La lunga strada verso casa
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Info su questo ebook
Shane Gallagher ha perso tutto ciò che conta davvero per lui. Di nuovo. Quando sua sorella gli fa una visita a sorpresa suggerendogli un soggiorno presso un bed and breakfast a Belle Adair in Louisiana, lui accetta la proposta, solo per allontanarsi dai problemi, dedicarsi alla pittura e liberare la mente dalla confusione. Quello che non si aspetta di trovare è proprio sua moglie, che lo ha lasciato tre mesi prima e che ora occupa la camera di fronte alla sua. Per un po’ di tempo l’innegabile attrazione che esisteva tra loro è bastata a unirli, ma la vita esige di più.
Mentre i giorni diventano settimane, Bobbi e Shane dovranno ricordare il passato per lottare per il loro futuro e sperare che la lunga strada verso casa li conduca l’uno nelle braccia dell’altra.
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Anteprima del libro
La lunga strada verso casa - Juliana Stone
1
Bobbi Jo Gallagher arrivò a Belle Adair, Louisiana, alle tre del pomeriggio di un torrido e pigro lunedì di metà luglio. Il caldo era tale da cuocere l’asfalto sulla strada fino a far apparire delle bolle nel catrame. Tale da far vibrare l’aria verso l’orizzonte e capace di appiccicare i vestiti alla pelle come carta da parati incollata a un muro. Era quel genere di caldo che lei non aveva mai provato prima.
Spinse la porta d’ingresso del bed and breakfast ed entrò. Lanciò un’occhiata all’orologio sopra il caminetto alla sua destra, così vide l’ora del suo esatto arrivo sul posto. Non si sentiva bene per via di tutto il caldo sopportato fuori e fu piuttosto delusa nello scoprire che l’interno dell’edificio in realtà non era più fresco dell’afa a cui era appena sfuggita. Raggiunse la reception alla sua sinistra e si mise in attesa, mentre al bancone continuava ad avere luogo una conversazione tra due donne, una delle quali era una certa signora Adelaide, che stava subissando di parole l’addetta al ricevimento degli ospiti. La receptionist aveva l’aria di chi avrebbe preferito essere da qualsiasi altra parte tranne che lì, ciononostante continuava ad annuire in modo educato alla suddetta signora Coral Adelaide.
Nel breve lasso di tempo che Bobbi aveva trascorso ad assistere alla discussione, la donna aveva ripetuto il suo nome almeno due volte (ecco perché lei lo sapeva), rimarcando in entrambi i casi che gli Adelaide di Charleston erano la sua famiglia. Dal tono doveva trattarsi di gente importante, ma Bobbi non aveva la minima idea di chi fossero e nascose un sorriso quando la receptionist – Marybeth, secondo il nome inciso sulla sua targhetta – alzò leggermente gli occhi al cielo. Aveva un caschetto di capelli castano scuri striati d’argento, due gentili occhi marroni ed era bassa di statura.
«Capisco,» mormorò Marybeth, annuendole. «E sono certa che le piacerà molto la stanza che le abbiamo dato.»
La signora Adelaide indossava una maglietta di cotone leggero rosa pastello e dei bermuda color bianco panna che le arrivavano due centimetri sopra le ginocchia. I suoi capelli grigi formavano delle ampie onde che non si muovevano neppure di un millimetro mentre lei parlava animatamente delle dimensioni della sua camera, e Bobbi sospirò dentro di sé. Tutto ciò che desiderava era fare il check-in e andarsene nella propria stanza a riposare. Il viaggio era durato ore e non ne poteva più del caldo e dell’attesa.
Nervosa, fece un passo avanti, aprì la bocca per parlare e proprio in quel momento il suo stomaco si ribellò. Chiuse di scatto la bocca per trattenere un conato e sulla fronte le affiorarono tante goccioline di sudore. Esattamente due minuti dopo le tre, Bobbi vomitò sulle scarpe di tela bianche e rosa della signora Coral Adelaide degli Adelaide di Charleston.
Ora, non ci voleva uno scienziato per capire che quella donna era il genere di persona che amava trasformare in una tragedia greca ogni disavventura che le capitava, tanto quanto adorava fare sfoggio del suo lignaggio.
La signora Adelaide si guardò i piedi con orrore, poi strinse gli occhi dalle iridi blu fiordaliso sul viso di Bobbi come se fossero due laser pronti a farla esplodere, mentre le sue mani ingioiellate si sollevavano in aria con quell’eleganza drammatica che, in qualsiasi altra circostanza, lei avrebbe trovato invidiabile.
«Oh, mio Dio,» sussurrò Bobbi, una mano sulla bocca mentre faceva un passo indietro. «Sono davvero dispiaciuta. È il caldo. Non so come…» Mortificata, serrò le labbra, timorosa di rimettere di nuovo sulle scarpe della donna, e per sicurezza si allontanò di un ulteriore passo. Fissò le scarpe rovinate, incapace di muoversi o di aggiungere altro, e prese a tremare.
Che diavolo le stava succedendo?
«Santo cielo, ha un aspetto tremendo. È così pallida.» Marybeth scattò da dietro il bancone e si precipitò da lei con un bicchiere d’acqua. Il suo tocco era delicato mentre la guidava verso una sedia in un angolo. «Adesso lei si siede qui e beve l’acqua senza preoccuparsi di nulla.» I suoi occhi gentili erano così dolci, e Bobbi si sentì stupida perché le veniva da piangere, ritenendolo un comportamento sciocco. Ma in ogni caso, vomitare sulle scarpe di una sconosciuta era quel genere di cose che, se fosse stato un giorno come un altro, avrebbe mandato fuori di testa una come Bobbi Jo.
Ma quello non era affatto un giorno come un altro. Le sue future giornate, la vita che stava per intraprendere, il paesaggio che aveva appena attraversato… Tutto era così nuovo, così sconosciuto, che al solo pensarci il suo stomaco ricominciò a fare le capriole. Bobbi annuì in silenzio e prese il bicchiere freddo, sorseggiando obbediente l’acqua mentre osservava Marybeth occuparsi dell’altra cliente, delle sue scarpe e del pavimento sporco.
Dopo che tutto fu sistemato e la signora Adelaide venne scortata nella sua stanza, non prima di aver rivolto a Bobbi un numero impressionante di occhiatacce, lei si sentì meglio e si alzò dalla sedia.
«Sono desolata,» disse, mentre Marybeth riprendeva di nuovo il proprio posto dietro il bancone. «Non so proprio come sia potuto accadere.»
«Tesoro, non crucciarti. Vieni dal nord e questo caldo non è mica per tutti. Ci vuole un po’ per abituarsi, ma non ti preoccupare. Sono certa che tra qualche giorno ti sarai già acclimatata. E devo essere io a scusarmi per via dell’aria condizionata che non funziona a dovere, ma Marshall dice che non ci metterà nulla a ripararla.»
Bobbi accennò un sorriso, incoraggiata dal tono di Marybeth e dal suo affascinante e morbido accento del sud.
«Ora,» continuò la receptionist, voltandosi verso il computer sul bancone. «Tu devi essere Bobbi Jo Barker.»
Per un secondo, Bobbi rimase in silenzio. Aveva dimenticato di aver prenotato usando il nome da nubile. «Sì, sono io.»
«È la prima volta che vieni a Belle Adair?»
«Sì.»
Marybeth sorrise mentre le sue dita scivolavano sulla tastiera. «Sono sempre curiosa di sapere come fa la gente a capitare da queste parti.» Alzò lo sguardo. «Forse qualcuno che conosci è stato ospite da noi?»
Lei annuì. «Mia cognata. Più o meno un anno fa. È stata lei a consigliarmi questo albergo. Me ne ha parlato davvero molto bene e ha menzionato una certa Miss Callie. Mi ha chiesto di salutarla.»
Il sorriso di Marybeth si allargò ancora di più. «È mia madre. Questa attività è sua, in realtà. Io le sto dando una mano perché deve stare qualche giorno in ospedale.»
«Oh, no. Spero che stia bene…»
L’altra ridacchiò. «Cielo, sì. Sta bene.» Le sue dita premettero un altro po’ sui tasti. «Più che bene, a essere onesta. Si è fatta un taglio su una gamba andando a caccia di rane nel ruscello in fondo al giardino con Mackie, mio nipote, poi la ferita si è infettata e lei è dovuta andare in ospedale. È stato un brutto momento, in effetti, ma ora non c’è più da preoccuparsi. Miss Callie ha una tempra d’acciaio, ci seppellirà tutti quanti. Non ne dubito affatto.» Poi aggirò il bancone e le chiese: «Hai altri bagagli?»
Bobbi aveva portato dentro solo una valigia. «Ne ho una più grossa e una più piccola in macchina, ma le prenderò più tardi. Vorrei davvero solo andare nella mia camera, se possibile.»
«Non c’è problema. Lasciami le chiavi e te le farò portare su in un attimo da Marshall. È mio genero ed è qui per fare delle riparazioni al gazebo nel giardino sul retro, dopo che la madre di tutte le tempeste si è abbattuta su di noi qualche giorno fa, e beh, come sai, anche l’aria condizionata ha bisogno del suo tocco speciale.»
Bobbi le diede le chiavi dell’automobile presa a noleggio e la seguì su per le scale fino a un ampio pianerottolo da cui partiva un’altra rampa che le condusse a un grande loft convertito in due stanze. Quella di Bobbi era a destra.
«Eccoci qua, tesoro. Quando hai prenotato, hai detto che saresti rimasta per l’estate, perciò ti abbiamo dato la stanza più grande. Ha il bagno privato, quindi non lo devi condividere con nessuno, e c’è un cucinino. La colazione e il pranzo sono serviti in sala sette giorni a settimana. Tutte le informazioni che ti servono sono nell’opuscolo sul tavolo. Spero che la camera ti piaccia. È la mia preferita.» Marybeth le fece l’occhiolino. «E non temere per la signora Adelaide. L’ho messa nella camera lavanda, al piano di sotto. Credo che rimarrà qui solo per qualche settimana, è venuta a far visita al figlio. Con un po’ di fortuna, non ti importunerà con quella storia degli Adelaide di Charleston.»
Quando l’altra se ne fu andata, Bobbi chiuse a chiave la porta e si appoggiò al battente osservando la stanza intorno a lei. Era meravigliosa. I colori variavano dal panna tenue al verde chiaro, e le pale del ventilatore al soffitto ruotavano con lentezza, smuovendo piano l’aria. I mobili erano antichi, ma il protagonista assoluto dell’arredamento era il letto a baldacchino, con il suo tendaggio trasparente e vaporoso che cadeva fino a terra su tutti e quattro i lati. C’era anche una zona salotto vicino a una grande finestra, con un tavolino e una poltrona imbottita, e a pochi passi di distanza si trovava il cucinino, dotato di un piccolo frigorifero e un fornetto tostapane. Un alto, magnifico specchio era fissato al muro e sovrastava una cassettiera e una grande felce in vaso, posta accanto al comò. Il pavimento in legno risplendeva e odorava di limone, e qua e là c’erano diversi tappeti che completavano l’arredamento. Alla sua sinistra c’era una porta aperta che conduceva a un bagno delle giuste dimensioni; al suo interno si trovavano sia una doccia che una profonda vasca di porcellana sorretta da quattro piedini ad artiglio.
Quella sarebbe stata la sua casa per un po’ ed era perfetta, proprio come aveva sperato.
Casa.
A quel pensiero il mento le tremò, e per lei fu uno sforzo tremendo non scoppiare a piangere. Aveva già versato più lacrime di quanto avrebbe mai creduto possibile, nei mesi passati, e che fosse dannata se avesse ceduto di nuovo al dolore.
Asciugandosi gli angoli degli occhi, si diresse al letto e scostò le tende del baldacchino, poi lanciò un’occhiata al resto della stanza e colse il proprio riflesso nello specchio. Era pallida e aveva delle profonde occhiaie scure sotto gli occhi troppo grandi. I capelli neri le arrivavano oltre le spalle, spessi, lisci e lucenti. Le sue labbra erano rosa chiaro.
Era dimagrita molto, e il prendisole giallo che aveva addosso le stava largo in punti in cui non avrebbe dovuto. Si passò le mani sui fianchi lisciando il vestito e sospirò. Aveva un aspetto migliore di quanto si aspettasse considerato il grande dolore che l’aveva accompagnata per settimane. O meglio, settimane che ormai erano diventate mesi. Bobbi sollevò il mento e fissò il proprio riflesso. Sarebbe mai tornata a essere la donna di un tempo? Quanto era legata quella versione di sé a Shane? Avrebbe potuto vivere senza di lui?
Afferrò la borsa e recuperò il cellulare. Nel giro di pochi secondi se lo portò all’orecchio e si mise ad ascoltare l’unico messaggio vocale che aveva salvato. Come sempre, la voce di Shane le fece male, ma non si sentiva abbastanza forte per smettere di ascoltarla. Almeno, non ancora.
«Bobbi, dove diavolo sei? Devi lasciarmi spiegare. Non è come pensi. Gesù, non è affatto come pensi. Io… dobbiamo sistemare le cose. Dobbiamo sistemare le cose tra noi, ma non posso farlo da solo. Devi venirmi incontro. Ti amo. Chiamami.»
«Oh, Shane,» sussurrò. «È troppo tardi.»
Bobbi chiuse gli occhi di scatto, ma le apparve comunque davanti l’immagine di lui e quella donna, un ricordo che emerse vivido dai recessi della sua mente per schernirla mentre con rabbia gettava il cellulare sul letto. Non aveva alcuna intenzione di pensarci. Era andata lì a Belle Adair per dimenticare tutto, non per rivivere la triste fine di un matrimonio che, per la maggior parte, era stato perfetto.
Finché non lo era stato più.
Si chinò sul letto e recuperò il telefonino, poi aprì la borsa e ce lo infilò dentro, allontanandolo dalla propria vista.
Fu allora che scorse una piccola scatolina rosa sul fondo della borsa. La fissò per un lungo, lungo momento. Poi si mise a pensare e rifletté ancora, finché, confusa, tornò a osservarla, mentre la vista le si offuscava. Con lentezza, prese la scatolina e la aprì: era una confezione di assorbenti che si portava sempre dietro, per ogni evenienza.
Bobbi sentì il sangue fluirle via dal viso. Si lasciò cadere di schiena sul letto, ritornando con la mente a tre mesi prima. All’ultima notte che aveva passato con Shane. Quella sera avevano litigato con furia e la discussione si era trasformata in uno scontro brutto ma, in modo per nulla inaspettato, anche carico di passione. C’erano sempre state tante scintille tra loro. Avevano fatto sesso arrabbiato. Un sacco di sesso bollente e arrabbiato.
E il giorno dopo, tra loro era finita.
Shane Gallagher era l’unico uomo che avesse mai amato, ma negli ultimi tre mesi avevano vissuto separati. Era una separazione ufficiale perché, comunque, Bobbi era quel genere di donna che badava ai dettagli: se non potevano stare insieme fisicamente, non sarebbero più stati insieme nemmeno legalmente.
Com’era ovvio, le sue sorelle avevano avuto molto da dire riguardo alla sua vita privata. Billie credeva che la sua reazione fosse stata eccessiva e che dovesse fare un passo indietro, mentre Betty riteneva che lei fosse impazzita. E il nonno? Beh, lui aveva scosso la testa nel suo solito modo, le aveva dato dei colpetti su una spalla e non aveva detto nulla.
Lei aveva voluto comunque la separazione, ma in quel momento aveva le sue ragioni. Shane Gallagher possedeva il suo cuore, ma l’aveva trattato con superficialità. E forse anche lei era stata superficiale con quello di suo marito. La colpa della fine del loro matrimonio non ricadeva solo su di lui. Le ultime parole che si erano rivolti erano state orribili, anche se quelle crudeltà ormai erano vecchie di tre mesi. Solo che, forse, il risultato di quelle parole e di tutto quel sesso arrabbiato e appassionato al momento stava crescendo dentro di lei…
Un singhiozzo le salì in gola e scosse la testa. Possibile? Che dopo tutto quel tempo Dio le stesse dando l’unica cosa che lei desiderava, ma proprio nel momento peggiore di tutti i momenti peggiori che avrebbe potuto scegliere?
Rotolò su un fianco, esausta. Non voleva pensare a nulla in quel momento. Chiuse gli occhi e, nonostante il turbamento che continuava a crescere dentro di lei, riuscì ad addormentarsi. Tuttavia, i suoi sogni erano infestati da un uomo con gli occhi neri, un sorriso sensuale e quel genere di carezze che la faceva sciogliere come neve al sole.
Era andata fino a Belle Adair, in Louisiana, per scordare Shane Gallagher, ma le era andata male. Lui l’aveva seguita comunque.
2
Shane aprì leggermente l’occhio sinistro quando il bussare alla porta continuò a risuonare imperterrito. Era steso a faccia in giù sul divano del suo studio, una gamba penzoloni oltre il bordo del sofà e, accanto, una bottiglia di whiskey vuota sul pavimento. Il rumore gli rimbombò nel cranio provocandogli un mal di testa feroce. Shane fece una smorfia e imprecò, scoccando un’occhiata malevola verso la fonte di tutto quel baccano.
«Che cazzo c’è?»