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Il Seicento - Musica (55): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 50
Il Seicento - Musica (55): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 50
Il Seicento - Musica (55): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 50
E-book362 pagine3 ore

Il Seicento - Musica (55): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 50

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Info su questo ebook

Nella vita musicale il Seicento segna un momento cruciale e apparentemente confuso che vede la crisi più o meno rapida di tradizioni ereditate dal Cinquecento e la formazione non soltanto di nuovi generi e quindi di nuovi stili e di nuove pratiche produttive, ma anche di un modo nuovo di concepire e “consumare” la musica, che in parte già si affermano nel corso del secolo e in parte si svilupperanno nel secolo successivo. Espressione di questa “rivoluzione” che investe la musica e la vita musicale è Monteverdi, in cui si vede il clamoroso successo del madrigale polifonico e il suo rapido declino, il formarsi del melodramma fondato sul canto monodico e il configurarsi dell’opera in musica e il primo proporsi della cantata da camera. In questo ebook si rivive l’intenso sperimentalismo musicale del XVII secolo, in cui la musica affronta in modo nuovo e diverso il testo letterario, cercando di restituire nel canto anche i moti “segreti” della parola poetica e del suo dispiegarsi significativo ed emotivo nel verso, in un trepido evolversi da una pratica modale al tonalismo.
LinguaItaliano
Data di uscita12 set 2014
ISBN9788897514893
Il Seicento - Musica (55): Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 50

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    Anteprima del libro

    Il Seicento - Musica (55) - Umberto Eco

    copertina

    Il Seicento - Musica

    Storia della civiltà europea

    a cura di Umberto Eco

    Comitato scientifico

    Coordinatore: Umberto Eco

    Per l’Antichità

    Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Lucio Milano (Storia politica, economica e sociale – Vicino Oriente) Marco Bettalli (Storia politica, economica e sociale – Grecia e Roma); Maurizio Bettini (Letteratura, Mito e religione); Giuseppe Pucci (Arti visive); Pietro Corsi (Scienze e tecniche); Eva Cantarella (Diritto) Giovanni Manetti (Semiotica); Luca Marconi, Eleonora Rocconi (Musica)

    Coordinatori di sezione:

    Simone Beta (Letteratura greca); Donatella Puliga (Letteratura latina); Giovanni Di Pasquale (Scienze e tecniche); Gilberto Corbellini, Valentina Gazzaniga (Medicina)

    Consulenze: Gabriella Pironti (Mito e religione – Grecia) Francesca Prescendi (Mito e religione – Roma)

    Medioevo

    Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Laura Barletta (Storia politica, economica e sociale); Anna Ottani Cavina, Valentino Pace (Arti visive); Pietro Corsi (Scienze e tecniche); Luca Marconi, Cecilia Panti (Musica); Ezio Raimondi, Marco Bazzocchi, Giuseppe Ledda (Letteratura)

    Coordinatori di sezione: Dario Ippolito (Storia politica, economica e sociale); Marcella Culatti (Arte Basso Medioevo e Quattrocento); Andrea Bernardoni, Giovanni Di Pasquale (Scienze e tecniche)

    Età moderna e contemporanea

    Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Umberto Eco (Comunicazione); Laura Barletta, Vittorio Beonio Brocchieri (Storia politica, economica e sociale); Anna Ottani Cavina, Marcella Culatti (Arti visive); Roberto Leydi † , Luca Marconi, Lucio Spaziante (Musica); Pietro Corsi, Gilberto Corbellini, Antonio Clericuzio (Scienze e tecniche); Ezio Raimondi, Marco Antonio Bazzocchi, Gino Cervi (Letteratura e teatro); Marco de Marinis (Teatro – Novecento); Giovanna Grignaffini (Cinema - Novecento).

    © 2014 EM Publishers s.r.l, Milano

    STORIA DELLA CIVILTÀ EUROPEA

    a cura di Umberto Eco

    Il Seicento

    Musica

    logo editore

    La collana

    Un grande mosaico della Storia della civiltà europea, in 74 ebook firmati da 400 tra i più prestigiosi studiosi diretti da Umberto Eco. Un viaggio attraverso l’arte, la letteratura, i miti e le scienze che hanno forgiato la nostra identità: scegli tu il percorso, cominci dove vuoi tu, ti soffermi dove vuoi tu, cambi percorso quando vuoi tu, seguendo i tuoi interessi.

    ◼ Storia

    ◼ Scienze e tecniche

    ◼ Filosofia

    ◼ Mito e religione

    ◼ Arti visive

    ◼ Letteratura

    ◼ Musica

    Ogni ebook della collana tratta una specifica disciplina in un determinato periodo ed è quindi completo in se stesso.

    Ogni capitolo è in collegamento con la totalità dell’opera grazie a un gran numero di link che rimandano sia ad altri capitoli dello stesso ebook, sia a capitoli degli altri ebook della collana. Un insieme organico totalmente interdisciplinare, perché ogni storia è tutte le storie.

    Introduzione

    Introduzione alla musica del Seicento

    Roberto Leydi

    Nella vita musicale il Seicento segna un momento cruciale e apparentemente confuso che vede la crisi più o meno rapida di tradizioni ereditate dal Cinquecento e la formazione non soltanto di nuovi generi e quindi di nuovi stili e di nuove pratiche produttive, ma anche di un modo nuovo di concepire e consumare la musica, che in parte già si affermano nel corso del secolo e in parte si svilupperanno nel secolo successivo....

    Nuovi stili e nuovi generi

    Nella vita musicale il Seicento segna un momento cruciale e apparentemente confuso che vede la crisi più o meno rapida di tradizioni ereditate dal Cinquecento e la formazione non soltanto di nuovi generi e quindi di nuovi stili e di nuove pratiche produttive, ma anche di un modo nuovo di concepire e consumare la musica, che in parte già si affermano nel corso del secolo e in parte si svilupperanno nel secolo successivo.

    In un gioco intricato di stili diversi, in rapporto ai mutamenti profondi che percorrono la vita civile, i musicisti del Seicento si muovono aprendo una nuova sensibilità musicale, trovando una diversa collocazione nella società e allargando l’orizzonte contrappuntistico ereditato dal Cinquecento nella ricerca di altri valori espressivi, che poi segneranno a lungo la musica colta dell’Occidente.

    Basterebbe percorrere, nel lungo arco di vita del compositore, la vasta produzione di Claudio Monteverdi per cogliere le testimonianze di gran parte dello svolgersi di questa rivoluzione che investe la musica e la vita musicale: il clamoroso successo del madrigale polifonico e il suo rapido declino, il formarsi del melodramma fondato sul canto monodico e il configurarsi dell’opera in musica verso le forme dell’impresa, infine il primo proporsi della cantata da camera.

    I musicisti del Seicento si trovano nella necessità di non accettare più la sovrapposizione concettuale (e pratica) fra contrappunto e musica che aveva segnato e guidato la pratica cinquecentesca, e sono spinti a cercare nella costruzione musicale, per via di speculazione come di empirica sperimentazione, differenziati sviluppi di nuovi generi e, quindi, differenti specificità stilistiche che conducono, per la prima volta, a elaborare, con i letterati, il concetto stesso di stile.

    Pietro Della Valle, nel suo Discorso della musica dell’età nostra, che non è punto inferiore, anzi è migliore di quella dell’età passata, esprime in modo molto chiaro il nuovo sentimento musicale che appunto supera la vecchia sovrapposizione di musica e contrappunto.

    Questo sentimento riconosce e separa tre componenti della musica: contrappunto, suono e canto. Tre componenti che impongono tre modi diversi, pur entro lo schema del contrappunto, di far musica, di cantare e di suonare. Tre modi di comporre, di eseguire e, quindi, da parte del nuovo pubblico, di ricevere la musica.

    Parola e colore

    In questo contesto concettuale, la musica affronta in modo nuovo e diverso il testo letterario, cercando di restituire nel canto, in modo direttamente espressivo, anche i moti segreti della parola poetica e del suo dispiegarsi significativo ed emotivo nel verso. Nella struttura contrappuntistica, il canto non cerca più la sofisticata ramificazione per strati sonori di valore e significato quasi equivalenti, il gioco astratto di voci o parti che si rapportano in regole (apparentemente) geometriche, ma insegue l’ambizione di far emergere, nel tessuto sonoro, una manifestazione principale dell’espressione comunicativa, sostenuta da successioni armoniche delle voci minori che, se ancora non l’accompagnano, di certo sono già sottomesse alla voce principale.

    In questa liberazione della parola emerge in musica, consapevole o inconsapevole, un nuovo interiore colore sentimentale che è conseguenza di quella ricerca di una via naturale (e non più artificiosa) all’imitazione che impegna i musicisti più sensibili. Questo nuovo colore naturale raggiunge e impregna non soltanto la struggente evocazione erotica dei testi amorosi (e magari licenziosi) del Marino e del Tasso, ma coinvolge anche i testi sacri.

    Dal modalismo al tonalismo

    Connesso alla nuova sensibilità per i valori poetici della parola e dei testi è la crisi progressiva del modalismo che aveva dominato fino ad allora la musica europea. L’esplorazione del sistema tonale fa cogliere al compositore le possibilità espressive che l’allontanamento emozionante da quel centro di gravità che la tonica rappresenta e il rassicurante ritorno ad esso possono comporsi, giocando espressivamente sull’animo dell’ascoltatore in un distendersi di evocazioni emotive (ma anche razionali) molteplici e in parte almeno non prevedibili e sconosciute all’ascoltatore (ma anche all’esecutore) del passato.

    Il trepido evolversi da una pratica modale a una pratica tonale (e, quindi, da una sensibilità modale a una sensibilità tonale) non ha le sue ragioni soltanto nel bisogno di animare lo svolgersi della parola in musica secondo percorsi emotivamente nuovi, più ricchi e profondi.

    Opera anche nello sviluppo di un diverso rapporto tra le parti che incominciano a potersi rapportare armonicamente. Questo processo si completerà poi, necessariamente, con il temperamento equabile della scala musicale(nel Settecento), con il fissarsi di due soli modi, il modo maggiore e il modo minore, con l’imporsi dell’armonia.

    L’allontanarsi dalla sensibilità modale determina la perdita delle sottili(ma statiche) possibilità melodiche a quel sistema connesse, ma apre la via, in accordo con i tempi nuovi, a possibilità espressive forse più grossolane, ma capaci non soltanto di continui sviluppi, ma anche di generare il proprio contrario (come la musica del Novecento dimostra). La transizione dal modalismo al tonalismo avviene naturalmente attraverso passaggi appena percettibili. Nelle composizioni di Girolamo Frescobaldi, per esempio, nella struttura ancora sostanzialmente modale si inseriscono trasgressioni che già esprimono il movimento della musica verso l’affermazione del sistema tonale e le concezioni armoniche.

    L’Europa e i nuovi generi

    Lungo questa via di intrecciate trasformazioni, il Seicento porta all’affermazione della cantata, dell’aria, dell’oratorio e, sintesi definitiva, alla nascita del melodramma italiano che contribuisce in modo determinante ad aprire l’età moderna della musica colta.

    Il madrigale raggiunge con Claudio Monteverdi la sua estrema sofisticatezza e conclude il suo ciclo.

    La musica religiosa e liturgica è percorsa dalle imposizioni precettistiche e dai fervori devozionali della Controriforma e dalla rivoluzione della Riforma protestante nelle sue diverse manifestazioni (soprattutto pratica luterana, pratica calvinista, pratica anglicana).

    Emergono il virtuosismo improvvisativo al cembalo (che si resenta nella letteratura musicale come diretto successore del liuto) e all’organo, in Italia con Girolamo Frescobaldi e nei Paesi Bassi con Jan Pieterszoon Sweelinck. Assume una destinazione da intrattenimento più precisa la musica strumentale, con lo sviluppo della musica per il ballo.

    Nei Paesi tedeschi si sviluppa con Heinrich Schütz e poi con Dietrich Buxtehude la nuova tradizione musicale luterana, avviata già dallo stesso Lutero, che era stato assai più un adattatore che non un compositore, e dai primi musicisti della Riforma, da Johannes Walter, amico e collaboratore musicale di Lutero, a Johannes Eccart, Michael Praetorius, a Melchior Vulpius, tutti scomparsi nei primi vent’anni del Seicento. Soltanto alla fine del secolo con Reinhard Keiser, ad Amburgo, si avrà la nascita di un melodramma tedesco.

    In Francia, nel clima politico e culturale creato dal cardinal Mazzarino, la musica trova in Giovanni Battista Lully il musicista capace di trapiantare a Parigi il melodramma italiano, fondando una tradizione francese con caratteri originali.

    In Gran Bretagna, la crisi dell’ideale polifonico spinge alla formazione di monodie con forti caratteri nazionali (Ayres) e, poi, a un tipo di melodramma che soltanto in parte è debitore verso quello italiano, attingendo in gran parte alla pratica inglese dei masque. Con Henry Purcell, infine, abbiamo l’affermazione di una tradizione musicale propriamente britannica.

    L’Italia tra crisi e primato

    Rimane all’Italia il primato della liuteria, con centro prima a Brescia (Gasparo da Salò e Maggini), poi a Cremona (la famiglia Amati, la famiglia Guarnieri e, alla fine del secolo, Antonio Stradivari). Il primo eminente liutaio non italiano è il tirolese Jacob Stainer, al quale s’affiancano, sempre in area austro-tedesca, Biber e Walter. Nessun liutaio in Francia, nei Paesi Bassi e in Gran Bretagna raggiunge l’eccellenza dei liutai italiani e austro-tedeschi.

    La crisi generale che investe nel Seicento l’Italia, produce, per l’oppressione dell’Inquisizione, la chiusura intellettuale e l’impoverimento di molti centri di potere politico e anche per la crescente depressione economica legata alla fine della centralità mediterranea, una progressiva emarginazione anche della produzione culturale. Certo l’Italia conserva ancora una posizione di rilievo in vari campi della vita artistica e culturale, ma già si risentono le conseguenze dello spostamento verso l’Europa continentale dell’attività più viva e moderna del pensiero e della elaborazione culturale: alla vecchia e ormai cristallizzata erudita pratica italiana del commento e della glossa si sostituisce la nuova pratica (soprattutto francese) dell’elaborazione razionale dei documenti.

    Anche la musica risente di questo processo che dal versante italiano progressivamente inaridisce il suo spazio, sia creativo che economico, indirizzandola verso i Paesi del Nord. Il nuovo clima culturale e la condizione sociale ed economica favoriscono anche una nuova e moderna pratica di speculazione teorica e scientifica sulla musica. L’impegno dei filosofi (come Cartesio) di ricondurre entro un sistema razionale la teoria degli affetti, che discende dalla magia naturale del Cinquecento, si riflette anche nella speculazione musicale (Marin Mersenne, Athanasius Kircher).

    Nel nuovo quadro produttivo europeo della musica è il melodramma a conservare una posizione di rilievo con al centro l’Italia. Dominante nella musica italiana del Seicento, esso conquista rapidamente l’Europa, affermando non soltanto un nuovo genere musicale, ma anche un nuovo modo di produrre e consumare la musica che sarà determinante alla costruzione di un sistema musicale non più aristocratico o ecclesiastico, ma borghese.

    E’ anche sotto lo stimolo del successo del melodramma che una parte almeno della pratica e del consumo musicale cercherà una nuova sede fuori dei palazzi, in quei teatri pubblici (dove si entra pagando un biglietto e non per il nome che si porta) che per primi s’apriranno nella borghese Venezia e che troveranno poi la loro sanzione esplicita nei principi della Rivoluzione francese.

    Nel corso del Cinquecento l’Italia era stata il luogo d’attrazione inevitabile dei musicisti di altri paesi europei. Questi musicisti scendevano in Italia perché vi trovavano non soltanto un vivissimo riferimento culturale, ma anche occasioni di lavoro.

    Con il Seicento si avvia un processo contrario e il fenomeno non è dovuto soltanto al crearsi di nuove occasioni creative e di lavoro altrove, ma anche a una vera e propria superproduzione, in Italia, di musicisti. Così l’Italia diviene, per la prima volta, paese esportatore di musicisti.

    L’imprenditoria musicale

    Il Seicento, nel definirsi del sistema capitalistico, vede svilupparsi nuovi e attivi centri di stampa musicale nell’Europa continentale e soprattutto nei paesi tedeschi, in Francia e in Gran Bretagna, mentre entra in crisi la produzione editoriale musicale italiana, che aveva dominato nel Cinquecento i mercati europei. Strettamente legata all’imprenditorialità, l’editoria musicale trova nuovi stampatori e mercato là dove le condizioni, non soltanto culturali, ma soprattutto sociali, economiche e produttive, sono rese più favorevoli e in crescita dall’apertura delle frontiere oceaniche e dallo stimolo di una coscienza imprenditoriale moderna, offerto dalla Riforma.

    La musica vocale

    Claudio Monteverdi

    Massimo Privitera

    L’importanza di Claudio Monteverdi nella storia della musica occidentale si misura su due dimensioni: la qualità estetica delle sue opere, che sono fra le vette più alte della nostra tradizione colta, e l’esemplarità del suo percorso di compositore. La formidabile sensitività della sua intelligenza creativa e una felice combinazione di condizioni favorevoli gli hanno permesso di conquistare una posizione di assoluto rilievo nella rivoluzione musicale avvenuta tra fine Cinquecento e inizio Seicento.

    La formazione a Cremona

    La vita e la produzione di Claudio Monteverdi si articolano in tre fasi corrispondenti alle tre principali città che gli hanno fatto, insieme, da sfondo e da motore: Cremona, Mantova e Venezia.

    A Cremona, città natale, si svolge l’apprendistato del giovane musicista all’illustre scuola del compositore veronese Marcantonio Ingegneri. La rete delle conoscenze familiari (il padre Baldassarre era speziale, cerusico e medico affermato, nonché personaggio in vista della comunità cittadina) e la dimensione provinciale consentono di esaltare al massimo, con qualche sproporzione entusiastica, le indiscutibili e precoci manifestazioni del talento di Claudio.

    Fra il 1582 e il 1590 (cioè fra i 15 e i 20 anni di vita) vengono infatti stampati ben cinque libri di sue composizioni. La pubblicazione precoce di raccolte monografiche, per di più in vesti tipografiche ricercate, è un privilegio singolare se si pensa ai costi notevoli della stampa musicale, e se si ricorda che molto di rado un compositore poteva ambire alla stampa di un proprio libro prima dei 25 anni (come Orlando di Lasso, Palestrina e Luca Marenzio che aspettarono i 27; o come Orazio Vecchi che stampò intorno ai 30 anni).

    I primi tre libri monteverdiani, Sacrae cantiunculae del 1582, Madrigali spirituali del 1583, Canzonette del 1584 (finanziati da mecenati locali, dedicatari delle opere) sono lavori di buona fattura, ma di qualità artistica non singolare; hanno quindi il principale scopo di mostrare nel "theatro del mondo" che il loro giovane autore è in pieno possesso di tutte le conoscenze richieste a un musicista professionista.

    Il primo e il secondo libro dei madrigali, rispettivamente del 1587 e 1590, testimoniano invece che intorno ai vent’anni Monteverdi era già pervenuto a un alto livello di maturazione compositiva, e stava già elaborando quella cifra stilistica così particolare e originale che in seguito lo avrebbe caratterizzato.

    Specie il secondo libro rivela una nuova attenzione ai contenuti dei testi poetici messi in musica e una concezione estremamente duttile e articolata della costruzione polifonica, che porterà direttamente agli elementi principali dell’idioma musicale barocco (il declamato monodico e lo stile concertato).

    Ecco mormorar l’onde del secondo libro, costruito su di un commosso testo di Torquato Tasso che canta l’impalpabile e miracoloso trascolorare della natura nel breve tempo dell’aurora, è già un capolavoro del genere madrigalesco.

    Gli ingressi sfalsati e variamente combinati delle cinque voci, con brevi afflati di canto che efficacemente corrispondono alla frammentata meraviglia delle parole di Tasso, introducono l’ascoltatore in un mondo sonoro di sfumature, trasformazioni, echi; una sfera incantata in cui perdono consistenza i confini tra notte e giorno, sonno e veglia, coscienza e incoscienza. È già la poetica del sogno, del magico, dell’impalpabile, che tanta parte avrà nella letteratura del Seicento, da Shakespeare e Calderón in poi.

    Monteverdi a Mantova

    Tra il 1590 e il 1591 Monteverdi viene assunto come suonatore di viola alla corte di Vincenzo Gonzaga duca di Mantova, dove una tradizione secolare aveva riservato alla musica un posto d’onore, prima con Isabella d’Este, tra fine Quattrocento e inizio Cinquecento, poi con il duca Guglielmo, egli stesso compositore di non infima qualità.

    Ma un impulso decisivo arrivò a Mantova da Vincenzo, che, assunta la signoria alla morte del padre Guglielmo (1587), spese ingenti somme per affermare una rinnovata e magnificente immagine internazionale del suo ducato, patrocinando costosi e raffinati eventi spettacolari incentrati sulla musica.

    Contrastati saranno sempre i rapporti fra Monteverdi e l’amministrazione ducale, che riconosce presto le molteplici doti del musicista e se ne avvale largamente, ma non si mostra altrettanto solerte nel remunerarle. In diverse lettere Monteverdi lamenta pagamenti mancati o fortemente ritardati, e l’ossequiosa prosa cortigiana riesce appena a dissimulare rabbia profonda e oscuro risentimento.

    Al seguito di Vincenzo, come responsabile di una piccola cappella di quattro musicisti, Monteverdi partecipa a due viaggi: in Ungheria (1595) e ai bagni di Spa nelle Fiandre (1599). Economicamente essi si rivelano per il musicista eventi rovinosi, di cui si lamenterà ancora alcuni anni dopo, perché è costretto a provvedere di tasca propria a ingenti spese personali; musicalmente tuttavia rappresentano occasioni preziose di confronto con altri contesti culturali e con altri professionisti di valore.

    Quanto sia stato importante per Monteverdi il viaggio nelle Fiandre è attestato dal fratello Giulio Cesare, anch’egli al servizio del duca Vincenzo, quando in uno scritto del 1607 ricorda come Claudio fosse stato il primo a introdurre in Italia il nuovo canto alla francese in questo modo moderno che per le stampe da tre o quattro anni in qua si va mirando... di quando venne da li bagni di Spà, l’anno1599.

    Morto nel 1596 Giaches de Wert, maestro di cappella della corte mantovana, Monteverdi aspira legittimamente alla successione, ma gli viene preferito il più anziano concittadino Benedetto Pallavicino.

    Probabilmente in seguito a questa delusione egli cerca una sistemazione alternativa presso Alfonso II, duca di Ferrara, ma la morte di questi, nel 1597, blocca ogni cosa. Finalmente alla fine del 1601, morto a sua volta Pallavicino, arriva per lui la nomina a maestro di musica del serenissimo signor duca di Mantova, come si legge nel frontespizio del Quarto libro de madrigali (1603). Intanto, nel maggio 1599, erano state celebrate le sue nozze con Claudia Cattaneo, figlia di un collega musicista, anch’essa al

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