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Il testamento di Satana
Il testamento di Satana
Il testamento di Satana
E-book413 pagine5 ore

Il testamento di Satana

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Info su questo ebook

«Uno di quegli autori compra oggi, leggi stanotte. Dovrebbe esserlo anche per voi.»
Lee Child

Un grande thriller
Dall'autore dei bestseller di Jason Bourne

La fine del mondo è stata annunciata più volte nel corso della Storia da diversi profeti. Adesso, però, senza alcun preavviso, sta arrivando davvero.
In una caverna nascosta tra le montagne del Libano, un uomo fa una scoperta destinata a cambiare il mondo. Quello che viene alla luce è rimasto nell’ombra per migliaia di anni: il Testamento di Satana.
A Istanbul il capo di una setta di Osservanti, Bravo Shaw, viene informato da Fra Leoni dell’imminente guerra tra Bene e Male. Un pericolo mortale sta per abbattersi sull’umanità: il terribile esercito di Satana, i Caduti.
Bravo, Ayla, Fra Leoni ed Emma, la sorella non vedente di Bravo, rappresentano l’unica speranza di salvezza di fronte al caos generato dal Testamento di Satana. Se vogliono evitare che l’umanità venga resa schiava dai Caduti, dovranno scoprire segreti talmente pericolosi da mettere a rischio le loro stesse vite. 

Autore numero 1 del New York Times
Tradotto in oltre 20 lingue

Hanno scritto dei suoi romanzi:

«Van Lustbader è uno di quegli autori compra-oggi-leggi-stanotte per me. Dovrebbe esserlo anche per voi.»
Lee Child

«Uno scrittore che sa come manipolare i lettori con una crudeltà esaltante.»
Steve Berry, autore di Il giorno del giuramento

«Raramente ho letto un libro così capace di prenderti fin dalla prima pagina e di tenere alta la tensione fino alla fine.»
Jeffery Deaver

«Riesce a unire abilmente il genere horror soprannaturale al thriller.»
Publishers Weekly
Eric Van Lustbader
È nato a New York nel 1946. Prima di dedicarsi completamente alla scrittura, è stato insegnante nelle scuole primarie. A oggi può contare oltre venticinque romanzi bestseller, tradotti in più di venti lingue e diventati un successo in tutto il mondo. 
LinguaItaliano
Data di uscita21 mar 2018
ISBN9788822719164
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    Anteprima del libro

    Il testamento di Satana - Eric Van Lustbader

    1934

    Titolo originale: The Fallen

    Copyright © 2017 by Eric Van Lustbader

    All rights reserved

    Published in agreement with the author,

    c/o BAROR INTERNATIONAL, INC., Armonk, New York, U.S.A.

    Traduzione dall’inglese di Antonio David Alberto

    Prima edizione ebook: maggio 2018

    © 2018 Newton Compton editori s.r.l, Roma

    ISBN 978-88-227-1916-4

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Eric Van Lustbader

    Il testamento di Satana

    Indice

    La storia dietro la finzione

    Prologo

    Parte prima. La marea insanguinata s’innalza

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Capitolo 16

    Parte seconda. La cerimonia dell’innocenza è annegata

    Capitolo 17

    Capitolo 18

    Capitolo 19

    Capitolo 20

    Capitolo 21

    Capitolo 22

    Capitolo 23

    Capitolo 24

    Capitolo 25

    Capitolo 26

    Capitolo 27

    Parte terza. Ombre di uccelli del deserto indignati

    Capitolo 28

    Capitolo 29

    Capitolo 30

    Capitolo 31

    Capitolo 32

    Capitolo 33

    Capitolo 34

    Capitolo 35

    Capitolo 36

    Capitolo 37

    Capitolo 38

    Capitolo 39

    Capitolo 40

    Capitolo 41

    Capitolo 42

    Parte quarta. Bianco lo sguardo e senza pietà come il sole

    Capitolo 43

    Capitolo 44

    Capitolo 45

    Capitolo 46

    Capitolo 47

    Capitolo 48

    Capitolo 49

    Capitolo 50

    Capitolo 51

    Capitolo 52

    Capitolo 53

    Capitolo 54

    Parte quinta. Quale bestia orrenda

    Capitolo 55

    Capitolo 56

    Capitolo 57

    Capitolo 58

    Capitolo 59

    Ringraziamenti

    Fatti, metafore e ulteriori letture

    A Victoria, con tutto il mio cuore, come sempre

    La storia dietro la finzione

    Gli Osservanti francescani, qui conosciuti come Osservanti Gnostici, sono reali, così come i Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, i quali hanno ispirato la storia del Cavalieri di San Clemente nella Terra Santa. A quei tempi, il papa era il monarca più potente d’Europa. Come tutti i monarchi, era obbligato a mantenere il suo potere contro rivali e nemici. Per questo furono formati i Cavalieri, come una sorta di armata papale che combatteva in nome del papa sia in Europa sia in Oriente.

    Agli inizi del 1300 cominciò un’enorme frattura interna tra i Francescani, riguardo al drastico voto di povertà richiesto da san Francesco alla fondazione del loro Ordine. Gli Osservanti ci credevano; i Conventuali no. La disputa giunse alla fine nel 1322, quando papa Giovanni

    XXII

    si schierò con i Conventuali e i loro alleati, i Dominicani.

    La bolla papale Cum inter nonnullos fu quasi un sotterfugio: affermava, tra le altre cose, che la regola di povertà fosse errata ed eretica. Sembra molto più plausibile che il papa volesse sradicare una fazione dei Francescani decisa a girare il mondo, predicare il loro credo e, nel processo, aumentare il loro potere e la loro influenza, piuttosto che stare intra muros, all’interno dei monasteri, come avrebbero dovuto fare i Conventuali.

    Ciò nonostante, la bolla papale non fu l’epilogo degli Osservanti. In realtà, fu l’esatto opposto. Nella parte finale del quindicesimo secolo e nelle prime due decadi del sedicesimo, un buon numero di Osservanti che aveva accettato le regole del papa si era stabilito in Medio Oriente, specialmente nell’area vicino Trebisonda e Istanbul, in qualità di emissari di Cristo, facendo proselitismo. Ed è qui che ho immaginato gli Osservanti Gnostici scoprire molti segreti, incluso quello della Quintessenza, che viene descritto nel corso della storia come quinto elemento, agognato da ogni alchimista sulla Terra ma forse creato solo dagli alchimisti di re Salomone.

    Lo Gnosticismo è un’eresia per il Vaticano, per i suoi ordini tradizionali. Il nome deriva dal greco e significa conoscenza. Gli Gnostici, per farla breve, credono che il mondo fisico sia corrotto e malvagio e che il vero cammino di salvezza sia aderire alla verità spirituale e alla bontà. Alcuni Gnostici studiano i cosiddetti misteri esoterici, che vanno oltre la comprensione umana. La Chiesa, nella sua infinita saggezza ha sempre definito questi misteri magia e quindi eresia.

    I Cavalieri, difensori sia del papa sia di Cristo, sono naturalmente predisposti a disprezzare e temere l’Ordine quanto la Santa Sede: sarebbero felici, dunque, di compiere la volontà del papa e smantellare il potere dell’Ordine.

    Prologo

    Cascate della gola di Baatara, Tannourine, Libano

    «È già ora?».

    Le ombre che circondavano i quattro uomini erano spigolose, imprecise e, perciò, misteriose oltre la comprensione di Val. Avevano le sembianze della pietra stessa, antica e dunque inscrutabile.

    Michel scosse la testa, le carnose labbra imbronciate. «Valentin, mi stai ascoltando?».

    Le ombre intorno a loro erano diverse da quelle trovate nelle città tenebrose, le quali erano costantemente in movimento come i pesci intorno a una nave affondata. Queste invece erano immobili, impenetrabili, e nascondevano la spaccatura nel fianco della montagna da cui, alle loro spalle, le cascate di Baatara scorrevano con il rumore di diecimila cannoni. Il ruggito era viscerale, l’aria vibrava e fremeva per l’energia della caduta. Su ogni lato, oltre il velo degli spruzzi, squadrati blocchi rettangolari di pietra si ergevano verticalmente, come impilati da qualche gigante bambino.

    Michel Charles de Gaulle alzò il naso in aria come un segugio a caccia di una preda. «Lo sentite?».

    I due uomini di Michel indossavano mimetiche militari e stivali alti con spesse suole di gomma. Avevano continuato a fumare senza sosta dopo aver scalato l’ultimo lembo di roccia nascosto dietro la cascata. Ora si erano concessi una pausa e anche loro annusavano l’aria. Non trovando nulla, erano tornati alle loro sigarette e alle loro barzellette oscene. Avevano bisogno di assumere più nicotina possibile in quel momento. Val aveva imposto il divieto di fumare all’interno della caverna, che si era aperta davanti a loro simile alle immense fauci di una creatura preistorica.

    Val, con la schiena rivolta alla cascata, non rispose. Era rimasto seduto sulle rocce e adesso i suoi vestiti inzuppati aderivano al collo e alle braccia bruciate dal sole come una seconda pelle. Gli piaceva la sensazione di essere immerso ma non del tutto, come se facesse parte di due realtà, l’una che sovrastava l’altra.

    Fissò intensamente l’oscurità che riempiva la bocca della caverna. Eccetto per l’ingresso, l’oscurità era quasi impenetrabile, come una notte senza luna o stelle, una notte con nubi così basse e spesse da apparire come pietre.

    Michel aprì la bocca, la chiuse ancora in segno di deferenza verso il proprio cliente, l’uomo che pagava lui e i suoi uomini una piccola fortuna per accompagnarlo, in quella che, a quanto poteva dire Michel, era una impresa senza speranza. A parte escrementi e, occasionalmente, ossa di piccoli mammiferi, non avevano trovato alcun manufatto in nessuna delle caverne esplorate negli ultimi otto giorni. Abituati alle guerre, i suoi uomini erano instancabili, ma il loro malumore era palpabile. Volevano qualcosa al quale sparare, o perlomeno semplicemente sparare. Volevano sentire l’odore di sangue. I mercenari erano così. Michel invece era un po’ diverso. Se avessero ottenuto un ruolo più alto nella gerarchia sarebbero cambiati anche loro pensò. Aveva imparato il valore della pazienza. Guardò verso Val e si chiese quando avrebbe dato loro il segnale, quando sarebbero entrati nella caverna che non era mai stata mappata e della cui presenza si era stupito anche Michel, che conosceva quella parte del Libano come le cosce aperte di Chloe, la sua attuale ragazza. Val era brillante e intelligente, così tanto da aver assoldato Michel e la sua truppa per quella missione, anziché il manipolo di professori e archeologi che avrebbe assunto di solito: di quei tempi, con il Libano pieno di intolleranza religiosa e violenza omicida, erano molto più utili gli uomini pesantemente armati.

    Per Val, l’incessante ruggito della cascata gli dava l’idea di un trampolino temporale che lo portava avanti e indietro nel tempo. Prima si sentiva di nuovo il bambino che nei sogni voleva entrare nella caverna, sin da quando aveva cinque anni. Così giovane, non ne aveva capito l’importanza nemmeno durante l’adolescenza. Poi i sogni avevano continuato a perseguitarlo nel sonno, la precisa configurazione della bocca della grotta era diventata a lui familiare come il ritmo del suo stesso respiro prima di addormentarsi.

    Ora il trampolino lo aveva riportato alla notte precedente e alla sua caldissima stanza dell’hotel con le tende oscuranti tirate sulle finestre ricoperte di polvere e cenere, mentre parlava a Maura il giorno del proprio trentesimo compleanno. Era il momento, le aveva spiegato, il giorno dopo avrebbe raggiunto la caverna, l’avrebbe esplorata e avrebbe trovato le miniere di re Salomone.

    «E tutto questo per il tuo sogno?». Maura ne sapeva abbastanza da non mettersi a ridere. Non aveva mai riso per le sue doti da quasi chiaroveggente; perché avrebbe dovuto? Diventava tutto realtà, tipo quella volta che le avevano rubato la macchina o che le avevano offerto un lavoro da animatrice. Alla fine era diventata una vera credente nei confronti del dono di Valentin.

    «Sì» aveva risposto Val. «La grotta mi ha chiamato fin dall’infanzia».

    «E cosa credi che voglia da te?» Una domanda folle che solo lei gli avrebbe fatto. La voce di Maura era sensuale, dolce e calda. Avevano fatto l’amore al telefono.

    «Vuole che io trovi il vero segreto di re Salomone. Sai che è per questo che ho accettato l’incarico. I Cavalieri di San Clemente vogliono il patrimonio d’oro del re. Ma sono convinto che Salomone avesse un segreto più vitale, più di valore del semplice oro».

    «Parli della figura che hai visto nell’ombra quando avevi cinque anni».

    «Mi ha detto di trovare il Testamento di Satana».

    «Il Libro delle Mortalità».

    «Sì. Il primo dell’Empia Trinità. Ero destinato a riportare alla luce il Testamento di Satana».

    Maura era rabbrividita. «Ma davvero, Val, Satana? Anche se fosse vero…».

    «È vero!».

    «Un’altra ragione per non andare in quella caverna. E se trovassi il libro? È proprietà del Diavolo. Siamo cattolici. Crediamo nella Resurrezione e nella luce. È un’oscurità che non dovrebbe toccarci».

    «E cosa dovrei farne se lo trovo?».

    «Distruggilo. Val, ti prego. Devi farlo, ad ogni costo. Se è davvero il Testamento di Satana è una cosa spaventosa. Non deve essere riportato alla luce».

    Il trampolino della cascata lo lanciò di nuovo verso il presente. Guardò il cronometro: quasi ora. Doveva schiarirsi la mente, non pensare all’hotel o al sesso telefonico con Maura, o a Maura stessa. Il suo profumo era un mix di lime, ibisco e frangipani così potente che ne fu inebriato ancora una volta.

    Le sue narici tentavano di liberarsi del profumo e poi lo sentì, qualsiasi cosa avesse percepito il naso da segugio di Michel. Senza alzarsi, Val saltò un po’ più vicino alla bocca della grotta. I suoi vestiti bagnati erano freddi e appiccicosi. Annusò ancora, fiutando l’aria umida. Non c’era alcun dubbio. Nessuno. L’odore veniva dall’interno.

    «C’è decisamente qualcuno all’interno» sussurrò Michel mentre si avvicinava a Val.

    «O qualcosa» disse lui, senza muovere gli occhi dalla caverna. «Recenti rapporti dicono che potrebbe esserci un leopardo nelle vicinanze».

    «O peggio, potrebbe essere un cinghiale» disse Michel. «Ne ho visti tre in questa regione negli ultimi anni».

    Senza girarsi, fece segno con la mano e i due mercenari misero gli

    AK

    -47 in posizione. Uno di loro si leccava le labbra. Basta barzellette e sigarette. I due uomini erano professionisti. Chiunque ci fosse là dentro se la sarebbe vista con loro. Lo avrebbero mandato all’altro mondo. Non vedevano l’ora di cominciare. Azione, finalmente!

    La luce stava calando, trasformandosi da oro in indaco, come se il cielo stesse cadendo. Per Val, che aveva sognato quel momento per tutta la vita, non c’era alcun bisogno di ricontrollare il cronometro. Il suo orologio interiore, il quale l’aveva fatto entrare nello spaventoso e non proprio stupendo mondo degli adulti, gli disse che era il momento di muoversi. Si alzò, avendo visto quel momento nei suoi sogni da tempo immemore, o perlomeno da quando aveva memoria. Prima dei cinque anni non aveva alcun ricordo. Di tanto in tanto aveva la sensazione di essere nato a quell’età.

    Michel lo seguì. I due mercenari, senza segnali dal loro leader, si misero al suo fianco. Ai limiti dell’oscurità accesero le lampade, aggiustando i fasci di luce. Michel fece lo stesso, ma Val, rifiutando la tecnologia, accese la prima di mezza dozzina di torce al fosforo che aveva portato e che trasportava in una sacca di gomma sulla spalla sinistra.

    Insieme, i quattro furono inghiottiti dalla bocca della caverna.

    Le tenebre oltre le luci e il luccichio della torcia li circondavano così intensamente che sembrava fossero stati inghiottiti dal fondo dell’oceano. Dopo un po’, Val avvertì che l’aria era diversa. L’umidità della cascata aveva ceduto il passo all’aridità del deserto. I tessuti delle narici diventarono così secchi che i quattro vennero immediatamente aggrediti dal mal di testa.

    La torcia illuminava le pareti della grotta: le pietre erano quasi identiche a quelle delle caverne esplorate in precedenza. Il soffitto non era molto basso e gli uomini riuscirono a camminare dritti.

    «L’odore» disse Michel nell’orecchio di Val.

    Val annuì, l’odore era inconfondibile ormai, più forte di prima. Un elemento questo che si fece largo nella sua memoria. Qualcosa di familiare. L’aveva già sentito? Gli sembrava di sì, l’idea si faceva sempre più ferma man mano che si inoltravano nella caverna.

    Non c’era alcun escremento di animali, nessuna pila di ossa bianche come la faccia della luna. Solo oscurità, desolazione e solitudine. Iniziarono una discesa e l’odore crebbe.

    «Animale, vegetale o minerale?» sussurrò Michel vicino a lui, quasi strozzando le parole. «Che diavolo è?».

    Di nuovo, Val scosse la testa. Non gli rispose, proprio come aveva fatto il terzo giorno quando, dopo aver visitato otto caverne, Michel gli aveva chiesto: «Che stai cercando?»

    Il Testamento di Satana. Quelle erano le parole che gli si erano formate in mente, ma non le aveva pronunciate. Perché avrebbe dovuto? Avrebbe solo confuso Michel e l’ultima cosa che voleva era fargli perdere fiducia in lui, o che Michel pensasse che quella missione era dettata dall’idiozia o dalla vanità. Val, che fin dall’infanzia era stato in grado di riconoscere la natura di una persona, sapeva che Michel non avrebbe tollerato nessuna delle due, e chi poteva biasimarlo? Non Val. Non lo avrebbe tollerato nemmeno lui.

    Ancora una volta fu riportato indietro nel tempo, al giorno prima di partire per il Libano.

    «Non puoi andartene» diceva Maura, indicando la valigia sul letto nel loro appartamento di Parigi. «Quello che stai cercando…».

    Val, sorridendo e scuotendo la testa contemporaneamente, aveva detto: «Devo andare, Maura. Devo trovarlo. Non capisci? È il mio destino».

    Poteva sentire la rabbia che montava in lei pericolosa come una lama affilata; e, oltre quella, Val stava alimentando anche la sua ansia. Quindi la strinse tra le braccia e la baciò teneramente, come si fa con un bimbo che si sveglia dopo un incubo. Fu un errore: Maura odiava essere trattata come una bambina.

    Lei lo spinse via e lui disse: «No. Non così. Non possiamo separarci così».

    Maura scosse la testa, impaziente e più furiosa che mai. «Dici che ti è stato promesso, Val, ma la promessa del Diavolo… non capisci quanto sembri folle?»

    «Le mie visioni sono mai state errate?»

    «È questo quello che più mi terrorizza: che è tutto vero, che Satana in qualche modo ti ha scelto, ti ha sussurrato nell’orecchio». Lei rabbrividì.

    «Il Testamento di Satana esiste: non sono mai stato più sicuro di nient’altro nella mia vita». Ma sentì una fitta improvvisa, non riguardo alla missione, ma riguardo alla natura del suo scopo. Per un momento la sicurezza avuta finora vacillò. Maura era intelligente. Inoltre era più scaltra di lui. E se avesse avuto ragione? Era davvero in pericolo, o la figura nell’ombra lo avrebbe protetto, come gli aveva promesso?

    «Val» disse Maura, con le braccia intorno a lui. «Rifletti. Quanto vale una promessa del Diavolo? La Chiesa ci insegna che Satana è un seduttore e un bugiardo. Non ci si può fidare della sua parola».

    Val riacquisì subito fiducia, la sua missione era di nuovo l’unica cosa che contava. «La promessa di un potere oltre la comprensione dei mortali» sussurrò in un orecchio di lei, nei toni melliflui tipici di Satana stesso.

    «Oltre la comprensione dei mortali» ripeté la donna. «Capisci? La promessa che dici… non è… è falsa, Val. Deve esserlo. Questo Libro non è per occhi mortali, i tuoi o di chiunque altro». Il suo sguardo incrociò quello di lui. «Ti supplico, non andare. Sono così spaventata, non finirà bene». Un silenzio profondo calò tra di loro.

    Anche nella grotta c’era silenzio adesso, mentre Val tornava al presente, ma di un altro tipo. Era il silenzio di qualcosa di alieno, sconosciuto, che tratteneva il respiro.

    Il Libro delle Mortalità, presumibilmente creato per re Salomone dall’arcana congrega dei suoi alchimisti.

    Michel si guardò intorno, il raggio di luce che andava da sinistra a destra. «Val, ora devi dirmi perché siamo qui. Ha a che fare con re Salomone, vero?»

    «Cerco segni che queste caverne siano state abitate da cananei». Una verità che la sua guida avrebbe potuto accettare.

    Michel arricciò le labbra. Con la punta del naso toccava quasi le pareti, come se volesse verificare la fonte di quello strano odore. «Non erano i fenici?»

    «Phoinikies è la parola greca per viola». Val indietreggiò, per vedere meglio. «I greci, che erano ovunque tremila anni fa, chiamavano i cananei fenici per il colore viola che commerciavano». Gli uomini di Michel rimasero al centro del pavimento, sbirciando nell’oscurità oltre le lampade. «Furono i fenici che diedero loro ventidue magici segni chiamati alfabeto che i greci codificarono come lingua scritta. Alla fine, diventò l’alfabeto latino».

    I cananei conoscevano il Libro delle Mortalità? Aveva tremila anni, come i ventidue magici segni dell’alfabeto? Da dove venivano quei simboli? Erano parte del Testamento di Satana, il linguaggio era scritto in cuneiforme? Val si sentì stuzzicato, come se quei pensieri lo avessero stimolato, guidato da un senso di vicinanza allo scopo del suo lungo viaggio. Era davvero stato Satana che aveva sentito quando aveva cinque anni? Era Satana che aveva annusato nell’aria? Era lo stesso odore? Come avrebbe potuto essere? Val se lo chiedeva mentre scendeva nella caverna. Intanto, il soffitto saliva così in alto da riuscire a tenere la torcia dritta.

    Dopo qualche momento si fermò, avvertendo un cambiamento nell’oscurità. Accostò la torcia al muro e qualcosa lo sconvolse. La avvicinò in modo da distinguere le immagini sulla parete: uomini armati a cavallo, guerrieri su bighe d’oro, una processione diretta verso un personaggio di alto rango dalla barba scura e con una corona d’oro sulla testa. Dietro di lui si ergeva un’ombra, più alta, magra e maestosa del re stesso.

    La conoscenza, a lungo sepolta nella sua psiche, proruppe, stordendo Val. Il Libro delle Mortalità.

    «Quanto pensi siano antichi?» domandò Michel. «E a chi diavolo si stanno prostrando?»

    «Impossibile dirlo con certezza» disse Val mentre studiava le pitture. «I pigmenti sono luminosi; come se fossero stati dipinti ieri».

    «Ma non è così, no?»

    «No». Val guardò ancor più da vicino. «Nessun raggio di sole a farli scolorire, e lo stile è senza dubbio fenicio». La torcia si spense, e ne tirò fuori una seconda. Si illuminò. «Il re potrebbe essere David o Salomone. I fenici costruivano templi di legno di cedro per entrambi». Si abbassò. «Ma guarda il sigillo. È quello di Salomone».

    Gli occhi di Michel si spalancarono. «Le miniere di re Salomone. Fiumi d’oro! Ecco quello che cerchi!».

    «Non essere sciocco. Le miniere di re Salomone non sono una cosa reale».

    Ciò nonostante, i due mercenari di Michel abbandonarono le posizioni e si avvicinarono. Le loro facce lasciavano intravedere la propria avidità come un’immagine proiettata sullo schermo di un cinema.

    Val tirò su col naso. «I fiumi d’oro di Salomone sono veri come El Dorado». Ma ora sapeva che poteva essere una bugia e che lì poteva trovarsi il portale che dava accesso alle miniere. Le pitture rupestri erano più affascinanti e spaventose di quanto avesse fatto credere a causa dell’esile e oscura figura dietro il re che reggeva un oggetto. Val non riusciva a capire cosa fosse: un piatto cerimoniale, un disco reale, qualcos’altro? All’interno vi era inciso un quadrato d’oro, dentro il quale a sua volta c’era un triangolo bianco e nero con una decorazione rosso sangue. La cosa più bizzarra era che il sigillo appariva dipinto tridimensionalmente, come un quadro di M.C. Escher: una singola superficie ininterrotta in tre dimensioni. Val si avvicinò così tanto che il suo naso era quasi incollato alla roccia. Sembrava impossibile; non aveva mai incontrato pitture fenicie, o di qualunque altra cultura antica, dipinte in tre dimensioni, figurarsi in quel modo. Qualcosa di primitivo, nella sua pancia, si contrasse, e l’odore si fece di nuovo intenso. Questo lo rese così euforico che riuscì a stento a respirare.

    «Guarda qui, Michel. Hai mai visto un oggetto così?».

    La sua guida fece segno di no. «Direi di no».

    «La figura nell’ombra dietro il re glielo sta porgendo».

    Michel si girò per guardare Val. «Quale figura? Non c’è niente dietro il re, eccetto quelle strane scritte circolari che sembrano una combinazione di greco e simboli matematici». Osservò più da vicino. «Sembra un linguaggio più antico della razza umana».

    Val e Michel continuarono a scendere. I mercenari li seguivano, in qualche modo riluttanti, lanciando sguardi alle loro spalle, come se pensassero che le miniere di re Salomone fossero dietro la sua immagine.

    Da parte sua, Val era profondamente irritato. Gli sembrava impossibile che Michel non avesse visto la figura dietro re Salomone. Val se l’era immaginata? Era solo l’ombra di uno dei mercenari dietro di loro che era sparita quando si era mosso? Entrambe le spiegazioni sembravano plausibili, ma nel profondo Val sapeva di conoscere la verità. L’ombra era lì; dava a Salomone un disco o una sfera con delle scritte così bizzarre – Michel aveva ragione – da sembrare più antiche della razza umana. Quell’ombra aveva riportato Val alla sua camera da letto, all’infanzia. Rabbrividì per la paura e per l’eccitazione.

    Qualche centinaio di metri dopo il terreno si appianò.

    «Che succede?». La voce di Michel lasciò trapelare un po’ di soggezione: era ovattata, come se lui stesse parlando sott’acqua. «Non è come le altre grotte che abbiamo visitato».

    «No» confermò Val. «Questa parte è fatta dall’uomo». Tremila anni fa gli suggerì qualcosa nella sua mente, ma di nuovo non disse nulla.

    Michel si abbassò, la sua mano sulla superficie del terreno. «È liscio» esclamò, quasi sopraffatto. «Come il pavimento di una casa».

    E di nuovo Val fu riportato alla sua camera da letto, da piccolo. Era la notte del suo quinto compleanno. Aveva ricevuto un triciclo, un Babar, un grande set Lego Star Wars, da cui aveva costruito più di una volta la Morte Nera e che aveva distrutto con un Lego

    X

    -Wing, proprio come Luke.

    A parte la lucina da notte, tutto era buio nella stanza e lui era troppo eccitato per dormire. Aveva cullato e sussurrato delle parole a Babar, il re elefantino, le cui storie gli venivano raccontate dal padre in francese.

    Una brezza gli aveva solleticato il viso. Aveva girato la testa e guardato verso le tende di Star Wars, udendo il canto delle cicale arrivare dalla finestra aperta. Aveva visto sua madre chiuderla prima di spegnere la luce, preoccupata che potesse prendere un raffreddore come se il tenue vento di una notte di aprile avesse qualche oscuro disegno nei suoi confronti. Fuori, la luna piena navigava sulle nuvole come una barca, spargendo luce sul pavimento della camera da letto. E poi sentì un odore: animale, vegetale, minerale? Nessuno dei tre. Qualcos’altro, e aveva osservato la luna chiedendosi di cosa si trattasse.

    L’odore. Di nuovo avanti nel tempo, nel presente, sull’orlo della volta della caverna, sulla soglia della sua camera d’infanzia, che si mescolarono fino a diventare un tutt’uno.

    «Che stai facendo?». Michel provò ad afferrare il braccio di Val e tirarlo all’indietro, ma lui lo allontanò e corse verso il cuore della grotta. Michel rimase interdetto. Allarmato dall’azione di Val, era comunque restio a fermare fisicamente il proprio cliente. Si girò verso i due mercenari. «Quanto è grosso questo posto?»

    «Parecchio, cazzo» disse uno.

    «Non si vede la fine» aggiunse il secondo.

    «Cristo». Michel si passò una mano tra i capelli, sentendo il sudore. «Andategli dietro» ordinò. «Impeditegli di farsi del male».

    Tirò fuori la sua Glock 9mm, tolse la sicura e seguì l’uomo. Storse il naso: l’odore penetrava fin nel cervello, ormai sempre più forte a causa dell’aria secca nella caverna. Le tempie di tutti pulsavano per il terribile mal di testa e ogni respiro recava dolore.

    Prima di fare una mezza dozzina di passi, vide l’esplosione di colpi di un

    AK

    -47 e udì la detonazione rimbombare ancora e ancora. Scattò in avanti, chiamando i suoi uomini, poi urlò il nome di Val.

    Un’altra esplosione di colpi, stavolta così vicina che quasi lo accecò. Per poco non inciampò su uno dei suoi uomini che giaceva a terra, contorto e immobile. Michel si inginocchiò accanto a lui, lo toccò e quasi immediatamente indietreggiò. Sembrava che ogni osso nel corpo dell’uomo fosse stato spezzato.

    Si guardò intorno ma nelle vicinanze nulla si muoveva. Tutto fermo, come morto. Con la mano libera girò il cadavere per vederne il volto. Saltò in piedi cominciando a piangere e imprecare insieme. La faccia dell’uomo era sparita, come mangiata dall’acido. Ma non c’era nessun acido al mondo capace di liquefare pelle, viscere, muscoli e cartilagine così velocemente da lasciare il teschio scoperto. Il viso gli era stato strappato via? Ma non c’era sangue, nessun brandello di pelle o muscoli alle estremità. Come se la faccia si fosse sciolta.

    Michel si allontanò, premendosi le tempie con i polpastrelli. Si concentrò sulla sua manica, sperando di aver avuto un’allucinazione dovuta al cattivo odore. Ma quando si voltò, sentì lo stomaco rivoltarsi alla vista del cadavere.

    Sbandando, si inoltrò nella caverna, con la Glock puntata davanti a sé, l’indice pronto a premere il grilletto in qualsiasi istante nel caso si fosse palesato quello che aveva massacrato il suo uomo.

    Val girò la testa verso l’ombra o quello che pensava fosse un’ombra, un nero più profondo nell’oscurità oltre la luce della torcia.

    E ancora una volta tornò indietro nel tempo alla sua infanzia, alla notte del suo quinto compleanno, alle cicale, alla luna piena e all’ombra in mezzo alle ombre della sua stanza. Le tende che svolazzavano. Il pavimento, dalla finestra al letto, coperto di ombre e riflessi della luna che sembravano trasformare la camera in una cella da cui non poteva scappare.

    Nella sua camera da letto l’ombra tra le ombre si muoveva, nella caverna l’ombra tra le ombre si muoveva: i loro movimenti sembrarono sovrapporsi, sincronizzati, diventando una cosa sola e cancellando spazio e tempo. Improvvisamente, Val si sentì pesante, come se la gravità fosse aumentata di colpo, avviluppando e immobilizzando i suoi piedi. Provò a spostarsi ma non ci riuscì.

    Come se stesse intuendo le sue difficoltà, uno dei mercenari di Val gli apparve al fianco.

    «Lo vedi?» sussurrò Val. «Lì, nell’ombra, da destra a sinistra».

    Il mercenario afferrò il grilletto del suo

    AK

    -47, scaricando proiettili nella direzione del movimento. Nello stesso istante, Val urlò: «No! Non sparare!», ma la sua voce fu inghiottita dal rumore dei colpi.

    «Rimani qui» ululò il mercenario, scattando verso l’ombra.

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