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La famiglia di Zebedeo: e altri racconti un po' in giallo
La famiglia di Zebedeo: e altri racconti un po' in giallo
La famiglia di Zebedeo: e altri racconti un po' in giallo
E-book224 pagine3 ore

La famiglia di Zebedeo: e altri racconti un po' in giallo

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Info su questo ebook

Anni 60: chi è stato ad aggredire Zebedeo detto Zeb, emigrato dalla sua isola nel continente con tutta la sua numerosa famiglia? Questo è il tema del primo racconto, in anni passati finalista al premio Calvino. L'aggressione è il frutto di vecchi rancori, o c'entra in qualche modo il giovane Domenico, che nel secondo racconto appare in precedenza sospettato, al suo paese, di una violenza? E poi: dove è finita ai tempi del covid la giovane Isabella, sulla cui scomparsa cerca di indagare Dorotea, la sorella minore? Nel quarto racconto, ambientato ai tempi del Fascio, la domanda è: chi ha ridotto così male Tranquillo, irritabile ferrovie-re padre di Fata? Lo spunto giallo offre il pretesto per qualche piccola analisi psicologica e rappresentazione sociale.
LinguaItaliano
Data di uscita9 gen 2023
ISBN9791221448566
La famiglia di Zebedeo: e altri racconti un po' in giallo

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    Anteprima del libro

    La famiglia di Zebedeo - Anna Maria Dalla Torre

    LA FAMIGLIA DI ZEBEDEO

    INDICE

    Nei dintorni di Amisina

    Un evaso e due donne

    Ad Artirana

    Zeb e Catald

    Esperia

    Angela

    Cettina

    La comunione di Rosa- Li

    Azio e Pietrin

    Domenico, oh Domenico.

    Gelosia

    Regali di Natale

    L’inchiesta: di chi la colpa?

    Deposizioni …

    e soluzioni

    Attesa

    E’ inutile cercare la città di Artirana o quella di Amisina sulle carte geografiche: come luoghi dello spirito, potrebbero essere dovunque.

    E’ parimenti inutile chiedersi se sono veramente vissuti Zebedeo detto Zeb con i suoi figli Cettina e Salvo, ed Esperia con sua sorella Angela, e i bimbi Azio e Rosa-Li, o Catald e Domenico e Pietrin–due- soldi.

    Mutati i nomi, essi sono vivi dovunque, perché la loro verità è nelle anime e non nei particolari della storia.

    UN EVASO E DUE DONNE

    Dintorni di Amisina

    Chi c’è, in casa? aveva chiesto l’uomo dietro di lei, premendo minacciosamente qualcosa di duro alle sue costole. Niente scherzi. Chi c’è in casa.?

    Nessuno. Catena aveva risposto. Poi si era corretta. Nessun estraneo. Solo Poddy…. mia sorella …Ma quest’anno ho affittato una stanza a una maestra, che ora … non c’è, perché è in vacanza; ma ha diritto di tornare quando vuole. sussurrò lei, come ad ammonimento. In realtà voleva aggrapparsi a una speranza.

    Vediamo . Aveva detto l’uomo. Non voglio sorprese. Vai tu avanti .

    Catena aveva spinto la porta, avevano percorso insieme una serie di anditi bui e stanzette. L’uomo aveva dato un’occhiata di traverso alla fotografia del marito di lei, Antonino, in salotto (al posto d’onore per visibilità, di fronte a un grande divano coperto da un lenzuolo); poi aveva girato velocemente lo sguardo sui gingilli e sulla chincaglieria di Catena, con una piccola smorfia di sprezzo .

    Al piano di sopra ci sono le camere da letto. Lei aveva sussurrato.

    Andiamo. Avevano salito insieme le scale. Davanti alla porta della camera di Leopolda, Catena si era sentita ancora di più le gambe deboli e la gola secca, come se solo allora misurasse veramente tutta la pericolosità della cosa.

    Mia sorella aveva sussurrato.

    Apri E l’uomo si era messo in modo da essere coperto dal battente della porta.

    Sei venuta a chiamarmi, Catena? aveva detto Poddy con voce puerile di scusa alla sorella. mi alzerò…domani; per ora, proprio non posso, non mi sento.

    La vita di Poddy era da molto tempo fatta di buone intenzioni declinate al futuro.. E’ che per ora proprio non sto bene. E non ho fame.

    Non ti preoccupare, ti porto su io qualcosa, quando è pronto. Aveva risposto Catena, meravigliandosi lei stessa della tranquillità della sua voce, e poi aveva richiuso la porta.

    Erano scesi.

    "Ma è proprio…? Aveva chiesto l’uomo a Catena , tenendola ferma con un braccio e toccandosi la tempia con l’altra mano. Indicava con un cenno del capo la camera di Poddy.

    Dalla morte di nostro padre. Anzi, da un po’ prima. Da quel giorno… Aveva risposto Catena, con un’allusione che, pur nel tremore della voce, era sembrata una sfida. Da quel giorno Poddy è come fosse una bambina. Una bambina malata.

    Avete il telefono? chiese l’uomo, dopo un momento di silenzio.

    Catena esitò un istante prima di rispondere. Aveva fatto mettere il telefono due anni prima. Sembrava un lusso in un paese in cui i telefoni si potevano contare- quelli dei negozianti, del medico e di pochi altri- ma si era affezionata all’idea, da quando la sorella si era sentita improvvisamente male, una notte .

    Due donne sole, allora aveva detto, in un posto un po’ isolato. E’ necessario averlo, il telefono, per ogni evenienza.

    Si vide per un attimo attaccata al telefono, formare furtivamente un numero, il numero del droghiere che vendeva di tutto – si vide denunciare: C’è da me l’evaso. Avvertite la polizia. Che vengano a prenderlo; è da me.

    Il solo pensiero la fece diventare improvvisamente tutta sudata, come prossima a svenire; lo allontanò subito come un’ipotesi da scartare. Neppure per un attimo pensò veramente possibile realizzarla. Pure era certa di odiare quell’uomo, anche dopo tutti quegli anni.

    Il telefono è in salotto. Ha il lucchetto, per precauzione, perché quest’anno abbiamo la maestra.

    La chiave, voglio. Devo fare qualche telefonata…a qualcuno. Non vi capiterà niente se non farete imprudenze.

    Non ne faremo disse Catena, percorrendo il corridoio. Scesero verso il salotto. Era l’ultima stanza a pianterreno; aveva anche un uscio che dava sul retro della casa.

    L’uomo vi si affacciò: vide un cortile un po’ trascurato, con alcuni pali che reggevano i fili tesi per stendere la biancheria, un vecchio mobile che marciva al sole e alla pioggia, e conteneva un po’ di ciarpame in disuso, che sporgeva da un’anta lasciata socchiusa. Parve soddisfatto di ciò che aveva visto e chiuse la porta, ispezionando attorno , di nuovo, con lo sguardo.

    Se provi a denunciarmi e mi prendono- aggiunse-ricordati che scappo di nuovo e ammazzo te e tua sorella. O vi faccio ammazzare da qualche mio amico . Ricordati che io ne ho ancora, qua attorno.

    Io non denuncio nessuno. Disse Catena con la voce tremante di paura. Ma possono scoprire lo stesso…

    No- disse l’uomo- non qui per lo meno. Non credo che vengano a cercarmi proprio qui .

    No…Neanche io. disse Catena.

    Devo fare qualche telefonata…di precauzione. Avvertire qualcuno. Non capiterà niente a voi due se non farete imprudenze.

    Non ne faremo disse Catena in un sussurro.

    Poi lui volle mangiare qualcosa in cucina.

    Adesso basta con questi piatti, disse lui deponendo lo stecchino, con cui fino ad allora si era stuzzicato i denti con aria pensosa.

    Si alzò e si mise dietro a Catena, dopo essersi fatto scivolare in una tasca il coltello con cui erano stati affettati i salumi e nel’altra la chiave del lucchetto del telefono.

    Lei, senza voltarsi, con il collo tutto irrigidito, continuava meccanicamente a passare una spugnetta sulle piastrelle, davanti all’acquaio.

    Adesso basta. ripeté lui e le mise le mani attorno alla vita.

    Catena se ne stava tesa e immobile, e sentiva tutte le membra dolerle per lo sforzo, mentre il cuore le batteva forte.

    Andiamo di là - disse l’uomo, spingendola- ti ho detto: ho da fare e ricevere qualche telefonata.

    In salotto, si mise a cavalcioni su una sedia, vicino al telefono, dopo aver spinto Catena su una sedia accanto, contro il muro. Telefonando, guardava la grande fotografia inquadrata appesa sopra il divano.

    Non voglio quella foto qui in salotto, disse poi accennando al quadro .

    E’ lì da tanto tempo, da quando è morto- rispose Catena con voce appena udibile- Sarebbe strano se io la togliessi.

    La telefonata aspettata finalmente arrivò e l’uomo rispose a monosillabi, sempre guardando fisso Catena. No, nessuno penso mi cerchi. ..proprio qui .disse infine prima di deporre la cornetta.

    Stette un bel po’ seduto in silenzio. Nella sua mente si sovrapponevano i momenti dell’evasione e i progetti su come organizzarsi l’immediato futuro.

    Avevano pagato un agente che aprisse le loro celle pochi minuti prima di mezzanotte: a quel punto poi sapevano che avrebbero dovuto arrangiarsi da soli. Tutti e tre avevano raggiunto correndo il tetto dell’infermeria: c’era un salto di cinque metri per arrivare sul tetto della palazzina abitata dalle guardie – un’acrobazia da farsi a un bel po’ di metri di altezza; certo non bisognava avere paura del vuoto, né guardare in basso temendo di sfracellarsi . Era stato allora che uno di loro aveva avuto un primo cedimento.

    Non ce la faccio, mi sono preso una storta, proprio non ce la faccio, mentre Dai, gli gridava lui sottovoce con i compagni. Dai scemo che è solo questione di poco, dai! Lasciarsi poi scivolare lungo il tubo dell’acqua, le mani ghiacciate per la paura: ancora un salto di quattro metri per giungere al vano motore della pompa. Dai, gridavano sotto i compagni all’ultimo del gruppo, ma quello saltava male, peggio ancora di prima, la faccia contratta da una smorfia di dolore. Sussurrava: Ho paura , ho paura di essermi rotto qualcosa." e loro lo avevano preso uno per un’ascella , l’altro per l’altra…

    Poi il cancello altissimo verde che dà sul giardino del direttore. Il cancello cede; non ce la faccio lasciatemi qui !mormora il ferito che non riesce bene a sorreggersi agli altri .

    Ancora un cancello; questo non cede; di là c’è il mare; si sente il rumore della risacca contro gli scogli.

    Lì deve esserci la barca ormeggiata, se l’appoggio esterno non ha fatto cilecca.

    Alt grida una voce alle loro spalle: è uno degli agenti che un mese prima è stato preso in ostaggio nella rivolta- maledetto, ora si mette di mezzo. Una raffica di mitra squarcia l’aria ; tutto il carcere sussulta sotto l’ululare dell’allarme (anche il cuore sussulta; così si deve sentire una lepre braccata).

    Dai che il cancello ha ceduto: ecco il mare, ecco la barca. Troppo difficile trascinarvi di peso il ferito, anche a volerlo ( quello ha una smorfia sulla faccia e la caviglia che gli si sta gonfiando a dismisura)- mentre il mare attorno luccica intorno agli scogli.

    Il porto si stende silenzioso davanti a loro: vecchie carcasse grigie, navi con un’aria di abbandono e di sporco-e intanto il grido dell’allarme impallidisce alle spalle, gli scogli di Punta * * * vengono incontro come sagome più buie del buio- forse si è salvi.

    Lasciatemi qui, non ce la faccio. Lasciarlo al riparo di quegli scogli. Può darsi che la motobarca della capitaneria non lo veda e che possa farcela… ancora, in qualche modo. Andate. Andate voi.

    Ecco, chissà se il poveretto era stato pescato dalla motobarca che perlustrava le acque lì attorno…E quell’altro compagno, che voleva confondersi tra i bagnanti in costume? Chissà se era stato ripreso.

    Lui certo era stato fortunato.

    Sembrò ricordarsi di qualcosa, controllò nervosamente l’orologio, andò verso la radio che troneggiava vicino a un pianoforte, la sintonizzò sul radiogiornale.

    Poi andò verso Catena, l'afferrò per un braccio e la costrinse a seguirlo verso il divano. Lei si lasciò trascinare senza guardarlo. Aveva immaginato quella conclusione, seppure dopo che erano passati anni dal primo incontro dal primo incontro.

    Clamorosa evasione dal carcere di A…: un pericoloso bandito è ancora in libertà….

    Dunque gli altri due – quei poveracci-erano stati ripresi. Lui non ancora.

    Catena non ebbe alcuna reazione quando sentì le mani calde dell’uomo che la frugavano nervosamente sotto i suoi vecchi abiti neri.

    Non farti venire strane idee, disse l’uomo, seguendo lo sguardo di lei verso la vicina poltrona, dove lui aveva appena deposto la giacca, con la tasca da dove spuntava il coltello.

    Dopo…si rilassò un poco, disteso su di lei, ancora ansimando.

    Ogni tanto scuoteva il capo- troppe cose gli tornavano in mente di quel piano di fuga studiato in ogni dettaglio.

    Richiedeva abilità e destrezza. Non soffrire le vertigini. Lasciare la presa al momento giusto e calibrare il salto. Avevano calcolato i metri e stabilito l’itinerario…In questo il suo apporto naturalmente era stato essenziale. Procurarsi l’appoggio all’esterno e all’interno… questo per lui non era stato un problema. S’erano allenati per saltare quei metri. Avevano anche costituito una squadra di atletica leggera. Bravi, vi fa bene far ginnastica. Scarica. s’era complimentato il direttore, dando il permesso. Tutto ciò che rieduca è un bene..

    Tutto da ridere , alle spalle di quel vanitoso imbecille.

    Sogguardò Catena, ripensò alla prima volta che l’aveva vista, anni prima, secoli prima… Quando il signor Francesco, nel suo bar, aveva chiamato la figlia Catena a servire i gelati da passeggio, mentre la sorellina, la piccolissima Leopolda, detta Poddy, circolava tra i tavolini, canterellando.

    Lui era entrato e aveva chiesto da bere.

    Però voglio esser servito da lei. Fuori, a un tavolino. aveva detto indicando Catena.

    Mia figlia non serve ai tavolini aveva risposto il signor Francesco, con aria imbarazzata, ma il tono deciso.

    E’ solo per i gelati da passeggio.

    Io voglio essere servito da lei. aveva ribattuto lui con aria di sfida, agitando come una lama il suo naso.

    Avete sentito? era intervenuto, dal suo angolo di abituale cliente, il dottor Antonino con il tono paziente di chi vuol convincere l’irragionevole. Se lei non serve ai tavolini… La signorina non è per i tavolini- aveva ripetuto- è solo per i gelati da passeggio. Aveva poi aggiunto quasi tra sé: Accontentati del cameriere.

    Del tu mi hai dato? – Lui aveva sfoggiato allora l’ arroganza che a Catena da allora le sarebbe stata ( con tremore) ben fissa in mente, e aveva sferrato un pugno, e un altro e un altro ancora al dottor Antonino; lo aveva fatto stramazzare rompendogli gli occhiali. Rispetto prima di tutto!"

    Ehi ,dico, ma lo vuoi ammazzare? gridava il signor Francesco, senza osare però intervenire, ...ma una gragnuola di pugni era toccata anche a lui egualmente.

    Per i bicchieri e le birre aveva detto quel dannato capatosta alla fine, con disprezzo, quando aveva giudicato di averne date abbastanza.; e aveva lasciato cadere un biglietto tra i cocci e i tavolini rovesciati: Il resto…per bere alla mia salute. Poi si era dileguato.

    Il signor Francesco, svenuto, era stato fatto rinvenire, e si era cercato di fargli bere un po’ di liquore forzandone con un bicchiere le labbra rigonfie( Non è niente, continuava a ripetere, non è niente.) mentre la piccola Poddi si disperava vicino a lui e Catena tornava dal retrobottega con la carta da zucchero e due bistecche- rimedi giudicati da tutti sicuri.

    Quando, pochi mesi più tardi, suo padre era morto di infarto, Catena, venduto il bar, aveva sposato il dottor Antonino…E quando era morto prematuramente anche lui, aveva posto la sua fotografia a campeggiare in salotto, con un tavolino vicino, su cui era appoggiato un ciuffo di rose finte in un vaso di maiolica azzurra: in omaggio al coraggioso defunto, per eterna riconoscenza.

    Catena in quel momento, era sopraffatta non solo dai ricordi…ma da quella presenza. Quella faccia da manigoldo le era sempre stata presente, con il naso arcuato, il mento lunghissimo, ora sfregiato da una cicatrice. E non riusciva a non pensare, con tremore, anche a Leopolda…di sopra. Era stata lei che da quell’episodio aveva subito le più durature conseguenze : la piccola Poddy.

    Da quel giorno lontano era infatti regredita e diventata un disastro.

    Aveva cominciato a farsi la pipì addosso.

    Cresciuta, non faceva nulla , né a casa né a scuola, tanto che si era dovuto ritirarla; e in camera sua lasciava ogni cosa fuor dei cassetti, buttata a terra o ammucchiata in silenziosa protesta.

    Catena aveva finito per considerarla un po’ sua figlia, visto che di figli suoi non ne aveva avuti. La vestiva e lavava, entrava nella sua stanza ad ogni momento, per farle un po’ di compagnia e mettere un po’ d’ordine, lei che invece aveva certe esasperate, maniache attenzioni per le cose messe al loro posto.

    Dopo quella volta, quel capatosta sbruffone aveva continuato ad entrare e uscire dal carcere, per motivi suoi, sempre circondato da un certo rispetto perché si sapeva che aveva degli amici.

    Ed ora, dopo tanto tempo, eccolo qui, e Poddy era in casa, di sopra.

    Lui si era insediato a casa loro (ma come gli era venuta l’idea?)… Catena era molto preoccupata soprattutto per Poddy.

    Sta’ attenta a quello che fai, se non vuoi che capiti qualche cosa a Leopolda. Ripeteva ogni tanto lui afferrandola bruscamente per un braccio.

    Io faccio quello che vuoi. Rispondeva Catena, con tono sottomesso, pensando: Se fa qualcosa a Leopolda, Signore, giuro, io in qualche modo lo ammazzo.

    Per ora bisognava obbedirgli anche nelle piccole cose.

    Togli quel quadro. Aveva imposto lui.

    E lei aveva obbedito . La fotografia di Antonino era sparita dalla parete, anche se rimaneva, eloquente, il riquadro più chiaro della tappezzeria a segnare il suo posto. Era quel riquadro a cui si rivolgevano gli occhi di Catena, quando lui la trascinava sul divano, per ingannare l’attesa, vicino alla radio accesa sempre, febbrilmente, all’ora del notiziario. Era quella l’unica differenza che si sarebbe potuta notare, se qualcuno fosse entrato, ma amiche e conoscenti ora venivano congedate sulla porta per ordine espresso di lui. Scusate, ma per ora… non stiamo bene. Non c’era più in giro né una penna né una matita: lui temeva un qualche biglietto traditore consegnato di soppiatto nelle mani di chi suonava alla porta… anche se lei sapeva benissimo che la prima ad andarci di mezzo sarebbe stata Poddy , e quindi non si sarebbe azzardata.

    Ma che ti succede? Sparita sei? le chiedeva l’amica Consolata, e Catena accampava la scusa di

    qualche malessere suo o di Poddy. Per questo motivo la spesa veniva fatta per telefono, del cui lucchetto lui deteneva la chiave . Era una spesa po’ più abbondante del solito, con più scatolette ( per non scomodare sempre il negoziante, che gliela faceva arrivare), ma non così abbondante da insospettire. Si raccoglieva molto più dall’orto, coltivato da Catena.

    Pur nella paura, la vita andava assumendo un suo ritmo regolato, nonostante le stranezze (in cucina non c’era più a loro disposizione un coltello, ad esempio).

    L’uomo si era tagliati cortissimi i capelli, e si stava facendo crescere la barba. In un cassetto aveva trovato un vecchio paio di occhiali da sole e se ne era appropriato. Non ti preoccupare, non ho intenzione di star qui per sempre ripeteva. Solo quel tanto che basta.

    Chi è? aveva chiesto Poddy, per la prima volta imbattendosi in lui, quando era scesa dalla sua stanza. Così lui volle farsi presentare a Leopolda: un vecchio parente in visita, che ogni tanto scherzava con lei, e le insegnava a giocare a carte.

    Guarda di non far niente a Leopolda. Aveva detto

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