Riscontri. Rivista di cultura e di attualità: N. 1 (GENNAIO-APRILE 2022)
Di Riscontri
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In questo numero:
- Estetica del lasciapassare
- Il «gran fior» del paradiso: Dante, la candida rosa e il Sacro Graal
- Fra leggi generali, analogia e forma simbolica. Note sul metodo leonardiano
- La scuola nella “questione meridionale”. Appunti su Rocco Scotellaro
- Il Rinascimento e la riscoperta delle tecniche antiche in Ghiberti
- Sul labirinto. Una struttura assurta a metafora dell’avventura esistenziale
- Petrolio di Pier Paolo Pasolini: quando il mito diventa epica
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Anteprima del libro
Riscontri. Rivista di cultura e di attualità - Riscontri
AA. VV.
RISCONTRI. RIVISTA DI CULTURA E DI ATTUALITÀ
N. 1 (GENNAIO-APRILE 2022)
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Indice
EDITORIALE
Estetica del lasciapassare
STUDI E CONTRIBUTI
Fra leggi generali, analogia e forma simbolica
Il Rinascimento e la riscoperta delle tecniche antiche
OCCASIONI
ll «Gran Fior» del Paradiso. Dante, la Candida Rosa e il Sacro Graal
Sul Labirinto. Una struttura assurta a metafora dell’avventura esistenziale
La scuola nella questione meridionale
. Appunti su Rocco Scotellaro
Petrolio di Pier Paolo Pasolini: quando il mito diventa epica
MISCELLANEA
Nicola Prebenna e l’incontro con Dante
I sensi nella poesia di Leopardi
Progetto multimediale MIAMA
ASTERISCHI
Ma che roba!
Retorica
RECENSIONI
Note
Tutti i diritti di riproduzione
e traduzione sono riservati
In copertina:
Annunciazione
di Leonardo da Vinci
immagine 1© 2022 Il Terebinto Edizioni
Sede legale: via degli Imbimbo 8/E
Sede operativa: via Luigi Amabile 42, 83100 Avellino
tel. 340/6862179
e-mail: terebinto.edizioni@gmail.com
www.ilterebintoedizioni.it
Responsabile: Ettore Barra
Registrazione presso il Tribunale di Avellino, n. 2 del 15/03/2018
ANNO XLIV (Nuova Serie V) - N. 1, Gennaio-Aprile 2022
Periodicità: quadrimestrale
email: direttore.riscontri@gmail.com
sito: www.riscontri.net
Stampato in Italia
EDITORIALE
Estetica del lasciapassare
Frontiere e prospettive della cittadinanza digitale
Così, dopo avere preso a volta a volta nelle sue mani potenti ogni individuo ed averlo plasmato a suo modo, il sovrano estende il suo braccio sull’intera società; ne copre la superficie con una rete di piccole regole complicate, minuziose ed uniformi, attraverso le quali anche gli spiriti più originali e vigorosi non saprebbero come mettersi in luce e sollevarsi sopra la massa
[…] Ho sempre creduto che questa specie di servitù regolata e tranquilla, che ho descritto, possa combinarsi meglio di quanto si immagini con qualcuna delle forme esteriori della libertà e che non sia impossibile che essa si stabilisca anche all’ombra della sovranità del popolo.
(Alexis de Tocqueville, La democrazia in America)
Quella della cittadinanza è stata per molti secoli la vexata questio di ogni civiltà giuridica, almeno fino all’affermazione del principio di uguaglianza tra tutti gli uomini. In assenza di quest’ultimo, ogni ordinamento ha dovuto porsi il problema di definire il perimetro della cittadinanza, allo scopo di includervi solo gli effettivi titolari dei diritti civili e politici.
Basti pensare, ad esempio, alla guerra sociale che Roma dovette affrontare – ai principi del I secolo d. C. – contro quelle popolazioni italiche che essa aveva conquistato e così ben integrato da far desiderare loro l’accesso alla cittadinanza romana. Status, quest’ultimo, riservato a pochi all’interno di uno dei più grandi imperi dell’antichità.
Più di un secolo dopo quella guerra, la cittadinanza romana era ancora un bene prezioso, più volte rivendicato dallo stesso San Paolo secondo il racconto degli Atti degli apostoli (22, 25-29). Quindi, agli albori dell’Impero, la popolazione si suddivideva tra cittadini – per nascita o successivamente acquisita per meriti – e una massa di non cittadini
.
Il medesimo schema lo si ritrova spesso nel mondo antico. Ancora prima, ad Atene, con la riforma del 451 a. C. voluta da Pericle, poteva essere considerato cittadino soltanto chi poteva vantare per padre un cittadino ateniese e per madre la figlia di un altro ateniese. Sarebbe interessante soffermarci sulla particolarità che – durante la sua età dell’oro – ad Atene non c’era un termine per definire giuridicamente una donna, la quale poteva essere identificata soltanto tramite il padre ed era di fatto considerata un bene immobile, se questo non ci portasse lontano dal nostro discorso (tra l’altro, in epoca di cancel culture
, probabilmente è meglio così). Se, distinti dai cittadini veri e propri, Atene aveva i meteci, Sparta, ancora più rigidamente, si reggeva sul lavoro schiavile degli iloti.
Per poco tempo, agli inizi dell’età contemporanea e poi con l’affermazione delle democrazie liberali, almeno sul piano dei diritti civili, l’Occidente sembrava aver risolto definitivamente la questione sulla base dei principi rivoluzionari della libertà e dell’eguaglianza da estendere a tutta l’umanità. Principii che i totalitarismi novecenteschi hanno poi o negato recisamente o distorto fino alla contraddizione.
Come ebbe ad affermare Primo Levi in una famosa intervista, ogni forma di fascismo è basata sulla filosofia del «non siamo tutti uguali», quindi «non abbiamo tutti gli stessi diritti». Percorso che, inevitabilmente, a prescindere dalle intenzioni – buone o cattive che siano (ammesso che possa averne di positive chi si assume l’incarico di suddividere l’umanità in buoni e cattivi) – porta al campo di concentramento per gli esclusi dalla società.
Dopo che, come ampiamente previsto, la struttura emergenziale italiana – tramite accordi internazionali
che il Governo ha dichiarato di aver stilato, senza specificare con chi e con quali contenuti – è divenuta permanente, incluso ovviamente il Green Pass, è più che lecito chiedersi quale sia il modello di cittadinanza che ci viene consegnato dalle politiche pandemiche. Non è possibile, a riguardo, prescindere dalla riflessione di Giorgio Agamben, uno dei maggiori filosofi italiani che da decenni studia la lenta ma progressiva affermazione in Occidente dello stato di eccezione.
Nell’ambito del convegno Le politiche pandemiche
del 10 novembre, organizzato a Torino dall’Associazione Generazioni Future
, Agamben ha messo in evidenza il grande equivoco messo in campo dalla comunicazione di massa riguardo il lasciapassare verde. Pochi, infatti, hanno riflettuto sul significato politico di dover esibire un permesso anche per le più elementari attività quotidiane, come prendere un treno o fare una consumazione al bar. Il filosofo ricorda che la «parola autorizzazione viene dal latino auctor», «colui che interviene a integrare l’atto di qualcuno che non ha la capacità di produrre atti in sé giuridicamente validi (per esempio un minore o un furiosus, un pazzo)». Da ciò consegue che, ora e per sempre, lo Stato considera tutti i cittadini «incapaci di esercitare in modo pienamente valido le loro libertà e i loro diritti», generando, due secoli dopo l’Illuminismo, uno «stato di minorità generalizzato» scambiato addirittura per «una garanzia di libertà, senza pensare che, così com’è stata accordata, l’autorizzazione potrà essere tolta, se e quando l’auctor lo giudicherà opportuno».
Mentre in Italia il nuovo regime delle libertà autorizzate si è affermato senza il minimo accenno di un vero dibattito pubblico, in buona parte del mondo libero non è sfuggito l’intento di «sostanziale depoliticizzazione della cittadinanza». In Gran Bretagna, il timido tentativo di introduzione del lasciapassare è stato bloccato dall’opinione pubblica che ha definito quello strumento – seppur limitato ai grandi eventi – come freedom killer.
Tutto ciò senza nemmeno considerare gli inconvenienti meramente tecnici di un simile sistema. È davvero così pacifico pensare di ridurre l’intera vita di una persona ad un codice QR, ovvero ad uno strumento digitale facilmente manipolabile oltre che soggetto ad errori? Nessuna istituzione sembra infatti porsi il problema dei rischi provenienti da quella che è una sostanziale abolizione del diritto alla privacy, impossibile da esercitare in una società dove controllori e controllati coincidono. Il cittadino, infatti, si è ben presto abituato all’idea di essere identificato più volte al giorno, e non da pubblici ufficiali ma da privati quali possono essere il barista e il ristoratore. Se è vero che l’applicazione non consente la conservazione dei dati, cosa impedisce ad uno stupratore di memorizzare mentalmente nome, cognome e indirizzo di una donna? E ad un pedofilo i dati di un dodicenne?
Non è stato certo un problema per gli hacker creare certificati intestati ad Adolf Hitler o a Walt Disney. L’hackeraggio, però, può avere anche fini meno goliardici. Esistono infatti applicazioni di verifica non ufficiali che permettono di scaricare e di accedere a tutti i dati del lasciapassare, non solo a quelli normalmente visibili, e quindi data di nascita, codice fiscale ecc… aprendo così le porte anche ad un numero illimitato di furti di identità e di truffe.
Tornando sul versante politico, è interessante notare come dall’obbligo del lasciapassare – già prima della tregua estiva – fossero esentati stranieri e rifugiati, come a voler rimarcare il carattere meramente politico della misura. Come può, infatti, una misura di carattere sanitario essere applicata sulla base dello status giuridico delle persone? Com’è possibile che solo a turisti e rifugiati sia concesso quel – surreale espressione – diritto di contagiare
gli altri? Una spiegazione è possibile trovarla solo osservando la questione da un punto di vista politico. Infatti, turisti e rifugiati non possono rappresentare una minaccia per l’ordine costituito in quanto i primi sono ovviamente solo di passaggio, mentre i secondi si trovano in una condizione di bisogno rispetto allo Stato che li accoglie. Se a queste due categorie non è necessario imporre un lasciapassare, si tratta evidentemente di uno strumento coercitivo che lo Stato rivolge contro i propri cittadini, dai quali si sente minacciato in quanto individui dotati di strumenti giuridici per opporsi agli abusi di un potere arbitrario.
È proprio qui che si registra il punto di rottura tra il pre e il post pandemia, come allo stesso modo si può individuare un prima e un dopo l’11 settembre. Due eventi traumatici a cui gli Stati hanno risposto avocando sempre più poteri di controllo fino a rendere del tutto inoperativi i diritti fondamentali, con un pericoloso schiacciamento dell’io rispetto al noi che già nella sua teorizzazione si presenta come volontà totalitaria.
Non è certo un caso che, sull’altro versante, sia proprio un filosofo italiano, come Galimberti, a proporre ripetutamente, e in ogni sede, l’abolizione del primato della persona in quanto concetto cristiano. Perché, fin quando non sarà abolita la cultura collettiva
del cristianesimo, l’individuo si porrà come un ostacolo allo sviluppo di una società guidata dalla scienza, dove quest’ultima sarebbe depositaria di un «sapere oggettivo» di fronte al quale ogni convinzione soggettiva non può che essere eradicata.
Teorizzazioni come questa, che – esattamente come quelle che le hanno precedute – promettono, anche se in modo del tutto paradossale, il paradiso terrestre, fanno intendere la portata epocale di questi avvenimenti che, come ricordato da Agamben, hanno il potere di rendere qualunque Costituzione «un Papier Stück, soltanto un pezzo di carta».
Infatti, se la civiltà giuridica occidentale trova uno dei suoi capisaldi proprio nel primato dell’individuo – al quale non è possibile imputare nessuna delle tragedie della storia umana (al contrario di quanto si possa dire di Stati e Governi) – voler eliminare quest’ultimo indica la volontà di assestare il colpo di grazia alle democrazie liberali, ignorando scientemente leggi e costituzioni e operando come se non fossero mai esistite.
Oltre che dal punto di vista politico-giuridico, la questione andrebbe inoltre posta anche da quello squisitamente religioso. Come definire, teologicamente, un potere umano che non si pone limite alcuno? Similmente al fascismo, in quella che fu la lucida analisi di don Luigi Sturzo, anche questa nuova ideologia politica tende a presentarsi come forza clericale, pur non nascondendo affatto la sua natura spiccatamente anticristiana, oltre che, di rimando, antiumanistica.
Il fatto che molti governi occidentali, entusiasticamente sostenuti dalla stampa, affermino di arrogarsi il diritto di distinguere tra cittadini e non cittadini
– ai quali bisogna rendere la vita difficile
– sulla base dell’adempiènza a obblighi che, in alcuni casi, non sono mai stati nemmeno codificati per legge, pur comportando come pena la perdita dei diritti civili – che avviene in automatico, senza regolare processo –, segna di per sé la nascita di un nuovo potere statuale che, privo di qualunque contrappeso, non potrà che farsi sempre più arbitrario.
Non è certo difficile dare credito, visti i precedenti, alle voci insistenti che vogliono quello del Green Pass come un sistema in fase di evoluzione verso una nuova identità digitale che unirà tutti i dati del cittadino, da quelli sanitari a quelli bancari e fiscali. In modo da rendere finalmente operativo quel controllo totale dello Stato sull’individuo, soprattutto nella prospettiva dell’abolizione del danaro contante, che i medesimi Hitler e Stalin avrebbero potuto soltanto sognare, con la possibilità di spegnere con un semplice click la vita di un cittadino accusato – a torto o a ragione – di aver scontentato il Grande Fratello.
È altamente rilevante anche il fatto che media e governi non siano mai stati in grado di contestare ai non cittadini
alcuna fattispecie di reato, motivando le misure repressive come dovute al loro opportunismo
ed egoismo
. Ovvero a categorie etiche e non giuridiche, in quanto tali soggette ad interpretazioni del tutto personali perché non definite da alcun testo normativo. Su queste basi, cosa potrebbe impedire loro, un domani, di perseguire come avido
chiunque sia titolare di un conto in banca, o proprietario di un immobile?
Infatti, altro aspetto poco considerato del nuovo Leviatano, è quello del generale senso di insicurezza. Nemmeno i più accesi sostenitori di questo o quel governo possono sapere infatti se potranno sempre aderire a tutte le richieste che