il riscaldamento non c’era affatto e ci si doveva accontentare di coperte pesanti e tuttalpiù del preo
, un telaio da infilare tra le lenzuola con una pentola carica di braci. Non c’erano acqua calda, doccia o vasca da bagno, e quando si poteva ci si lavava nella tinozza riempita con secchi d’acqua scaldati sulla stufa. Naturalmente non c’erano televisione e telefono; quando la mia futura moglie ed io incominciammo a metterci assieme
, e io abitavo a Milano a 160 km di distanza, si fissava un giorno alla settimana (il sabato) in cui lei si sarebbe recata al