Confini: Realtà e invenzioni
Di Marco Aime e Davide Papotti
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Info su questo ebook
Marco Aime e Davide Papotti – attingendo rispettivamente all’antropologia culturale e alla geografia senza cercare di definire i due approcci – propongono nel testo un appassionante e inedito viaggio attraverso la nozione di confine, applicata ai più svariati ambiti dell’esistenza umana: il genere, il colore della pelle, la religione, l’appartenenza a una classe; ma anche il cibo, il turismo, l’arte e la natura.
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Anteprima del libro
Confini - Marco Aime
Il libro
«Per dare un senso nostro allo spazio, occorre chiuderlo e separarlo da qualcosa che diventa altro; nel momento in cui ci troviamo a definire uno spazio, siamo quindi costretti a ritagliarlo dal tutto. Solo in questo modo possiamo classificarlo. Dobbiamo perciò tracciare una linea, reale o immaginaria, che lo delimiti: ecco il confine».
Marco Aime e Davide Papotti – attingendo rispettivamente all’antropologia culturale e alla geografia senza cercare di definire i due approcci – propongono nel testo un appassionante e inedito viaggio attraverso la nozione di confine, applicata ai più svariati ambiti dell’esistenza umana: il genere, il colore della pelle, la religione, l’appartenenza a una classe; ma anche il cibo, il turismo, l’arte e la natura.
Gli autori
Marco Aime è antropologo, scrittore e docente di antropologia culturale all’Università di Genova. Ha condotto ricerche in Benin, Burkina Faso e Mali, oltre che sulle Alpi. Tra le ultime pubblicazioni: Conversazioni in alto mare (con R. Gatti, Elèuthera, 2021).
Davide Papotti insegna Geografia culturale presso l’Università degli Studi di Parma. Ha pubblicato Geografie della scrittura. Paesaggi letterari del Medio Po (Pavia, 1996). Nel 2012 ha pubblicato con Marco Aime, per Einaudi, L’altro e l’altrove. Antropologia, geografia e turismo.
Indice
Introduzione
I. Forme e funzioni dei confini
Dove si scoprono i molti diversi aspetti
che può assumere un confine
II. Il confine del colore
Dove si racconta come la pelle di un individuo possa
diventare un terribile elemento di discriminazione
III. Il confine nella cartografia
Dove si spiega che la carta non è il territorio,
ma è indispensabile per comprenderlo
IV. Il confine culturale
Dove si svelano alcune forme della costruzione
dell’altro come nemico
V. Il confine simbolico
Dove si riflette sul perché e sul come un confine
possa diventare un simbolo
VI. Il confine a tavola
Dove si vede come anche il cibo possa essere usato
per marcare le differenze
VII. Archeologia del confine
Dove si illustra come i confini nascano e muoiano,
lasciandosi dietro eredità non sempre facili
VIII. Il confine come meta turistica
Dove si riflette sul perché i confini possono
diventare luoghi di attrazione
IX. Il confine tra gli umani
Dove si parla dell’universalità
della natura e dell’arte
X. Il confine religioso
Dove si vede come le religioni possano unire,
ma anche dividere
XI. Confini generazionali
Dove si narrano le divisioni tra genitori e figli
e come queste vengano attenuandosi
XII. Il confine di classe
Dove si parla del divario economico,
ma anche culturale
XIII. Il confine tra noi e la natura
Dove si racconta come l’ambiente possa
essere pensato in modo diverso
XIV. Confini di genere, generi di confine
Dove si dimostra che il genere
è una costruzione
XV. Lingua come confine
Dove si vede come la lingua, nata per comunicare,
possa diventare barriera
XVI. Il confine nella rappresentazione artistica
Dove si osserva la creatività al lavoro
sul concetto di confine
XVII. Il racconto del confine
Dove si ragiona sull’immaginario
letterario dei confini
XVIII. Assenza di confini?
Referenze fotografiche
Introduzione
Identità confinarie
«L’uomo è organizzatore dello spazio»¹. Con queste semplici parole il grande paleontologo André Leroi-Gourhan riassume una delle più importanti caratteristiche culturali del genere umano: dare un proprio ordine a ciò che sta intorno, attribuendo alla dimensione spaziale (insieme con quella temporale) un valore primario, fondamentale per definire ogni propria azione. Basti pensare quanto di frequente, ancora oggi, usiamo metafore spaziali per indicare eventi, che ben poco hanno da spartire con lo spazio: sprofondare nel silenzio o in una crisi; risalire la china; arrampicata sociale; a monte; devianza; scivolone; crollo delle borse etc. Lo spazio, di fatto, è l’idea generale che i soggetti hanno di dove le cose dovrebbero essere, trovandosi in relazioni fisiche e culturali una con l’altra. Una mappa concettuale sulla base della quale ordiniamo la vita sociale. Ogni nostra azione avviene all’interno di coordinate spazio-temporali. In questo senso, lo spazio è la concettualizzazione delle relazioni fisiche immaginate che danno significato alla società².
Per dare un senso nostro allo spazio, occorre chiuderlo e separarlo da qualcosa che diventa altro; nel momento in cui ci troviamo a definire uno spazio, siamo quindi costretti a ritagliarlo dal tutto. Solo in questo modo possiamo classificarlo. Dobbiamo perciò tracciare una linea, reale o immaginaria, che lo delimiti: ecco il confine. Il termine, nella lingua italiana, deriva infatti dal latino cum finis, il luogo dove qualcosa finisce.
La domanda a questo punto appare inevitabile: che cosa finisce? A finire è spesso l’idea che abbiamo di noi stessi come gruppo sociale. Un’idea che non necessariamente corrisponde alla realtà e che nella maggior parte dei casi è frutto di una narrazione, quando non di una vera e propria manipolazione o «invenzione della tradizione»³. Non a caso, parlando degli Stati-nazione, lo storico Benedict Anderson parla di «comunità immaginate»⁴ e molto più sarcasticamente Ambrose Bierce, nel suo Dizionario del diavolo, scrive che la frontiera è «in geografia politica, una linea immaginaria tra due nazioni, che separa i diritti immaginari dell’una dai diritti immaginari dell’altra»⁵. Immaginato o reale, il confine segna uno spazio dove le diverse identità si incontrano e si riflettono l’una nell’altra, confermandosi a vicenda.
Un qualunque gruppo sociale, sia esso una piccola comunità, una nazione o una formazione sovranazionale, per definirsi deve creare un limite, tracciare un confine. Tale operazione è un’arma a doppio taglio: se infatti contribuisce a definire un noi, impedisce anche di essere qualcos’altro⁶. In modo molto efficace, Georg Simmel paragona un confine alla cornice di un’opera d’arte: essa ha la funzione di delimitarla, ritagliandola dal mondo comune, rendendola unica e speciale: «Così è una società, per il fatto che il suo spazio esistenziale è compreso in confini ben consapevoli, caratterizzata come una società coerente anche interiormente e viceversa: l’unità dell’azione reciproca, la relazione funzionale di ogni elemento con ogni altro, acquista la sua espressione spaziale nel confine che incornicia»⁷.
Quanto poi una comunità (di qualunque tipo e dimensione) sia davvero coerente al proprio interno è un tema piuttosto delicato e affatto scontato. Come scrive Giorgio Cella, una comunità non si definisce solo «attraverso la sua configurazione nel territorio, ma deve procedere anche con le distinzioni immaginarie che si attivano nella mente dei suoi membri»⁸. Una comunità nasce più dal desiderio, portato avanti da alcuni, di fondarla e dalla volontà, di molti, di appartenervi, che non da basi reali poggiate su elementi comuni.
I processi di costruzione identitaria, infatti, agiscono definendo un noi e, di conseguenza, un loro, spesso declinato come nemico. Come scrive Peter Sahlins: «L’identità nazionale è un processo continuo e socialmente costruito di definizione di amico
e nemico
, una estensione logica del processo di mantenimento dei confini (boundaries) fra noi
e loro
entro più locali comunità. Le identità nazionali costruite sulla base di tale struttura di opposizione non dipendono dall’esistenza di alcuna oggettiva differenziazione linguistica o culturale ma dalla soggettiva esperienza di differenza. In questo senso, la identità nazionale, come quella etnica o comunale, è contingente e relazionale: definita dai confini tracciati per distinguere il sé collettivo e la sua implicita negazione, l’altro»⁹.
A riguardo vale la pena ricordare le parole di Ernest Rénan a proposito della nazione, quando afferma che, per costruire un’identità, occorre una forte dose di memoria, ma anche un’altrettanto forte dose di oblio: «L’oblio, e dirò persino l’errore storico costituiscono un fattore essenziale nella creazione di una nazione […]. Ora l’essenza di una nazione sta nel fatto che tutti i suoi individui condividano un patrimonio comune, ma anche nel fatto che tutti abbiano dimenticato molte altre cose. Nessun cittadino francese sa se è Burgundo, Alano, Visigoto; ogni cittadino francese deve aver dimenticato la notte di San Bartolomeo, i massacri del XIII secolo nel Sud»¹⁰.
Una volta tracciati, però, i confini assumono una valenza tale da condizionare il pensiero di chi li riconosce, confermando la metafora espressa da Clifford Geertz, secondo cui l’umanità rimane impigliata nella ragnatela di simboli che essa stessa ha intessuto¹¹. In questo modo, i confini diventano «ricettacoli simbolici riempiti con i significati che i membri di una comunità ad essi imputano e in essi percepiscono»¹². Con un processo ciclico da profezia che si autoavvera, i confini forniscono uno straordinario principio di rafforzamento della realtà: contribuiscono a far sembrare più unitario ciò che circoscrivono e, allo stesso tempo, aiutano a pensare più «diverso» ciò che sta fuori. I confini, pertanto, forniscono la possibilità di guardare al di là, verso qualcosa, o qualcuno, che si ritiene debba essere diverso o distinto. Nel far ciò, rafforzano i sensi di omogeneità e di continuità, e perciò di identità. I confini permettono di riconoscere alcuni altri come diversi¹³.
Un confine, per diventare pienamente operativo, deve essere riconosciuto anche dall’esterno, dagli stessi altri. Una qualunque comunità senza un attore esterno che la riconosca o l’affronti non avrebbe più luogo di essere¹⁴. Tracciare un confine diventa allora un modo per ottenere qualcosa dagli altri, uno spazio di appartenenza dove stabilire le proprie regole, affermare il riconoscimento di una diversità, segnalare il luogo di una differenza, reale o presunta che sia¹⁵. Le conseguenze oggettive della distinzione si manifestano attraverso il senso e il significato del confine¹⁶.
Confini o frontiere?
Sentiamo spesso, anche nelle comunicazioni ufficiali, usare i termini «confine» e «frontiera» come sinonimi. Questa sovrapposizione terminologica è comune anche ad altre lingue. In realtà, si tratta di due dimensioni diverse, per forma e significato. Il confine tende a occupare un campo semantico che trova incarnazione in una linea netta, che divide due spazi. La sua incarnazione per antonomasia è quella di un solco radicato nella terra: pensiamo a quello tracciato da Romolo per separare il suo territorio, dove sorgerà la città destinata a divenire l’Urbe per antonomasia.
La regula era lo strumento utilizzato dai latini per tracciare sul terreno una linea retta. Proprio da questa parola derivano termini come «regola», in quanto principio di comportamento condiviso e accettato. Allo stesso modo, la parola «retto» non significa solo «diritto», nel senso di lineare, ma anche «giusto»; lo stesso termine «diritto», se usato come sostantivo, indica il corpo delle leggi di una comunità.
Il privilegiato campo semantico di occorrenza della parola «frontiera», invece, rimanda non a una linea netta, ma piuttosto a una fascia di territorio non ancora propriamente definita, in continua evoluzione. Il confine tende a indicare una separazione tra spazi contigui, mentre la frontiera incarna la «fine della terra», lo spazio in cui avventurarsi. Una delle più note esperienze di frontiera, celebrata da una numerosissima produzione cinematografica, è sicuramente l’epopea del Far West americano, in cui l’intera parte occidentale degli attuali Stati Uniti veniva vista dagli immigrati europei come terra ignota e di possibile conquista¹⁷. Questo tipo di attivazione di immaginari geografici della frontiera è avvenuto in diversi casi nei quali i conquistatori occidentali si sono affacciati su vaste estensioni territoriali fino a quel momento inesplorate dalle popolazioni europee¹⁸. Se il mito della frontiera americana è ampiamente circolato negli immaginari geografici condivisi a livello mondiale grazie alla immensa produzione letteraria, filmica, fumettistica, altri esempi, sia pur meno mediaticamente visibili, sarebbero possibili. Basti pensare a ciò che ha rappresentato l’espansione verso est per l’impero zarista russo, che vede la progressiva