Offset: memorie da blog
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Info su questo ebook
“Un titolo particolare per un libro che può tranquillamente essere definito fuori dagli schemi. Si tratta di un’antologia di ventitrè brevi racconti tratti dai blog dell’autrice, che non rispettano alcuna regola di omogeneità.
Volendo trovare un punto in comune tra tutti, lo si può individuare nella vena d’ironia che traspare, più o meno marcatamente, in ogni racconto: è proprio questa che riesce ad alleggerire anche l’argomento più ostico, là dove è appena accennata, fino a divertire, quando è più spiccata.”
Ornella Nalon
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Anteprima del libro
Offset - Loredana De Michelis
Loredana de Michelis
OFFSET
© Loredana de Michelis 2015, tutti i diritti riservati. È proibita la pubblicazione di questa opera, in tutto o in parte, senza il permesso e la citazione dell'autore.
UUID: 96167c8c-89cd-11e7-87cd-49fbd00dc2aa
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
http://write.streetlib.com
Indice dei contenuti
Italian Movie
Pollo alla Diavola del Magico Micio
Dubai
L’educazione siberiana di Nicolai Lilin
E io smetto di fumare
C’era una volta Isola Rossa
Amor Borghese
Halloween
Mio padre
Quando c’era Berlinguer
Storia di Astypalea secondo i gatti
Panama: Isla Contadora
Differenze culturali
Il funghetto ci ucciderà tutti
Cacao
Piccolo manuale per Gatti sul Comando del Pensiero Umano
Cercami su Facebook
Tango
Natale
Apparenze
Clima e scie aeree di pensiero
Natura morta con cagnolini
Il ritratto che Art Kane fece alla mafia
Libri di Loredana de Michelis: brani in anteprima
Lettere da Londra Underground
Preferisco vederci chiaro
La fine degli ultimi predoni
Sull'isola di Naxos c'è un tesoro
Visotonic Autolifting Muscolare del Viso
Nerd Fitness
Italian Movie
Possiedo legalmente una bella, grande terrazza.
L’area di parcheggio sottostante, che sarebbe anch’essa privata, è posseduta di prepotenza dagli avventori del Junk Sex, che d’estate amano disseminare il terreno di fazzolettini sporchi e preservativi usati, di preferenza rossi.
Allora io metto sulla terrazza un bel faro potente che si accende col movimento sottostante.
Allora loro mi tirano un mattone per scassare il faro, ma non lo centrano e mi rompono un vaso.
Allora io vado al mercatino dell’usato e mi procuro una vecchia pistola ad aria compressa che spara pallini di plastica, rossi.
Sparo.
Un rumore tremendo. Il pallino resta in canna e cade inerme a terra quando cerco di ricaricare.
Mi sembra una triste parodia e c’è chi dice che dovrei lasciare perdere, ma a me secca, perché gli stessi che dicono che dovrei cambiare quartiere sono anche quelli che scrivono su Facebook: Non mollare mai!
e firmano le petizioni per la difesa delle minoranze.
Allora io alla maggioranza che si aggira lì sotto, tiro la pistola. Tanto non funziona.
Loro aspettano che faccia buio e mi tirano indietro una bottiglia di plastica riempita di ghiaia. Neanche questa volta centrano il faro, ma rovesciano una sedia e i miei gatti, che si godono la terrazza a notte fonda, rientrano in casa di corsa con il pelo dritto e gli occhi stralunati.
Siccome i miei gatti non si toccano, adesso è guerra per davvero.
Mi attrezzo per passare la notte estiva sul terrazzo. Sono munita di cartelli su cui ho scritto: È VIETATO DI LORDARE IL PUBBLICO SUOLO, PENA L’ARRESTO. Legge n° 46 del 1922
e SCOMMETTO CHE A CASA TUA RICICLI, BRUTTO MAIALE
. Sul tavolo ho: megafono, mattone che ho conservato, martello in seconda battuta, sigarette, birra, grappa e noccioline.
Alle 03.00 mi addormento a faccia in giù sul tavolino, e il faro, che contavo mi svegliasse al momento giusto, non si accende mai. Si è bruciata la lampada alogena: tutto quel viavai dei giorni precedenti, accendi e spegni. Si è bruciata.
Sono le sei del mattino e io esco di casa in pigiama, con un vecchio, grosso rastrello, per pulire il cortile e andare a dormire.
Sotto casa è parcheggiata un’auto della Polizia Penitenziaria. Il poliziotto in divisa sta chiacchierando al cellulare, appoggiato al cofano. Sembra mandato dal mio angelo custode e mi avvicino fissandolo speranzosa.
Lui guarda me e il rastrello e i suoi occhi si fanno… non so, attenti, tipo.
Dice: Ti richiamo dopo
, chiude la telefonata e mi fissa. Io non so bene cosa dire, mi aspettavo qualcosa di più formale, come: Buongiorno Signora, in cosa posso esserle utile?
. Invece lui mi fissa e fa un cenno verso gli alberi, dai quali sbuca un suo collega munito di ricetrasmittente, che appena mi vede non si mette proprio a correre, ma diciamo che accelera l’andatura.
Deliziata da tanta solerzia espongo le mie lamentele e finalmente i due brav’uomini si rendono conto del mio dramma, per il quale, mi dicono, non possono purtroppo fare nulla. Però mi danno un consiglio personale: mettere via il rastrello e rivolgermi alla polizia.
Io poso il rastrello. Il resto mi pare che lo sto già facendo.
Ma loro mi dicono che devo proprio fare una denuncia, ogni volta: rompere le scatole alle autorità finché le sfinisco. Li faccia scrivere, devono farlo: vedrà che si scocciano. Ma noi non le abbiamo detto niente
.
Alle 8,30 mi presento al posto di polizia più vicino, dietro la Stazione Ferroviaria. Sulla porta c’è scritto STAZIONE DI POLIZIA e a lato ci sono due stemmi, quello della Polizia di Stato e quello della Polizia Comunale.
La porta non si apre. Suono. Non risponde nessuno. Ri-suono, guardando attraverso i vetri oscurati e sporchissimi. Sembra decisamente un posto abbandonato e giurerei che il campanello è staccato.
Decido di chiedere al negozio di africani subito a fianco: se c’è qualcuno che sa dove si è spostato il posto di polizia, sono loro di sicuro.
Nel negozio c'è gran bella musica e due tizi che molleggiano a tempo sorridendo, ma sono al telefono e non mi prendono in considerazione. Mi aggiro per una mezz'oretta, compro del latte di cocco tanto per fare qualcosa: è carissimo. Finalmente riesco a fare la mia domanda, mentre mi danno il resto prelevandolo dal mucchio di monete ammonticchiate davanti alla cassa, che pare inutilizzata. Sempre ridendo mi spiegano che la vetrina della polizia è un posto per spaventare i poveri passeri: la vera entrata è dall’altra parte dell’isolato.
Faccio il giro. Stessa insegna, stessa porta oscurata. Suono. Silenzio.
Sto per andarmene, quando una vocina di donna spaventata esce dal citofono e chiede: Chi è?
.
Io non so bene cosa dire.
- Devo fare una denuncia. - Uso il tono più grave possibile.
- Per cosa? - chiede la vocina dopo una pausa valutativa.
- Atti vandalici. -
- Ehh, ha un appuntamento? -
- No signora, è appena successo, prima non lo sapevo che sarebbe successo, quindi mi scusi, ma non ho fatto in tempo a prendere appuntamento. -
- Ehh, ma io qui sono da sola e ho tutti gli ufficiali fuori: le conviene andare alla Polizia di Stato. -
Io guardo di nuovo l’insegna per sicurezza: c’è proprio scritto Polizia. Una folla di pensieri mi si affolla e non voglio affollamenti: ho una missione da portare a termine.
- Qual è il posto più vicino dove posso trovare un ufficio denunce della Polizia? - Chiedo sbrigativa.
- In Stazione, dalla Polizia Ferroviaria, binario 1. -
Mi dirigo in Stazione: è a cento metri. Tiro una tale scampanellata all’ufficietto della Polizia Ferroviaria del binario 1, che a momenti ribalto tutti i tabelloni. Mi aprono.
In uno sgabuzzino siede un poliziotto con un grosso condizionatore portatile scassato che gli fa aria dritto sulla trachea. Mi guarda guardingo, ma io non mi faccio intimidire.
- Sono stata mandata qui dall’ufficio di polizia che c’è là dietro, per fare una denuncia. -
- Per cosa? -
- Atti vandalici. -
- Ma glieli hanno fatti qua in Stazione? -
- No, a casa mia: mi tirano mattoni sulla terrazza. -
- Ah, allora deve andare dai Carabinieri. -
- Scusi, ma la Polizia Penitenziaria mi ha detto di andare dalla Polizia. La Polizia di Stato mi ha detto di rivolgermi alla Polizia di Stato che sareste voi della Polizia Ferroviaria. -
- Aspetti che chiamo il maresciallo: Maresciaalloo!
. -
A trenta centimetri da me si apre una porticina e sbuca uno in divisa, piuttosto corpulento.