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Voodoo Child
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E-book483 pagine6 ore

Voodoo Child

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Info su questo ebook

Ci troviamo in una buia palude. Forse perché è notte. Anzi no, forse perché siamo in Louisiana, nel 1909, in un piccolo villaggio di praticanti voodoo. E in più è notte.
La protagonista è Emeline, una bambina orfana di dieci anni. La piccola è testarda e odia chiedere aiuto, ma è costretta a evocare uno spirito per salvare il padre, Auguste, divenuto zombi per opera di uno stregone.
Peccato che lo spirito che le risponde, Ozee, sia l’ultimo arrivato e non abbia le idee molto chiare circa i suoi poteri; per di più indossa un teschio bianco a mo’ di maschera e non sa nemmeno quale sia il suo volto.
Lei desidera recuperare il padre scomparso, lui compiere il suo dovere di spirito; sotto sotto, però, Ozee vuole scoprire la sua natura e qual è il suo posto nel mondo, ed Emeline non vuole restare sola.
Ad accompagnarli saranno Louis Armstrong, prima della fama, quando ancora era solo un bambino loquace e timoroso, cresciuto nella povera e dura New Orleans d’inizio secolo; e il capitano di battello J. W. Simmons, superstite dell’uragano più letale d’America, ora dedito all’alcol e alla diffusione della musica jazz, navigando su e giù per il Mississippi con un complesso di neri.
LinguaItaliano
Data di uscita29 apr 2021
ISBN9788831399470
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    Anteprima del libro

    Voodoo Child - Andrea Gatti

    Voodoo Child

    Andrea Gatti

    Nua Edizioni

    Indice

    Preludio

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Interludio

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Capitolo 16

    Capitolo 17

    Capitolo 18

    Capitolo 19

    Capitolo 20

    Capitolo 21

    Capitolo 22

    Capitolo 23

    Capitolo 24

    Capitolo 25

    Capitolo 26

    Capitolo 27

    Capitolo 28

    Interludio

    Capitolo 29

    Capitolo 30

    Capitolo 31

    Capitolo 32

    Capitolo 33

    Capitolo 34

    Capitolo 35

    Capitolo 36

    Capitolo 37

    Postludio

    Postfazione

    Bibliografia

    Mappa

    L’autore

    Note

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il frutto dell’immaginazione dell’autore. Ogni somiglianza a persone reali, vive o morte, imprese commerciali, eventi o località è puramente casuale.

    Voodoo Child di Andrea Gatti - Copyright © 2021 Nua Edizioni – un marchio Triskell Edizioni

    Immagine di copertina: Andrea Gatti

    Progetto grafico: Andrea Gatti

    Prodotto in Italia

    Prima edizione Nua Edizioni – aprile 2021

    Edizione Ebook:978-88-31399-47-0

    Edizione Cartacea:978-88-31399-34-0

    Preludio

    Bayou Caché, Louisiana

    Martedì pomeriggio, 31 agosto 1909

    I rituali voodoo ¹i nel bayou ²ii erano la cosa che Mae Emeline detestava di più. Non era forse già abbastanza umido, melmoso e poco salubre così com’era per mettersi anche a bere intrugli sospetti e ballare come ossessi fino a farsi cavalcare da un Loa ³iii?

    Quando succedeva – e succedeva spesso – la mambo ⁴iv Bernadette intimava ai bambini come lei di non avvicinarsi, altrimenti sarebbero stati cavalcati da uno spirito malvagio e mangiati vivi.

    Emeline non aveva paura dei Loa mangiauomini, ma tutti gli altri bambini sì, e quando venivano minacciati scoppiavano a piangere come delle femminucce. Essendo lei la più grande, le toccava sopportare quei mocciosi ogni volta che gli adulti decidevano di rivolgersi agli spiriti. Aveva giurato a se stessa che al prossimo pannolino che avesse dovuto cambiare, qualcosa sarebbe andato molto, molto storto.

    «Ti ho già detto di no,» disse Bernadette.

    «Dai, ti prego, farò la brava.»

    «No.»

    La sacerdotessa fece per uscire dalla baracca, una delle tante a Bayou Caché, ma Emeline le si piantò davanti con le braccia tese.

    «Ti giuro che non farò niente di strano. Starò buona in un angolo e non fiaterò.»

    Bernadette la scostò senza problemi col suo grosso braccio carnoso, mentre con l’altro si faceva strada aprendo la tenda scura che pendeva davanti alla porta.

    «No.»

    La bambina la inseguì fuori di casa tirandola per la vestaglia nera coi fiorellini che era per lei quasi una seconda pelle. Emeline, invece, portava una camiciona verde che le arrivava fino alle ginocchia, con una cintura marrone stretta in vita e, sotto, dei pantaloncini corti e sfilacciati. Aveva i capelli neri e riccissimi, tenuti a stento a bada da un cerchietto di cuoio, e due grandi occhi ambrati che risaltavano sulla pelle scura.

    «Ti prego! Gli altri bambini sono insopportabili e piangono sempre. E poi si fanno la cacca addosso!»

    «No.»

    «Non posso stare a casa, almeno? Giuro che non esco.»

    Bernadette continuò a ignorarla, camminando come se niente fosse fino a una seconda baracca. Bussò contro gli stipiti della porta mezza rotta, nonostante fosse già aperta. Il caldo li costringeva ad adattarsi ai capricci del vento, e ogni suo alito era incoraggiato a farsi largo il più possibile.

    «Eddai ti prego, resto a casa!»

    «Sta’ buona, ora,» l’ammonì la mambo. «Pascal, ho qui l’olio van-van che mi avevi chiesto. Sei a casa?»

    All’interno della casetta scricchiolò il pavimento, si sentì un grugnito e dall’ombra uscì correndo un gallo imbizzarrito.

    «Maledetto pennuto… perché diavolo verrà sempre… Ci sono, ci sono,» borbottò una voce maschile.

    Emeline continuava imperterrita a tirare l’abito della donna, che cercava di schiaffeggiarle le mani per togliersela di torno.

    Sulla porta apparve un uomo sulla sessantina con una pelata e una trippa che suggerivano più la settantina. «Eccomi, l’hai portato?»

    «Ce l’ho qua, Pascal. Ricordati di usarlo un’ora prima del rituale, e ricordati anche di portare del rum; sai cosa succede se te ne dimentichi.»

    L’uomo prese la boccetta d’olio ringraziando con un cenno del capo. «Lo so, lo so. Non è stato divertente l’ultima volta.»

    «Ti prego, ti prego,» implorava sottovoce la bambina.

    «Emeline, ora basta! Ti ho già detto di no. Non puoi venire a vedere e non puoi nemmeno stare a casa, sei la più grande e quindi spetta a te badare ai più piccoli.»

    «Ma piangono! E si fanno la cacca addosso!» ribadì.

    «E tu sei grande abbastanza per cambiarli,» disse Bernadette. «Scusa, Pascal, sai com’è.»

    L’uomo le fece segno con la mano di non preoccuparsi, il che fece infuriare Emeline ancora di più.

    «E tu che diavolo vuoi? Se non chiamaste gli spiriti ogni due per tre non sarei in questa situazione! Perché non ve li risolvete da soli i problemi ogni tanto?»

    «Emeline!» proruppe la sacerdotessa. «Chiedi subito scusa!»

    La bambina le tirò un calcio negli stinchi e corse qualche metro più in là. «Mio padre non avrebbe mai dovuto sposarti! Sei grassa e cattiva, mentre mamma era giovane e bella. Non devo fare come dici,» sputò tutto d’un fiato.

    Riprese la corsa per interromperla di nuovo di scatto. «E tu sei un vecchio bavoso!» urlò a Pascal, giusto per chiarire, poi scappò correndo. Bernadette si scusò con l’uomo e si gettò all’inseguimento della piccola peste, che ritrovò nascosta nel pollaio della tribù, pochi minuti più tardi.

    Bayou Caché era un piccolo villaggio di praticanti del voodoo nei pressi del lago Cataouatche, immerso nella palude che accompagna il Mississippi nel suo cammino fino all’oceano. Auguste, il padre di Emeline, l’aveva fondato dopo aver lasciato New Orleans, attirando dapprima una manciata di persone grazie alla sua fama di houngan v, e poi accogliendone sempre di più col passare degli anni. Il villaggio diventò così una piccola comunità voodoo, una delle ultime, visto che la crescente industrializzazione e la tecnologia avevano la tendenza di limare le differenze sociali e culturali, enfatizzando solo quelle economiche. Fu così che New Orleans, grande punto di riferimento della religione voodoo, perse quasi tutti i suoi sacerdoti e finì col diventare a maggioranza cristiana. Auguste aveva accettato questa situazione, anche perché era certo che il voodoo non sarebbe mai scomparso del tutto, soprattutto se avessero continuato a esistere dei piccoli nuclei di resistenza come Bayou Caché.

    Bernadette faceva da madrina a Emeline da qualche anno, e le cose non stavano andando molto bene. Quella era stata l’ennesima lite fra le due, e il modo in cui si era risolta non era piaciuto affatto a Emeline: un’altra nottata a badare ai bambini mentre gli adulti evocavano i Loa. Emeline, però, non era più disposta a fare da balia ai poppanti e sorbirsi anche i piagnistei dei bambini più grandi.

    Quindi loro due avevano un problema.

    E una bambina cocciuta di dieci anni conosce una sola soluzione a un problema del genere: disubbidire.

    Intorno a mezzanotte, Bernadette condusse Emeline nella baracca più grande del villaggio, dove ogni genitore passava a lasciare il proprio pargolo per poi dirigersi alla radura nella quale venivano svolti i rituali. Tutti gli altri bambini erano già sul posto e alcuni di loro, Emeline c’avrebbe giurato, si preparavano a movimenti intestinali degni di un cavallo. Bernadette le lasciò la mano e la spinse dentro alla baracca.

    «Bene, bambini, adesso fate i bravi mentre noi adulti preghiamo gli spiriti. E mi raccomando, che a nessuno venga in mente di avvicinarsi. Sapete tutti che ci sono Loa malvagi che non ci penserebbero due volte prima di mangiarvi vivi. Ricordate Lil-Pierre? È stato inghiottito da Limba in un sol boccone!» intimò dopo essersi schiarita la voce.

    La mambo si guardò intorno per sincerarsi dell’effetto sortito dalla storiella sui bambini, che avevano gli occhi gonfi e pronti a sgorgare lacrime. Non esisteva nessun Lil-Pierre, ma questo loro non lo sospettavano. E poi Limba mangiava davvero le persone, per questo nessuno si prendeva mai la briga di evocarlo.

    «È chiaro, Emeline?»

    La bambina annuì con un’espressione rassegnata, ma celando un piano malefico dietro occhi contriti. Bernadette annuì a sua volta soddisfatta e uscì dalla baracca chiudendosi la porta alle spalle e dando un giro di chiave, tanto per essere sicura.

    Nell’arco di due minuti un concerto di urla, pianti e singhiozzi animò la stanza, mentre esalazioni di certo velenose scaturivano dai pannolini dei neonati. Emeline non alzò un dito. Decise di abbandonarli al loro destino, convinta che ci avrebbero pensato gli altri bambini della sua stessa età nel momento in cui l’odore si fosse fatto insopportabile. Per una volta, altre manine avrebbero soprinteso al misfatto. Sfilò dai capelli una spilla e si mise ad armeggiare con la serratura della porta, convinta di poterla aprire con facilità.

    Il rumore alle sue spalle non aiutava certo la sua concentrazione, ma dopo qualche minuto di inutili tentativi comprese che una spilla non avrebbe mai potuto sostituire una chiave. Maledisse Bernadette: in tutto il villaggio quella era la sola casa con una porta munita di serratura, c’era proprio bisogno di chiuderli lì? E se fosse successo qualcosa ai più piccoli?

    Un ghigno diabolico le si formò in viso e, mentre si voltava a guardare i pargoletti esplosivi, la sua immaginazione divenne fertile e terribile. Dopo qualche minuto speso a fantasticare quale sorte atroce facesse al caso suo, la sua coscienza si fece sentire ed Emeline tornò a concentrarsi sull’evasione. Si guardò intorno e decise che se la porta aveva avuto la meglio, ora toccava sfidare le finestre, anche perché la terza opzione – scavare un tunnel – non la convinceva affatto. Si arrampicò sopra il tavolo che si trovava di fronte a una finestra ossidata e iniziò a ruotare la maniglia. Era bloccata e probabilmente la finestra non veniva utilizzata da anni, ma Emeline provò imperterrita ad aprirla con tutte le sue forze.

    «Emeline…» piagnucolò uno dei bambini più grandi. «Emeline.»

    Quando lei si voltò dovette sembrargli più una fiera che un’umana, perché il bimbo sussultò e fece per proteggersi con le mani.

    «Che cavolo vuoi?»

    «Mio fratello ha f-fatto la cacca.»

    «Che c’è? Vuole una medaglia?» ruggì Emeline.

    «N-no, no!»

    «E quindi? Qual è il problema?» chiese lei, tornando ad armeggiare con la finestra.

    Era una domanda difficile e il bambino non sapeva cosa rispondere. Non era ovvio quale fosse il problema? Non aveva anche lei un naso? E allora perché quella domanda? Di certo era un trabocchetto. Temette che se le avesse parlato della puzza, lei avrebbe ruggito ancora, magari obbligandolo a controllare da dove venisse, o peggio: a cambiarlo! Troppo pericoloso.

    «Cosa stai facendo?» domandò, invece, certo di sciogliere la tensione creatasi.

    «Scappo.»

    Il bambino sussultò ancora, sempre più impaurito. «S-sei pazza?» bisbigliò. «Non hai sentito cosa ha detto Bernadette?»

    Emeline tornò a voltarsi, di scatto e con ira. I suoi occhi lampeggiarono come quelli di una lince e il bambino indietreggiò e inciampò, crollando a terra. Infine, decise di lasciar perdere e di tornare dal fratellino, che magari aveva riassorbito quello che aveva prodotto, nel frattempo. Può succedere, pensò.

    Emeline sentì un leggero scricchiolio, segno che la finestra era indecisa sul da farsi: non del tutto prona ad aprirsi, ma nemmeno a restare chiusa. Saltò giù dal tavolo e si mise a rovistare in un baule impolverato, finché non trovò quello che cercava: un martello. Lo afferrò e tornò sul tavolo, iniziando a colpire con forza la maniglia. Scaglie di ruggine e pittura secca iniziarono a cadere dagli infissi: la finestra stava cedendo. I colpi echeggiarono in tutto il villaggio, ma non c’era nessuno ad ascoltarli; gli adulti si trovavano nella radura del rituale e tra tamburi, urla e canti, era impossibile che notassero qualsiasi altro suono. Quando infine la finestra cedette, altri tre neonati avevano riempito il pannolino.

    Con enorme soddisfazione, Emeline si chiuse la finestra alle spalle, tirando con forza perché tornasse a incastrarsi, e saltò giù dal davanzale.

    1

    La luna era già alta in cielo, un occhio spalancato e brillante che guidava Emeline nel suo cammino fino alla radura. Non ne conosceva il motivo, ma quasi tutti i rituali si svolgevano nelle notti di luna piena. Forse era per non finire tra le braccia del più brutto del villaggio, o forse perché anche gli adulti avevano paura del buio, e un rituale voodoo non è l’occasione migliore dove non vederci un tubo.

    Si diresse a nord, lasciandosi alle spalle la ventina di baracche di legno che costituivano il villaggio. Era situato in una radura, seppure tutte le casupole fossero state costruite sotto gli alberi, per godere dell’ombra durante le torride estati. Sul lato orientale si estendeva Bayou Caché, che quasi toccava le baracche più esposte durante le alluvioni, mentre un altro bayou cingeva il territorio a sud, fino alle spiagge del lago Cataouatche. Il terreno era paludoso e non era mai chiaro dove fosse la riva; per questo motivo quasi tutti possedevano un’imbarcazione per navigare nei bayou. Metà degli abitanti della tribù si dedicava alla pesca, ma c’era anche chi preferiva risalire i corsi d’acqua e lavorare come manovale a Luling o Boutte, mentre tutti si tenevano a distanza dalle piantagioni. Per arrivare alla radura del rituale, Emeline avrebbe dovuto costeggiare il bayou per due o tre chilometri e con il favore della luna piena avrebbe anche evitato di caderci dentro.

    Non era passato molto tempo da quando Bernadette l’aveva abbandonata con i mocciosi, ed Emeline dedusse che probabilmente gli adulti non avevano ancora evocato nessuno spirito e stavano ancora pregando Papa Legba ¹vi di aprire le porte del Crocevia. Con la manica si asciugò il sudore. L’umidità e tutto quello sforzo per aprire la finestra l’avevano accaldata, ma era piacevole correre sotto la luna, nel fresco della notte. Quando infine arrivò in prossimità del rituale, il rumore di tamburi, che nel villaggio si sentiva solo in lontananza, si era fatto assordante. La radura sembrava in fiamme, torce e candele lampeggiavano sotto il chiaro di luna, lottando per il diritto di far luce nell’oscurità. I tamburi sacri, bula, segond e manman, gridavano senza sosta e i loro percussori non erano da meno, dimenandosi e cantando in mezzo alla folla. Emeline si nascose dietro un vecchio cedro e cercò di capire a che punto del rito fossero arrivati. Tese l’orecchio e ascoltò le parole cantate da Bernadette, ripetute con insistenza. Era proprio la preghiera a Papa Legba.

    Atibon Legba, apri le porte per me, agoé!

    Papa Legba, apri le porte così che io possa passare;

    Quando sarò tornata renderò onore al Loa.

    Voodoo Legba, apri le porte così che io possa tornare;

    Quando sarò tornata ringrazierò il Loa, Abobo!

    Era arrivata in tempo, per fortuna. Si guardò intorno per qualche istante e poi partì a razzo verso un secondo albero, un salice nero, dietro il quale recuperò un pacchetto fatto di panni e stracci che aveva nascosto pochi giorni prima. Conteneva una piccola fiaschetta di rum, un sigaro, delle caramelle di zucchero di canna che aveva fatto con le sue mani, vari tipi di peperoncini piccanti, una candela nera, un vecchio cilindro dello stesso colore e un paio di occhiali pince-nez con le lenti affumicate che aveva trovato tra i resti di una baracca dopo un incendio. Erano tra gli oggetti preferiti di Baron Samedi ²vii. Alcuni servivano per invogliarlo a farsi vivo, come il rum e le caramelle; altri per trattenerlo, in quanto era solito ritornare dall’altra parte a meno che non ci fossero un cilindro da indossare e gingilli di classe come pince-nez, monocoli e cipollotti, nonostante il più delle volte fossero mezzi rotti. C’era tutto. Emeline era ben informata, spiare gli appunti di Bernadette e origliare le sue conversazioni si era rivelato utile.

    Gli adulti esultarono rumorosamente, e quasi le fecero cadere per terra la fiaschetta di rum dallo spavento. Papa Legba doveva aver aperto le porte. Emeline rimise tutto dentro al pacchetto e corse di nuovo al cedro, dove si sedette e svuotò il bottino per terra, ordinando poi con cura ogni oggetto sopra un fazzoletto nero che portava con sé. Le porte erano aperte. Il momento era arrivato.

    Dietro di lei, nella radura, ogni adulto portava delle offerte all’altare ai piedi di Bernadette. Quasi sempre si trattava di rum, bevanda gradita a tutti i Loa, ma molti avevano oggetti peculiari tipici di una famiglia o di uno spirito. Il primo a farsi avanti fu Pascal, che si tolse la camicia esibendo il corpo flaccido e scintillante, unto di olio van-van: bevve un goccio di rum e iniziò a ballare e cantare ancora più forte di quanto non avesse fatto fino a quel momento. I tamburi cambiarono ritmo e si fecero più ostinati e ripetitivi, mentre Bernadette pregava un Loa di farsi vivo. Emeline non capì quale, perché la voce della mambo era coperta dal ritmo dei tamburi, ma sapeva che Pascal aveva problemi di cuore e sosteneva di essere stato maledetto dalla sua ex moglie, quindi era probabile che stessero chiamando Ezili Freda, Loa dell’amore romantico. Ezili non avrebbe mai cavalcato Pascal, pensò Emeline, quindi cercò con lo sguardo Camille, una bella giovane che con ogni probabilità sarebbe stata scelta come ospite. A Camille, però, non accadde nulla.

    Dall’altra parte della radura, invece, c’era del trambusto. La folla si aprì e lasciò passare l’anziana signora Rose, che si trascinava aiutandosi con un bastone. I tamburi e le preghiere si interruppero e tutti volsero l’attenzione alla vecchia, che si fermò di fronte a Pascal. Un Loa aveva risposto.

    «Ezili Freda?»

    La vecchia scoppiò in una risata rauca e irritante, sputacchiando sull’uomo senza ritegno. Gli rubò dalla mano il rum e se lo scolò in un istante, poi indicò con un dito artritico lo specchio e il pettine che giacevano sull’altare. Pascal corse a prenderli e li consegnò allo spirito con un’espressione a metà tra il deluso e lo schifato. La vecchia si pettinò rimirandosi allo specchio e ridacchiando con tono frivolo.

    «Siete voi, Ezili Freda?» ripeté Pascal.

    «Lo sono? Lo sembro?»

    «Sembrate più sua nonna…»

    «Sua nonna?» strillò la vecchia. «Sua nonna?»

    Pascal fece per dire qualcosa, ma restò con la bocca aperta e si guardò intorno preoccupato.

    «Silenzio!» esclamò lei. «Hai di fronte non Ezili, ma Grande Ezili, sciocco.»

    Bernadette si fece avanti e chiuse di scatto la bocca dell’uomo, lo schiocco dei denti si sentì fin da dietro il cedro. Pascal mugugnò in preda al dolore.

    «Vogliate scusarmi, Grande Ezili, per la maleducazione del mio amico. Io sono la mambo Bernadette. Non ci aspettavamo rispondesse un Loa tanto potente e importante.»

    «Già, lo so. Stavate chiamando mia nipote.»

    Pascal mugugnò ancora cercando di dire qualcosa, ma Bernadette lo zittì premendogli il palmo della mano sulle labbra. Questa volta non vi fu alcuno schiocco, ma la mambo non parve intenzionata a muoversi.

    «Quest’uomo voleva chiedere un favore alla graziosa Ezili, infatti, ma sono sicura che la vostra presenza sarà più che sufficiente. Volete che lo faccia parlare?»

    «Ho la gola un po’ secca, a dire il vero.»

    Con l’altra mano, Bernadette schioccò due dita in direzione dei musicisti e uno di loro accorse subito, afferrando una bottiglia di vino dall’altare.

    «Bevete pure a sazietà, Madame.»

    Grande Ezili stappò la bottiglia con facilità e si riversò il contenuto senza alcuna grazia in bocca, infradiciandosi tutti i vestiti e creando trasparenze turbanti.

    «Okay, sentiamo cosa vuole il porco.»

    Bernadette tolse la mano dalla faccia dell’uomo e si ricompose, quasi a suggerire che Pascal facesse lo stesso. Quest’ultimo quindi si schiarì la voce varie volte, forse per assicurarsi di riuscire a parlare.

    «U-una donna, Madame, voglio una donna.»

    La signora Rose lo squadrò dall’alto in basso, con un occhio socchiuso, mentre ancora stringeva in pugno la bottiglia di vino. Alzò la bottiglia sopra la testa e ci guardò dentro, acchiappando al volo l’ultima goccia di nettare, poi tornò a squadrare Pascal.

    «Eppure tu non avevi già una moglie… una sposa?»

    «Sì, Madame. Ma era perfida, era…»

    «Silenzio!» lo ammonì Grande Ezili. «Non reputi che una donna sia sufficiente per un uomo come te?»

    «Ma era perfida! Mi ha maledetto, era…»

    Bernadette tornò a tappargli la faccia con la mano, scuotendo la testa.

    «Grazie, Bernadette. Maledetto, dici, eh? E perché?»

    «Per non farmi più trovare una compagna,» disse Pascal, ostacolato dal palmo della mambo.

    «Ah! Una maledizione, dici tu. Ma non serve affatto una maledizione per tenerti lontano da una compagna, basta la tua faccia,» commentò la vecchia e scoppiò a ridere.

    Dietro il cedro anche Emeline si lasciò sfuggire un risolino, ma si tappò la bocca all’istante per paura di essere scoperta.

    «È questo che intendevi chiedere a mia nipote? Una compagna?»

    Pascal annuì con forza, liberandosi della mano della sacerdotessa e gettandosi a terra per implorare il Loa. «Vi prego, liberatemi dalla maledizione!»

    Grande Ezili scosse la gamba e allontanò il supplice. «Non stavo scherzando, quella donna non ti ha maledetto.»

    «Ma… ma come?»

    «L’unica cosa che ti trattiene dal trovare una compagna è la tua brutta faccia, ma c’è un rimedio.»

    La vecchia chiuse gli occhi a Pascal con i pollici e poi gli strinse la testa con entrambe le mani. Iniziò a mormorare parole incomprensibili e a scuoterlo come una maraca, per poi passare a movimenti circolari e a scossoni improvvisi. Quando lo lasciò andare, Pascal era così pallido che Emeline era sicura che avrebbe vomitato di lì a poco.

    «Come dicevo,» continuò lo spirito, «c’è un rimedio: un incantesimo. Se vuoi posso farlo subito.»

    Pascal si portò una mano alla fronte e chiuse gli occhi cercando di riprendersi, ebbe giusto la forza per dire: «Non… non l’avete appena fatto?»

    «Cosa, la testa ballerina? No, avevo solo voglia di farlo.»

    Emeline stava iniziando ad adorare quella vecchietta, e dire che la vera signora Rose era così noiosa!

    Pascal prese le mani dello spirito e annuì con veemenza. «Allora vi prego, basta prese in giro! Fate l’incantesimo, sono pronto.»

    Grande Ezili annuì a sua volta. «Molto bene,» disse, «stavo iniziando a stancarmi di te.»

    Chiuse gli occhi, alzò le mani al cielo e subito dopo ne posò una sulla fronte dell’uomo, facendola poi scivolare fino a coprirgli il volto. L’altra si dimenava in aria come la mano di un pittore all’opera che, pennellata dopo pennellata, crea una forma dal nulla. Vi fu un rombo di tuono, nonostante non ci fossero nuvole, e la vecchia gridò: «Cos’è ‘sto mortorio? Andiamo, un po’ di musica! Sto cercando di fare l’impossibile qui!»

    I musicisti tornarono a colpire i tamburi con forza, e tutta la tribù si mise a cantare. Più volte Emeline vide la mano della vecchia smettere di dipingere e agitare nell’aria il pugno chiuso. Avrebbe giurato che in quei momenti l’intera fisionomia di Pascal scomparisse al di sotto delle dita del Loa, per poi riapparire via via che questi andava tracciando linee e cerchi nell’aria. Infine, dopo molti altri tuoni e indecisioni, Grande Ezili si dichiarò soddisfatta del lavoro, o forse solo stanca. Anche la musica si fermò e calò un silenzio impaziente.

    Pascal portò le mani al viso e fece scorrere i polpastrelli sulle guance, sulle labbra, sulle narici. Si fermò su ogni curva del volto, non riuscendo a capire se ci fosse stato davvero un cambiamento. Guardò con aria smarrita la vecchia, che lo squadrava a sua volta, con il mento tra le dita e agitando la testa di qua e di là. Bernadette era senza parole.

    «Niente male, niente male,» commentò il Loa.

    «D-davvero?» chiese Pascal. «Posso vedere?»

    La signora Rose gli porse lo specchio che aveva ricevuto dall’altare. Pascal lo agguantò all’istante e lo rivolse verso di sé. La mano che lo reggeva iniziò a tremargli, mentre l’altra tornò a toccarsi il viso, stavolta con impazienza, stirando la pelle con forza e pizzicandola.

    «Sono…» balbettò, «sono ancora più vecchio!»

    Quando Pascal smise di toccarsi, Emeline vide con i suoi occhi quanto più vecchio. Sembrava avere cent’anni, con rughe che assomigliavano a dei solchi, occhiaie pronunciate e bluastre e la pelle più cadente che mai.

    «Certo che sei più vecchio,» gli fece eco il Loa, che sembrava offesa dal commento dell’uomo. «E non sei mai stato più attraente.»

    «E lo chiami attraente questo?»

    «Be’, quante donne pensavi di attrarre prima?»

    Pascal era interdetto. Sembrava intento a pensare a un numero verosimile di donne che lo considerassero attraente, senza però riuscire a trovarlo.

    «Appunto,» disse la vecchia, «nessuna.»

    «E questo dovrebbe migliorare la situazione?»

    «Sciocco! Certo che la migliora. Hai idea di quante vecchie vedove siano in cerca di un uomo? Centinaia. E non ti avrebbero mai degnato di uno sguardo prima dell’incantesimo. Oh, no. Troppo poco vecchio! Nessuna donna rispettabile accetterebbe un uomo più giovane di lei.»

    «Ma… Ma…»

    «Non capisci? Questo cambia tutto. Ora hai l’aspetto perfetto per conquistare qualche attempata con ancora un colpo in canna. E la cosa migliore è che non sei invecchiato davvero, sembri solo vecchio. Vedrai quante bacucche si getteranno ai tuoi piedi! La stessa signora Rose mi sta dicendo che non le dispiacerebbe dirti due cosine in privato, appena me ne sarò andata,» disse Grande Ezili, e gli strinse la bocca con una mano, forzando le labbra in un bacio che nessuno avrebbe mai voluto dare. Pascal si liberò e sputò per terra, lottando per recuperare il fiato.

    «Che ne dici? Eh? Ti piace? Bello di nonna!»

    La vecchia si rivolse infine a Bernadette e salutò con la mano. «Allora io vado. È stato un piacere conoscerti, mambo Bernadette. Hai una bella tribù, vedo che stai facendo un bel lavoro. Ora che ci conosciamo, non esitare a chiamarmi. È una noia apparire solo quando mia nipote è occupata, sai?»

    Bernadette le sorrise e annuì. «Certo. Lo terrò a mente.»

    «Addio, Pascal, goditi le tue prossime conquiste.»

    Pascal non rispose, guardava fisso per terra stando carponi.

    La signora Rose sussultò e in un istante fu di nuovo in sé. Si guardò intorno per sincerarsi di avere controllo sul proprio corpo e poi ridacchiò. «È stato divertente. Erano secoli che non mi cavalcavano.»

    «Divertente un corno!» esclamò Pascal, recuperando lo specchio da terra e dandoci una nuova occhiata. «Sembro una ruga vivente. I miei occhi, due rughe. La mia bocca, una ruga. Oddio, sono orrendo.»

    «Suvvia, una vera donna sa guardare oltre a un paio di rughe.»

    Pascal lasciò lo specchio e guardò speranzoso la signora Rose. «D-dici sul serio?»

    «E che saranno mai? Una vera donna pretende qualche ruga. Sono segno di carattere.»

    «Di carattere?»

    «Ma certo. E di saggezza. Una vera donna apprezza queste cose.»

    «Aspetta, però, cosa intendi per vera donna? Perché continui a ripeterlo?»

    «Pascal, non sono sicura tu voglia saperlo,» intervenne Bernadette.

    «Una vera donna,» continuò imperterrita la signora Rose e sottolineando la sua opinione con un0 scatto della mano.

    «Intendi matura?» chiese sconsolato Pascal.

    «Vera

    «Attempata?» suggerì uno dei musicisti.

    «Vera

    «Vecchia e decrepita,» conclusero gli altri due.

    Pascal si avventò su una bottiglia di rum e non fece altro che gridare Perché, perché a me, oh mio Dio, perché? per tutta la notte, dimentico del rituale.

    I tamburi tornarono a echeggiare nel bayou e altre persone si fecero avanti per pregare i Loa. Era il momento di agire.

    Emeline si voltò e si disinteressò del rituale, ormai le porte erano aperte e il primo Loa si era già manifestato, quindi poteva agire indisturbata. Tirò fuori dalla tasca un fiammifero che aveva preso da casa e con quello accese la candela nera del suo altare, facendo attenzione a non farla spegnere. La candela brillava senza forza, nonostante non ci fosse un alito di vento. Emeline allora tirò fuori dalla tasca un pezzetto di carta e con un carboncino disegnò il veve ³viii di Baron Samedi, una grande croce con due piccole bare ai lati. La fiammella si animò e iniziò a contorcersi. Infine la bambina chiuse gli occhi e recitò la preghiera.

    Baron Samedi,

    Buon Ghede, mio antenato!

    Ti offro del cibo e del rum.

    Ti offro del tabacco.

    Ascoltami!

    Quando li riaprì la fiamma era cresciuta così tanto che la cera si stava sciogliendo molto più in fretta del normale: più la fiamma si alzava più la candela rimpiccioliva, finché di colpo si spense e una sottile colonna di fumo s’innalzò dallo stoppino. Emeline non fece in tempo a prendere un secondo fiammifero che dalla cima della colonna discese una scintilla e la candela si riaccese come per magia.

    La bambina alzò lo sguardo e non credette ai suoi occhi.

    «Be’? Dov’è la festa? Che ci faccio dietro un albero?»

    2

    La voce era nasale, quasi ridicola, ma non fu questo il primo pensiero di Emeline.

    «Ehi, tu non sei Baron Samedi!» Questo fu il suo primo pensiero, e non tardò un attimo a dargli voce.

    Ne aveva sentito parlare, aveva visto dei disegni, e quello lì, chiunque fosse, non assomigliava per niente al Loa della morte. Non era vestito da becchino, indossava dei pantaloni neri gessati e un gilè con bottoni d’ottone sopra una camicia viola e una cravatta rosso sangue. Sulla testa, invece della tipica bombetta, portava con disinvoltura un tricorno dalle finiture in velluto rosso e una grossa piuma gialla un poco sofferta.

    Emeline non sapeva se a turbarla di più fosse il fatto che a indossare quel completo fosse un nero, come lei, che mai aveva visto in abiti formali, o il fatto che sotto al cappello, a mo’ di maschera, portasse un teschio a cui mancava solo la mandibola per essere completo, e che due occhi azzurro ghiaccio la stessero squadrando dalle sue orbite.

    «Sei tu che mi hai chiamato, chérie

    Emeline sbuffò sonoramente. «No. Io ho chiamato Baron Samedi, non il tirapiedi strampalato.»

    «Eppure la chiamata è arrivata diretta a me…» disse lo spirito. Aveva un forte accento francese, reso ancora più evidente dalla voce nasale. «Non ti sarai sbagliata con la preghiera? Non avrai chiamato me, invece?»

    «Tu come ti chiami?»

    «Ozee.»

    «E come fa uno a sbagliarsi tra Ozee e Baron Samedi?» chiese Emeline spazientita.

    «E io che ne so? Sei tu che mi hai chiamato.»

    «Non ti ho chiamato!»

    «Allora, come funziona? Mi dai da bere qualcosa e poi esaudisco un desiderio?» disse il Loa, inginocchiandosi mentre gettava un’occhiata al banchetto preparato dalla bambina.

    «Giù le mani!» esclamò Emeline, lanciandosi a proteggere la bottiglia di rum. «Funziona che tu torni indietro e mi chiami il Barone.»

    «Quanto astio,» commentò Ozee ritraendosi. «Questa è la prassi o mi è solo toccata la bambina cattiva? Aspetta un po’, ma è almeno permesso che a chiamarci siano dei bambini?»

    Emeline stava per rispondere alla presa in giro, quando si rese conto di una stranezza. «Aspetta un po’ tu. Perché fai tutte queste domande?»

    Allo spirito scappò una risatina nervosa e, mentre guardava altrove e si massaggiava la nuca, ammise: «È la mia prima volta, a dire il vero. Sono un po’ emozionato.»

    «Cosa?» domandò Emeline. «Che cavolo significa?»

    «Significa che…» spiegò Ozee agitando una mano in aria e cercando le parole. «Sono nuovo.»

    «Che? Come sarebbe a dire nuovo? Ma che razza di Loa sei?»

    «Ehi, ehi, piano! Anche noi abbiamo dei sentimenti, sai?» disse Ozee rialzandosi in piedi. «Non so bene come funziona. Un giorno mi sono svegliato ed ero un Loa, tutto qui.»

    «Come cavolo fa uno a svegliarsi ed essere un Loa?»

    «Non lo so, non mi hanno fatto fare un corso accelerato. Suppongo che Bon Dieu ¹ix si annoi e ogni tanto crei un nuovo Loa. Ce ne sono a migliaia, dopotutto. Allora, posso o non posso bere un goccetto?»

    Emeline lo squadrò dall’alto in basso, valutando se potesse esserle utile o meno. «Chiamerai Baron Samedi dopo il goccetto?»

    Ozee tornò a inginocchiarsi e agguantò il sigaro prima che la bambina potesse fermarlo, se lo passò sotto il naso e si inebriò del suo odore dolciastro. «Ne dubito, chérie. Se hai chiamato il boss e ho risposto io, non credo di poterci fare molto.»

    «Be’, provaci, almeno. Chiama il Barone e digli che ho bisogno di lui.»

    «Ma certo, lo chiamo subito, Madame,» disse Ozee facendo una piccola riverenza, per poi fingere di comporre un numero con un telefono e mimando il rumore della manovella con la voce. «Sta squillando,» disse sottovoce.

    «Ehm, signor Barone? Sì, bonsoir, qui parla Ozee. Ah, si ricorda? Che gioia! Senta, sono in compagnia di un’incantevole bambina – la principessa d’ebano della Louisiana – che muore dalla voglia di parlare con lei,» disse Ozee al suo pugno destro, ascoltando l’interlocutore con il palmo sinistro. «Come? Se sta bene? Oh, no, non si preoccupi, non sta morendo per davvero, è un modo di dire.»

    «Smettila!» ordinò Emeline, non troppo orgogliosa di quanto ci avesse messo a capire che fosse una presa in giro.

    «Chérie, come vuoi che chiami Baron Samedi da qui? Non sono più nel mondo dei Loa, mi hai evocato.»

    «Ma io non volevo te!» sbottò Emeline.

    «Lo vedo, ma se il centralinista ha pensato bene di passarmi la chiamata, le possibilità sono due: o tu non sei in grado di evocare il Barone, o lui non ha nessuna voglia di perdere tempo con una bambina.»

    «Avete un centralinista?»

    Ozee si portò la mano sul viso e scosse la testa. «No, parlavo in senso figurato. A quante cose siete disposti a credere, voi umani?»

    «Quindi sei davvero il tirapiedi strampalato! Ti ha mandato a fare il lavoro sporco.»

    «Non mi ha mandato a fare…» disse il Loa e poi sospirò una seconda volta. «Va be’, non importa. Il succo è che sei bloccata con me. Prendere o lasciare.»

    «Lasciare!» esclamò Emeline senza pensarci su un momento. «Vai via, che io riprovo a evocare il Barone.»

    «Non puoi evocare Baron Samedi, bambina cocciuta!» esplose Ozee, colpendosi la coscia con un pugno.

    «Ma tu non mi servi a niente A me serve il Barone.»

    «Dammi una possibilità, sono un Ghede ²x anch’io. Perché non mi spieghi di cosa diavolo hai bisogno?»

    Emeline fece per rispondere, ma poi si fermò e guardò il Loa sotto un’altra luce, quindi chiese conferma: «Sei un Ghede anche tu?»

    «Il teschio non è abbastanza esplicito?»

    «Potevi dirlo prima!»

    «Ma senti questa,» la canzonò Ozee. «Hai evocato Baron Samedi, chi ti aspettavi che rispondesse, un Rada ³xi?»

    «No, mi aspettavo che rispondesse Baron Samedi,» rispose Emeline con lo stesso tono sarcastico.

    Ozee ingaggiò il suo sguardo per qualche secondo e infine lasciò cascare la testa sbuffando. «D’accordo, hai vinto.»

    Il Loa recuperò il sigaro dall’altare e agguantò anche la bottiglia di rum. Si avvicinò alla fiammella della candela con il sigaro in bocca e questa crebbe

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